N. 268 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 marzo 2006

Ordinanza  emessa il 29 marzo 2006 dalla Corte di appello di Roma nel
procedimento penale a carico di Guadagnoli Danilo ed altri

Processo penale - Appello - Modifiche normative - Possibilita' per il
  pubblico  ministero  di  proporre  appello  contro  le  sentenze di
  proscioglimento   -   Preclusione,   salvo  nelle  ipotesi  di  cui
  all'art. 603,  comma 2  - Omessa ed erronea valutazione della prova
  decisiva  -  Mancata  previsione  -  Inammissibilita'  dell'appello
  proposto prima dell'entrata in vigore della novella - Contrasto con
  il  principio  di ragionevolezza - Disparita' di trattamento tra le
  parti,  nonche'  tra  imputati  -  Lesione  del diritto di difesa -
  Violazione del principio del giusto processo.
- Codice di procedura penale, art. 593, comma 2, nel testo modificato
  dall'art. 1  della legge 20 febbraio 2006, n. 46; legge 20 febbraio
  2006, n. 46, art. 10, commi 1 e 2.
- Costituzione, artt. 3, 24 e 111.
(GU n.35 del 30-8-2006 )
                         LA CORTE DI APPELLO

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza nel processo a carico di
Tocchi  Piermauro,  appellante avverso la sentenza del Tribunale Roma
in  data  13  febbraio  2003, con la quale, concessegli le attenuanti
generiche,  era  dichiarato  non  doversi procedere nei confronti del
medesimo in ordine al reato ascrittogli al capo h),per essere estinto
per prescrizione.
    Preso  atto dell'eccezione di illegittimita' costituzionale degli
art. 1 e 10 della legge n. 46/2006, proposta dal procuratore generale
per  la  violazione  degli  art. 24  e 111 della Costituzione, cui la
difesa si associava;

                             R i l e v a

    L'imputazione  ritenuta  contestava  il reato di cui agli art. 81
cpv.,  110,  321,  319,  319-bis,  61  n. 7) c.p., per fatti commessi
nell'aprile  e dicembre 1991 e nel febbraio 1992, per avere accettato
somme di denaro per centinaia di milioni, quale corrispettivo di atti
contrari ai doveri d'ufficio.
    Con  i  motivi di appello rituale si chiedeva, in via principale,
l'assoluzione  per  non  avere commesso il fatto, in quanto il Tocchi
non   era  stato  chiamato  in  correita'  da  alcun  coimputato,  ma
scagionato da tre di loro in ordine a qualsivoglia implicazione nella
vicenda,  mai  avendo  ricevuto  denaro da soggetto, per il quale era
adottata identica pronuncia (capo i) enunciante il medesimo fatto).
    Letti  gli  atti  del  processo,  va rilevato che non puo' essere
definito    indipendentemente   dalla   questione   di   legittimita'
costituzionale  dell'art. 593,  2  comma,  c.p.p.,  sostituito  dallo
art. 1  della  legge 20 febbraio 2006, n. 46, e dell'art. 10, 1° e 2°
comma,  della  stessa  legge,  poiche'  rileva  l'omessa  e l'erronea
valutazione di prove decisive, per le proposizioni difensive espresse
con richiamo delle risultanze processuali.

                            O s s e r v a

    Va  premesso  che  l'art. 10 della legge 20 febbraio 2006, n. 46,
sulle   modifiche  al  codice  di  procedura  penale  in  materia  di
inappellabilita'   delle  sentenze  di  proscioglimento,  al  comma 1
dispone che le norme introdotte si applicano ai procedimenti in corso
alla  data  di  entrata  in  vigore  della  legge  ed  al comma 2 che
l'appello   anteriormente   proposto  dall'imputato  o  dal  pubblico
ministero  contro le medesime sentenze viene dichiarato inammissibile
con  ordinanza  non  impugnabile,  nel  tempo  previsto  dal  comma 3
rimanendo  esperibile il ricorso per cassazione contro la sentenza di
primo grado.
    Per   la   lettura   congiunta   dei   predetti   commi   1  e  2
l'inammissibilita' va dichiarata se si tratta di impugnazione cui non
si  applica  la  stessa  legge  e  per il caso concreto, essendo solo
anteriormente  consentito l'appello, si riferiscono i termini in base
ai   quali   le   limitazioni   alla   facolta'   di  gravame,  poste
dall'art. 593,  2°  comma,  c.p.p.  e dall'art. 10, commi 1 e 2 della
legge  n. 46/2006  per  i  processi  in corso, sono ritenute sospette
d'illegittimita' costituzionale.
    L'esposizione  induce  ad  un  esame  piu'  ampio  di  quanto  la
fattispecie  concreta imponga, ma, prescindendo da esso, la questione
non   sarebbe   a   sufficienza   motivata,   poiche'   le  posizioni
dell'imputato  e  del  pubblico ministero sono in reciproca relazione
nell'ambito  del  «giusto  processo», e non essendo parcellizzabili i
motivi.
    Il  2°  comma  dell'art. 593  c.p.p., recita che entrambi possono
appellare  contro  le  sentenze  di  proscioglimento  soltanto  nelle
ipotesi di cui allo art. 603, 2° comma, c.p.p., «se la nuova prova...
decisiva» e' sopravvenuta o scoperta dopo il giudizio di primo grado.
    Per  la  sua  natura,  questa prova non puo' soggiacere ad alcuna
preclusione di carattere temporale, come e' logico ed affermato dalla
giurisprudenza  di  legittimita'  per  «l"evidenza» (Cass. 1° gennaio
2002,  ced  222543;  Cass.  Sez. VI, sent. 2719 del 4 marzo 1994, rv.
198244;  Cass.  Sez.  V,  sent. 5690 del 16 maggio 1990, rv. 198862),
sicche'  s'appalesa  subito  non i fondato il rilievo che la norma si
ponga  in  contrasto  con  il  principio  di  ragionevolezza  dettato
dall'art. 3   della   Costituzione,  subordinando,  con  la  sanzione
d'inammissibilita', la sopravvenienza o la scoperta della nuova prova
decisiva  ai  termini  variabili  di proposizione dell'appello: da 15
giorni  a  134 giorni, rispettivamente per la motivazione contestuale
ex  art. 544,  1°  comma, c.p.p. o particolarmente complessa ai sensi
del  3°  comma  dello  stesso  articolo 1), per il caso dell'imputato
presente o che tale debba considerarsi.
    Queste  diversita' processuali ed altre, per la contumacia e suoi
effetti ad esempio, non di mero fatto, ma derivanti dall'applicazione
di altre norme, restringono o ampliano in maniera dissimile tra parti
private  e  tra  queste  ed  il pubblico ministero la possibilita' di
addurre  ed  articolare  la  nuova  prova,  con la conseguenza che il
2° comma  dell'art.  593  c.p.p.  si specifica altresi' in violazione
dell'eguaglianza   tra   imputati  a  seconda  della  loro  posizione
processuale  e  a  detrimento  di  quello  presente, ed in violazione
dell'art. 111,  secondo comma, della Costituzione per il non uniforme
trattamento  che  ne  consegue  «tra  le parti», non in condizione di
parita' dinanzi al giudice d'appello.
    La  giurisprudenza  di  legittimita'  ha  definito il concetto di
nuova  prova  sopravvenuta  o scoperta, «categoria delle nuove prove»
(Cass.  25 giugno 1992, an pp 93, 116), intendendola specie di quella
che,  esistendo  al  tempo  del  giudizio,  non  sia  stata portata a
conoscenza  del  giudicante,  indipendentemente da ragioni di tardiva
proposizione,  e di comune ratio a quella facente parte del materiale
acquisito  al  precedente  giudizio  di  cognizione  e non oggetto di
valutazione  da  parte  del  primo  giudice,  o che, dedotta in primo
grado, non sia stata ammessa, sebbene rivestisse decisiva rilevanza.
    Al  contrario l'art. 593 c.p.p. per il tassativo rinvio previsto,
non consente in tali ipotesi l'appello, in quanto non sono di per se'
riconducibili  al  2°  comma dell'art. 603 c.p.p., pur sovrapponibili
alla nuova prova sopravvenuta o scoperta.
    Che   sussista  l'esigenza  di  uniforme  trattamento  si  evince
dall'art. 603  c.p.p. e dalla giurisprudenza della Cassazione, pure a
sezioni  unite  (Cass.  sez.  un.  26/9/2001,  c.p., 02,1952 e 3180),
poiche' si tratta di sanare, al pari delle nuove prove sopravvenute o
scoperte,  la  contraddizione  tra  verita'  formale  e verita' reale
nell'interesse   pubblico   che   prevalga   la  realta'  sostanziale
sull'accertamento  rivelatosi  erroneo  (ex  pluribus Cass. 10 giugno
1996, c.p. 97, 3530; Cass. 3 novembre 1994, ced 200730).
    Si   prospetta,   quindi,   rivestire   il  requisito  della  non
infondatezza   un   conflitto  con  l'art. 111,  primo  comma,  della
Costituzione sul giusto processo, per non ragionevole discriminazione
del  canone  di  coerenza  tra  prove  a sostegno dell'appello, e con
l'art.  3,  primo comma, della Costituzione, per i condannati potendo
essere  fatte  valere  cause  di proscioglimento piu' ampie di quelle
consentite in secondo grado.
    La  disciplina  dell'art. 593 c.p.p., confinata nell'ambito della
sopravvenienza  o  scoperta  della  nuova  prova  decisiva in termini
ristretti,  pone in dubbio la stessa effettivita' della cognizione di
merito  avverso  le sentenze di proscioglimento e non astratta la sua
incompatibilita'  costituzionale  anche ai sensi congiunti degli art.
24,  secondo  comma,  e  111, primo comma, della Costituzione e degli
art. 111,  primo  comma,  e  112  della  Costituzione, atteso che non
s'appalesa  improponibile  dire  che  si  converta  negli effetti nel
«Divieto  di  un  secondo  giudizio»  prima dell'irrevocabilita', con
riserva di conclusione.
    Infatti,  non  e'  priva  di  ragione la lesione del diritto alla
difesa  e  del  potere  d'impugnazione  per le modalita' precitate di
condizionamento  probatorio  in  contrapposizione  oggettiva  con  il
diritto  al pieno riconoscimento dell'innocenza e rispettivamente con
l'obbligo  di  esercizio  dell'azione penale, estrinsecantesi in quel
potere.
    Per la concorrenza delle attenuanti, il proscioglimento implica -
come   nella  sentenza  del  tribunale  a  carico  del  Tocchi  -  la
sussistenza  della  responsabilita',  ipotesi  non separata nel testo
normativo  in  esame,  che pone un altro motivo di fondata violazione
dell'art. 3,  primo  comma,  della  Costituzione  tra i prosciolti in
condizioni   disomogenee   e   non  portatori  di  una  differenziata
considerazione processuale.
    In  definitiva, pur non avendo rilevanza costituzionale il doppio
grado della cognizione di merito (C. cost. 10 luglio 1973, n. 117; C.
cost.   15   aprile  1981,  n. 62),  posto  formalmente,  appare  non
rispondente ai parametri indicati il divieto d'impugnazione contro il
proscioglimento, se, oltre all'insorgenza della nuova prova decisiva,
non  vengano  in  rilievo  la omessa valutazione di quella decisiva o
specificamente   la  sua  erronea  valutazione,  nonche'  la  mancata
ammissione  della  prova  decisiva  e  l'esclusione  della stessa non
portata  alla  cognizione  del  giudice  a  quo, indipendentemente da
motivi   di   preclusione  processuale,  tutte  ipotesi,  come  sopra
motivato, riconducibili nell'alveo dell'appello.
    La non manifesta infondatezza si evidenzia, inoltre, per la forma
del provvedimento «in via preliminare» sulla decisivita' della prova,
laddove nelle impugnazioni l'inammissibilita' ai sensi dell'art. 591,
secondo   comma,   c.p.p.   ha   luogo  per  l'accertamento  semplice
dell'inesistenza dei presupposti previsti.
    Diversamente,  l'ordinanza  dell'art. 593 c.p.p. richiede per tal
verso,  tramite  la  motivazione,  la  dimostrazione  dell'assorbente
concludenza  delle  prove  gia'  acquisite ovvero l'esposizione della
sentenza,  non  gia'  un  mero  esame  di influenza della nuova prova
sull'atto gravato, capace di superare dialetticamente l'insufficienza
del    dedotto   al   fine   della   riapertura   della   istruttoria
dibattimentale,   cosi'   palesandosi  la  sostanza  della  pronunzia
conclusiva tipica.
    Il  provvedimento  d'inammissibilita'  per  il merito puo' essere
immediatamente  adottato  in camera di consiglio «in via preliminare»
con   lettura   in  udienza  oppure,  dichiarata  l'inammissibilita',
depositato  in  cancelleria  con  la  motivazione entro cinque giorni
dalla deliberazione al sensi dell'art. 128 c.p.p.
    Il  termine  molto  breve  per  il  deposito,  pur  di  carattere
ordinatorio,  confligge  con  la  predetta  natura  sostanziale  e si
manifesta non adeguato soprattutto nei processi complessi, eccettuato
il  caso  che non sia allegata la nuova prova decisiva o, quand'anche
allegata,  non  sia sopravvenuta o scoperta dopo il giudizio di primo
grado.
    Per   il   resto,  il  riesame  implica,  incontestabilmente,  la
valutazione della decisivita' della prova insorta, di per se' o unita
a  quelle  acquisite,  gia'  apprezzate  in  prime cure, ma possibile
oggetto,  a  loro  volta,  di  sollecitata o indispensabile rilettura
sulla   scorta   della   nuova,   talche'   l'obiettiva   costrizione
dell'esercizio  della  giurisdizione,  senza  previsione attenuativa,
s'appalesa  non  conforme al criterio che il giudizio sia giustamente
motivato.
    In  questo  duplice aspetto di valore e di tempo, va osservato in
particolare  -  sebbene  non si configuri nella fattispecie concreta,
necessitante  non di meno di piena spiegazione - che la deliberazione
del  giudice  d'appello  non e' agevolata con l'immutata specificita'
degli  elementi  di fatto di cui alla lettera c) dell'art. 581 c.p.p.
ed al quarto comma dell'art. 585 c.p.p., non prevedenti l'indicazione
delle  fonti  di prova, discordante con la ragionevole durata di ogni
processo   e   con   la   garanzia   del   contraddittorio  ai  sensi
dell'art. 111, secondo comma, della Costituzione.
    Non  appare  manifestamente  infondato,  dunque,  che la definita
ordinanza  non  sia  coerente  con l'art. 111, primo, sesto e settimo
comma,  della Costituzione, che prescrive il «processo regolato dalla
legge»  e la regola ordinaria per cui «contro le sentenze» e' dato il
ricorso  per  cassazione,  in  quanto  sono  queste  i  provvedimenti
conclusivi del merito.
    Le  modifiche  date  non  appaiono  favorire  la  definizione del
processo  penale  ed  impongono la sollevata questione, anche per tal
verso, come soluzione obbligata 2).
    La  riforma  sposta  solo in apparenza la funzione del giudice di
secondo grado dal momento decisionale con la sentenza alla cognizione
della  caratteristica  della  prova con ordinanza, poiche' rimane non
mutato altresi' l'art. 597 c.p.p. che consente il proscioglimento con
formula piu' favorevole e per la graduazione dell'art. 129 c.p.p.
    Se l'obbligo della immediata declaratoria di determinate cause di
non   punibilita'   e'   escluso,  ove  non  s'instauri  il  rapporto
processuale  d'impugnazione,  che  postula  l'allegazione della nuova
prova, cio', intanto, induce a considerare la violazione dell'art. 3,
primo  comma,  della  Costituzione  tra imputati per i quali non puo'
allo  stato  degli atti pronunciarsi piu' favorevole proscioglimento,
pur  ricorrendone  le condizioni, e gli imputati che lo conseguono in
virtu'  della nuova prova ammessa, nonche' per converso la violazione
dell'art. 111, primo e secondo comma, della Costituzione ove sia gia'
acquisita al primo grado prova della colpevolezza.
    Si  ripete  cioe',  per  altra  via  normativa,  la discrasia tra
giudicabili e tra «le parti», quando la prova decisiva, facente parte
del  precedente  giudizio  di  cognizione,  non  sia stata oggetto di
valutazione da parte del giudice o lo sia stata erroneamente.
    Per  il  testo  del  secondo  comma  dell'art. 593 c.p.p. possono
derivare   situazioni  incompatibili  con  esso,  e  non  sostenibili
costituzionalmente,  a  seguito dell'apertura dell'istruttoria per la
valutazione  prioritaria,  con  l'assunzione  della  nuova prova o di
altre,  sull'epoca  di  sopravvenienza  o scoperta, non sempre, e' da
supporsi     legittimamente,    essendo    permesso    di    decidere
preliminarmente.
    Accertata  la  non insorgenza sopravvenuta della prova, dunque la
sua  preesistenza o coesistenza al giorno del giudizio di primo grado
e  l'inammissibilita'  dell'appello,  la  stessa  puo'  essere  pero'
decisiva  ai  fini  del  piu'  favorevole  proscioglimento, nondimeno
impronunziabile ex art. 597 e 605 c.p.p., e in contrappunto parimenti
esclusa   l'affermazione   della   responsabilita'  per  difetto  del
requisito temporale.
    Cio'  dimostra  che  questa  prova  non  portata a conoscenza del
giudice,  indipendentemente  da preclusioni processuali, si ripropone
paradossalmente   tramite   un   meccanismo  attuativo  della  stessa
disposizione che la espunge, senza che siano esercitabili i poteri di
ufficio di cui all'art. 603, terzo comma, c.p.p., preclusi ovviamente
dall'avvenuto  passaggio in giudicato, tornandosi cioe' alla conferma
delle prospettive probatorie in pregresso significate.
    Va  osservato,  poi, che l'infondatezza acclarata del gravame per
il    tempo    della    prova    integra   una   causa   sopravvenuta
d'inammissibilita'  (Cass.  sez.  un. 11 novembre 1994, cp 95, 1165 e
3296  3); cass. sez. un., sent. 21 dell'11 febbraio 1995, rv. 199903;
Cass.  sez.  un.,  sent.  11493  del  3  novembre 1998, rv. 211569) e
consente di pronunciare ai sensi dell'art. 129 c.p.p. le cause di non
punibilita',  riponendosi  pero'  la  disparita' delle parti, perche'
l'affermazione della responsabilita' gia' agli atti e' sempre esclusa
per il difetto del requisito temporale.
    Piu'    aderente   alla   novella   e'   che   l'inammissibilita'
dell'impugnazione  «dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non
consente  il formarsi di un valido rapporto d'impugnazione e preclude
pertanto  la possibilita' di dichiarare le cause di non punibilita' a
norma  dell'art. 129 c.p.p.» (Cass. sez. un. 22 novembre 2000, cp 01,
1760, ced 217266).
    Si  tocca, se applicabile il primo orientamento, il vertice della
contraddizione:   che  la  pronuncia  di  determinate  cause  di  non
punibilita'  in  ogni  stato  e  grado  del  processo, di per se' non
richiedibile  con  l'atto  di  appello,  passi invece, ai sensi degli
art. 129  e  605  c.p.p.,  tramite la proposizione d'una impugnazione
inammissibile  per causa sopravvenuta (per il tempo non confermato al
dibattimento),  con  la  riaffermazione  di  due  giudizi completi di
merito.
    Per  il secondo indirizzo e la sostituzione normativa denunciata,
il passaggio in giudicato 4) non da alternativa, salvo il ricorso per
cassazione  avverso  l'ordinanza  d'inammissibilita',  ma  non  per i
procedimenti  in  corso, per quali e' ricorribile solo la sentenza di
primo  grado, perspicua, tuttavia, ricavandosi nell'art. 10, comma 2,
legge  n. 46/2006  la  conciliabilita' parziale del «proscioglimento»
con  principio  del  favor  innocentiae, cui maggiormente s'ispira il
vigente  codice, in virtu' del susseguente comma quattro cui consegue
l'inammissibilita'    dello    appello   avverso   la   sentenza   di
«assoluzione».
    La   nuova   prova,  nonostante  l'inammissibilita'  per  la  non
decisivita'   (e/o   per   il   tempo),  puo'  certo  essere  ammessa
nell'eventuale   giudizio   di   rinvio,  non  avente  «alcun  limite
all'assunzione  di  nuovi  mezzi  di prova» con «gli stessi poteri di
accertamento...  del  fatto,  spettanti  al  primo giudice di merito»
(Cass.  sez.  V,  sent.  3555 del 18 marzo 1999, rv. 212815; Cass. 14
febbraio 2001, ced 218951), sta, pero', una cognizione rovescia nella
materia  di  che trattasi, privo il secondo giudice delle sentenze ex
art. 129 c.p.p. ed art. 591, quarto comma, c.p.p.
    Tanto   porta   a  ritenere  non  senza  fondatezza,  la  sottesa
superfluita'   dell'appello  nell'unico  caso  per  cui  e'  dettato,
singolare  per  logica  e  natura giuridica della prova, essendosi in
coerenza  anticipata all'atto della sua proposizione l'eccezionalita'
della rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale (Cass. sez. un. 24
gennaio 1996, cp 96, 2892; Cass. 26 aprile 2000, ced 216532).
    Il  potere di annullamento di cui all'art. 604 c.p.p., richiamato
nell'art.  605,  primo  comma,  c.p.p.,  che  indica  la  forma della
pronunzia    conclusiva    del    giudizio   di   appello,   consegue
all'ammissibilita' dell'impugnazione.
    Nella  fattispecie piu' lineare, proposte eccezioni di rito nella
conversione  del  ricorso  in  appello  di  cui  agli  art. 580 e 12,
lett. b)  e  c),  c.p.p.  dalla parte avversa a quella articolante la
nuova  prova,  che  sia ricorsa in cassazione investendo tutti i capi
della  decisione di primo grado ex art. 569, primo comma, c.p.p. (es.
per  l'omessa  citazione  dell'imputato),  con  ordinanza puo' essere
rigettata   la   prova  e  parzialmente  dichiarato  non  ammissibile
l'appello  per  il  reato oggetto di proscioglimento - con successivo
ricorso per cassazione a norma del secondo comma dell'art. 593 c.p.p.
-,  residuando nel giudizio di secondo grado in prosieguo le medesime
eccezioni per le statuizioni di condanna.
    A  fronte della previgente sentenza di appello per tutti i reati,
ora   stanno   una   ordinanza  d'inammissibilita'  ed  una  sentenza
d'annullamento della condanna in primo grado o d'altra decisione, con
le  distinte impugnazioni 5), in sintesi la duplicazione dei processi
oggettivamente in contrasto con la ragionevole durata di cui all'art.
111, secondo comma, della Costituzione.
    E'   appena  il  caso  di  rilevare,  infine,  che  le  cause  di
inammissibilita' dell'impugnazione sono disciplinate «tassativamente»
ovvero   per   «elementi   tassativamente   richiesti   dalla   legge
processuale», a ripetere le parole della Corte di cassazione (Cass. 6
marzo  1990,  gi  91, II, 26; Cass. sez. VI, sent. 6598 del 13 giugno
1991,   rv.   187447),   e   che,  pertanto,  non  sono  suscettibili
d'interpretazione  estensiva  consentente  il  gravame in ipotesi non
previste.
    Rimane  affidato  alla  Corte  costituzionale  il sindacato se le
prove  non  menzionate  in  dispositivo - per la mancata ammissione e
l'esclusione    di   quella   non   portata   al   giudice   a   quo,
indipendentemente  da  motivi  di preclusione processuale - rientrino
nell'eventuale  declaratoria di illegittimita', ai sensi dell'art. 27
legge 11 marzo 1953, n. 87.
          1)  Computati  i  novanta  giorni  per  il  deposito  della
          sentenza  e  quelli per la presentazione dell'impugnazione,
          escluso il giorno del deposito o della spedizione.
          2)  V.  per  l'ordinanza  di  rimessione Corte appello Roma
          n. 9394/2003  reg.  gen.:  «non  meno  di  cinque  gradi di
          giudizio» penale.
              Portando  ad  esempio  l'efficacia  della  sentenza nel
          giudizio  civile  ex  art. 652  c.p.p., espongono l'assolto
          nell'elemento  soggettivo  ai  gradi  di  giudizio  per  il
          risarcimento   del   danno  (infortunistica  stradale),  ad
          esplicitare come il limite posto all'appello della sentenza
          di  proscioglimento  sia  Foriero  di un aggravio in genere
          della giurisdizione.
          3) «...nel caso in cui... l'atto contenga tutti i requisiti
          di   legge   (intendasi  l'allegazione  della  nuova  prova
          decisiva, sopravvenuta o scoperta dopo il giudizio di primo
          grado),  esso e' idoneo a produrre l'impulso necessario per
          originare   il  giudizio  di  impugnazione  (ammissibilita'
          originaria),  con  la conseguenza che le ulteriori cause di
          inammissibilita'  ricollegabili alla manifesta infondatezza
          dei  motivi (intendasi infondatezza per il merito quanto al
          tempo,   non   sempre   accertabile  senza  l'apertura  del
          dibattimento)... sono da considerarsi sopravvenute e quindi
          non    ostative    all'operativita'    della   disposizione
          dell'art. 129 c.p.p.».
          4) Anche se la prova e' decisiva.
          5)   A   seconda  delle  interpretazioni  sul  punto  della
          proposizione  del ricorso per cassazione contro la sentenza
          di appello che abbia annullato la sentenza di primo grado.
                              P. Q. M.
    Solleva  d'ufficio, nonche' su richiesta del procuratore generale
e   della   difesa  la  questione  di  illegittimita'  costituzionale
dell'art.  593,  secondo  comma, c.p.p., sostituito dall'art. 1 della
legge  20 febbraio 2006, n. 46, e dell'art. 10, commi primo e secondo
della  stessa  legge  in  riguardo  agli  art.  3,  24  e  111  della
Costituzione,  ai  sensi  riferiti,  nella  parte  in  cui, limitando
l'appello  alle ipotesi di cui all'articolo 603, comma 2, c.p.p., non
prevedono  l'omessa  e  l'erronea  valutazione della prova decisiva e
nella   parte   in   cui   prevedono  dichiararsi  l'inammissibilita'
dell'appello.
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla  Corte
costituzionale e sospende il processo in corso.
    Ordina  che  la  presente ordinanza, di cui viene data lettura in
giudizio,  sia notificata dal cancelliere al Presidente del Consiglio
dei  ministri  e  comunicata  ai  Presidenti  delle  due  Camere  del
Parlamento.
        Roma, addi' 29 marzo 2006
                       Il Presidente: Rosetti
Il consigliere estensore: Del Giudice
06C0699