N. 265 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 aprile 2006
Ordinanza emessa il 5 aprile 2006 dalla Corte di appello di Roma nel procedimento penale a carico di Turetta Giancarlo Processo penale - Appello - Modifiche normative - Possibilita' per il pubblico ministero di proporre appello contro le sentenze di proscioglimento - Preclusione - Inammissibilita' dell'appello proposto prima dell'entrata in vigore della novella - Violazione del principio di parita' delle parti - Lesione del principio della ragionevole durata del processo - Contrasto con il principio di ragionevolezza. - Legge 20 febbraio 2006, n. 46, artt. 1 e 10. - Costituzione, artt. 3, 24 e 111. Processo penale - Appello - Modifiche normative - Impugnazione della parte civile - Possibilita' di proporre, comunque, appello avverso le sentenze emesse in primo grado - Preclusione - Inammissibilita', ai sensi dell'art. 591 cod. proc. pen., dell'appello proposto dalla parte civile - Violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost. - Codice di procedura penale, artt. 576, comma 1, e 593, in combinato disposto. - Costituzione, artt. 3, 24 e 111. La Corte di appello(GU n.35 del 30-8-2006 )
Ha pronunciato la seguente ordinanza nel processo n. 9041/2005 a carico di Turetta Giancarlo, appellanti il Procuratore della Repubblica di Roma e la Parte Civile Ropssi Maria Carmen avverso la sentenza di assoluzione perche' il fatto non sussiste emessa dal Tribunale di Roma del 18 aprile 2005; Preso atto dell'eccezione d'incostituzionalita', proposta dal procuratore generale, dell'art. 593 c.p.p. cosi' come novellato dalla legge n. 46/2006 e dell'art. 10, comma 2 predetta novella per contrasto con gli articoli 3, 111, 112 della Costituzione, nella parte in cui esclude contro le sentenze di proscioglimento l'appello del p.m. nonche' l'appello della Parte Civile, ove in tal senso debba essere interpretata la novella sopra indicata, contro le sentenze di proscioglimento; Sentite la difesa della Parte Civile, che si e' associata alle conclusioni del p.g. e quella dell'appellato, che si e' rimessa alla decisione della corte; O s s e r v a Ai sensi del dettato del combinato disposto dagli artt. 1 e 10 della legge 20 febbraio 2006 n. 46 andrebbe dichiarata l'inammissibilita' dell'appello proposto dal p.g. avverso l'assoluzione in primo grado dell'imputato. Questa Corte ritiene peraltro che la suindicata normativa sia sospetta di incostituzionalita' perche' contrastante col dettato degli artt. 111, secondo commm, e 3 della Costituzione. Quanto all'art. 111, secondo comma, Costituzione il contrasto e' apprezzabile sotto un duplice profilo: da un lato in quanto la nuova normativa viene a violare il principio della parita' delle parti nel contraddittorio, sancito dalla prima parte del secondo comma, e d'altro lato in quanto viene a contrastare con l'altro principio della ragionevole durata del processo, fissato nella seconda parte del predetto comma. Non e' in questione la facolta' del legislatore di «salvaguardare», sotto il profilo appunto dell'intangibilita' del giudizio in fatto, la pronuncia assolutoria emessa dal giudice di prime cure (non essendo prevista dalla nostra Carta costituzionale l'obbligatorieta' del «doppio grado di giurisdizionale»), ma appare contrastare coi principi del giusto processo (che implicano che tutte le parti possano portare avanti la loro azione con eguali mezzi) la formulazione dell'art. 593 c.p.p. novellato, che inibendo sia al p.m. che all'imputato di proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento, se viene ad incidere solo su elementi marginali e comunque non essenziali dell'azione difensiva (nei limiti nei quali l'imputato non puo' appellare avverso sentenze di prescrizione o di assoluzione nel merito con formule diverse dal fatto non sussiste o non aver commesso il fatto) condiziona invece l'esercizio dell'attivita' principale dell'organo di accusa pubblica laddove lo stesso non solo, al pari dell'imputato, non puo' piu' appellare avverso le sentenze di prescrizione o di assoluzione con formula diversa da quella da lui sollecitata, ma altresi' e' impossibilitato ad ottenere un nuovo giudizio di fatto avverso l'assoluzione nel merito, giudizio di fatto invece riconosciuto dalla difesa nell'ipotesi speculare di condanna dell'imputato. Questa corte non condivide la tesi, sostenuta da parte della dottrina, secondo la quale il dettato del secondo comma dell'art. 111 della Carta costituzionale farebbe riferimento solo al processo di primo grado, assicurando la parita' delle parti nella formazione, in contraddittorio della prova; e cio' non soltanto in quanto anche nel giudizio d'appello e' possibile la formazione della prova, nei casi di rinnovo, totale o parziale, dell'istruzione dibattimentale, ma anche poiche' il dettato del secondo comma dell'art 111 non autorizza siffatta interpretazione «riduttiva»; da un lato, infatti, il cennato comma parla di «ogni processo» e non soltanto del dibattimento di primo grado e d'altro lato la parita' del contraddittorio implica, concettualmente, anche la possibilita' di poter impugnare con eguali mezzi (appunto contraddicendole) le decisioni sfavorevoli alla propria parte e favorevoli all'altra. E se puo' senz'altro condividersi la tesi dottrinale secondo la quale la facolta' d'appello da parte del p.m. non costituisce esercizio dell'azione penale e, quindi, non e', in se stessa attinente al principio costituzionale dell'obbligatorieta' dell'azione penale, non puo' neanche affermarsi che, al contrario, il riconoscimento alla «sola» difesa della possibilita' di appellare pronunzie nel merito a lei sfavorevoli sia un corollario del diritto di difesa sancito dall'art. 24 della Costituzione, poiche', per quanto esposto in precedenza, la nostra Carta costituzionale non garantisce il doppio grado di giurisdizione». E' si vero che sono compatibili con l'ordinamento costituzionale come sostenuto in pregresse pronunce della Corte costituzionale (antecedenti comunque la novella costituzionale sul «giusto processo») talune limitazioni dei poteri d'impugnazione del p.m., quali si rinvengono, in particolare, nella disciplina del rito abbreviato, ma, a parte il rilievo che detta disciplina, nella sua formulazione precedente alla novella n. 46/2006, non intaccava comunque il fondamentale potere del p.m. di appellare avverso le sentenze di proscioglimento, va osservato che siffatte limitazioni trovano una giustificazione razionale nell'esigenza di compensare, con una riduzione dei poteri d'impugnazione, il vantaggio che in detto rito alla parte pubblica derivava dalla piena utilizzabilita' degli atti d'indagine; giustificazione razionale che appare arduo individuare nel divieto generalizzato per il p.m., quale che sia il rito adottato, di appellare le sentenze di proscioglimento nel merito ne' alla prospettata violazione della parita' delle parti, quale sancita dall'art. 111, secondo comma, Costituzione, puo' porre rimedio la facolta', riconosciuta al p.m. dal secondo comma dell'art. 593 c.p.p. novellato, di proporre appello nelle ipotesi ex art. 603 comma 2, se la nuova prova e' decisiva; infatti, anche a prescindere da ulteriori sospetti di costituzionalita' che potrebbero muoversi, in via subordinata a tale previsione, (laddove in sostanza ancora la durata dei «tempi» in cui ricercare la nuova prova all'arbitrio del giudice di primo grado nella fissazione dei termini di deposito della sentenza di primo grado e nel rispetto di essi) e' agevole replicare che trattasi di ipotesi marginale che non intacca, nella sostanza, la possibilita' del p.m. di ottenere, al pari della difesa, una nuova valutazione in fatto su una pronuncia nel merito. Sotto altro profilo l'abolizione dell'appellabilita' delle sentenze di proscioglimento nel merito da parte del p.m., lungi dal favorire la durata ragionevole del processo, ne determina un abnorme allungamento dei tempi di svolgimento in contrasto col principio costituzionale; e' di tutta evidenza, infatti, che nel diritto previgente, ove la doglianza del p.m. fosse fondata potevano essere sufficienti tre gradi di giudizio per definire il processo (sentenza d'assoluzione in primo grado, sentenza di condanna, su appello del p.m., in secondo grado, rigetto da parte della Cassazione del ricorso dell'imputato avverso la sentenza d'appello), mentre col nuovo sistema normativo saranno necessari non meno di cinque gradi di giudizio (sentenza d'assoluzione in primo grado, annullamento da parte della Cassazione sul ricorso del p.m. con rinvio al primo grado, sentenza di condanna del giudice di rinvio, conferma condanna da parte del giudice di secondo grado su appello dell'imputato, definitivo rigetto della Cassazione del ricorso proposto dall'appellante). Quanto, infine, all' art. 3 della Costituzione, appare contrastare col principio di ragionevolezza tutelato da detta norma la possibilita' ancora riconosciuta al p.m. di appellare la sentenza di condanna (che implica l'assurdo - cfr. raffronto anche con la normativa dell'art. 443 c.p.p. anche novellato - che il p.m., a fronte a esempio, di una imputazione di omicidio, possa proporre appello se l'imputato sia condannato per eccesso colposo in legittima difesa ma non possa appellare se la stessa persona sia, invece, assolta per legittima difesa). Ritiene la Corte che, ai sensi della vigente normativa, andrebbe dichiarata l'inammissibiita' anche dell'appello proposto dalla parte civile, ai sensi degli articoli 591 e 592 c.p.p., in quanto la modifica dell'art. 576, primo comma, c.p.p., laddove ha eliminato l'inciso «con il mezzo previsto per il pubblico ministero», ha eliminato per la parte civile medesima qualsiasi possibilita' di appellare avverso le sentenze di primo grado siano esse di assoluzione siano esse di condanna; poiche', infatti, nel nostro sistema processuale vige il principio della tassativita' dei mezzi di impugnazione, deve prendersi atto che l'art. 593 c.p.p., anche nell'attuale formulazione, prevede la possibilita' di appello soltanto per il pubblico ministero e per l'imputato, essendo venuto meno con la caducazione dell'inciso sopra indicato, il collegamento fra la facolta' generale di impugnazione prevista per la parte civile dall'art. 576 c.p.p. e l'art. 593 c.p.p.; puo' anche ritenersi che si tratti di un errore di tecnica legislativa e che altra fosse l'intenzione del legislatore, ma, ad avviso di questa corte, a tale difetto di tecnica non puo' ovviarsi in via interpretativa. Ne consegue che non appare manifestamente infondata anche la questione di costituzionalita' del combinato disposto dell'art. 576, primo comma, e 593 c.p.p., per violazione degli artt. 3, 24 e 111 della Carta costituzionale, nella parte in cui precludono alla parte civile la possibilita' di proporre, comunque, appello avverso le sentenze emesse in primo grado. Alla luce delle suesposte considerazioni ritiene questa corte non manifestamente infondata, e rilevante ai fini del presente processo, la questione di costituzionalita' del combinato disposto dagli artt. 1 e 10 legge 20 febbraio 2006, n. 46 nella parte in cui precludono al p.m. la possibilita' di appellare nel merito le sentenze di proscioglimento e, nell'ipotesi di processi d'appello gia' pendenti impongono alla Corte d'appello di dichiarare l'inammissibilita' del predetto gravame nonche' la questione di costituzionalita' del combinato disposto dell'art. 576, primo comma, e 593 c.p.p., per violazione degli artt. 3, 24 e 111 della Carta costituzionale, nella parte in cui precludono alla parte civile la possibilita' di proporre, comunque, appello avverso le sentenze emesse in primo grado e, per l'effetto, di dichiarare inammissibile, ai sensi dell'art. 591 c.p.p., l'appello proposto dalla parte civile.
P. Q. M. Solleva questione di costituzionalita' degli artt. 1 e 10 legge 20 febbraio 2006, n. 46 nella parte in cui inibiscono al p.m. di proporre appello avverso sentenze di proscioglimento nel merito e impongono alla Corte d'ppello di dichiarare l'inammissibilita' degli appelli del p.m. gia' pendenti e la questione di costituzionalita' del combinato disposto dell'art. 576, primo comma, e 593 c.p.p., per violazione degli artt. 3, 24 e 111 della Carta costituzionale, nella parte in cui precludono alla parte civile la possibilita' di proporre, comunque, appello avverso le sentenze emesse in primo grado e, per l'effetto, di dichiarare inammissibile, ai sensi dell'art. 591 c.p.p., l'appello proposto dalla parte civile e, per l'effetto, sospende il presente processo a carico di Turetta Giancarlo sino alla decisione della Corte costituzionale cui ordina trasmettersi gli atti. Dispone altresi' notificarsi la presente ordinanza alla Presidenza del Consiglio dei ministri e la sua comunicazione ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Il presidente estensore: Roselli 06C0696