N. 269 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 marzo 2006
Ordinanza emessa il 14 marzo 2006 dalla Corte di appello di Milano nel procedimento penale a carico di Rabbito Mariano ed altri Processo penale - Appello - Modifiche normative - Possibilita' per il pubblico ministero di proporre appello contro le sentenze di proscioglimento - Esclusione - Applicabilita' delle nuove norme ai procedimenti in corso - Violazione del principio di uguaglianza - Disparita' di trattamento tra le parti. - Legge 20 febbraio 2006, n. 46, artt. 1 e 10. - Costituzione, artt. 3 e 111, comma secondo.(GU n.35 del 30-8-2006 )
LA CORTE D'APPELLO Ha pronunciato la seguente ordinanza sull'eccezione di illegittimita' costituzionale proposta dal p.g. relativamente agli artt. 1 e 10 legge n. 46/2006; Sentite le parti, osserva. Con sentenza 11 dicembre 2003 il Tribunale di Varese, in composizione collegiale, assolveva Mariano Rabbito, Paolo Rabito, Bruno Vanzini, Rolando Gnocchi e Leonardo Rabbito dai reati come loro rispettivamente ascritti perche' il fatto non sussiste, nonche' Emilio Angelo Perego dal delitto ascrittogli perche' il fatto non costituisce reato. Avverso tale sentenza proponeva appello il p.m. con atto 25 marzo 2004, chiedendo, in riforma dell'impugnata sentenza, la condanna di tutti gli imputati per i delitti loro originariamente contestati. In data 9 marzo 2006 e' entrata in vigore la legge n. 46/2006, il cui art. 10 impone che venga dichiarata l'inammissibilita' dell'appello proposto dal p.m. prima dell'entrata in vigore della stessa legge, dandogli facolta' di proporre ricorso per Cassazione contro la stessa sentenza. Si tratta di una norma transitoria, che tende ad equiparare la situazione dei processi per i quali e' gia' stato proposto l'appello a quella dei processi per i quali, dal 9 marzo 2006, vige il divieto di appello avverso le sentenze di proscioglimento, come introdotto dall'art. 1 della stessa legge, che ha modificato l'art. 593 c.p.p.. Il p.g. sostiene, come da motivi depositati e allegati alla presente ordinanza, da intendersi parte integrante, l'illegittimita' costituzionale della normativa richiamata con riferimento agli artt. 3, 111 e 112 della Costituzione. La questione e' sicuramente rilevante, perche' l'eventuale declaratoria di illegittimita' costituzionale delle norme indicate consentirebbe l'esame del gravame, da dichiarare altrimenti inammissibile. Quanto alla non manifesta infondatezza, la Corte ritiene di poterne individuare la ricorrenza esclusivamente con riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, condividendo integralmente i motivi addotti dal p.g. nell'esposizione scritta qui allegata da intendersi trascritta. Non ritiene invece pertinente il riferimento all'art. 112 Cost. dal momento che la Corte costituzionale ha gia' manifestato il convincimento che il potere di appello del p.m. non puo' riportarsi all'obbligo di esercitare l'azione penale, come se ne fosse una proiezione necessaria ed ineludibile (Corte costituzionale sent. n. 280/95).
P. Q. M. Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1 e 10, legge 20 febbraio 2006, n. 46 in riferimento agli artt. 3 e 111, comma 2 della Costituzione; Sospende il giudizio in corso; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e ordina a cura della cancelleria che l'ordinanza di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata al Presidente della Camera dei deputati e al Presidente del Senato. Si da' atto che la presente ordinanza viene letta in pubblica udienza. Milano, addi' 14 marzo 2006 Il Presidente: Beretta Allegato PROCURA GENERALE DELLA REPUBBLICA presso la Corte d'Appello di Milano n. 3662/2004 R.G.A. procedimento penale a carico di Rabbito Mariano + 5. QUESTIONE DI LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE Alla Corte d'Appello Sez. 4ª penale SEDE Il Procuratore Generale Letti gli atti del procedimento penale a carico di Rabbito Mariano + 5, chiamato a giudizio in grado d'appello all'udienza del 14 marzo 2006, O s s e r v a che con sentenza in data 11 dicembre 2003 il Tribunale di Varese assolse Rabbito Mariano, Rabito Paolo, Rabbito Leonardo, Vanzini Bruno e Gnocchi Rolando dai reati di riciclaggio loro ascritti perche' il fatto non sussiste e assolse Perego Emilio Angelo dal reato di favoreggiamento personale perche' il fatto non costituisce reato. Con atto in data 25 marzo 2004 il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Varese propose rituale appello avverso tale sentenza, chiedendo l'integrale riforma di essa e la conseguente condanna degli imputati per i reati loro ascritti. Il processo in grado d'appello, dopo un primo rinvio dovuto alla omessa notificazione del decreto di citazione a giudizio per l'imputato Rabito Paolo e altresi' all'impedimento giustificato del difensore di Perego Emilio Angelo, e' chiamato all'odierna udienza. Nelle more del rinvio, in data 9 marzo 2006 e' entrata in vigore la legge 20 febbraio 2006, n. 46, Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilita' delle sentenze di proscioglimento, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 44 del 22 febbraio 2006, applicabile per espressa previsione nei procedimenti in corso e, quindi, nel presente procedimento, che, escludendo il potere del pubblico ministero di proporre appello avverso le sentenze di assoluzione, impone al giudice la declaratoria di inammissibilita' dell'impugnazione. Le norme introdotte con la legge n. 46 del 2006 appaiono in contrasto con quelle di rango costituzionale e, pertanto, con il presente atto si solleva questione di legittimita' costituzionale ai sensi dell'art. 23, comma 1, della legge 11 marzo 1953, n. 87 delle seguenti disposizioni: art. 1 della legge n. 46/2006, che modifica l'art. 593 c.p.p., stabilendo che «l'imputato e il pubblico ministero possono appellare contro le sentenze di proscioglimento nelle ipotesi di cui all'articolo 603, comma 2, se la nuova prova e' decisiva. Qualora il giudice, in via preliminare, non disponga la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale dichiara con ordinanza l'inammissibilita' dell'appello. Entro quarantacinque giorni dalla notifica del provvedimento le parti possono proporre ricorso per cassazione anche contro la sentenza di primo grado», limitando quindi il potere d'appello del pubblico ministero avverso le sentenze di proscioglimento alla sola ipotesi della sopravvenienza di nuove prove decisive, nel breve termine compreso fra la pronuncia di primo grado e la scadenza del termine per proporre appello, ipotesi pertanto del tutto marginale e scarsamente verificabile; art. 10 della stessa legge, che, in tema di disciplina transitoria, dispone che «1. La presente legge si applica ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della medesima. 2. L'appello proposto contro una sentenza di proscioglimento dall'imputato o dal pubblico ministero prima della data di entrata in vigore della presente legge viene dichiarato inammissibile con ordinanza non impugnabile. 3. Entro quarantacinque giorni dalla notifica del provvedimento di inammissibilita' di cui al comma 2 puo' essere proposto ricorso per cassazione contro le sentenze di primo grado. 4. La disposizione di cui al comma 2 si applica anche nel caso in cui sia annullata, su punti diversi dalla pena o dalla misura di sicurezza, una sentenza di condanna di una corte di assise di appello o di una corte di appello che abbia riformato una sentenza di assoluzione. in quanto si assume la violazione: - dell'art. 3 della Costituzione (sotto il profilo della irragionevolezza delle norme); - dell'art. 111, comma 2, della Costituzione, per cui «ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parita»; - dell'art. 112 della Costituzione, per cui il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale. I - Rilevanza. Quanto alla rilevanza della questione nel presente procedimento si deve osservare che il pubblico ministero appellante non propone alla Corte l'assunzione di nuove prove «decisive», ma censura la decisione del primo giudice sia per violazioni di norme, sia per errata valutazione delle prove gia' acquisite. L'impugnazione proposta, pertanto, non rientrando nelle ipotesi per le quali e' stato mantenuto un sia pur marginale potere d'appello, dovrebbe necessariamente essere dichiarata inammissibile: solo l'eliminazione delle norme ritenute costituzionalmente illegittime puo' consentire alla Corte d'Appello l'esame di quella impugnazione e, eventualmente, la richiesta riforma della decisione di primo grado. Ne' la rilevanza della questione proposta viene esclusa dalla circostanza che le nuove norme consentono in ogni caso al pubblico ministero impugnante di proporre ex novo ricorso per cassazione avverso quella sentenza, poiche' da un lato verrebbero sacrificati ingiustificatamente i corposi motivi di merito proposti a sostegno dell'impugnazione; dall'altro anche l'accoglimento di un eventuale ricorso per cassazione potrebbe risultare inefficace, poiche' determinerebbe la retrocessione del procedimento innanzi al giudice di primo grado con evidenti conseguenze in termini di prevedibile estinzione dei reati per decorso del tempo, cosi' vanificandosi nella sostanza anche un'eventuale vittoriosa impugnazione. II - Fondatezza. La norma dell'art. 593 c.p.p., come modificata dall'art. 1 della legge n. 46/2006, ad avviso di questo pubblico ministero viola le norme degli artt. 3 e 111 Cost. determinando un'irragionevole disparita' di trattamento tra le parti nel procedimento penale. In primo luogo si evidenzia la disparita' tra l'imputato e il pubblico ministero1), poiche' solo al primo e' concessa la possibilita' dell'appello avverso le sentenze che lo vedono soccombente. Appare invero evidente che un raffronto tra le posizioni delle due parti debba essere fatto non con riferimento allo stesso tipo di sentenza, ma piuttosto con riferimento allo stesso interesse ad impugnare. E' vero, infatti, che sia l'imputato che il pubblico ministero sono posti nella medesima posizione rispetto alle medesime sentenze (entrambi non possono appellare le sentenze di proscioglimento), ma tale apparente parita' e' ingannevole, poiche' e' altrettanto vero che solo la parte soccombente ha interesse all'impugnazione e che, quindi, il raffronto corretto tra i rispettivi poteri di impugnazione va operato con riferimento alle medesime posizioni di soccombenza. Parita', pertanto, sarebbe realizzata solo se all'imputato fosse precluso l'appello avverso le sentenze di condanna, cosi' come al pubblico ministero e' precluso quello avverso le sentenze di proscioglimento. La limitazione del potere di appellare del pubblico ministero e' gia' stata piu' volte portata all'esame della Corte costituzionale in relazione alle impugnazioni avverso le sentenze pronunciate nei giudizi svolti con il rito abbreviato. Da quelle decisioni puo' essere tratta conferma della illegittimita' delle norme oggi introdotte. In quei casi, infatti, la Corte costituzionale, pur affermando la legittimita' della limitazione del potere di impugnazione del pubblico ministero, ha ritenuto che essa supera il vaglio della ragionevolezza (e, dunque, supera l'esame della legittimita' costituzionale) solo perche' trova una giustificazione ed una giusta compensazione nella avvenuta soddisfazione della pretesa punitiva dello Stato2) e nella rapidita' del procedimento svoltosi con il rito abbreviato, nel quale viene utilizzato proprio il materiale probatorio gia' acquisito dal pubblico ministero3). Poiche' le condizioni e i benefici suddetti non si realizzano nel procedimento svolto con il rito ordinario, se ne deve dedurre, nel solco delle affermazioni rese dalla stessa Corte costituzionale, che in tale procedimento nessuna ragionevole giustificazione puo' essere opposta a sostegno della legittimita' della limitazione asimmetrica del potere d'impugnazione. E si consideri che quelle argomentazioni della Corte costituzionale furono rese a fronte di una parziale compressione del potere d'appello del pubblico ministero contro alcune sentenze di condanna emesse a seguito di giudizio svoltosi con il rito abbreviato nelle quali in ogni caso e' l'imputato la parte soccombente: esse risultano, quindi, tanto piu' fondate e gravi in relazione alla ablazione totale del potere d'appello avverso tutte le sentenze di proscioglimento senza distinzione tra giudizio abbreviato e giudizio ordinario, nelle quali il pubblico ministero e' la parte soccombente. La evidente disparita' di trattamento e' stata autorevolmente indicata dal Presidente della Repubblica nel messaggio con il quale il 20 gennaio 2006 ha rinviato all'esame delle Camere la legge in questione nel testo inizialmente approvato4). Le modifiche apportate dopo il rinvio non pare abbiano in alcun modo superato le disorganicita' denunciate. Dai lavori preparatori della legge in esame si rileva che la lesione della parita' di posizione delle parti in tema d'appello e' stata giustificata: a) invocando l'autorita' di una sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che avrebbero posto il problema dell'equilibrio fra due interessi: quello di garantire la liberta' dei cittadini e quello di garantire la sicurezza dello Stato; b) con la esigenza di dare applicazione ad un principio affermato nel Protocollo n. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, adottata a Strasburgo nel 1984, resa esecutiva in Italia con la legge n. 90 del 1990, protocollo che all'art. 2 garantirebbe il doppio grado di giurisdizione in materia penale solo per gli imputati. In ordine al punto a) si deve osservare che la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di legittimita' (n. 45276/2003) ha in realta' auspicato (par. 7.1.3 della motivazione) la opportunita' di «una (ri)perimerazione delle opzioni decisorie consentite al giudice d'appello, chiamato a pronunciarsi sull'appello del pubblico ministero avverso la sentenza assolutoria di primo grado... nel senso di qualificare in questo caso l'appello, ove non si concluda con la conferma dell'alternativa assolutoria, come giudizio di natura esclusivamente rescindente cui debba seguire un rinnovato giudizio di primo grado sul merito della responsabilita'...». In ordine al punto b) si deve rilevare che il comma 2 dello stesso art. 2 del Protocollo prevede espressamente che il diritto dell'imputato a far riesaminare la affermazione di colpevolezza da una giurisdizione superiore e' escluso quando tale affermazione provenga dalla giurisdizione piu' elevata o quando l'imputato sia stato dichiarato colpevole e condannato a seguito di un ricorso avverso il suo proscioglimento. Inciso quest'ultimo che espressamente fa riferimento alla impugnazione di una prima sentenza di proscioglimento, che non puo' che provenire dalla parte pubblica. In ogni caso, anche a ritenere diversamente, da un lato la previsione espressa di un tale diritto solo a favore dell'imputato non comporta come conseguenza la necessaria ablazione dell'analogo potere a vantaggio di altre parti; dall'altro tale preteso diritto si sarebbe potuto realizzare con una completa riforma del sistema delle impugnazioni, piuttosto che con la sottrazione totale al pubblico ministero del potere di appellare le sentenze di proscioglimento. La norma impugnata in nessun modo quindi puo' considerarsi recettiva di un principio di diritto internazionale volto ad escludere l'appello del pubblico ministero avverso le sentenze di proscioglimento. Nei lavori preparatori si e' anche sostenuto che il giudice d'appello valuta soltanto le carte, a differenza del giudice di primo grado, e che e' quindi incongruo consentire a tale giudice di ribaltare una sentenza di proscioglimento. Tale argomentazione non solo non corrisponde a verita' per un buon numero di processi (gli appelli contro le sentenze pronunciate nel giudizio abbreviato), ma inoltre non spiega perche' «un giudizio sulle carte» di proscioglimento abbia maggior dignita' di un analogo giudizio di condanna; con la conseguenza che - seguendo tale argomentazione - si dovrebbe giungere all'inappellabita' di tutte le sentenze. Anche altri profili di illegittimita' costituzionale sono ravvisabili per irragionevolezza della norma, laddove essa consente al pubblico ministero l'appello avverso le sentenze di condanna, onde ottenere evidentemente una piu' grave sanzione - a fronte comunque di una affermazione di responsabilita' che lo vede parzialmente soddisfatto come parte pubblica - ed invece gli nega la possibilita' dell'appello per ottenere in primo luogo l'affermazione della responsabilita' - a fronte di una sentenza di proscioglimento, che lo vede totalmente soccombente. Nessun motivo logico pare possa giustificare una tale asimmetria. Va infine rilevato, con riferimento alla norma dell'art. 112 Cost., che mentre nel giudizio svoltosi con il rito abbreviato il divieto di appello per il pubblico ministero avverso una sentenza di condanna non intacca l'esercizio dei poteri di iniziativa penale proprio del pubblico ministero, in quanto questi ha pur sempre ottenuto una sentenza di condanna (ed in tal modo, come si e' sopra osservato, la Corte costituzionale ha ritenuto legittime le limitazioni imposte), il divieto per il pubblico ministero di impugnare una sentenza di proscioglimento viene ad incidere concretamente su detto esercizio, impedendogli, anche in casi clamorosi, di ottenere una revisione del fatto da parte di altro giudice. P. Q. M. Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87; Chiede che la Corte d'Appello, dichiarata rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale sollevata, sospenda il giudizio in corso e disponga la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Milano, 14 marzo 2006 Il Procuratore Generale (sost. dr. Bruno Fenizia) N O T E 1) Non si fara' qui alcun riferimento - non essendo rilevanti nel presente procedimento - alle pur sussistenti ed evidenti disparita' di trattamento tra il pubblico ministero e la parte civile, alla quale e' stato conservato il diritto all'appello, pur essendo questa portatrice di un interesse privato, civilistico e particolare a fronte di quello pubblico, penalistico e generale del pubblico ministero. 2) Cfr. sentenza n. 363/91: «Con riferimento al contesto del giudizio abbreviato, non appare, pertanto, in contrario con i canoni della ragionevolezza il fatto che al pubblico ministero risulti preclusa la facolta' di appello avverso le sentenze di condanna, ove la stessa sentenza non abbia modificato il titolo del reato. Tale limite trova fondamento, da un lato, nell'obiettivo primario di una rapida e completa definizione dei processi svoltisi in primo grado secondo il rito abbreviato, dall'altro, nella circostanza che la sentenza di condanna emessa in primo grado sulla base di tale rito segna comunque la realizzazione della pretesa punitiva fatta valere nel processo attraverso l'azione intrapresa dal pubblico ministero». 3) Cfr. sentenza n. 347/02: «... per quanto attiene, in particolare, al limite all'appello della parte pubblica oggetto di censura, esso continua a trovare giustificazione - come per il passato - nell'obiettivo primario della rapida e completa definizione dei processi svoltisi in primo grado con il rito abbreviato: rito che - sia pure, oggi, per scelta esclusiva dell'imputato - implica una decisione fondata, in primis, sul materiale probatorio raccolto dalla parte che subisce la limitazione denunciata, fuori delle garanzie del contraddittorio». 4) Nel messaggio si legge, tra l'altro: «la soppressione dell'appello delle sentenze di proscioglimento, a causa della disorganicita' della riforma, fa si' che la stessa posizione delle parti nel processo venga ad assumere una condizione di disparita' che supera quella compatibile con la diversita' delle funzioni svolte dalle parti stesse nel processo». 06C0700