N. 301 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 maggio 2005
Ordinanza emessa il 18 maggio 2005 (pervenuta alla Corte costituzionale l'8 luglio 2006) dal tribunale di Napoli nel procedimento civile promosso da Schioppa Renato contro Banca Intesa S.p.A. Societa' - Controversie in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria - Procedimento di primo grado dinanzi al tribunale in composizione collegiale - Mancata o insufficiente indicazione di principi e criteri direttivi nella legge di delegazione - Illegittimita' derivata della disciplina introdotta dal legislatore delegato. - Legge 3 ottobre 2001, n. 366, art. 12; «per derivazione», decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, artt. 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16 e 17. - Costituzione, art. 76.(GU n.37 del 13-9-2006 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al n. 22389/2004 R.G. tra Schioppa Renato rappresentato e difeso dal prof. avv. Francesco Fimmano' e dagli avv. Leandro Traversa e Piergiuseppe Di Nola ed elettivamente domiciliato presso lo studio legale Fimmano' e associati in Napoli al Centro direzionale, isola E 2, Palazzo Futura, scala B, attore; E Banca Intesa, S.p.A. in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Andrea Pisani Massamormile presso cui e' elettivamente domiciliata in Napoli, alla via Caracciolo n. 10, convenuta. Premesso in fatto Con citazione ritualmente notificata Schioppa Renato, premesso di essere titolare del contratto di deposito n. 9271009 e del contratto di c/c n. 5790, entrambi intrattenuti presso Banca Intesa S.p.A. (gia' Banca Commerciale italiana S.p.A.), esponeva che in data 31 luglio 2001 aveva sottoscritto un ordine di acquisto di titoli obbligazionari emessi dalla Cirio Finance (controllata da Cirio Finanziaria S.p.A.) per un ammontare di Euro 155.000,00. Precisava che l'operazione ebbe luogo nella sede secondaria di Banca Intesa S.p.A. del Centro direzionale di Napoli per effetto di sollecitazione all'investimento operata da quest'ultima. Deduceva di essere estraneo al mondo della finanza, di essere un imprenditore che aveva deciso di affidare tutti i propri risparmi a Banca Intesa S.p.A. premurandosi pero' di vederli investiti solo in titoli «sicuri», tant'e' che i risparmi dell'attore inizialmente, come da sua indicazione, erano stati investiti esclusivamente in titoli di Stato o in fondi Nextra, titoli cioe' non particolarmente redditizi, ma caratterizzati da un bassissimo profilo di rischio. Esponeva che nel luglio 2001 era stato contattato dalla convenuta, che gli propose di diversificare i propri investimenti, acquistando obbligazioni Cirio, e che in particolare Francesca Sciarrino, dipendente di Banca Intesa S.p.A., all'epoca dei fatti impiegata presso la sede secondaria del Centro direzionale di Napoli, informo' l'attore della possibilita' di investire nei c.d. bond cirio, specificando che il responsabile del settore «private» di Banca Intesa, il dott. Lezzi, gli raccomandava espressamente tale operazione che era un investimento sicuro, come quelli precedentemente effettuati, sicche' l'attore si fido' di quanto raccomandatogli dalla sua banca. Tanto premesso, lo Schioppa evidenziava che la convenuta aveva contravvenuto a numerosi obblighi, soprattutto di natura dichiarativa, che l'ordinamento pone sull'intermediario nella circolazione degli strumenti finanziari nel tentativo di bilanciare la sproporzione tra le parti contrattuali: in particolare, Banca Intesa S.p.A. non aveva fatto sottoscrivere al correntista, all'atto dell'apertura del deposito titoli, tanto il c.d. documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari quanto alcun contratto di mandato per la negoziazione di strumenti finanziari, adempiendo al proprio obbligo informativo solo in data 31 ottobre 2002; evidenziava altresi' che la banca aveva violato l'art. 28 del regolamento CONSOB n. 11522/98, aveva sollecitato l'attore ad investire in titoli obbligazionari Cirio, pur sapendo che questi ultimi, attesa l'assenza di qualunque prospetto informativo, erano destinati al mercato degli investitori professionali e non certo a quello dei risparmiatori. L'attore deduceva inoltre che la convenuta aveva violato gli obblighi di diligenza, correttezza e trasparenza previsti dall'art. 21 T.U.F., che aveva tenuto un comportamento assolutamente indifferente alla tutela del risparmiatore, tant'e' che, nonostante l'ordine di acquisto fosse stato effettuato per un complessivo ammontare di Euro 155.000,00, la banca acquisto' invece, in nome e per conto dello Schioppa, titoli obbligazionari per Euro 170.000,00, come successivamente comunicato allo Schioppa. Aggiungeva che la banca aveva dimostrato il piu' assoluto disprezzo di ogni forma di buona fede e di collaborazione nell'esecuzione del contratto, non avendo risposto all'istanza dell'attore del 9 gennaio 2004, con cui si chiedeva alla convenuta la documentazione completa relativa alla transazione in esame. Rilevava che la banca non aveva adempiuto all'obbligo di informare il cliente dell'esistenza di un conflitto di interessi dovuto al duplice ruolo di soggetto erogatore del credito e di intermediario finanziario, come invece previsto dall'art. 27, secondo comma, Reg. CONSOB 11522/98. Deduceva che, qualora avesse saputo dell'interesse in conflitto, certamente non avrebbe acquistato i titoli in oggetto, stante la sua reticenza agli investimenti «sospetti». Aggiungeva che tutte le suddette disposizioni costituiscono norme imperative che comportano la nullita' del contratto ad esse contrario e che la violazione delle stesse determina l'illiceita' della causa con conseguente nullita' del contratto ex art. 1343 c.c. Conveniva pertanto in giudizio la Banca Intesa S.p.A., in persona del legale rappresentante pro-tempore., perche' i predetti contratti stipulati tra le parti fossero dichiarati nulli, invalidi, inefficaci e/o comunque fossero annullati e conseguentemente perche' la convenuta fosse condannata a restituire il corrispettivo pattuito ovvero la maggiore somma determinata in corso di causa, oltre interessi e rivalutazione monetaria dal di' del dovuto al saldo. In alternativa chiedeva che fosse dichiarato che i fatti prospettati costituivano fatti illeciti e conseguentemente che la convenuta fosse condannata a risarcire il danno subito dall'attore, ammontante ad Euro 170.000,00 ovvero alla maggiore somma determinata in corso di causa, oltre interessi e rivalutazione monetaria dal di' del dovuto al saldo. Si costituiva la Banca Intesa, S.p.A. in persona del legale rappresentante pro tempore, deducendo che l'attore non era un ignaro risparmiatore, ma un esperto investitore. Aggiungeva che in data 16 luglio 1996 lo Schioppa aveva concluso con Cariplo, fusasi poi per incorporazione in Intesa, un contratto avente ad oggetto la negoziazione, sottoscrizione, collocamento e raccolta di ordini concernenti strumenti finanziari, in virtu' del quale poteva conferire alla banca, tra l'altro, ordini di acquisto e/o vendita di strumenti finanziari e che quindi l'ordine del 31 luglio 2001 era un atto di esecuzione del predetto contratto: l'investitore aveva impartito un ordine di acquisto all'intermediario e quest'ultimo lo aveva eseguito. Rilevava che l'art. 4 del suddetto contratto consentiva all'intermediario di agire anche in conflitto di interessi. Contestava nel resto la domanda attorea e concludeva per il rigetto della stessa, chiedendo in subordine, in caso di accoglimento della domanda, l'accertamento che lo Schioppa, con il suo comportamento reticente nel fornire informazioni alla convenuta, aveva concorso, ai sensi dell'art. 1227 c.c., a causare il danno in esame, con conseguente riduzione dell'entita' del risarcimento eventualmente dovuto all'attore. Le parti successivamente provvedevano alla notificazione ed al deposito di memorie di replica ex articoli 6 e 7 decreto legislativo n. 5/2003. Notificata da parte attorea alla convenuta istanza di fissazione di udienza ex art. 8 d.lgs. citato, il giudice relatore designato, con decreto del 2 - 4 marzo 2005, fissava l'udienza collegiale ai sensi dell'art. 12, decreto citato e provvedeva in ordine alle richieste istruttorie. All'udienza collegiale del 18 maggio 2005 il Presidente preliminarmente invitava le parti a discutere anche in ordine ad eventuali profili di incostituzionalita' del decreto legislativo n. 5/2003: al riguardo il procuratore dell'attore invitava il tribunale alla valutazione della rilevanza della questione di legittimita' costituzionale rispetto al caso specifico, mentre il procuratore della convenuta si rimetteva al tribunale; indi quest'ultimo si riservava la decisione. Osserva in diritto Preliminarmente questo tribunale ritiene di sollevare la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12 della legge n. 366/2001 con riferimento all'art. 76 della Costituzione nella parte in cui, in relazione al giudizio ordinario di primo grado in materia societaria, non indica i principi ed i criteri direttivi che avrebbero dovuto guidare le scelte del legislatore delegato e, per derivazione, degli articoli da 2 a 17 del decreto legislativo n. 5 del 17 gennaio 2003, nonche', in via subordinata, degli articoli da 2 a 17 del decreto legislativo n. 5 del 17 gennaio 2003 in relazione all'art. 76 della Costituzione, perche' difformi dai principi e dai criteri direttivi dettati dalla legge di delega n. 366/2001. Ed invero, quanto alla non manifesta infondatezza della prima delle questioni di legittimita' costituzionale sopra indicate, si osserva che l'art. 12 della legge n. 366/2001 dispone: «Il Governo e' inoltre delegato ad emanare norme che, senza modifiche della competenza per territorio e per materia, siano dirette ad assicurare una piu' rapida ed efficace definizione di procedimenti nelle seguenti materie: a) diritto societario, comprese le controversie relative al trasferimento delle partecipazioni sociali ed ai patti parasociali; b) materie disciplinate dal testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, e dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni. 2) Per il perseguimento delle finalita' e nelle materie di cui al comma l, il Governo e' delegato a dettare regole processuali, che in particolare possano prevedere: a) la concentrazione del procedimento e la riduzione dei termini processuali; b) l'attribuzione di tutte le controversie nelle materie di cui al comma 1 al tribunale in composizione collegiale, salvo ipotesi eccezionali di giudizio monocratico in considerazione della natura degli interessi coinvolti; c) la mera facoltativita' della successiva instaurazione della causa di merito dopo l'emanazione di un provvedimento emesso all'esito di un procedimento sommario cautelare in relazione alle controversie nelle materie di cui al comma 1, con la conseguente definitivita' degli effetti prodotti da detti provvedimenti, ancorche' gli stessi non acquistino efficacia di giudicato in altri eventuali giudizi promossi per finalita' diverse; d) un giudizio sommario non cautelare, improntato a particolare celerita' ma con il rispetto del principio del contraddittorio, che conduca alla emanazione di un provvedimento esecutivo anche se privo di efficacia di giudicato; e) la possibilita' per il giudice di operare un tentativo preliminare di conciliazione, suggerendone espressamente gli elementi essenziali, assegnando eventualmente un termine per la modificazione o la rinnovazione di atti negoziali su cui verte la causa e, in caso di mancata conciliazione, tenendo successivamente conto dell'atteggiamento al riguardo assunto dalle parti ai fini della decisione sulle spese di lite; f) uno o piu' procedimenti camerali, anche mediante la modifica degli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile ed in estensione delle ipotesi attualmente previste che, senza compromettere la rapidita' ditali procedimenti, assicurino il rispetto dei principi del giusto processo; g) forme di comunicazione periodica dei tempi medi di durata dei diversi tipi di procedimento di cui alle lettere precedenti trattati dai tribunali, dalle corti di appello e dalla Corte di cassazione.». Cio' posto, si rileva che l'art. 76 della Costituzione stabilisce che l'esercizio della funzione legislativa non puo' essere delegato al Governo se non con determinazione dei principi e criteri direttivi e soltanto per un tempo limitato e per oggetti definiti. La migliore dottrina e la stessa giurisprudenza della Corte costituzionale hanno da sempre interpretato tale norma nel senso che essa intende vietare non solo il trasferimento di pieni poteri dalle Camere al Governo, ma qualunque legge delegante che non operi una previa determinazione della portata e del tipo della disciplina delegata, cosicche' l'attivita' del Governo risulti sostanzialmente vincolata a realizzare con un circoscritto margine di scelte operative una serie di risultati gia' precostituiti da parte delle Camere, assolvendo in sostanza le norme delegate una funzione attuativa delle norme deleganti. Conseguentemente il legislatore ordinario deve stabilire principi e criteri cosi' specificati da far prevedere l'esito finale della delega, pena l'incostituzionalita' della legge delega per genericita' ed indeterminatezza. Orbene, ritiene questo tribunale che nel caso in esame il legislatore delegante non ha indicato con sufficiente determinazione i principi ed i criteri direttivi che avrebbero dovuto guidare il legislatore delegato. Dal dettato dell'art. 12 legge n. 366/2001, infatti, - escludendo il riferimento ai principi dettati in tema di giudizio cautelare che riguardano profili non rilevanti nel presente giudizio - sono estrapolabili i seguenti principi: 1) divieto di modifica della competenza per territorio e per materia; 2) necessita' di assicurare una piu' rapida ed efficace definizione di procedimenti; 3) possibilita' di dettare regole processuali che in particolare possano prevedere: a) la concentrazione del procedimento e la riduzione dei termini processuali; b) l'attribuzione di tutte le controversie nelle materie di cui al comma 1 al tribunale in composizione collegiale, salvo ipotesi eccezionali di giudizio monocratico in considerazione della natura degli interessi coinvolti; c) la possibilita' per il giudice di operare un tentativo preliminare di conciliazione, suggerendone espressamente gli elementi essenziali, assegnando eventualmente un termine per la modifica o la rinnovazione di atti negoziali su cui verte la causa e, in caso di mancata conciliazione, tenendo successivamente conto dell'atteggiamento al riguardo assunto dalle parti ai fini della decisione sulle spese di lite. Nella legge n. 366/2001, quindi, il legislatore si e' limitato ad indicare le materie nelle quali il governo sarebbe potuto intervenire, l'obiettivo di rendere piu' rapida ed efficace la definizione dei procedimenti, il divieto di modificare la competenza per territorio e per materia, la tendenziale collegialita' del procedimento, la possibilita' di valutare l'atteggiamento delle parti in sede di tentativo di conciliazione e la possibilita' di dettare regole che favorissero la riduzione dei termini e la concentrazione del procedimento. Nulla tuttavia la legge delega ha detto in ordine allo schema processuale da adottare, lasciato non piu' alla scelta discrezionale, ma all'arbitrio del legislatore delegato, come emerge chiaramente dal decreto legislativo n. 5 del 17 gennaio 2003, che ha creato un nuovo modello di processo. Ed infatti, come indicato dalla stessa relazione della commissione ministeriale, il nuovo rito societario previsto per il processo di cognizione davanti al tribunale costituisce un vero e proprio nuovo modello processuale, che si distacca volutamente sia dal modello processuale del 1942, sia da quello del processo del lavoro del 1973 ed infine anche da quello delineatosi con la riforma del 1990. Il nuovo rito di cognizione di primo grado davanti al tribunale in materia societaria prevede tutta la prima fase del processo senza l'intervento del giudice; nell'atto di citazione ai sensi dell'art. 2 non e' piu' indicata l'udienza avanti al giudice ed il termine che l'attore fissa al convenuto per la comunicazione della comparsa di risposta e' fissato solo nel minimo, cosi' nella comparsa di risposta ai sensi dell'art. 4 il convenuto puo' a sua volta fissare all'attore per eventuale replica un termine stabilito ancora una volta solo nel minimo e con lo stesso meccanismo l'art. 6 prevede la possibilita' di una replica da parte dell'attore e l'art. 7 la possibilita' di una controreplica da parte del convenuto e poi ancora ulteriori repliche e controrepliche. Solo a seguito dell'istanza di fissazione di udienza di cui all'art. 8 interviene il giudice in un momento pero' in cui sia il thema decidendum che il thema probandum si sono gia' definitivamente formati, totalmente al di fuori, quindi, del controllo del giudice. D'alta parte la stessa istanza di fissazione di udienza, con gli effetti preclusivi rilevantissimi stabiliti dall'art. 10, e' uno strumento lasciato nella totale disponibilita' delle parti o anche di una sola di esse, che puo' utilizzarlo a suo piacimento, nel momento ritenuto piu' opportuno. Ancora poi va segnalato l'art. 13 in tema di contumacia o di costituzione tardiva del convenuto, che introduce l'innovativo principio (di cui nella delega non vi e' traccia), per cui nel caso in cui il convenuto non notifichi la comparsa di risposta nel termine stabilito o anche solo si costituisca tardivamente «i fatti affermati dall'attore ....si intendono non contestati e il tribunale decide sulla domanda in base alla concludenza di questa». Emerge dunque chiaramente che il legislatore delegato, in forza di una delega assolutamente carente sotto il profilo dell'indicazione di criteri direttivi, ha potuto creare una disciplina interamente nuova per il processo societario di cognizione ordinaria, anticipando quel rito ordinario prefigurato dal testo redatto dalla commissione ministeriale per la riforma del processo civile. Questo tribunale quindi ritiene che non possa andare esente da dubbi di costituzionalita' una legge di delega che nel consentire la creazione di un nuove processo, seppur circoscritto a determinate materie, si limiti ad indicare un obiettivo, quello di «assicurare una piu' rapida ed efficace definizione di procedimenti», un divieto di «modifica della competenza territoriale e per materia», una preferenza per la collegialita', un rilevante ruolo del tentativo di conciliazione e un'indicazione di massima a favore della «concentrazione del procedimento e riduzione dei termini processuali.». Di conseguenza ad avviso del Collegio, in quanto non manifestamente infondata, va rimessa la questione di costituzionalita' dell'art. 12 della legge n. 336/2001 nella parte relativa al procedimento ordinario di primo grado e, per derivazione, degli articoli da 2 a 17 del decreto legislativo n. 5 del 2003. La questione e' altresi' rilevante in quanto la presente controversia, rientrando tra quelle di cui alla lettera d) dell'art. 1 del decreto legislativo n. 5/2003, e' stata promossa e va trattata secondo le norme previste dal predetto decreto - emanato in forza della suddetta legge di delega - disciplinante per l'appunto il giudizio di cognizione di primo grado davanti al tribunale in composizione collegiale nelle materie di cui all'art. 1 del decreto citato e, come e' evidente, dalla pronunzia della Corte ostituzionale dipende l'applicabilita' della intera nuova disciplina processuale alla concreta fattispecie sottoposta al vaglio di questo tribunale. In subordine, e per l'ipotesi in cui la Corte dovesse ritenere costituzionalmente legittimo l'art. 12 della legge n. 366/2001, questo «tribunale ritiene che non sia manifestamente infondato il dubbio di costituzionalita' degli articoli 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16 e 17 del decreto legislativo n. 5 del 2003 per contrasto con l'art. 76 della Costituzione, in quanto emanati eccedendo dai principi e criteri direttivi dettati dalla legge n. 366 del 2001. Ed invero, per evitare il sospetto di incostituzionalita' per indeterminatezza e genericita' dell'art. 12, legge citata, dovrebbe necessariamente leggersi la legge n. 366/2001, come gia' fatto da altri giudici ordinari (cfr. ordinanza del Tribunale di Brescia del 18 ottobre 2004 che ha rimesso la questione alla Corte costituzionale), facendo riferimento alla disciplina del vigente processo di cognizione davanti al tribunale, come contenuta nel libro II, titolo I, c.p.c., il rito cioe' che sino al 31 dicembre 2003 e' stato applicato anche alle controversie societarie. La disciplina del processo di cognizione davanti al tribunale contenuta nel codice di procedura civile prevede che il processo si svolga attraverso la successione di piu' udienze fisse e obbligatorie, in particolare quella di prima comparizione (art. 180 c.p.c.) quindi la prima udienza di trattazione (art. 183 c.p.c.), cui puo' seguire un'udienza per la discussione e l'ammissione delle prove (art. 184 c.p.c.) ed eventualmente una seconda udienza, su richiesta delle parti, sempre per la discussione e l'ammissione delle prove (art. 184, primo comma, seconda parte, c.p.c.) e quindi, all'esito, un'ulteriore udienza di precisazione delle conclusioni (art. 189 c.p.c). Se si volesse individuare una determinatezza dei criteri direttivi nella legge di delega, quindi, dovrebbe necessariamente ritenersi che il legislatore delegante, indicando il principio di «concentrazione del procedimento», abbia fatto evidentemente riferimento proprio alla suddetta scansione prevista nel processo ordinario. Ugualmente il processo ordinario vigente prevede che fra il giorno della notificazione e quello dell'udienza di comparizione debbano intercorrere termini liberi non minori di sessanta giorni, fissa il termine meramente ordinatorio di quindici giorni per la successione fra le varie udienze (art. 81 delle norme di attuazione c.p.c.), stabilisce ai sensi dell'art. 183 c.p.c., quinto comma, un termine massimo di trenta giorni per il deposito di memorie e di altri trenta giorni per le repliche, non prestabilisce nessun termine per il deposito delle memorie istruttorie ex art. 184 c.p.c., primo comma, seconda parte, prevede il termine di sessanta giorni per il deposito delle comparse conclusionali e di venti per eventuali repliche. Soltanto con il riferimento a tali termini potrebbe riempirsi di contenuto la generica indicazione del legislatore delegante del principio di «riduzione dei termini processuali». Solo questa lettura - estremamente riduttiva e per questo sottoposta in via subordinata rispetto all'altra - dei principi fissati dal legislatore delegante, altrimenti invero generici, sarebbe possibile per evitare il dubbio di costituzionalita' della legge n. 366 del 2001. E' pero' evidente che in questo caso l'articolato contenuto negli artt. da 2 a 17, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, con cui si e' data attuazione alla delega, contrasterebbe con i principi fissati dal legislatore delegante per «eccesso di delega», alla luce delle caratteristiche del nuovo rito societario come gia' sopra sintetizzate. Il decreto legislativo n. 5/2003, infatti, non ha previsto un rito concentrato rispetto all'attuale rito ordinario disciplinato dagli artt. 163 ss. c.p.c., ma, come gia' sopra evidenziato, ha introdotto nell'ordinamento un'anticipazione del rito ordinario prefigurato dal testo redatto dalla commissione ministeriale per la riforma del processo civile. Anche la questione di costituzionalita' proposta in via subordinata e' rilevante ai fini del presente giudizio per le stesse ragioni indicate per la questione proposta in via principale. Tanto premesso in fatto ed in diritto, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, va disposta la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la decisione sulla questione pregiudiziale di legittimita' costituzionale, siccome rilevante e non manifestamente infondata, ed il presente giudizio va sospeso. Alla cancelleria vanno affidati gli adempimenti di competenza, di cui alla predetta norma.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante per il giudizio e non manifestamente infondata, in relazione all'art. 76 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12 della legge n. 366/2001 nella parte in cui, in relazione al giudizio ordinario di primo grado in materia societaria, non indica i principi ed i criteri direttivi che avrebbero dovuto guidare le scelte del legislatore delegato e, per derivazione, degli articoli da 2 a 17 del decreto legislativo n. 5/2003; In via subordinata il tribunale dichiara rilevante per il giudizio e non manifestamente infondata, in relazione all'art. 76 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale degli articoli da 2 a 17 del decreto legislativo n. 5/2003 perche' difformi dai principi e criteri direttivi dettati dalla legge delega n. 366/2001; Ordina alla cancelleria di notificare la presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' di darne comunicazione al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati e alle parti del presente giudizio; Dispone l'immediata trasmissione degli atti, comprensivi della documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale; Sospende il giudizio in corso. Si comunichi a cura della cancelleria. Cosi' deciso in Napoli, nella Camera di consiglio del 18 maggio 2005. Il Presidente: Baldini 06C0751