N. 301 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 maggio 2005

Ordinanza   emessa   il   18   maggio   2005  (pervenuta  alla  Corte
costituzionale   l'8   luglio  2006)  dal  tribunale  di  Napoli  nel
procedimento  civile  promosso da Schioppa Renato contro Banca Intesa
S.p.A.

Societa'  -  Controversie  in  materia  di  diritto  societario  e di
  intermediazione  finanziaria  - Procedimento di primo grado dinanzi
  al  tribunale  in composizione collegiale - Mancata o insufficiente
  indicazione   di  principi  e  criteri  direttivi  nella  legge  di
  delegazione  -  Illegittimita' derivata della disciplina introdotta
  dal legislatore delegato.
- Legge  3 ottobre  2001, n. 366, art. 12; «per derivazione», decreto
  legislativo  17 gennaio  2003,  n. 5, artt. 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9,
  10, 11, 12, 13, 14, 15, 16 e 17.
- Costituzione, art. 76.
(GU n.37 del 13-9-2006 )
                            IL TRIBUNALE

    Ha  pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta
al  n. 22389/2004 R.G. tra Schioppa Renato rappresentato e difeso dal
prof.  avv.  Francesco  Fimmano'  e  dagli  avv.  Leandro  Traversa e
Piergiuseppe  Di  Nola  ed elettivamente domiciliato presso lo studio
legale  Fimmano' e associati in Napoli al Centro direzionale, isola E
2, Palazzo Futura, scala B, attore;
    E  Banca  Intesa, S.p.A. in persona del legale rappresentante pro
tempore,  rappresentata e difesa dall'avv. Andrea Pisani Massamormile
presso   cui   e'  elettivamente  domiciliata  in  Napoli,  alla  via
Caracciolo n. 10, convenuta.

                          Premesso in fatto

    Con citazione ritualmente notificata Schioppa Renato, premesso di
essere  titolare del contratto di deposito n. 9271009 e del contratto
di  c/c  n. 5790,  entrambi  intrattenuti  presso Banca Intesa S.p.A.
(gia'  Banca  Commerciale  italiana  S.p.A.), esponeva che in data 31
luglio  2001  aveva  sottoscritto  un  ordine  di  acquisto di titoli
obbligazionari  emessi  dalla  Cirio  Finance  (controllata  da Cirio
Finanziaria  S.p.A.)  per  un ammontare di Euro 155.000,00. Precisava
che  l'operazione  ebbe  luogo  nella sede secondaria di Banca Intesa
S.p.A. del Centro direzionale di Napoli per effetto di sollecitazione
all'investimento operata da quest'ultima.
    Deduceva  di essere estraneo al mondo della finanza, di essere un
imprenditore  che  aveva deciso di affidare tutti i propri risparmi a
Banca  Intesa  S.p.A. premurandosi pero' di vederli investiti solo in
titoli  «sicuri»,  tant'e'  che  i risparmi dell'attore inizialmente,
come  da  sua  indicazione,  erano  stati investiti esclusivamente in
titoli  di  Stato o in fondi Nextra, titoli cioe' non particolarmente
redditizi,  ma  caratterizzati  da  un bassissimo profilo di rischio.
Esponeva  che  nel  luglio 2001 era stato contattato dalla convenuta,
che  gli  propose di diversificare i propri investimenti, acquistando
obbligazioni   Cirio,  e  che  in  particolare  Francesca  Sciarrino,
dipendente  di  Banca  Intesa  S.p.A.,  all'epoca dei fatti impiegata
presso  la sede secondaria del Centro direzionale di Napoli, informo'
l'attore  della  possibilita'  di  investire  nei  c.d.  bond  cirio,
specificando  che  il  responsabile  del  settore  «private» di Banca
Intesa,   il   dott.   Lezzi,  gli  raccomandava  espressamente  tale
operazione    che   era   un   investimento   sicuro,   come   quelli
precedentemente  effettuati,  sicche'  l'attore  si  fido'  di quanto
raccomandatogli dalla sua banca.
    Tanto  premesso,  lo  Schioppa evidenziava che la convenuta aveva
contravvenuto    a   numerosi   obblighi,   soprattutto   di   natura
dichiarativa,   che   l'ordinamento   pone  sull'intermediario  nella
circolazione  degli  strumenti finanziari nel tentativo di bilanciare
la  sproporzione  tra  le  parti  contrattuali: in particolare, Banca
Intesa  S.p.A. non aveva fatto sottoscrivere al correntista, all'atto
dell'apertura del deposito titoli, tanto il c.d. documento sui rischi
generali  degli  investimenti  in  strumenti  finanziari quanto alcun
contratto  di  mandato  per  la negoziazione di strumenti finanziari,
adempiendo  al  proprio  obbligo  informativo solo in data 31 ottobre
2002;  evidenziava  altresi' che la banca aveva violato l'art. 28 del
regolamento   CONSOB   n. 11522/98,  aveva  sollecitato  l'attore  ad
investire  in  titoli  obbligazionari  Cirio,  pur sapendo che questi
ultimi,  attesa  l'assenza  di qualunque prospetto informativo, erano
destinati  al  mercato  degli investitori professionali e non certo a
quello dei risparmiatori.
    L'attore  deduceva  inoltre  che  la  convenuta aveva violato gli
obblighi  di  diligenza, correttezza e trasparenza previsti dall'art.
21   T.U.F.,   che   aveva   tenuto  un  comportamento  assolutamente
indifferente  alla  tutela del risparmiatore, tant'e' che, nonostante
l'ordine  di  acquisto  fosse  stato  effettuato  per  un complessivo
ammontare  di  Euro 155.000,00,  la banca acquisto' invece, in nome e
per  conto dello Schioppa, titoli obbligazionari per Euro 170.000,00,
come  successivamente  comunicato  allo  Schioppa.  Aggiungeva che la
banca  aveva  dimostrato  il piu' assoluto disprezzo di ogni forma di
buona  fede  e  di  collaborazione nell'esecuzione del contratto, non
avendo  risposto  all'istanza dell'attore del 9 gennaio 2004, con cui
si  chiedeva  alla convenuta la documentazione completa relativa alla
transazione  in  esame.  Rilevava  che  la  banca non aveva adempiuto
all'obbligo di informare il cliente dell'esistenza di un conflitto di
interessi dovuto al duplice ruolo di soggetto erogatore del credito e
di  intermediario  finanziario,  come  invece  previsto dall'art. 27,
secondo comma, Reg. CONSOB 11522/98.
    Deduceva  che, qualora avesse saputo dell'interesse in conflitto,
certamente  non avrebbe acquistato i titoli in oggetto, stante la sua
reticenza  agli  investimenti  «sospetti».  Aggiungeva  che  tutte le
suddette  disposizioni  costituiscono norme imperative che comportano
la nullita' del contratto ad esse contrario e che la violazione delle
stesse  determina  l'illiceita'  della causa con conseguente nullita'
del contratto ex art. 1343 c.c.
    Conveniva pertanto in giudizio la Banca Intesa S.p.A., in persona
del  legale rappresentante pro-tempore., perche' i predetti contratti
stipulati tra le parti fossero dichiarati nulli, invalidi, inefficaci
e/o   comunque   fossero  annullati  e  conseguentemente  perche'  la
convenuta  fosse  condannata  a  restituire il corrispettivo pattuito
ovvero  la  maggiore  somma  determinata  in  corso  di  causa, oltre
interessi  e  rivalutazione monetaria dal di' del dovuto al saldo. In
alternativa  chiedeva  che  fosse  dichiarato che i fatti prospettati
costituivano fatti illeciti e conseguentemente che la convenuta fosse
condannata  a  risarcire  il  danno subito dall'attore, ammontante ad
Euro  170.000,00  ovvero  alla maggiore somma determinata in corso di
causa,  oltre  interessi e rivalutazione monetaria dal di' del dovuto
al saldo.
    Si  costituiva  la  Banca  Intesa,  S.p.A.  in persona del legale
rappresentante  pro tempore, deducendo che l'attore non era un ignaro
risparmiatore,  ma  un esperto investitore. Aggiungeva che in data 16
luglio  1996  lo  Schioppa aveva concluso con Cariplo, fusasi poi per
incorporazione   in   Intesa,  un  contratto  avente  ad  oggetto  la
negoziazione,  sottoscrizione,  collocamento  e  raccolta  di  ordini
concernenti   strumenti   finanziari,  in  virtu'  del  quale  poteva
conferire  alla banca, tra l'altro, ordini di acquisto e/o vendita di
strumenti  finanziari e che quindi l'ordine del 31 luglio 2001 era un
atto  di  esecuzione  del  predetto  contratto:  l'investitore  aveva
impartito  un  ordine di acquisto all'intermediario e quest'ultimo lo
aveva   eseguito.  Rilevava  che  l'art.  4  del  suddetto  contratto
consentiva   all'intermediario   di   agire  anche  in  conflitto  di
interessi.  Contestava  nel resto la domanda attorea e concludeva per
il   rigetto  della  stessa,  chiedendo  in  subordine,  in  caso  di
accoglimento  della  domanda,  l'accertamento che lo Schioppa, con il
suo  comportamento reticente nel fornire informazioni alla convenuta,
aveva  concorso,  ai sensi dell'art. 1227 c.c., a causare il danno in
esame,   con  conseguente  riduzione  dell'entita'  del  risarcimento
eventualmente dovuto all'attore.
    Le  parti  successivamente  provvedevano alla notificazione ed al
deposito  di memorie di replica ex articoli 6 e 7 decreto legislativo
n. 5/2003.
    Notificata  da parte attorea alla convenuta istanza di fissazione
di  udienza  ex  art. 8 d.lgs. citato, il giudice relatore designato,
con  decreto  del  2  - 4 marzo 2005, fissava l'udienza collegiale ai
sensi  dell'art.  12,  decreto  citato  e  provvedeva  in ordine alle
richieste istruttorie.
    All'udienza   collegiale   del   18  maggio  2005  il  Presidente
preliminarmente  invitava  le  parti  a  discutere anche in ordine ad
eventuali  profili  di  incostituzionalita'  del  decreto legislativo
n. 5/2003:   al  riguardo  il  procuratore  dell'attore  invitava  il
tribunale   alla  valutazione  della  rilevanza  della  questione  di
legittimita'  costituzionale  rispetto  al  caso specifico, mentre il
procuratore   della   convenuta   si  rimetteva  al  tribunale;  indi
quest'ultimo si riservava la decisione.

                         Osserva in diritto

    Preliminarmente   questo   tribunale   ritiene  di  sollevare  la
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 12 della legge
n. 366/2001  con  riferimento  all'art.  76  della Costituzione nella
parte  in  cui,  in relazione al giudizio ordinario di primo grado in
materia  societaria, non indica i principi ed i criteri direttivi che
avrebbero  dovuto  guidare  le scelte del legislatore delegato e, per
derivazione,  degli  articoli  da 2 a 17 del decreto legislativo n. 5
del 17 gennaio 2003, nonche', in via subordinata, degli articoli da 2
a  17  del  decreto legislativo n. 5 del 17 gennaio 2003 in relazione
all'art.  76  della Costituzione, perche' difformi dai principi e dai
criteri direttivi dettati dalla legge di delega n. 366/2001.
    Ed  invero,  quanto  alla  non manifesta infondatezza della prima
delle  questioni  di  legittimita'  costituzionale sopra indicate, si
osserva che l'art. 12 della legge n. 366/2001 dispone: «Il Governo e'
inoltre   delegato  ad  emanare  norme  che,  senza  modifiche  della
competenza  per territorio e per materia, siano dirette ad assicurare
una  piu'  rapida  ed  efficace  definizione  di  procedimenti  nelle
seguenti materie:
        a)  diritto  societario, comprese le controversie relative al
trasferimento delle partecipazioni sociali ed ai patti parasociali;
        b) materie disciplinate dal testo unico delle disposizioni in
materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo
24  febbraio  1998,  n. 58,  e  successive modificazioni, e dal testo
unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto
legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni.
    2) Per il perseguimento delle finalita' e nelle materie di cui al
comma  l, il Governo e' delegato a dettare regole processuali, che in
particolare possano prevedere:
        a)  la  concentrazione  del  procedimento  e la riduzione dei
termini processuali;
        b)  l'attribuzione  di tutte le controversie nelle materie di
cui al comma 1 al tribunale in composizione collegiale, salvo ipotesi
eccezionali  di  giudizio  monocratico in considerazione della natura
degli interessi coinvolti;
        c)  la  mera  facoltativita'  della  successiva instaurazione
della  causa  di  merito dopo l'emanazione di un provvedimento emesso
all'esito  di  un  procedimento  sommario cautelare in relazione alle
controversie  nelle  materie  di  cui  al comma 1, con la conseguente
definitivita'   degli   effetti   prodotti  da  detti  provvedimenti,
ancorche'  gli  stessi non acquistino efficacia di giudicato in altri
eventuali giudizi promossi per finalita' diverse;
        d)   un   giudizio   sommario  non  cautelare,  improntato  a
particolare   celerita'   ma   con  il  rispetto  del  principio  del
contraddittorio,  che  conduca  alla  emanazione  di un provvedimento
esecutivo anche se privo di efficacia di giudicato;
        e)  la  possibilita'  per  il giudice di operare un tentativo
preliminare di conciliazione, suggerendone espressamente gli elementi
essenziali,  assegnando eventualmente un termine per la modificazione
o  la rinnovazione di atti negoziali su cui verte la causa e, in caso
di    mancata    conciliazione,    tenendo    successivamente   conto
dell'atteggiamento  al  riguardo  assunto  dalle  parti ai fini della
decisione sulle spese di lite;
        f)  uno  o  piu'  procedimenti  camerali,  anche  mediante la
modifica degli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile
ed  in  estensione  delle  ipotesi  attualmente  previste  che, senza
compromettere   la   rapidita'  ditali  procedimenti,  assicurino  il
rispetto dei principi del giusto processo;
        g)  forme di comunicazione periodica dei tempi medi di durata
dei  diversi  tipi  di  procedimento  di  cui alle lettere precedenti
trattati  dai  tribunali,  dalle  corti  di  appello e dalla Corte di
cassazione.».
    Cio' posto, si rileva che l'art. 76 della Costituzione stabilisce
che  l'esercizio  della funzione legislativa non puo' essere delegato
al Governo se non con determinazione dei principi e criteri direttivi
e soltanto per un tempo limitato e per oggetti definiti.
    La  migliore  dottrina  e  la  stessa  giurisprudenza della Corte
costituzionale  hanno da sempre interpretato tale norma nel senso che
essa  intende vietare non solo il trasferimento di pieni poteri dalle
Camere  al  Governo,  ma  qualunque legge delegante che non operi una
previa  determinazione  della  portata  e  del  tipo della disciplina
delegata,  cosicche'  l'attivita' del Governo risulti sostanzialmente
vincolata   a  realizzare  con  un  circoscritto  margine  di  scelte
operative  una  serie  di risultati gia' precostituiti da parte delle
Camere,  assolvendo  in  sostanza  le  norme  delegate  una  funzione
attuativa delle norme deleganti.
    Conseguentemente il legislatore ordinario deve stabilire principi
e  criteri  cosi'  specificati  da far prevedere l'esito finale della
delega, pena l'incostituzionalita' della legge delega per genericita'
ed indeterminatezza.
    Orbene,  ritiene  questo  tribunale  che  nel  caso  in  esame il
legislatore  delegante non ha indicato con sufficiente determinazione
i  principi  ed  i  criteri direttivi che avrebbero dovuto guidare il
legislatore delegato.
    Dal dettato dell'art. 12 legge n. 366/2001, infatti, - escludendo
il  riferimento ai principi dettati in tema di giudizio cautelare che
riguardano  profili  non  rilevanti  nel  presente  giudizio  -  sono
estrapolabili  i  seguenti  principi:  1)  divieto  di modifica della
competenza  per territorio e per materia; 2) necessita' di assicurare
una   piu'   rapida  ed  efficace  definizione  di  procedimenti;  3)
possibilita' di dettare regole processuali che in particolare possano
prevedere:  a)  la concentrazione del procedimento e la riduzione dei
termini processuali; b) l'attribuzione di tutte le controversie nelle
materie  di  cui  al comma 1 al tribunale in composizione collegiale,
salvo  ipotesi  eccezionali di giudizio monocratico in considerazione
della  natura  degli  interessi  coinvolti; c) la possibilita' per il
giudice   di  operare  un  tentativo  preliminare  di  conciliazione,
suggerendone   espressamente   gli  elementi  essenziali,  assegnando
eventualmente  un  termine  per la modifica o la rinnovazione di atti
negoziali  su cui verte la causa e, in caso di mancata conciliazione,
tenendo  successivamente conto dell'atteggiamento al riguardo assunto
dalle parti ai fini della decisione sulle spese di lite.
    Nella legge n. 366/2001, quindi, il legislatore si e' limitato ad
indicare   le   materie   nelle   quali  il  governo  sarebbe  potuto
intervenire,  l'obiettivo  di  rendere  piu'  rapida  ed  efficace la
definizione  dei procedimenti, il divieto di modificare la competenza
per  territorio  e  per  materia,  la  tendenziale  collegialita' del
procedimento, la possibilita' di valutare l'atteggiamento delle parti
in  sede  di  tentativo di conciliazione e la possibilita' di dettare
regole  che  favorissero la riduzione dei termini e la concentrazione
del procedimento.
    Nulla  tuttavia  la  legge  delega ha detto in ordine allo schema
processuale da adottare, lasciato non piu' alla scelta discrezionale,
ma all'arbitrio del legislatore delegato, come emerge chiaramente dal
decreto  legislativo n. 5 del 17 gennaio 2003, che ha creato un nuovo
modello di processo.
    Ed   infatti,   come   indicato   dalla  stessa  relazione  della
commissione  ministeriale,  il  nuovo rito societario previsto per il
processo  di  cognizione  davanti  al tribunale costituisce un vero e
proprio  nuovo  modello  processuale, che si distacca volutamente sia
dal  modello  processuale  del  1942,  sia da quello del processo del
lavoro  del 1973 ed infine anche da quello delineatosi con la riforma
del  1990.  Il  nuovo  rito  di  cognizione di primo grado davanti al
tribunale  in  materia  societaria  prevede  tutta  la prima fase del
processo  senza  l'intervento  del giudice; nell'atto di citazione ai
sensi dell'art. 2 non e' piu' indicata l'udienza avanti al giudice ed
il termine che l'attore fissa al convenuto per la comunicazione della
comparsa di risposta e' fissato solo nel minimo, cosi' nella comparsa
di  risposta  ai  sensi  dell'art.  4  il  convenuto puo' a sua volta
fissare  all'attore per eventuale replica un termine stabilito ancora
una volta solo nel minimo e con lo stesso meccanismo l'art. 6 prevede
la  possibilita'  di  una  replica da parte dell'attore e l'art. 7 la
possibilita' di una controreplica da parte del convenuto e poi ancora
ulteriori  repliche  e controrepliche. Solo a seguito dell'istanza di
fissazione  di  udienza di cui all'art. 8 interviene il giudice in un
momento  pero'  in cui sia il thema decidendum che il thema probandum
si sono gia' definitivamente formati, totalmente al di fuori, quindi,
del controllo del giudice.
    D'alta  parte la stessa istanza di fissazione di udienza, con gli
effetti  preclusivi  rilevantissimi  stabiliti  dall'art. 10,  e' uno
strumento lasciato nella totale disponibilita' delle parti o anche di
una  sola di esse, che puo' utilizzarlo a suo piacimento, nel momento
ritenuto piu' opportuno. Ancora poi va segnalato l'art. 13 in tema di
contumacia  o  di  costituzione  tardiva del convenuto, che introduce
l'innovativo  principio  (di cui nella delega non vi e' traccia), per
cui  nel  caso  in  cui  il  convenuto  non  notifichi la comparsa di
risposta   nel   termine   stabilito  o  anche  solo  si  costituisca
tardivamente  «i  fatti  affermati  dall'attore  ....si intendono non
contestati   e  il  tribunale  decide  sulla  domanda  in  base  alla
concludenza di questa».
    Emerge  dunque  chiaramente che il legislatore delegato, in forza
di una delega assolutamente carente sotto il profilo dell'indicazione
di  criteri  direttivi,  ha  potuto creare una disciplina interamente
nuova per il processo societario di cognizione ordinaria, anticipando
quel  rito  ordinario prefigurato dal testo redatto dalla commissione
ministeriale per la riforma del processo civile.
    Questo  tribunale  quindi  ritiene che non possa andare esente da
dubbi  di costituzionalita' una legge di delega che nel consentire la
creazione  di  un  nuove  processo, seppur circoscritto a determinate
materie,  si  limiti  ad indicare un obiettivo, quello di «assicurare
una  piu' rapida ed efficace definizione di procedimenti», un divieto
di  «modifica  della  competenza  territoriale  e  per  materia», una
preferenza  per la collegialita', un rilevante ruolo del tentativo di
conciliazione   e   un'indicazione   di   massima   a   favore  della
«concentrazione    del   procedimento   e   riduzione   dei   termini
processuali.».
    Di   conseguenza   ad   avviso   del   Collegio,  in  quanto  non
manifestamente    infondata,    va    rimessa    la    questione   di
costituzionalita'  dell'art. 12  della  legge n. 336/2001 nella parte
relativa al procedimento ordinario di primo grado e, per derivazione,
degli articoli da 2 a 17 del decreto legislativo n. 5 del 2003.
    La   questione  e'  altresi'  rilevante  in  quanto  la  presente
controversia,  rientrando tra quelle di cui alla lettera d) dell'art.
1  del decreto legislativo n. 5/2003, e' stata promossa e va trattata
secondo  le  norme  previste  dal predetto decreto - emanato in forza
della  suddetta  legge  di  delega  -  disciplinante per l'appunto il
giudizio  di  cognizione  di  primo  grado  davanti  al  tribunale in
composizione  collegiale  nelle materie di cui all'art. 1 del decreto
citato e, come e' evidente, dalla pronunzia della Corte ostituzionale
dipende  l'applicabilita'  della  intera nuova disciplina processuale
alla concreta fattispecie sottoposta al vaglio di questo tribunale.
    In  subordine,  e  per l'ipotesi in cui la Corte dovesse ritenere
costituzionalmente  legittimo  l'art.  12  della  legge  n. 366/2001,
questo  «tribunale  ritiene  che  non sia manifestamente infondato il
dubbio  di  costituzionalita'  degli articoli 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9,
10, 11, 12, 13, 14, 15, 16 e 17 del decreto legislativo n. 5 del 2003
per  contrasto  con  l'art. 76  della Costituzione, in quanto emanati
eccedendo dai principi e criteri direttivi dettati dalla legge n. 366
del 2001.
    Ed  invero,  per  evitare  il sospetto di incostituzionalita' per
indeterminatezza  e  genericita' dell'art. 12, legge citata, dovrebbe
necessariamente  leggersi  la  legge  n. 366/2001, come gia' fatto da
altri  giudici  ordinari (cfr. ordinanza del Tribunale di Brescia del
18   ottobre   2004   che   ha   rimesso   la  questione  alla  Corte
costituzionale),  facendo  riferimento  alla  disciplina  del vigente
processo di cognizione davanti al tribunale, come contenuta nel libro
II,  titolo  I, c.p.c., il rito cioe' che sino al 31 dicembre 2003 e'
stato applicato anche alle controversie societarie. La disciplina del
processo  di  cognizione davanti al tribunale contenuta nel codice di
procedura  civile  prevede  che  il  processo si svolga attraverso la
successione  di  piu'  udienze  fisse  e obbligatorie, in particolare
quella  di  prima  comparizione  (art.  180  c.p.c.)  quindi la prima
udienza di trattazione (art. 183 c.p.c.), cui puo' seguire un'udienza
per  la  discussione  e l'ammissione delle prove (art. 184 c.p.c.) ed
eventualmente  una  seconda udienza, su richiesta delle parti, sempre
per la discussione e l'ammissione delle prove (art. 184, primo comma,
seconda  parte,  c.p.c.) e quindi, all'esito, un'ulteriore udienza di
precisazione delle conclusioni (art. 189 c.p.c).
    Se   si   volesse  individuare  una  determinatezza  dei  criteri
direttivi  nella  legge  di  delega, quindi, dovrebbe necessariamente
ritenersi  che  il  legislatore  delegante, indicando il principio di
«concentrazione   del   procedimento»,   abbia   fatto  evidentemente
riferimento  proprio  alla  suddetta  scansione prevista nel processo
ordinario.
    Ugualmente  il  processo  ordinario  vigente  prevede  che fra il
giorno  della  notificazione  e  quello  dell'udienza di comparizione
debbano  intercorrere  termini  liberi non minori di sessanta giorni,
fissa  il  termine  meramente  ordinatorio  di quindici giorni per la
successione  fra  le varie udienze (art. 81 delle norme di attuazione
c.p.c.),  stabilisce  ai sensi dell'art. 183 c.p.c., quinto comma, un
termine  massimo  di  trenta  giorni  per il deposito di memorie e di
altri trenta giorni per le repliche, non prestabilisce nessun termine
per  il  deposito delle memorie istruttorie ex art. 184 c.p.c., primo
comma,  seconda  parte,  prevede il termine di sessanta giorni per il
deposito  delle  comparse  conclusionali  e  di  venti  per eventuali
repliche.
    Soltanto  con il riferimento a tali termini potrebbe riempirsi di
contenuto  la  generica  indicazione  del  legislatore  delegante del
principio di «riduzione dei termini processuali». Solo questa lettura
-  estremamente  riduttiva e per questo sottoposta in via subordinata
rispetto  all'altra - dei principi fissati dal legislatore delegante,
altrimenti  invero  generici, sarebbe possibile per evitare il dubbio
di costituzionalita' della legge n. 366 del 2001.
    E' pero' evidente che in questo caso l'articolato contenuto negli
artt. da  2  a  17,  d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, con cui si e' data
attuazione  alla  delega,  contrasterebbe  con i principi fissati dal
legislatore  delegante  per  «eccesso  di  delega»,  alla  luce delle
caratteristiche   del   nuovo   rito   societario   come  gia'  sopra
sintetizzate.
    Il  decreto  legislativo  n. 5/2003,  infatti, non ha previsto un
rito  concentrato  rispetto  all'attuale  rito ordinario disciplinato
dagli  artt. 163  ss.  c.p.c.,  ma,  come  gia' sopra evidenziato, ha
introdotto   nell'ordinamento  un'anticipazione  del  rito  ordinario
prefigurato  dal  testo redatto dalla commissione ministeriale per la
riforma del processo civile.
    Anche   la   questione   di  costituzionalita'  proposta  in  via
subordinata  e' rilevante ai fini del presente giudizio per le stesse
ragioni indicate per la questione proposta in via principale.
    Tanto  premesso  in  fatto  ed  in diritto, ai sensi dell'art. 23
della  legge  11 marzo 1953, n. 87, va disposta la trasmissione degli
atti  alla  Corte  costituzionale  per  la  decisione sulla questione
pregiudiziale di legittimita' costituzionale, siccome rilevante e non
manifestamente infondata, ed il presente giudizio va sospeso.
    Alla cancelleria vanno affidati gli adempimenti di competenza, di
cui alla predetta norma.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara   rilevante   per   il  giudizio  e  non  manifestamente
infondata,  in relazione all'art. 76 della Costituzione, la questione
di  legittimita'  costituzionale dell'art. 12 della legge n. 366/2001
nella parte in cui, in relazione al giudizio ordinario di primo grado
in  materia  societaria, non indica i principi ed i criteri direttivi
che  avrebbero  dovuto  guidare le scelte del legislatore delegato e,
per  derivazione,  degli  articoli  da 2 a 17 del decreto legislativo
n. 5/2003;
    In  via  subordinata  il  tribunale  dichiara  rilevante  per  il
giudizio  e  non  manifestamente  infondata, in relazione all'art. 76
della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale degli
articoli da 2 a 17 del decreto legislativo n. 5/2003 perche' difformi
dai   principi   e  criteri  direttivi  dettati  dalla  legge  delega
n. 366/2001;
    Ordina  alla  cancelleria  di notificare la presente ordinanza al
Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' di darne comunicazione
al  Presidente  del  Senato  della  Repubblica ed al Presidente della
Camera dei deputati e alle parti del presente giudizio;
    Dispone  l'immediata  trasmissione  degli atti, comprensivi della
documentazione   attestante   il   perfezionamento  delle  prescritte
notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale;
    Sospende il giudizio in corso.
    Si comunichi a cura della cancelleria.
    Cosi'  deciso  in Napoli, nella Camera di consiglio del 18 maggio
2005.
                       Il Presidente: Baldini
06C0751