N. 288 ORDINANZA (Atto di promovimento) 1 marzo 2006

Ordinanza  emessa  il  1°  marzo  2006  dal  tribunale di Trieste nel
procedimento penale a carico di Diaconu Valentin lulian

Straniero   e  apolide  -  Espulsione  amministrativa  -  Delitto  di
  trattenimento,  senza  giustificato  motivo,  nel  territorio dello
  Stato,  in  violazione  dell'ordine di allontanamento impartito dal
  questore  - Trattamento sanzionatorio - Reclusione da uno a quattro
  anni   -   Violazione   del  principio  di  proporzionalita'  e  di
  ragionevolezza  della  pena,  anche  con riferimento al trattamento
  sanzionatorio  previsto  per  analoghe  fattispecie  -  Lesione del
  principio della finalita' rieducativa della pena.
- Decreto  legislativo  25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5-ter,
  sostituito dall'art. 1, comma 5-bis, del decreto legge 14 settembre
  2004,  n. 241, convertito con modificazioni nella legge 12 novembre
  2004, n. 271.
- Costituzione, artt. 3 e 27, comma terzo.
(GU n.36 del 6-9-2006 )
                            IL TRIBUNALE

    Nel  processo nei confronti di Diaconu Valentin, nato in Romania,
a Caras Severin, il 29 giugno 1980, ha emesso la seguente ordinanza.
    1.  -  In  data 24 febbraio 2006 Diaconu Valentin all'esito di un
controllo  da  parte di personale appartenente al Comando Provinciale
di  Trieste,  risultava  inottemperante  all'ordine  del  Questore di
Gorizia,  notificatogli  il  30 ottobre  2004  che  gli  imponeva  di
lasciare il territorio nazionale entro i successivi cinque giorni. Il
predetto  veniva  quindi  tratto  in  arresto  in  base  al  disposto
dell'art. 14,  comma  5-quinques,  d.lgs.  n. 286/1998 ed indagato in
ordine  al  reato  di  cui  all'art. 14,  comma  5-ter  stesso d.lgs.
All'udienza  del  27  febbraio  2006 veniva convalidato l'arresto del
Diaconu  e  rimesso  in liberta' il medesimo, che chiedeva termine ex
art. 558,   comma  7,  c.p.p.  per  il  giudizio  direttissimo.  Alla
successiva  udienza odierna, assente l'imputato, dichiarato aperto il
dibattimento,  il  p.m. ed il difensore chiedevano l'acquisizione, ai
fini  della  piena  utilizzabilita',  degli  atti del fascicolo delle
indagini  preliminari, oltre che di quanto gia' acquisito all'udienza
di  convalida,  senza  formulare  alcuna richiesta istruttoria orale.
Senza  l'espletamento  di  alcun  incombente testimoniale, quindi, le
parti concludevano come in epigrafe.
    Orbene,   alla   luce  della  richiesta  di  pena  formulata  dal
rappresentante  dell'accusa,  conformemente,  peraltro,  alle attuali
previsioni  normative  attinenti  al  reato  per  cui  si procede, si
impone,   preliminarmente,  la  valutazione  dovuta  in  ordine  alla
conformita'  alla  carta  costituzionale  delle  previsioni  edittali
stabilite  per  il  reato  in  esame, peraltro nei limiti in cui tale
valutazione  e'  consentita  dall'art. 1 della legge costituzionale 9
febbrao 1948, n. 1 e dall'art. 23, comma 3 della legge 11 marzo 1953,
n. 87.  In relazione ad identica fattispecie, tra gli altri, anche il
Tribunale  di Trieste, in altra composizione monocratica, ha proposto
questione  di  legittimita'  costituzionale,  il cui contenuto questo
tribunale condivide appieno e che qui si riporta, facendolo proprio;
    2.  -  Il  testo  originario  dell'art.  14  non prevedeva alcuna
sanzione   penale   per  lo  straniero  che  non  avesse  ottemperato
all'ordine   emesso   dal  questore  in  esecuzione  del  decreto  di
espulsione del Prefetto.
    La  fattispecie  penale di cui trattasi e' stata introdotta dalla
legge   n. 189/2002,   come   reato  contravvenzionale  punibile  con
l'arresto  da sei mesio a un anno prevedendo per tale reato l'arresto
obbligatorio;
    Con la sentenza n. 223 del 15 luglio 2004 la Corte costituzionale
ha  dichiarato  l'illeggitimita'  costituzionale  dell'art. 14, comma
5-quinquies  per  contrasto  con l'artt. 3 e 13 Cost. «nella parte in
cui stabilisce che per il reato previsto dal comma 5-ter del medesimo
art.  14  e'  abbrogato  l'arresto  dell'autore  del  fatto»,  per la
manifesta  irragionevolezza  della  previsione di misura precautelare
non  suscettibile  di  sfociare in alcuna misura cautelare in base al
vigente ordinamento processuale;
    E'  quindi  intervenuto  il  d.l.  14 settembre 2004, n. 241, che
modificava  per  la fattispecie in esame la pena prevista dalla legge
189/2002,  ma  riformulava  il  testo dell'art. 14, comma 5-quinquies
limitando  l'arresto obbigatorio all'ipotesi di cui al comma 5-quater
(reingresso nel territorio dello Stato dello straniero espulso), gia'
prevista  come  delitto  punibile  con la reclusione da uno a quattro
anni;
    In  sede  di conversione del d.l. citato il reato di cui all'art.
14,  comma  5-ter  veniva  previsto  come  delitto  punibile  con  la
reclusione  da  uno  a  quattro  anni  (ad  eccezione dell'ipotesi di
espulsione  motivata  dall'essere  scaduto  il permesso di soggiorno,
ipotesi  per  la  quale  veniva mantenuta la pena dell'arresto da sei
mesi a un anno); veniva nuovamente stabilito l'arresto obbligatorio.
    3.  -  E' dunque intervenuto un notevole inasprimento della pena,
della cui proporzionalita' e ragionevolezza si dubita.
    Deve  essere  qui  richiamato  il criterio costantemente adottato
dalla    Carte    costituzionale,    che,    pur    riservando   alla
«discrezionalita'   del  legislatore  stabilire  quali  comportamenti
debbano essere puniti, determinare quali debbano essere la qualita' e
la   misura   della  pena  ed  apprezzare  parita'  e  disparita'  di
situazioni»,   ha   pero'   affermto   che   «l'esercizio   di   tale
discrezionalita'  puo'  essere  censurato quando esso non rispetti il
limite  della  ragionevolezza e dia quindi luogo ad una disparita' di
trattamento  palese  e  ingiustificata»  (sentenza  25  del  1994; il
principio   e'   richiamato   anche  nella  sentenza  333  del  1992,
nell'ordinanza  220 del 1996, nella sentenza 84 del 1997). Ancora, e'
stato   chiarito  (sentenza  409  del  1989)  «che  il  principio  di
uguaglianza,  di cui all'art. 3, primo comma, Cost. esige che la pena
sia  proporzionata  al disvalore del fatto illecito commesso, in modo
che  il  sistema  sanzionatorio adempia nel contempo alla funzione di
difesa  sociale  ed  a quella di tutela delle posizioni individuali».
Tale  funzione  non verrebbe adempiuta qualora non venisse rispettato
il  limite  della  ragionevolezza.  A  cio' si aggiunge (sempre nella
sentenza  citata) che il principio di proporzionalita' porta a negare
legittimita'  alle  «incriminazioni  che,  anche  se  presumibilmente
idonee  a  raggiungere  finalita' statuali di prevenzione, producono,
attraverso   la   pena,   danni   all'individuo   (ai   suoi  diritti
fondamentali)  ed  alla  societa'  sproporzionatamente  maggiori  dei
vantaggi  ottenuti  (o da ottenere) da quest'ultima con la tutela dei
beni  e  dei  valori  offesi  dalle  predette incriminazioni». Questo
principio  e' ora recepito anche dalla Costituzione europea («le pene
inflitte  non  devono  essere sproporzionate rispetto al reato», art.
II-109).
    Inoltre,  la  Corte  ha ripetutamente affermato (sentenza 313 del
1995  e  343  del 1993) che la manifesta mancanza di proporzionalita'
rispetto  ai  fatti  reato  vanifica  il  fine rieducativo della pena
sancito dell'art. 27, comma 3 Cost.
    4.  -  In  primo  luogo,  poiche'  il dubbio di costituzionalita'
riguarda  un inasprimento della pena, non puo' omettersi di ricordare
quanto   affermato   dalla   Corte   costituzionale  su  un'eccezione
concernente l'elevazione nel 1991 del minimo edittale per il reato di
cui   all'art.  629  c.p.  Nel  dichiarare  manifestamente  infondata
l'eccezione,  la Corte (ordinanza 368 del 1995) ritenne rispettato il
limite della ragionevolezza rilevando che l'inasprimento in quel caso
non  dava  luogo  «a macroscopiche differenze rispetto al trattamento
sanzionatorio  previsto per il reato di rapina - fattispecie peraltro
non del tutto assimilabile a quella della estorsione».
    La  questione  oggi in esame e' totalmente diversa per due ordini
di ragioni.
    Innanzitutto,  l'inasprimento  e',  in  questo  caso,  certamente
macroscopico,  il massimo edittale della pena detentiva in precedenza
prevista  per  lo  stesso  fatto,  qualificato  come contravvenzione,
corrisponde ora al minimo edittale previsto per il delitto.
    In secondo luogo, l'aumento di pena per il delitto di estorsione,
come  rileva tra le righe la Corte con il riferimento alla «difficile
individuazione    in    concreto   dell'aggravante   di   far   parte
dell'associazione  di  tipo  mafioso»,  costituitiva  la  risposta al
fenomeno  del  «pizzo»  emerso  con  particolare  gravita'  in alcune
regioni nel corso degli anni ottanta e, quindi, a decenni di distanza
(e  quindi  in  un  contesto  sociale  certamente  diverso) da quando
vennero scritte le sanzioni per la rapina e l'estorsione.
    Una   simile   ragione   non   e'   invece   dato  rinvenire  per
l'inasprimento  di pena per lo straniero che non ottempera all'ordine
del  questore.  Nei soli due anni che intercorrono tra legge 189 e la
legge 271, il fenomeno dell'immigrazione clandestina (per contrastare
il  quale  vennero  scritte le norme della legge 189 del 2002) non ha
subito  variazioni  tali  da  giustificare  la conversione in delitto
dell'inottemperanza  dello straniero all'ordine di allontanamento del
questore  e  l'elevazione  macroscopica di pena introdotta in sede di
conversione   in   legge   del   d.l.   n. 241/2002.   Ne'  una  tale
giustificazione  si rinviene nella relazione all'emendamento del d.l.
n. 241/2004 che ha introdotto una sanzione cosi' elevata, posto che i
relatori fanno riferimento soltanto alla necessita' di adeguarsi alla
sentenza  223  del  2004  della Corte costituzionale, intendendo tale
adeguamento  come  un  inasprimento  della  pena, cosi' da consentire
l'arresto  obbligatorio per coloro che non ottemperino all'ordine del
questore. Che questo fosse l'unico fine per il quale e' stata elevata
in  misura  cosi'  rilevante la sanzione e' confermato dall'essere la
stessa  pena  prevista  per  il  fatto  di chi rientra nel territorio
nazionale    dopo   un'espulsione   disposta   dal   giudice   (fatto
evidentemente  ben piu' grave, in quanto presuppone la commissione di
un  reato  o  quantomeno  la  pendenza di un procedimento penale). E'
evidente  che la trasposizione di un'esigenza processuale nel diritto
penale  sostanziale non integra il criterio della ragionevolezza e si
pone in contrasto con i principi costituzionali posti dagli artt. 3 e
27, comma 3 Cost.
    Per  valutare  se  l'inasprimento  di pena introdotta dalla legge
n. 271/2004  sia  compatibile  con  l'art. 3  Cost.  si deve poi fare
riferimento  a  norme  incriminatrici  poste  a  tutela  degli stessi
interessi   (individuati   nell'ordine  pubblico  e  nella  sicurezza
pubblica)  con  previsione  di  analoghe  modalita' di condotta. Tale
comparazione  e'  stata effettuata dalla Corte costituzionale al fine
di  valutare  la  proporzionalita'  e  la  ragionevolezza  della pena
prevista  per  il  rato  di  cui  all'art. 8, comma 2, legge 772/1972
(sentenza  409  del  1989)  e della pena prevista per il reato di cui
all'ar. 341 c.p. (sentenza 341 del 1994).
    In  questo  caso,  deve essere preso in considerazione l'art. 650
c.p.  che punisce con l'arresto fino a tre mesi o con la sola ammenda
l'inottemperanza  ad  un provvedimento legalmente dato dall'autorita'
per ragioni di sucurezza pubblica o d'ordine pubblico. Ancora, sempre
alla  tutela  dell'ordine  pubblico  e  della  pubblica  sicurezza e'
ispirata  la  fattispecie di cui all'art. 2 della legge n. 1423/1956.
Anche qui vi e' un ordine della pubblica autorita' (il questore, come
nella  fattispecie  di  cui  all'art  14,  comma  4-ter), concernente
persone  ritenute  «pericolose per la sicurezza pubblica» (si osserva
che  si tratta non di una pericolosita' «potenziale», quale e' quella
dello straniero clandestino, ma di una pericolosita concreta) e anche
qui  l'inottemperanza  configura una contravvenzione, per la quale e'
previsto  l'arresto  da  uno a sei mesi. Marginalmente si osserva che
completamente   diversa   e'  la  fattispecie  del  delitto  previsto
dall'art.  9  della legge citata. Si tratta della violazione da parte
del  sorvegliato  speciale  dell'obbligo  o  del divieto di soggiorno
impostogli  dal  tribunale  e,  sebbene  gli interessi tutelati dalla
norma  siano  ancora  quelli  della  sicurezza pubblica e dell'ordine
pubblico,  non  soltanto  vi  e'  una  valutazione  in concreto della
pericolosita'  sociale (effettuata dal tribunale e non dall'autorita'
amministrativa),  ma  soprattutto  e'  prevista  una  condotta attiva
dell'autore,  consistente  nella  violazione  di  un  obbligo o di un
divieto  (anche  questo imposto dal tribunale) al quale e' gia' stata
data  esecuzione  a  cura  del questore (art. 7, legge cit.) e quindi
nell'allontanamento  dal  luogo  di  soggiorno  obbligato  ovvero nel
ritorno nel territorio per il quale sussiste il divieto. L'ipotesi in
questione  porterebbe  quindi costituire parametro di riferimento per
il   delitto   previsto   dall'art  14,  comma  5-quater  del  d.lgs.
n. 286/1998  (reingresso dello straniero espulso nel territorio dello
Stato),  ma  non per la norma oggetto della presente questione, norma
che  sanziona  la  mera  inosservanza  di un ordine dell'autorita' di
polizia.
    Coerentemente  con le sanzioni dettate per analoghe violazioni il
legislatore del 2002 aveva previsto come contravvenzione l'ipotesi di
cui  all'art. 14, comma 5-ter, potendo a maggiore pena (da sei mesi a
un  anno di arresto) dettata per lo straniero (inottemperante, ma non
necessariamente  pericoloso) trovare giustificazione nell'esigenza di
contrastare  il  fenomeno  dell'immigrazione clandestina, inesistente
all'epoca   della   redazione   del   codice  penale  e  della  legge
n. 1423/1956.  Sussiste invece una rilevante sproporzione tra la pena
ora  prevista  per  la stessa ipotesi, configurata conte delitto e le
sanzioni  penali dettate per le contravvenzioni (ad essa analoghe) di
cui agli artt. 650 c.p. e 2, legge n. 1423/1956.
    L'irragionevolezza  sussiste  dunque  sotto  un duplice profilo e
cioe'  sia con riferimento alla pena che il legislatore solo due anni
prima  aveva  ritenuto  congrua  per  l'ipotesi  in  esame,  sia  con
riferimento alle pene previste per onaloghe fattispecie.
    Come si e' visto la Corte ha ripetutamente affermato che l'art. 3
Cost.  impone che il bilanciamento tra gli interessi da tutelare e il
bene della liberta' personale (che, se si tratta di straniero, non e'
per   questo  di  rango  inferiore  a  quello  del  cittadino)  venga
effettuata  con  riferimento  alle  sanzioni  previste  per  condotte
analoghe,  che  minacciano  gli stessi interessi e che solo quando la
sanzione  penale vine stabilita con la necessaria proporzionalita' la
pena  puo'  avere la funzione rieducativa di cui all'art. 27, comma 3
Cost.
    Fermo  restando  che  non si intende anticipare in questa sede la
valutazione  in  ordine alla responsabilita' dell'imputato (ovvero in
ordine  alla congruita' della specifica pena concordata dalle parti),
va   notato  che  il  presente  giudizio  non  puo'  venire  definito
indipendentemente    dalla    risoluzione   della   questione   sopra
evidenziata,  apparendo  che  - in caso di condanna - necessariamente
dovrebbe farsi riferimento alla vigente previsione edittale.
    Per  le  ragioni  sopra  indicate,  questo  giudice  ritiene  non
manifestamente   infondata   l'esposta   questione   di  legittimita'
costituzionale.
    Il processo percio' deve venire sospeso e gli atti immediatamente
trasmessi   alla  Corte  costituzionale,  per  la  risoluzione  della
questione.
    Va ordinata altresi', a cura della cancelleria, la notifica della
presente  ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri e la sua
comunicazione ai Presidenti delle Camere.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87,
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 14,  comma 5-ter prima parte,
d.lgs.  n. 286/1998 come sostituito dall'art. 1, comma 5-bis legge 12
novembre  2004,  n. 271 (che ha convertito in legge con modificazioni
il d.l. 14 settembre 2004, n. 241) nella parte in cui prevede la pena
della  reclusione  da  uno  a quattro anni per lo straniero che senza
giustificato  motivo  si  trattiene  nel  territorio  dello  Stato in
violazione  dell'ordine  impartito  dal  questore  ai sensi del comma
5-bis,   in  riferimento  agli  artt.  3  e  27,  terzo  comma  della
Costituzione;
    Dispone  la  trasmissione degli atti alla Corte costituzionale pa
la risoluzione della questione;
    Sospende il giudizio nei confronti dell'imputato;
    Dispone  la  notifica  della  presente  ordinanza,  a  cura della
cancelleria, al Presidente del Consiglio dei ministri;
    Dispone  la  comunicazione della presente ordinanza, a cura della
cancelleria, ai Presidenti delle Camere;
    Manda alla cancelleria per gli altri adempimenti di competenza.
        Trieste, addi' 1° marzo 2006
                        Il giudice: Gianelli
06c0736