N. 91 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 13 luglio 2006

Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria  il  13  luglio  2006  (del  Presidente del Consiglio dei
ministri)

Imposte  e  tasse  - Norme della Regione Sardegna - Imposta regionale
  sulle  plusvalenze  dei fabbricati adibiti a seconda casa - Ricorso
  del  Governo - Dedotta carenza di base costituzionale nello statuto
  regionale  per  inconferenza  con  la  materia  «turismo» - Dedotta
  inammissibilita' di una piena esplicazione della potesta' normativa
  tributaria  delle regioni in carenza della legge statale contenente
  i  principi fondamentali sul coordinamento del sistema tributario -
  In  subordine,  contrasto  con  il  principio del divieto di doppia
  imposizione  e  del  principio di eguaglianza, nonche' dei principi
  fondamentali del diritto tributario statale e comunitario.
- Legge della Regione Sardegna 11 maggio 2006, n. 4, art. 2.
- Costituzione,   artt. 3,   53,  117,  primo  comma,  e  119;  legge
  costituzionale   18 ottobre  2001,  n. 3,  art. 10;  statuto  della
  Regione Sardegna, art. 8, lett. i); trattato CE, art. 12.
Imposte  e  tasse  - Norme della Regione Sardegna - Imposta regionale
  sulle seconde case ad uso turistico - Ricorso del Governo - Dedotta
  carenza   di   base  costituzionale  nello  statuto  regionale  per
  inconferenza con la materia «turismo» - Dedotta inammissibilita' di
  una  piena  esplicazione  della potesta' normativa tributaria delle
  regioni  in  carenza  della  legge  statale  contenente  i principi
  fondamentali   sul   coordinamento  del  sistema  tributario  -  In
  subordine,  contrasto  con  il  principio  del  divieto  di  doppia
  imposizione  e  del  principio di eguaglianza, nonche' dei principi
  fondamentali del diritto tributario statale e comunitario.
- Legge della Regione Sardegna 11 maggio 2006, n. 4, art. 3.
- Costituzione,   artt. 3,   53,  117,  primo  comma,  e  119;  legge
  costituzionale   18 ottobre  2001,  n. 3,  art. 10;  statuto  della
  Regione Sardegna, art. 8, lett. i); trattato CE, art. 12.
Imposte  e  tasse  - Norme della Regione Sardegna - Imposta regionale
  sugli  aeromobili  e  le  unita' da diporto - Ricorso del Governo -
  Dedotta  carenza di base costituzionale nello statuto regionale per
  inconferenza con la materia «turismo» - Dedotta inammissibilita' di
  una  piena  esplicazione  della potesta' normativa tributaria delle
  regioni  in  carenza  della  legge  statale  contenente  i principi
  fondamentali   sul   coordinamento  del  sistema  tributario  -  In
  subordine,  contrasto con i principi della capacita' contributiva e
  della  progressivita', di eguaglianza e ragionevolezza, nonche' dei
  principi fondamentali del diritto tributario statale e comunitario.
- Legge della Regione Sardegna 11 maggio 2006, n. 4, art. 4.
- Costituzione,   artt. 3,   53,  117,  primo  comma,  e  119;  legge
  costituzionale   18 ottobre  2001,  n. 3,  art. 10;  statuto  della
  Regione Sardegna, art. 8, lett. i); trattato CE, art. 12.
(GU n.38 del 20-9-2006 )
    Ricorso   del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato presso la quale ha il proprio
domicilio in via dei Portoghesi 12, Roma;

    Contro  la  Regione  autonoma Sardegna, in persona del presidente
per  la dichiarazione della illegittimita' costituzionale della legge
regionale  11 maggio  2006,  n. 4,  Disposizioni  varie in materia di
entrate,   riqualificazione  della  spesa,  politiche  sociali  e  di
sviluppo (B.U.R. n. 15 del 13 maggio 2006), negli articoli 2, 3 e 4.
    Della legge regionale non e' indicata la base costituzionale.
    Si   deve,   pertanto,   procedere  per  ipotesi,  per  ritornare
sull'argomento quando la regione avra' dato le precisazioni del caso.
    Si   prenderanno,   pertanto,   in   esame   le   possibili  basi
costituzionali,  per poi verificare se la potesta' legislativa, nella
ipotesi della sua sussistenza, sia stata esercitata correttamente.
    Si   dovra',   naturalmente,  partire  dallo  Statuto  regionale,
precisamente dall'art. 8, lett. i).
    Vi sono disciplinate le entrate della regione.
    Le prime sette, tra quelle elencate, sono derivate.
    Dopo  i canoni per le concessioni idroelettriche, nella lett. i),
sono  indicate  le  «imposte  e tasse sul turismo e gli altri tributi
propri  che  la regione ha facolta' di istituire con legge in armonia
con i principi del sistema tributario dello Stato».
    L'attribuzione,  dunque,  e'  duplice:  diretta, per le imposte e
tasse  sul  turismo;  indiretta  per  gli  altri  tributi,  in quanto
presuppone  che  la regione abbia la facolta' di istituirli, facolta'
che  non viene attribuita direttamente dalla norma statutaria, ma che
deve trovare la sua fonte in norme apposite.
    Se  poi  nell'art.  8,  lett. i) si dovesse vedere l'attribuzione
diretta di potesta' amministrativa anche per altre imposte, sarebbero
violati i principi del sistema tributario dello Stato, come si vedra'
in seguito.
    Sono richiamate anche le tasse sul turismo, insieme alle imposte.
    Dalla  formulazione  si  ricava  che  il  potere impositivo della
regione  investe  i servizi turistici, vale a dire quelle prestazioni
un favore del turista durante la sua permanenza nella regione.
    Se ne ha una conferma nelle norme corrispondenti di altri Statuti
speciali,  quale,  ad  esempio,  quello  della  Regione Trentino-Alto
Adige,  nel  quale  (art.  72) l'imposta analoga e' indicata come «di
soggiorno, cura e turismo».
    A  questa  imposta,  in linea di principio, sono soggetti anche i
residenti  in regione quando assumono la veste di turisti, quando, ad
esempio, passano le loro vacanze in una struttura turistica fuori del
comune di residenza.
    L'art. 8  dello Statuto non puo', pertanto, rappresentare la base
costituzionale  di  nessuna  delle norme impugnate perche' nessuna di
esse, come si vedra' in seguito, e' riconducibile al turismo, secondo
la nozione tradizionale in campo tributario.
    Per  comodita'  espositiva  gli  artt. 2  e  3  saranno esaminati
separatamente dall'art. 4.
                               Art. 2.
    Sono  colpite  le  plusvalenze  dei  fabbricati adibiti a seconde
case.
    La  plusvalenza  (art. 2.5) e' costituita dalla differenza tra il
prezzo  o  il corrispettivo di cessione ed il prezzo di acquisto o il
costo  di costruzione del bene ceduto, con le altre detrazioni che vi
sono indicate.
    L'imposta  e'  dovuta  solo  per  i  fabbricati situati entro tre
chilometri dalla linea di battigia, destinati ad abitazione.
    Soggetto passivo e' l'alienante a titolo oneroso avente domicilio
fiscale  fuori dal territorio regionale o avente domicilio fiscale in
Sardegna da meno di ventiquattro mesi.
    Sono  previste  alcune esclusioni (non si tratta di esenzioni, ma
di  esclusioni,  nel senso che si e' fuori dalla sfera impositiva per
l'assenza  del  presupposto),  sia di natura oggettiva (fondata sulla
ubicazione dei fabbricati oltre i tre chilometri dalla costa o per la
loro  utilizzazione, in quanto adibiti ad uso diverso dall'abitazione
o  ad  abitazione del cedente o del coniuge per la maggiore parte del
periodo intercorso tra l'acquisto, o la costruzione, e la cessione.),
sia  di  natura  soggettiva,  per  la qualita' del cedente (i nati in
Sardegna e i rispettivi coniugi).
    Come si vede, non c'e' nessun rapporto con il turismo.
    L'imposta  colpisce  quelle  che sono indicate come seconde case,
anche  se  non  sono state mai utilizzate e se il proprietario non ha
mai passato le sue vacanze in Sardegna.
    Un  sardo  o  un  residente  in Sardegna non e', invece, soggetto
all'imposta  anche  se nella seconda casa trascorre le sue vacanze al
mare come turista.
    La  mancanza  di rapporto con il turismo non potrebbe essere piu'
evidente.
    L'imposta,   secondo  le  distinzioni  tradizionali,  e'  diretta
perche' colpisce un valore capitale e non un consumo.
    E' anche reale, perche' colpisce la cosa, senza dare rilievo alla
posizione personale contribuente.
    E' bene prevenire un possibile equivoco.
    La  condizione  personale  del  soggetto  e'  rilevante  solo per
l'individuazione  delle  sfera  impositiva, vale a dire per accertare
quando l'imposta e' applicabile.
    Una volta individuata questa sfera, la posizione personale non ha
nessun rilievo nella liquidazione dell'imposta.
    Da qui la sua realita'.
    Per  questi  suoi caratteri l'imposta non puo' sicuramente essere
considerata sul turismo.
    Si e' presa in considerazione solo l'ipotesi prevista nella lett.
a) del comma. Per quella sotto la lett. b) le questioni si propongono
in termini analoghi.
    Dalla lett. b) si desume che soggetti all'imposta sono i titolari
del diritto di proprieta' o di altro diritto reale sui fabbricati (si
deve,  intendere,  di  godimento)  non,  dunque,  chi  ne  ha solo il
possesso  (se  ne  trova la conferma nel comma 8, secondo il quale il
debito sorge alla data dell'atto di cessione).
                               Art. 3.
    L'imposta e' sulle seconde case ad uso turistico.
    I fabbricati alla quale l'imposta si riferisce ed i soggetti sono
gli stessi dell'art. 2.
    Sul presupposto la legge e' un po' equivoca: al comma 2 indica il
possesso   dei   fabbricati;  al  comma 3  indica  come  soggetti  il
proprietario   o  il  titolare  di  diritto  reale  sugli  stessi  di
usufrutto,   uso  abitazione.  Non  e'  chiaro  chi  dovrebbe  pagare
l'imposta  nel  caso  in  cui  possessore sia chi non e' titolare del
diritto corrispondente.
    La questione, peraltro, puo' essere trascurata.
    L'imposta e' annuale, commisurata alle dimensioni del fabbricato;
colpisce, dunque, il valore di godimento dell'immobile.
    L'imposta  ha,  pertanto,  dal  punto di vista che ora interessa,
caratteri  analoghi  a  quella sulle plusvalenze. Anche essa non puo'
essere ricondotta tra le imposte sul turismo.
    Per  entrambe  la  base  costituzionale  non  puo' essere trovata
nell'art. 8, lett. i) dello Statuto regionale.
    La base costituzionale non puo', peraltro, essere trovata nemmeno
negli  artt. 117  e  119  Cost., in relazione all'art. 10 della legge
costituzionale n. 3 del 2001.
    In   caso  contrario,  la  potesta'  legislativa  sarebbe  essere
riconosciuta  a  tutte  le regioni a statuto ordinario, con incidenza
corrispondente sul sistema tributario nazionale.
    Codesta  Corte  ha  da  tempo  messo  in  evidenza,  e in piu' di
un'occasione,   che   per  l'attuazione  del  disegno  costituzionale
delineato  nell'art.  119  e' necessario l'intervento integrativo del
legislatore  statale,  anche  per  la  definizione  di una disciplina
transitoria,  che  consenta il passaggio ordinato dal sistema attuale
al nuovo sistema (in particolare sentenze n. 7 e n. 241 del 2004).
    Codesta  Corte, in particolare, ha rilevato come, al contrario di
quanto  si verifica in altre sfere normative, i principi fondamentali
per una legislazione tributaria regionale siano oggi assenti «perche'
"incorporati,,   per   cosi'   dire,   in   un   sistema  di  tributi
sostanzialmente governati dallo Stato» (sent. n. 37/2004).
    In  altre parole, non si possono desumere i principi fondamentali
per  un  sistema tributario nuovo dalle leggi del sistema precedente,
fondato su principi del tutto diversi.
    Da cio' consegue - sono sempre parole di codesta Corte - che «non
e'  ammissibile,  in  materia  tributaria,  una piena esplicazione di
potesta'  regionali  in  carenza  della  fondamentale legislazione di
coordinamento dettata dal Parlamento nazionale».
    Le  norme  impugnate sono costituzionalmente illegittime anche da
altri  punti  di vista subordinati, vale a dire anche se si ritenesse
che,  ai  sensi  dell' art. 1.3 della legge n. 131/2003, si potessero
desumere  i  principi  fondamentali  sul  coordinamento  del  sistema
tributario dalla legislazione tuttora in vigore.
    Andrebbero, pertanto, identificati questi principi per verificare
se la normativa regionale vi si sia adeguata.
    Le  plusvalenze  immobiliari per la cessione di immobili a titolo
oneroso  sono  gia'  colpite dall'imposta statale (art. 67.1, lett.b)
d.P.R. n. 917/l986).
    In mancanza di una norma statale che lo consenta, la regione puo'
colpire la stessa materia gia' tassata dallo Stato in base ad una sua
legge?
    Sorge una questione di doppia imposizione, da risolversi ai sensi
dell'art. 53 Cost.
    Come  codesta Corte ha gia' chiarito da tempo, nell'art. 53 Cost.
trova   applicazione   nel   settore   tributario   il  principio  di
uguaglianza, sancito dall'art. 3.
    La  domanda  da porsi e', pertanto, se, una volta individuata una
certa  situazione  come indice ragionevole di capacita' contributiva,
siano applicabili contemporaneamente piu' imposte, introdotte da piu'
enti impositori, tra quelli indicati nell'art. 119 Cost.
    In  parole  diverse:  lo  stesso indice di capacita' contributiva
puo' giustificare la sovrapposizione di piu' imposte?
    La risposta dovrebbe essere negativa.
    Nell'ordinamento statale, come e' stato strutturato sino ad oggi,
ogni  imposta  ha  avuto  un suo presupposto autonomo. Tra due o piu'
presupposti possono essere riscontrabili connessioni o vicinanze piu'
o  meno  accentuate,  ma  le  imposte  hanno  sempre  colpito materie
tassabili diverse. Questa distinzione, pertanto, deve ritenersi, gia'
di  per  se',  un  principio  generale,  dal  quale  la  legislazione
regionale si e', invece, discostata.
    Nei  casi  che  si  stanno esaminando la questione assume aspetti
ancora piu' preoccupanti.
    Sugli  stessi  fabbricati  verrebbero  ad  incidere  una serie di
imposte:  l'imposta  statale,  gia'  richiamata,  e  quella regionale
prevista  nell'art.  2  impugnato,  che colpiscono entrambe lo stesso
valore  capitale;  ma  anche  l'ICI  comunale  e  l'imposta regionale
introdotta con l'art. 3 che colpiscono il valore di godimento.
    Quattro  imposte finirebbero col gravare sullo stesso bene, anche
se preso in considerazione da due diversi punti di vista economici.
    In   caso  di  risposta  affermativa,  potrebbe  prospettarsi  la
eventualita'   che   intervenga   successivamente   anche  un'imposta
provinciale.
    Una  situazione del genere finirebbe con il pregiudicare anche le
possibilita' di politica economica dello Stato, della quale uno degli
strumenti principali e' quello tributario.
    Se   questo   primo   ostacolo   costituzionale   fosse  ritenuto
superabile,  se  ne  presenterebbe un altro. Ai sensi dell'art. 67.1,
lett. b) d.P.R. n. 917/1986 le plusvalenze immobiliari sono tassabili
a  condizione  che  la  cessione intervenga a non piu' di cinque anni
dall'acquisto  o  dalla  costruzione, esclusi gli immobili acquistati
per successione o donazione e gli altri casi che vi sono indicati.
    Per  chi  non svolge l'attivita' professionalmente, si richiedono
condizioni che facciano presumere un intento speculativo.
    L'immobile  e'  una  forma  di  investimento  stabile. Con il suo
acquisto si va incontro a piu' oneri tributari: si impiegano risorse,
gia'  al  netto di imposte dovute per la loro produzione; si scontano
le  imposte  di  registro, catastale e di trascrizione; il reddito e'
soggetto all'imposta statale personale; e' dovuta l'ICI.
    La  plusvalenza  e' stata dichiarata tassabile solo se realizzata
in  un  termine breve. Per tempi piu' lunghi l'intento speculativo e'
da  escludersi  (come va escluso in caso di successione e negli altri
casi),  e non si giustifica che chi ha fatto un investimento duraturo
debba  scontare  un'imposta per l'incremento dei valori di mercato al
quale lui stesso ha contribuito.
    La  fissazione del termine del quinquennio si dovrebbe, pertanto,
considerare  anche  esso  principio  fondamentale,  al quale la norma
regionale non si e' attenuta.
    Considerazioni  analoghe  valgono  per  l'imposta regionale sulle
seconde case ad uso turistico (art. 3 della legge regionale).
    L'imposta  e' determinata in base alla superficie del fabbricato,
senza tenere conto del loro valore.
    Poiche'  l'imposta  grava su tutti i fabbricati situati entro tre
chilometri  dalla  linea di battigia marina, ad un immobile di pregio
elevato,  situato  in  zona  amena  in prima linea di fronte al mare,
viene ad essere applicata la stessa imposta alla quale e' soggetto un
altro, di pari estensione, di qualita' inferiore, situato in una zona
non  felice,  privo  della  vista  e  di accesso agevole al mare, pur
avendo valori di godimento non comparabili.
    La  tassazione  in  base  ai  valori  catastali, come avviene per
l'imposta  statale  e  per  l'ICI, andrebbe comunque considerata come
principio  fondamentale  in  quanto  consente di colpire valori medi,
determinati  per  zone  omogenee  in rapporto analogo con i valori di
mercato  e,  in  ogni  caso,  variabili  a  secondo  del pregio degli
immobili.
    Le  due  norme  tributarie regionali non sono nemmeno in coerenza
tra di loro.
    L'imposta  sulle  plusvalenze  (art.2)  e'  legata  ai  valori di
mercato;  quella  sulle  seconde  case,  ad  un  giudizio  estimativo
aprioristico  e rigido della regione, del tutto svincolato dai valori
correnti  determinati  in  base  al  criterio  catastale,  che sembra
condizionato solo dalle sue esigenze finanziarie.
    E'  un  dato  di  esperienza ricorrente che mano a mano che ci si
allontana  dalla spiaggia i vincoli urbanistici diventano meno rigidi
ed i fabbricati aumentano in altezza.
    Non  e'  facile, pertanto, giustificare perche' per una villa con
vista  ed  accesso  diretti sul mare, in mezzo al verde, in posizione
sopraelevata,  di 100 metri quadrati, sia dovuta un'imposta minore di
quella  per  un  appartamento  di  105  metri quadrati, situato in un
fabbricato  a tre chilometri dalla spiaggia, al piano terra ed in una
zona senza vista.
    Una  imposta  del  genere,  inoltre,  legata come e' al godimento
dell'immobile,   piuttosto   che   alla   regione   dovrebbe   essere
eventualmente lasciata all'Ente locale che deve fornire i servizi.
    Sui  profili di illegittimita' costituzionale delle singole norme
ci si e' soffermati anche se si confida che non saranno rilevanti per
la  ragione che le regioni non possono assumere iniziative in materia
tributaria  prima  che  intervenga  quella  legislazione  statale che
codesta Corte ha gia' dichiarato indispensabile.
    Le   norme   impugnate   risultano  illegittime  anche  ai  sensi
dell'art. 117, primo comma, Cost.
    Questo  motivo  di illegittimita' costituzionale non e' collegato
alla  base  costituzionale  che  le  norme hanno nel diritto interno.
Andrebbe  rilevato  anche  se  codesta  Corte  ritenesse  che trovino
fondamento nello Statuto regionale.
    L'  art. 12 del Trattato CE vieta ogni discriminazione effettuata
in base alla nazionalita'.
    «Si  deve rilevare... che, secondo la giurisprudenza della Corte,
le norme relative alla parita' di trattamento vietano non soltanto le
discriminazioni  palesi in base alla cittadinanza, ma anche qualsiasi
discriminazione  dissimulata  che,  basandosi  su  altri  criteri  di
distinzione,  pervenga  di  fatto  al  medesimo  risultato  (sentenza
12 febbraio  1974,  Sotgiu, punto 11 della motivazione, causa 152/73,
Racc. pag. 153)».
    Si e' trascritto dalla sentenza della Corte di Giustizia 8 maggio
1990, Biehl, causa C-175/88, punto 13.
    In  quell'occasione  la  Corte,  decidendo  un caso in cui era in
discussione  una  norma sul rimborso di imposta, ha affermato che «..
il  criterio  che  ricollega  alla residenza nel territorio nazionale
l'eventuale  rimborso  dell'imposta  versata  per eccesso, sebbene si
applichi   indipendentemente   dalla  cittadinanza  del  contribuente
interessato,  rischia  di  danneggiare  in particolare i contribuenti
cittadini  di  altri  Stati  membri,  giacche'  saranno spesso questi
ultimi a lasciare il paese o a stabilirvisi durante l'anno».
    Le   norme   in   esame   violano,  pertanto,  anche  i  principi
dell'ordinamento  comunitario  con  entrambi  i  criteri adottati per
l'applicazione dell'imposta: non essere nati in Sardegna, che attiene
direttamente  alla cittadinanza; avere il domicilio fiscale fuori del
territorio nazionale, che attiene alla residenza.
    Entrambe le norme, in quanto determinano la loro sfera impositiva
con  criteri  discriminatori  che danneggiano i cittadini comunitari,
vengono  a  risultare  costituzionalmente  illegittime anche ai sensi
dell'art. 117, primo comma, Cost.
                               Art. 4.
    L'imposta  e'  definita come imposta regionale sugli aeromobili e
le unita' da diporto.
    Il presupposto non corrisponde alla definizione.
    E'  dovuta,  infatti, per lo scalo negli aerodromi del territorio
regionale  e  per  lo  scalo  nei porti, negli approdi e nei punti di
ormeggio ubicati nel territorio regionale delle unita' da diporto.
    Ne  sono  soggetti la persona fisica o giuridica avente domicilio
fiscale   fuori  del  territorio  regionale  che  assume  l'esercizio
dell'aeromobile o dell'unita' da diporto.
      Che  l'imposta  non attenga al bene, ma all'operazione di scalo
e'  confermato  nel  comma 4,  ai  sensi del quale per gli aeromobili
l'imposta  e'  dovuta  per  ogni  scalo, mentre sulle imbarcazioni da
diporto e' dovuta annualmente.
    Anche  questa  imposta  non  puo'  essere considerata sul turismo
perche'  la  ragione  dello  scalo e' del tutto irrilevante cosicche'
sara' dovuta anche se il viaggio sia fatto per ragione di affari.
    La  sua  base  costituzionale  non puo' essere trovata, pertanto,
nell'art. 8 dello Statuto per le ragioni gia' esposte.
    Per  come  e'  strutturata,  la definizione come imposta viene ad
essere impropria.
    Ammesso  che possa rientrare tra le prestazioni imposte, previste
nell'art. 24 Cost., si presenterebbe piuttosto come tassa.
    Per  i soggetti non sembra necessario integrare quanto si e' gia'
detto: decisivo e' il domicilio fiscale.
    Le  societa'  che  hanno la loro sede in Sardegna e coloro che vi
risiedono sono esclusi.
    Il fatto che non siano presi in considerazione i nati in Sardegna
dipende,   presumibilmente,  dalle  difficolta'  applicative  che  ne
sarebbero derivate.
    Per  rendere piu' agevole l'esposizione, degli aeromobili e delle
unita' da diporto si trattera' separatamente.
    Gli  aeromobili, come noto, costituiscono uno degli indici, e tra
i  piu'  significativi,  del reddito dei soggetti che ne giustificano
l'accertamento (art. 38 d.P.R. n. 600/1973).
    Il  loro  possesso, pertanto, e' indice di reddito. Per diventare
materia  tassabile dovrebbero esser presi in considerazione in quanto
tali.
    L'imposta  regionale  si  applica, invece, solo per il loro scalo
all'interno  del  territorio  sardo quindi, si deve presumere, per il
fatto  che  vengono utilizzati gli impianti degli aerodromi. Se ne ha
una  conferma  nel  fatto  che  se  l'aeromobile  non  atterra  negli
aeroporti  sardi  nessuna  imposta  e'  dovuta  e  che,  ai sensi del
comma 4,  l'imposta  va commisurata alle capacita' di trasporto ed e'
dovuta per ogni scalo.
    Una  imposta  (o, meglio, tassa) di questo genere dovrebbe essere
in favore di chi ha a carico l'onere di manutenzione e gestione degli
impianti aeroportuali, che vengono utilizzati nello scalo.
    Questi  soggetti, peraltro, hanno gia' la possibilita' di rifarsi
su  chi  esercita  l'aeromobile  attraverso  il pagamento dei diritti
aeroportuali,   o   diritto   per   l'uso   degli   aeroporti  (legge
n. 324/1976).
    Anche  in  questo  caso  si  e'  di fronte ad una duplicazione di
imposta di tutta evidenza.
     In pratica la regione, non potendo tassare direttamente il bene,
si   e'   voluta  riservare  un'imposta  prendendo  come  presupposto
un'operazione  per  la  quale  l'operatore  gia'  deve  effettuare un
pagamento  remunerativo  dei  servizi  che  utilizza, servizi che, e'
utile  richiamarlo,  vengono  resi secondo criteri imprenditoriali di
mercato, quindi con margine di utile.
    Una  volta  che  anche  per  questa  imposta  fossero superate le
difficolta'  costituzionali  che  derivano  dalla  mancata attuazione
dell'art. 119  Cost.,  ci  si  dovrebbe  domandare  se, cosi' come e'
concepita,   sia   conforme  ai  principi  fondamentali  del  sistema
tributario, ammesso che questi siano effettivamente rilevabili.
    Presupposto  di  imposta  non  e' la proprieta' o il possesso del
bene,  ma  solo  l'utilizzo  di  impianti  situati  all'interno della
regione,  utilizzazione  per  la  quale  il  soggetto  gia'  paga  un
corrispettivo che ne copre integralmente il costo.
    La  domanda  da  porsi  sarebbe  questa: se costituisca capacita'
contributiva,   ai  sensi  dell'art.  53  Cost.,  lo  svolgimento  di
un'operazione  per  la quale, comunque lo si voglia definire, si paga
un prezzo che copre il costo del servizio reso, con margine di utile.
    La risposta non potra' essere che negativa.
    Oggetto  possibile di imposta potrebbe essere, a tutto concedere,
il  bene  di per se', in quanto, ad esempio, considerato di lusso, ma
in  questo caso l'imposta dovrebbe essere a carico di tutti, anche di
quelli  che  hanno  il  domicilio fiscale nella regione, perche' quel
carattere non ha nessun condizionamento territoriale.
    La   utilizzazione  del  mezzo  non  puo'  costituire  indice  di
capacita' contributiva aggiuntiva perche' e' contro ogni principio di
ragionevolezza  l'ipotesi  che venga acquistato un aeromobile per non
utilizzarlo.
    Se nella utilizzazione si usufruisce di servizi, o si applica una
tassa o si prevedono dei prezzi determinati con criteri di mercato.
    E' contro ogni principio che possano essere previsti entrambi.
    Argomenti analoghi valgono per le imbarcazioni da diporto.
    Per  esse  l'imposta  e'  dovuta  annualmente  (comma 4).  Questo
significa  che basta fare scalo in Sardegna una sola volta per pagare
l'intera imposta, valida si' per tutto l'anno, ma dovuta per l'intero
anche se lo scalo dura una sola notte.
    L'effetto  e'  che,  piu'  si  utilizzano  le strutture portuali,
minore,  proporzionalmente  e'  l'onere  dell'imposta  che, in questo
modo, viene ad avere carattere regressivo.
    La  tariffa  e'  poi  articolata in modo tale che passando da una
lunghezza  di m. 19,99 a 20 l'imposta viene maggiorata di mille euro,
da m. 23,99 a 24 di duemila, da 29,99 a 30 di cinquemila.
    Il  carattere  regressivo  dell'imposta  trova  la  sua  migliore
espressione  nel  comma  5 dell'art. 4 per il quale non sono soggette
all'imposta  le  unita'  da  diporto  che  sostano tutto l'anno nelle
strutture portuali regionali.
    In  altre  parole,  l'imposta  non  e'  dovuta da chi utilizza al
massimo le strutture portuali.
    L'imposta,  piu' che a colpire una capacita' contributiva, sembra
rivolta a penalizzare chi utilizza i porti sardi solo saltuariamente.
    La  norma  e', peraltro, illegittima anche da un diverso punto di
vista.
    L'art.  4.2 lett. b) prende in considerazione lo scalo, oltre che
nei porti, negli approdi e nei punti di ormeggio.
    Salvo che codesta Corte non ne fissi una interpretazione diversa,
stando  alla  sua  formulazione,  e'  considerato imponibile lo scalo
anche  se  effettuato in zona non attrezzata, in uno specchio di mare
ridossato,  dove  l'ormeggio  sia  effettuato a terra, utilizzando la
struttura naturale della spiaggia.
    Il  mare  non e' bene della regione ed e' soggetto solo al potere
statale entro i limiti del mare territoriale.
    La  regione,  pertanto,  avrebbe  individuato come presupposto di
imposta l'utilizzo di un bene naturale, sul quale non puo' esercitare
poteri,  che  di per se' non e' indice di nessuna specifica capacita'
contributiva,  senza  che  siano  in qualsiasi modo interessate opere
dell'uomo, tanto meno eseguite dalla regione stessa, il cui uso possa
comportare il pagamento di una tassa.
    I criteri seguiti dalle nome regionali impugnate sono contrari ai
principi ai quali si ispira il sistema tributario attuale.
    Di   conseguenza   verrebbero   a   risultare  costituzionalmente
illegittime  anche se se ne volesse vedere la base nell'art. 8, lett.
i)  dello  Statuto,  che  impone il rispetto dei principi del sistema
tributario dello Stato.
    Si  e' gia' visto, peraltro, come lo Statuto regionale non sia un
valido  supporto delle norme e come non possano esserlo gli artt. 117
e 119 Cost., attraverso l'art. l0 della legge costituzionale n. 3 del
2001:  perche'  la regione non poteva istituire imposte proprie prima
che  le  leggi  statali dessero attuazione all'art. 119 e perche', in
ogni   caso,   avrebbe  dovuto  rispettare  i  principi  fondamentali
desumibili dall'ordinamento tributario.
    Le norme impugnate, infine, anche a volerle esaminare di per se',
indipendentemente  dalla  base costituzionale, hanno dato all'imposta
una struttura del tutto irragionevole.
                              P. Q. M.
    Si   conclude   perche'   le  norme  impugnate  siano  dichiarate
costituzionalmente illegittime.
    Si   produce  estratto  della  deliberazione  del  Consiglio  dei
ministri 7 luglio 2006.
         Il vice Avvocato generale dello Stato: Glauco Nori
06C0717