N. 303 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 marzo 2006

Ordinanza  emessa  il  22  marzo  2006  dal  tribunale  di Genova nel
procedimento penale a carico di Della Rocca Alfonso

Circolazione  stradale - Reato di guida sotto l'influenza di sostanze
  stupefacenti  -  Prevista  competenza  del  giudice  di  pace,  per
  l'irrogazione  della  pena,  anziche'  del  tribunale  monocratico,
  secondo  l'interpretazione  della  norma  operata  dalla  Corte  di
  cassazione  (sent. n. 35628/05) - Irragionevolezza - Ingiustificata
  diversa  disciplina  rispetto  all'analoga  fattispecie della guida
  sotto l'influenza di sostanze alcooliche - Incidenza sul diritto di
  difesa.
- Codice  della strada (d.lgs. 30.4.1992, n. 285), art. 186, comma 2,
  sostituito  dal decreto legge 27 giugno 2003, n. 151, convertito in
  legge   1°   agosto  2003,  n. 214;  codice  della  strada  (d.lgs.
  30.4.1992, n. 285), art. 187, comma 7.
- Costituzione, artt. 3 e 24.
(GU n.37 del 13-9-2006 )
                            IL TRIBUNALE

    Ha emesso la seguente ordinanza.
    Vista  l'eccezione  di  incompetenza  per materia proposta in via
preliminare dalla difesa dell'imputato;
    Visto il parere del p.m., volto al rigetto della eccezione;

                            O s s e r v a

    Con decreto emesso il 14 aprile 2005, il p.m. presso il Tribunale
di  Genova  disponeva la citazione a giudizio di Della Rocca Alfonso,
per  rispondere  del reato di cui all'art. 187, comma 7, in relazione
all'art.  186,  comma 2, del d.lgs. 30 aprile 1992 n. 285, «per avere
circolato  alla  guida di un veicolo in stato di alterazione fisica e
psichica  correlato  con l'uso di sostanze stupefacenti o psicotrope,
fatto accertato in Genova il 22 luglio 2004.».
    Nella  fase degli atti preliminari, la difesa dell'interessato ha
eccepito  l'incompetenza  per  materia  del tribunale in composizione
monocratica,  ritenendo  sussistere, in ordine al procedimento per il
reato  di  cui  all'art. 187 comma 7 cs, la competenza del giudice di
pace.
    L'eccezione   risulta   fondata   sull'interpretazione  letterale
dell'art. 186  cs  (laddove  recita,  al comma 2, in tema di guida in
stato   di  ebbrezza  alcolica,  «Per  l'irrogazione  della  pena  e'
competente il tribunale») e dell'art. 187 cs (laddove, al comma 7, in
tema  di  guida  sotto  l'influsso  di  stupefacenti,  omette di fare
espresso   riferimento   alla   disposizione  citata,  limitandosi  a
stabilire   che   il   contravventore  «e'  punito  con  le  sanzioni
dell'art. 186 comma 2»).
    Da  tale interpretazione discenderebbe la inevitabile conseguenza
che,  in materia di guida in stato di alterazione fisico-psichica, e'
stata  determinata  una  duplice  competenza  a seconda della diversa
sostanza  efficiente  implicata:  in  caso  di bevande alcooliche, la
competenza  spetterebbe  al  tribunale (per la espressa previsione di
cui  all'art. 186  comma  2);  in  caso  di  sostanze  stupefacenti o
psicotrope,  la  competenza  spetterebbe (rectius rimarrebbe, ex lege
n. 274/2000)  al  giudice di pace (per la mancata espressa previsione
di cui all'art. 187 comma 7).
    A  sostegno  dell'eccezione,  la  difesa  ha  prodotto la recente
sentenza  n. 35628/2005  con  la  quale  la  sezione I della Corte di
cassazione,  risolvendo  un  conflitto  di competenza negativo, in un
caso  analogo  a  quello  in  esame,  ha dichiarato la competenza del
giudice di pace.
    Il  p.m.  ha  richiesto  il  rigetto  della  eccezione  proposta,
ritenendo  sussistere  in  merito  la  competenza  del  tribunale  in
composizione  monocratica, parimenti operante in ordine a entrambe le
fattispecie  criminose  di cui agli artt. 186, comma 2 e 187, comma 7
cs.
    Ritiene  il  tribunale  che,  nel  caso  in  esame,  sussistano i
presupposti  per  sollevare  questione di legittimita' costituzionale
degli  artt. 186,  comma  2  e 187, comma 7 del d.lgs. 30 aprile 1992
n. 285, in relazione agli artt. 3 e 24 Cost.
    In  effetti,  la  questione appare rilevante e non manifestamente
infondata.
    A) sulla rilevanza.
    Emerge  dagli  atti  che  l'imputato, in fatto, e' stato tratto a
giudizio  per  rispondere  di  guida in stato di alterazione fisica e
psichica legata all'uso di sostanze stupefacenti.
    Sotto questo profilo, sull'accordo delle parti, e' stata prodotta
e  acquisita  la  documentazione  relativa  al controllo eseguito dai
verbalizzanti   nei   confronti  dell'odierno  imputato,  nonche'  le
risultanze delle successive analisi per la ricerca di oppiacei.
    Corretta    appare,   pertanto,   la   contestazione   ai   sensi
dell'art. 187,  comma  7  cs,  disposizione  applicabile  al  caso di
specie.
    La norma in esame rinvia espressamente all'art. 186, comma 2 cs.
    Tale  rinvio, peraltro, non risulta operato all'intera disciplina
contenuta nel comma di riferimento.
    Da  un lato, infatti, si esplicita che il rinvio e' operato quoad
poenam;  dall'altro,  vi  e' un ulteriore rinvio, espresso, alle sole
«disposizioni del comma 2, ultimo periodo, dell'art. 186».
    Tutto cio', in astratto, sembra escludere che l'art. 187, comma 7
cs  possa riferirsi anche alla clausola «Per l'irrogazione della pena
e'   competente   il   tribunale»,   che   rappresenta,   nell'ambito
dell'art. 186, comma 2, il secondo periodo.
    In  questi  termini,  la questione e' rilevante, poiche' la norma
applicabile  al  caso di specie e' l'art. 187 comma 7 cs in combinato
disposto  con  l'art. 186 comma 2 cs, e dalla sua interpretazione, in
difformita'  o  conformemente al principio di diritto affermato dalla
suprema  Corte,  discendono  ben  precise  conseguenze in ordine alla
competenza del giudice.
    B) sulla non manifesta infondatezza.
    Nell'ambito  del codice della strada, le disposizioni di cui agli
artt. 186  e  187  hanno  sempre  costituito  un  «sistema» unitario,
entrambe  attenendo allo stesso tipo di comportamento illecito, cioe'
la  guida  in  stato  di alterazione psico-fisica indotta dall'uso di
sostanze  «attive»,  quali  l'alcol  o  gli stupefacenti, ed essendo,
quindi,  in  tal  senso,  entrambe  preposte a garantire la sicurezza
della circolazione stradale.
    Per  tali  ragioni,  sul  piano  delle  conseguenze del fatto, il
legislatore  ha  precostituito  il  medesimo  tipo  di  sanzioni, sia
principali       (pena      congiunta      arresto-ammenda),      sia
amministrativo-accessorie  (sospensione  della  patente di guida), e,
sul  piano  processuale,  ha  stabilito  la  competenza  dello stesso
giudice (prima pretore, poi tribunale in composizione monocratica).
    Con  la  normativa istitutiva della competenza penale del giudice
di  pace,  insieme  ad  altri  reati  «minori»,  anche le fattispecie
contravvenzionali   di  cui  agli  artt. 186  e  187  cs  sono  state
attribuite a quell'organo giudicante (ex art. 4 comma 1, lett. q) del
d.lgs.   n. 274/2000)   e   sono   state  poi  sottoposte  al  regime
sanzionatorio differenziato.
    In realta', tale «nuovo regime» ha avuto breve durata.
    Infatti,  il  d.l.  27  giugno  2003 n. 151, poi convertito nella
legge  1° agosto 2003 n. 214, ha rivisitato la materia, nel quadro di
un intervento piu' ampio, volto ad integrare e modificare, in maniera
complessiva,  la disciplina del codice della strada, onde migliorarne
la funzione preventiva, anche attraverso una impostazione di maggiore
efficacia sanzionatoria.
    Proprio  in  questa  ottica di maggior rigore nei confronti delle
violazioni delle norme codicistiche, si inquadra, come del resto puo'
agevolmente   evincersi   dai  lavori  preparatori  e  dal  dibattito
relativo,  l'intervento  in  ordine  agli  artt. 186  e 187 in esame,
principalmente  rivolto  a  ripristinare  la portata afflittiva delle
originarie   sanzioni   penali  (arresto  e  ammenda,  da  applicarsi
congiuntamente).
    Da  tale  scelta,  dovrebbe  discendere, quale logico corollario,
l'esigenza  di ricondurre le fattispecie in esame alla competenza del
giudice togato.
    D'altro  canto,  al  di la' di ogni considerazione in ordine alle
pene,  il  ripristino  della  originaria  competenza  avrebbe  un suo
significato  ben  preciso  anche in considerazione della peculiarita'
del  procedimento  penale in materia, caratterizzato da significative
difficolta'  di  accertamento  dei  fatti  (in tutti i casi in cui il
conducente  non sia stato sottoposto ai test e alle analisi tecniche,
per rifiuto soggettivo o impossibilita' oggettiva).
    Ora, la modifica del 2003, se si eccettua la puntuale indicazione
delle  pene,  e' stata attuata in maniera poco chiara, sia per quanto
concerne  la  composizione  strutturale della fattispecie, certamente
disorganica,  sia  per  quanto  attiene alle espressioni linguistiche
utilizzate, assolutamente improprie e fuorvianti.
    Ne deriva un intervento normativo non certo adeguato dal punto di
vista tecnico-formale.
    Infatti, sotto il primo profilo, il continuum dell'art. 186 comma
2  cs,  laddove  viene  descritta  la fattispecie contravvenzionale e
vengono  indicate  le  sanzioni,  principali  e  accessorie, e' stato
spezzato  attraverso  l'inserimento,  dopo le sanzioni penali e prima
delle sanzioni amministrativo-accessorie, di una clausola specifica.
    Detta  clausola,  sotto  il  secondo  profilo,  reca  la  formula
seguente,   invero   originale:  «Per  l'irrogazione  della  pena  e'
competente il tribunale».
    Da   cio'   discende   la   seguente   formulazione   complessiva
dell'art. 186  comma  2  cs:  «Chiunque guida in stato di ebbrezza e'
punito,  ove il fatto non costituisca piu' grave reato, con l'arresto
fino  ad  un  mese  e  con  l'ammenda  da  euro 258 a euro 1.032. Per
l'irrogazione della pena e' competente il tribunale. All'accertamento
del  reato  consegue  la  sanzione  amministrativa  accessoria  della
sospensione della patente ...».
      A  sua  volta,  l'art. 187  comma 7 cs, cosi' recita: «Chiunque
guida  in  condizioni  di alterazione fisica e psichica correlata con
l'uso  di  sostanze  stupefacenti  o  psicotrope,  ove  il  fatto non
costituisce   piu'   grave   reato,   e'   punito   con  le  sanzioni
dell'art. 186,  comma  2.  Si  applicano le disposizioni del comma 2,
ultimo periodo, dell'articolo 186».
    Il sistema e' poi completato con le fattispecie che sanzionano le
due ipotesi di «rifiuto» da parte del conducente a sottoporsi ai test
e  agli  accertamenti  di rito. In questi termini, l'art. 186 comma 7
(in  origine  comma  6)  cosi'  recita:  «In  caso di rifiuto ..., il
conducente  e'  punito,  salvo  che  il  fatto costituisca piu' grave
reato,  con  le  sanzioni di cui al comma 2»; a sua volta, l'art. 187
comma  8  (in origine comma 5), stabilisce che «In caso di rifiuto..,
il  conducente  e'  punito, salvo che il fatto costituisca piu' grave
reato, con le sanzioni di cui all'art. 186, comma 2».
    In questo ambito, - fermo il ripristino delle sanzioni - poiche',
in  origine,  la  competenza, per tutti i reati, era del tribunale in
composizione  monocratica,  e  poiche',  per quegli stessi riti, dopo
l'istituzione  del  giudice  di  pace,  una  disposizione  di  legge,
analitica   e  organica  (l'art. 4  comma  1,  lett.  q)  del  d.lgs.
n. 274/2000), ha attribuito la competenza a quest'ultimo, e' evidente
che  una  riforma  in  merito  avrebbe  dovuto  passare attraverso il
sistema  della  abrogazione  espressa  di quella disposizione, oppure
attraverso una nuova, puntuale disciplina della competenza.
    Ma cio' non e' avvenuto.
    Cosi', in assenza di un intervento formale adeguato, il ricorso a
una  formula  anomala  («per  l'irrogazione  della  pena»)  e  la sua
particolare   collocazione  -  sia  strutturale  (a  interrompere  la
disposizione  sulle  conseguenze sanzionatorie della violazione), sia
sistematica  (all'interno  del  solo  art. 186  cs) - ha prodotto non
poche  ambiguita'  interpretative  (non e' il caso, qui, di ricordare
talune letture ardite di parte della dottrina).
    In questo quadro e' intervenuta l'interpretazione, per cosi' dire
«razionale  e  obbligata», del giudice di legittimita', accolta nella
sentenza  n. 35628/2005  citata  e,  in  oggi,  avanzata dalla difesa
dell'imputato.
    Secondo  la  suprema  Corte,  la formula «per l'irrogazione della
pena  e'  competente  il  tribunale»  e'  comunque  espressiva di una
attribuzione di competenza in senso tecnico.
    Peraltro,  detta  attribuzione,  inserita  nell'ambito  del  solo
art. 186   comma   2  cs,  opera  esclusivamente  in  presenza  della
fattispecie  di  guida  in stato di ebbrezza alcolica, e non anche in
presenza  di guida in stato di alterazione psico-fisica da assunzione
di sostanze stupefacenti o psicotrope.
    Infatti,  da  un lato, l'art. 187 comma 7 cs, nel disciplinare la
fattispecie criminosa, richiama l'art. 186 comma 2 esclusivamente per
la  parte  relativa alle sanzioni (comma 2, prima parte); dall'altro,
la stessa norma, nel momento in cui ha voluto ampliare la portata del
rinvio,  sul  piano  della disciplina, lo ha fatto espressamente, col
richiamo all'ultimo periodo del secondo comma (in tema di «traino del
veicolo» fermato) e solo a quello.
    In  questo  contesto,  inevitabilmente  -  conclude  la  Corte  -
l'omesso  richiamo  alla disposizione attributiva della competenza al
tribunale  «non  puo'  considerarsi  casuale, ne' puo' essere ovviato
mediante  una  operazione  interpretativa  che si risolverebbe in una
manipolazione della disciplina».
    Dunque,  secondo  la  Corte, nell'ambito di fattispecie che hanno
sempre  costituito  un  sistema  unitario,  preposte  alla tutela del
medesimo  tipo  di  bene  (la sicurezza della circolazione stradale),
sanzionate nel medesimo modo, vi sarebbe, dopo l'intervento normativo
del  2003,  una diversa ripartizione della competenza: del tribunale,
in  presenza  di  guida  sotto l'influenza di sostanze alcoliche; del
giudice  di  pace, in presenza di guida sotto l'influenza di sostanze
stupefacenti o psicotrope.
    Se  tale,  dunque, e' l'inevitabile portato interpretativo di una
disciplina  male strutturata, altrettanto inevitabili sono i dubbi di
costituzionalita' che ne discendono.
    Non  vi  e', infatti, ragione alcuna perche' il legislatore debba
operare   una   simile   duplicazione   di   competenze  (e  di  iter
procedimentali).
    Anzitutto, e' cosa assolutamente inutile e antieconomica.
    In secondo luogo, viene a determinare un effetto paradossale: tra
due ipotesi criminose, costruite come omogenee, al tribunale viene in
realta' sottratta proprio quella in astratto piu' grave.
    Infatti,  e'  di tutta evidenza che tanto l'abuso di alcol quanto
l'uso   di   sostanze   stupefacenti  incidono  sulle  capacita'  del
conducente,  influenzandone  il  livello  di  attenzione, il grado di
percezione, i tempi di reazione.
    Peraltro,  cio'  premesso, il disvalore delle due condotte e' ben
diverso,  quanto  a presupposti e conseguenze pericolose: in un caso,
viene in rilievo l'uso di sostanze di per se' consentite; nell'altro,
l'utilizzo  di  sostanze  la cui detenzione integra, gia' di per se',
fatto  illecito  (al  di la' delle soglie di punibilita); in un caso,
vengono  pregiudicate le capacita' percettivo-reattive della persona;
nell'altro,  si determinano (possono determinarsi) fenomeni ulteriori
e   ben   piu'   gravi   (si   pensi,   ad   esempio,   agli  effetti
«superegocizzanti»  della cocaina, o a quelli fortemente allucinatori
di taluni prodotti di sintesi di ultima generazione).
    Infine, si viene ad attribuire al giudice di pace una fattispecie
criminosa  che  prevede  sanzioni  (pena congiunta ammenda e arresto)
incompatibili  con  quelle  rimesse  alla irrogazione di quell'organo
giudicante,  nonche' istituti processuali differenziati. Sotto questo
profilo,  non sarebbero praticabili riti alternativi, per la espressa
esclusione  di  cui  all'art  2,  comma  2,  lett  f) e g) del d.lgs.
28 agosto 2000 n. 274.
    Un tale intervento normativo, pertanto, non trova giustificazione
alcuna,  anzi  risulta  palesemente irrazionale, sia in se' e per se'
considerato,  sia  nell'ambito  del  «sistema»  in cui e' chiamato ad
operare.
    In  questi  termini,  appare  violato il canone di ragionevolezza
implicato   nell'art. 3  comma  1  Cost.,  limite  invalicabile  alla
discrezionalita' del legislatore.
    Conseguenza di tale violazione, per le ricadute procedimentali di
cui  si  e' detto (imputati del reato di cui all'art. 186 comma 2, cs
che  potrebbero  accedere a riti alternativi, e imputati del reato di
cui  all'art. 187  comma 7 cs, cui detti riti sarebbero preclusi), e'
il  pregiudizio  ad  altri  parametri  costituzionali, quali l'art. 3
Cost.,  essendo del tutto priva di giustificazione la limitazione del
potere  di  scelta degli uni, rispetto agli altri, nonche' l'art. 24,
comma  1  e  2,  Cost., attenendo al «diritto alla difesa», inteso in
senso  lato,  il  complesso  delle scelte che l'ordinamento riconosce
all'imputato, anche in ordine al rito.
    Sulla  base  di tali elementi, complessivamente considerati, deve
ritenersi  rilevante  e  non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale degli artt. 186 comma 2 e 187 comma 7 del
d.lgs.  30 aprile 1992 n. 285, cosi' come successivamente modificati,
in  relazione  all'art. 3,  comma  1,  Cost.,  sotto il profilo della
irrazionalita' della disciplina, all'art. 3, comma 1, Cost., sotto il
profilo  della ingiustificata disparita' di trattamento, all'art. 24,
comma  1  e 2, Cost., sotto il profilo della compressione del diritto
alla   difesa,   con   conseguente  sospensione  del  procedimento  e
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
                              P. Q. M.
    Visti  gli  artt. 491  c.p.p.;  23  e segg. legge n. 87/1953; 134
Cost.;
    Dichiara  la  rilevanza  e  la  non  manifesta infondatezza della
questione  di  legittimita'  costituzionale degli artt. 186 comma 2 e
187   comma  7  del  d.lgs.  n. 30  aprile  1992  n. 285,  cosi  come
successivamente modificati, in relazione all'art. 3, comma 1, Cost, e
all'art. 24, comma 1 e 2, Cost., nei termini di cui in motivazione;
    Dispone  la  sospensione  del presente giudizio e la trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale;
    Dispone  che  la  presente ordinanza sia notificata al Presidente
del  Consiglio  dei  ministri  e  comunicata al Presidente del Senato
della Repubblica e della Camera dei deputati.
        Genova, addi' 22 marzo 2006
                        Il giudice: Panicucci
06C0753