N. 328 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 febbraio 2006

Ordinanza  emessa  il  25  febbraio  2006  dal tribunale di Parma nel
procedimento civile promosso dalla PARMALAT S.p.A. in amministrazione
straordinaria contro Banca Agricola Mantovana

Amministrazione  straordinaria  delle  grandi  imprese  in  stato  di
  insolvenza - Imprese insolventi ammesse alla procedura in base alla
  c.d. «legge Marzano» (d.l. 347/2003, convertito con modifiche nella
  legge  39/2004)  -  Esercizio delle azioni revocatorie da parte del
  Commissario straordinario - Proponibilita' anche nel corso e per la
  realizzazione  del  programma  di  ristrutturazione  dell'impresa -
  Lesione   dei   principi   di   eguaglianza   e  di  ragionevolezza
  Ingiustificata  deroga  al  regime  della  c.d.  «legge  Prodi-bis»
  (d.lgs.  270/1999), che esclude l'esercizio delle revocatorie nella
  fase  di  risanamento  dell'impresa  -  Irragionevole disparita' di
  trattamento fra terzi destinatari di azioni revocatorie - Contrasto
  con  il  principio  di  libera concorrenza - Discriminazione fra le
  imprese  operanti nel mercato - Irragionevole possibilita' di forme
  di finanziamento forzoso a favore delle imprese in crisi.
- Decreto  legge  23 dicembre  2003,  n. 347, art. 6, convertito, con
  modificazioni,  nella legge 18 febbraio 2004, n. 39, modificata dal
  decreto-legge 3 maggio 2004, n. 119, convertito, con modificazioni,
  nella  legge 5 luglio 2004, n. 166; decreto-legge 28 febbraio 2005,
  n. 22,  convertito,  con modificazioni, nella legge 29 aprile 2005,
  n. 71.
- Costituzione,  artt. 3  e  41;  decreto  legislativo 8 luglio 1999,
  n. 270, artt. 49 e 91.
(GU n.38 del 20-9-2006 )
                            IL TRIBUNALE

    Nel procedimento n. 7867/2004 R.G. proposto da Parmalat S.p.A. in
amministrazione    straordinaria,    in   persona   del   Commissario
straordinario  dott.  Enrico  Bondi  contro  Banca Agricola Mantovana
S.p.A.;
    Letti gli atti e a scioglimento della riserva;
    Ai  sensi dell'art 23 legge 11 marzo 1953 n. 87 ha pronunciato la
presente ordinanza.
  Premesso che con atto di citazione ritualmente notificato, Parmalat
S.p.A. in amministrazione straordinaria conveniva in giudizio, avanti
l'intestato  tribunale,  Banca  Agricola Mantovana S.p.A. promuovendo
azione  nei  confronti  della  stessa ai sensi del combinato disposto
degli  artt.  6,  d.l.  n. 347/2003 (e successive modificazioni), 49,
d.lgs.  n. 270/1999  e  67 l.fall. chiedendo, «relativamente al conto
corrente  ordinario  n. 79774-60, revocarsi ex art. 67, secondo comma
l.  fall.  (norma  applicabile  in  virtu'  del  richiamo operato dal
combinato  disposto  degli  artt. 6,  d.l.  n. 347/2003  e  49 d.lgs.
n. 270/1999)  ciascuno e tutti i pagamenti ricevuti da Banca Agricola
Mantovana  S.p.A.  per  effetto  delle  rimesse  e degli accrediti in
genere  contabilizzati  sul  conto, a far data dal 24 dicembre 2002 e
portati  in  diminuzione dalla esposizione del predetto c/c ordinario
quale  si  presentava  all'epoca  di  ciascuna  delle  rimesse,  come
analiticamente elencate al pun-to II,1) dell'atto di citazione, e per
l'effetto  condannarsi  la  Banca  convenuta a restituire e versare a
parte  attrice  i relativi importi per un totale in linea capitale di
Euro  98.075.584,08  o  per la diversa somma che risultera' dovuta ai
sensi  di  legge  oltre  agli  interessi legali anche anatocistici ai
sensi  dell'art. 1283  c.c.  e  al maggior danno ex art. 1224 secondo
comma c.c. derivante da svalutazione monetaria...»;
        che si costituiva in giudizio Banca Agricola Mantovana S.p.A.
che  contestava,  sotto  vari  profili,  in  fatto  e  in diritto, il
fondamento  della  domanda  proposta  e  cosi' concludeva «Piaccia al
tribunale,  previa,  se del caso, rimessione degli atti alla Corte di
Giustizia  delle  Comunita' europee sulla interpretazione degli artt.
3,  lett.  g),  10,  86  e 87 del trattato istitutivo della Comunita'
europea  (con riferimento alla legge n. 39/2004 e/o al suo art. 6), o
alla  Corte costituzionale sulla legittimita' dell'art. 6 della legge
n. 39/2004,   dichiarare   inammissibili  o  comunque  respingere  le
domande, con vittoria di spese ed onorari»;
    Rilevato  che questo tribunale ha gia' avuto modo di pronunciarsi
sulla  rilevanza  e  non  manifesta  infondatezza  della questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  6,  d.l.  23  dicembre 2003,
n. 347  -  convertito  con  modifiche  nella  legge 18 febbraio 2004,
n. 39,  come  modificata  dal  d.l.  3 maggio 2004, n. 119, conv. con
modifiche  nella  legge  5  luglio 2004, n. 166, dal d.l. 28 febbraio
2005, n. 22, conv. con mod. nella legge 29 aprile 2005, n. 71 - nella
parte  in  cui consente l'esercizio delle azioni revocatorie previste
dagli  artt. 49  e  91,  d.lgs. n. 270 in costanza di un programma di
ristrutturazione,  con  provvedimento,  in data 18 novembre 2005, che
qui di seguito integralmente si riporta:
        «1.  - Dedotta incostituzionalita' dell'art. 6 cit. legge per
contrarieta' ai principi di cui all'art. 3 Cost.
    La  Corte  costituzionale  ha,  in piu' occasioni, sancito che il
principio   di   eguaglianza   inibisce  al  legislatore  di  operare
arbitrarie  discriminazioni  fra  soggetti  in situazioni identiche o
affini;   il   giudizio  di  legittimita'  costituzionale,  ai  sensi
dell'art. 3  Cost.  ha,  pertanto, ad oggetto la ragionevolezza delle
classificazioni legislative.
    Onde  valutare  il  rispetto  del  principio  di  uguaglianza, e'
fondamentale  l'esatta  identificazione  degli interessi sottesi alle
norme messe a raffronto: se coinvolgono interessi omogenei per essere
gli  stessi  partecipi di fattispecie identiche/analoghe, assicurando
una  tutela  di  diversa  intensita'  (senza  che esista un ulteriore
interesse    tutelando,    atto    a   giustificare   l'opzione   per
l'apprestamento  di  due  diversi  regimi),  la  norma  che tutela in
maniera  diversa  gli  interessi comuni ad entrambe, dovra' reputarsi
irragionevole   e   contraria   al  precetto  costituzionale  di  cui
all'art. 3  cit.;  laddove,  invece,  gli interessi sottesi non siano
omogenei,  dovra'  considerarsi  irragionevole una disciplina di tipo
analogo,  che  non tenga conto delle disuguaglianze fra le situazioni
di fatto disciplinate.
    La  giurisprudenza  costituzionale  ha,  piu'  volte,  dichiarato
l'illegittimita'  di  norme  di  legge per violazione del solo art. 3
Cost., senza la necessita' di rilevarne il conflitto con altri valori
costituzionali (cosi', ad es., le sentenze n. 260 del 23 luglio 1997,
n. 162  del  28  maggio  2001, n. 254 del 20 giugno 2002), in ragione
dell'evidente  rilevanza assegnata al principio di ragionevolezza nel
senso indicato, quale parametro fondativo del precetto costituzionale
di eguaglianza.
    Nell'ipotesi  in  esame, vanno messi a raffronto gli articoli 6 e
4-bis  del  d.l. 23 dicembre 2003, n. 347, conv. con mod. in legge 18
febbraio 2004, n. 39, come modificata dal d.l. 3 maggio 2004, n. 119,
conv.  con mod. in legge 5 luglio 2004, n. 166 e dal d.l. 28 febbraio
2005,  n. 22,  conv.  con  mod. in legge 29 aprile 2005, n. 71, e gli
artt. 49  e  78  del  d.lgs.  8 luglio 1999, n. 270 (c.d. legge Prodi
bis).
    Entrambi i provvedimenti regolano la procedura di amministrazione
straordinaria,  applicabile  alle  imprese  di  grandi dimensioni che
versino  in  stato  di  insolvenza, perseguendone la ristrutturazione
economica   e   finanziaria,   a  salvaguardia  degli  interessi  dei
lavoratori e dei fornitori, oltre che dei creditori; si differenziano
nelle   sole  fasi  di  ingresso  e  nei  requisiti  dimensionali  di
ammissione  alla procedura (cfr. artt. 1, d.l. n. 347/2003 e 2 d.lgs.
n. 270/1999  citt.), in termini di personale ed ammontare dei debiti,
senza   che  a  tali  differenze  possa  assegnarsi  il  rango  della
ragionevolezza   costituzionalmente   necessario   a  preservarne  il
sindacato sotto il profilo indicato.
    In particolare, come osservato dalla unanime dottrina, comparando
i  richiamati  presupposti,  si  ricava  che  in  tutti i casi in cui
risulta  applicabile  la legge Marzano e' sempre applicabile anche la
legge  Prodi  bis,  e  l'opzione per l'una o per l'altra procedura e'
rimessa,  dal  legislatore  interamente  alla  impresa insolvente, la
quale   manifesti  l'intenzione  di  "avvalersi  della  procedura  di
ristrutturazione  economica  e  finanziaria  di  cui all'articolo 27,
comma 2,  lettera  b) del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270":
in  altri  termini,  la  legge  Marzano  rimette  alla  sola  impresa
insolvente  iniziativa  d'apertura  della  procedura, nell'intento di
salvaguardare  e  perseguire con immediatezza quello stesso programma
di  ristrutturazione  economica e finanziaria, cui la legge Prodi bis
da'  ingresso  solo in esito alla fase di valutazione delle "concrete
prospettive  di  recupero  dell'equilibrio  economico delle attivita'
imprenditoriali" di cui agli artt. 27-30 delle citata legge.
    Il  richiamo  alla  legge  Prodi  bis rende pertanto evidenti gli
estremi  di  stretta  continuita'  esistenti  con  la  legge Marzano,
ponendosi  questa  come  opzione ulteriore dell'impresa insolvente il
cui  mancato  esercizio  da  parte  del  debitore non preclude il suo
assoggettamento  alla  procedura regolata dal d.lgs. n. 270/1999, con
il  perseguimento  - secondo il diverso snodo procedurale ricordato -
della  medesima  finalita'  quale  indicata  dall'art. 1 della citata
legge,  nella  "ristrutturazione  economica  e finanziaria previsto e
disciplinato dall'art. 27, comma 2, lett. b)".
    Al   riguardo,  va  osservato  come  le  innovazioni  legislative
introdotte  dal  d.l.  n. 347 (e succ. modd.) tendono a dare maggiore
celerita'   alla  fase  di  ammissione  dell'impresa  alla  procedura
(art. 2,   Ammissione  immediata  all'amministrazione  straordinaria)
senza,  peraltro,  alterare  sostanzialmente  i  caratteri funzionali
della  procedura, che restano pur sempre comuni alla legge Prodi bis,
quale  normativa  generale  di  riferimento  cui  la legge Marzano fa
espresso rinvio.
    Cio'  posto  in  via  di  analisi del tessuto normativo in esame,
venendo   all'oggetto  del  presente  giudizio,  entrambi  i  sistemi
normativi  prevedono la possibilita' di esperire l'azione revocatoria
di cui all'art. 67, l.f., ma in forza delle ricorrenza di estremi fra
loro non serenamente conciliabili.
    In  argomento,  e'  noto  il dibattito giurisprudenziale apertosi
dopo l'emanazione della legge n. 95/1979 (c.d. legge Prodi), sfociato
in  una  ferma  posizione assunta dalla suprema Corte sul punto (cfr.
l'arresto  27  dicembre  1996,  n. 11519), che indusse il legislatore
alla  sostituzione  del  regime  istituito  con la legge del 1979 con
quello della c.d. Prodi bis, escludendo espressamente la possibilita'
per  il  commissario  straordinario di proporre le azioni revocatorie
fallimentari nel corso della fase di risanamento dell'impresa.
    L'art. 49,  comma 1, d.lgs. n. 270/1999, prevede infatti che: "le
azioni  per  la  dichiarazione  di inefficacia e la revoca degli atti
pregiudizievoli   ai  creditori  previste  dalle  disposizioni  della
sezione  III  del  capo  III  del  titolo II della legge fallimentare
possono  essere proposte dal commissario straordinario soltanto se e'
stata  autorizzata  l'esecuzione  di  un  programma  di  cessione dei
complessi aziendali".
    Detta   previsione   normativa  ha  reso  il  nostro  ordinamento
nuovamente   in   linea   con  le  finalita'  connaturate  all'azione
revocatoria  fallimentare,  la  quale mira, appunto, a ricostruire il
patrimonio  dell'imprenditore (secondo la teoria indennitaria) ovvero
a   ripartire   la   perdita   derivante   dall'insolvenza   tra  una
collettivita'  di  creditori piu' ampia rispetto ai soli soggetti che
si  trovano  ad  essere tali al momento dell'apertura della procedura
(teoria    anti-indennitaria);    duplice,   dunque,   la   funzione:
recuperatoria  e  ridistributiva,  inconciliabile  con  procedure non
finalizzate alla liquidazione bensi' alla conservazione dell'impresa,
nelle  quali  in  pendenza di risanamento, non vi e' un patrimonio da
ripartire tra i creditori, ne' una perdita da ridistribuire.
    L'art. 6  cit.  dispone  che  "il  commissario straordinario puo'
proporre  le azioni revocatorie previste dall'art. 49 e 91 del d.lgs.
n. 270  anche nel caso di autorizzazione all'esecuzione del programma
di  ristrutturazione,  purche'  si  traducano  in  un vantaggio per i
creditori".
    Ci  si trova di fronte ad una rinnovata estensione dell'ambito di
applicazione  dell'azione  revocatoria  fallimentare,  prevedendo  la
possibilita',  per  il commissario straordinario, di esperirla in una
procedura  finalizzata  alla  ristrutturazione  ed alla conservazione
dell'impresa  (come  palesato  dagli  artt. 1,  d.l. n. 347 e 4 legge
n. 39/2004),  interrompendo  cosi'  immotivatamente  quel  legame  di
continuita'  prima evidenziato tra finalita' concretamente perseguite
dalla procedura e strumenti alla stessa connessi.
    Quanto  precede  comporta,  a  parere  di  chi  giudica,  la  non
manifesta    infondatezza    dei   profili   di   incostituzionalita'
dell'art. 6,  d.l  n. 347,  come  modificato,  con  riferimento  alla
previsione  di  cui  all'art.  49,  legge  Prodi  bis., rapportato al
principio    di   uguaglianza   di   cui   all'art. 3   della   Carta
costituzionale:  ed in particolare, il legislatore del 1999, operando
un  bilanciamento degli interessi coinvolti nel dissesto della grande
impresa,  ne  aveva  limitato  l'esperibilita'  al  solo programma di
liquidazione  dell'impresa,  attuato  dagli  organi  della procedura,
espressamente  escludendola  per  il  programma  di ristrutturazione,
ritenendo  che il sacrificio patrimoniale dei terzi fosse ammissibile
soltanto in vista dell'interesse - ritenuto meritevole dell'ordinaria
tutela  concorsuale  - alla ripartizione fra tutti i creditori (anche
quelli  divenuti  tali  in  seguito  alla  revoca  dei pagamenti) del
patrimonio del debitore insolvente, secondo le regole stabilite dalla
legge a tutela della par condicio creditorum.
    Rendendo  ammissibile  la  revocatoria  anche  durante la fase di
risanamento dell'impresa, l'art. 6 della legge Marzano ha ampliato il
sacrificio  dei  terzi,  ribaltando la scelta consapevolmente operata
con l'art. 49 della legge Prodi bis.
    Cio' appare privo di giustificazione se valutato alla stregua del
canone   di   ragionevolezza  costituzionale  sopra  evidenziato:  la
revocatoria  di  cui  all'art. 49  e  quella di cui all'art. 6, per i
motivi  esposti,  si collocano all'interno di procedure disciplinanti
fenomeni  analoghi,  coinvolgono  interessi  omogenei e perseguono il
medesimo obiettivo, cioe' il recupero dell'equilibrio economico delle
attivita'  imprenditoriali  mediante  "prosecuzione,  riattivazione o
riconversione"  (art.  1,  d.lgs.  n. 270/1999), per il tramite di un
programma  di  ristrutturazione  senza  che  sia  dato comprendere le
ragioni del superamento di quanto cosi' recisamente escluso dall'art.
49 del cit. d.lgs. n. 270.
    La  stessa  Corte  costituzionale,  nel  dichiarare  infondata la
questione  di  legittimita'  dell'art. 67,  l.f.  in riferimento agli
artt. 3,  24,  47  Cost., nella parte in cui assoggetta a revocatoria
anche i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili effettuati con mezzi
normali  dal  debitore  nel  periodo  c.d. sospetto, ha espressamente
affermato   che,  con  detta  azione,  il  principio  generale  della
stabilita'  dei  diritti (con cio' intendendo l'interesse dei terzi a
non  subire la revoca dei pagamenti ricevuti) subisce una deroga solo
al  fine di "... tutelare le ragioni del concorso tra i creditori ...
il  legislatore  ha  costruito l'azione revocatoria' fallimentare per
contemperare  l'interesse  dei  creditori di recuperare al patrimonio
del  fallito  la  maggiore quantita' di beni in vista dell'esecuzione
concorsuale,   con   quello  al  normale  svolgimento  dell'attivita'
economica ed alla stabilita' dei diritti" (cfr. Corte cost. 27 luglio
2000, n. 379).
    L'irragionevolezza  della  disparita' di trattamento riservata ai
terzi destinatari dall'azione revocatoria esperita ex art. 6 legge in
esame risulta, infine, amplificata, ove si consideri come l'opzione a
favore  della  "Marzano"  sia sostanzialmente rimessa dal legislatore
all'unilaterale iniziativa dell'impresa insolvente, la quale potrebbe
essere    opportunisticamente    motivata   dalle   possibilita'   di
eterofinanziamento   insito  nell'esercizio  di  azioni  revocatorie,
altrimenti precluse dal regime ordinario previsto dal citato articolo
49.
    La   distorta   finalita'   attribuita   all'azione   revocatoria
nell'ambito   della   legge  Marzano  non  puo'  dirsi  lenita  dalla
condizione   posta   al   suo   esercizio   (nella   versione  finale
faticosamente  raggiunta  dal  legislatore  dopo  due  interventi  di
modifica): subordinare l'esercizio al fatto che le azioni revocatorie
si  traducano  in un vantaggio per i creditori risulta in realta' del
tutto  pleonastico,  posto  che,  come  confermato  anche dalla Corte
costituzionale  nella  sentenza  citata,  l'interesse  dei  creditori
costituisce  l'unico  ed  esclusivo bene giuridico alla cui tutela e'
preordinato  l'istituto dell'azione revocatoria fallimentare, ragione
in  se'  della  norma e non finalita' da rimettere all'esito volubile
della verifica da operarsi concretamente nel singolo caso.
    Ne'  la  non manifesta infondatezza della previsione normativa in
esame risulta lenita dalle considerazioni espresse dalla difesa della
procedura  attrice,  per la quale l'azione revocatoria prevista dalla
legge  sarebbe  incompatibile  con  la  finalita'  di  prosecuzione e
risanamento  dell'attivita' d'impresa, qualora il risanamento andasse
a   beneficio   dell'imprenditore   insolvente  (Parmalat  S.p.A.  in
amministrazione  straordinaria,  odierna  attrice)  - cd. risanamento
soggettivo;  diverrebbe  compatibile,  qualora  l'attivita' d'impresa
venisse  ceduta,  anche  mediante patto di concordato, ad un soggetto
terzo  (l'assuntore  o  la "nuova" Parmalat S.p.A.) - cd. risanamento
oggettivo,  in  quanto  il regime di ragionevolezza non andrebbe piu'
vagliato  con  l'art.  49,  comma  1,  legge  Prodi  bis  bensi'  con
l'art. 124,  comma  2, l.f. In particolare, assume la difesa di parte
attrice  come dovrebbe nell'ipotesi in esame operarsi una distinzione
fra risanamento oggettivo e soggettivo, in quanto la ristrutturazione
di  cui  all'art. 27,  comma  2,  lett.  b) del d.lgs. n. 270/1999 va
sempre a vantaggio dell'imprenditore insolvente, in quanto egli resta
titolare  e  gestore  dell'azienda  oggetto  di risanamento, donde il
divieto  l'esperimento  di  azioni revocatorie, invece consentito nel
caso di cessione dei complessi aziendali prevista dall'art. 27, comma
2,  lett. a); la ristrutturazione Parmalat mediante il concordato non
va  a vantaggio dell'imprenditore insolvente (e cioe' degli azionisti
della  "vecchia"  Parmalat),  sarebbe pertanto, sotto questo aspetto,
assimilabile   alla   cessione   dei   complessi  aziendali  prevista
dall'art. 27,   comma  2,  lett.  a),  cit.,  nonche'  al  concordato
fallimentare  con  cessione  delle revocatorie al terzo assuntore, di
cui all'art. 124, l.fall.
    Siffatto  argomentare  poggia su assunti indimostrati, sulla base
dei quali raggiunge esiti non condivisibili in quanto:
        a) va  osservato  che  la  previsione di cui all'art. 6 della
legge  Marzano  assicura  lo  strumento revocatorio alla procedura di
amministrazione  straordinaria  in  quanto  tale, per il programma di
ristrutturazione  perseguito,  a  nulla  rilevando che il commissario
provveda   al  suo  perseguimento  "in  via  ordinaria",  secondo  le
modalita'  consuete  (art. 4)  ovvero  "straordinaria", attraverso il
concordato,   annoverato   tra   gli   strumenti   del  programma  di
ristrutturazione  (cfr.  art. 4-bis,  comma  1,  per  il  quale  "nel
programma  di  ristrutturazione,  il  commissario  puo'  prevedere la
soddisfazione dei creditori attraverso un concordato .....").
    In  altri  termini,  l'eccezione  di  parte fonda la legittimita'
costituzionale  della  previsione di cui all'art. 6 sulla proposta di
concordato,  nella  sola ipotesi in cui lo stesso preveda un patto di
assunzione  (con dubbio richiamo ai principi di cui all'art. 124 l.f.
e  superamento  immotivato  di  ogni richiamo "mediano" agli artt. 78
legge  Prodi  bis e art. 214 l.f.), concordato questo che costituisce
una  -  e  solo  una  -  delle  modalita'  di attuazione del piano di
ristrutturazione,  rendendo  cosi'  evidente  come tale condizione di
asserita  legittimita'  costituzionale  vacilli - nell'argomentazione
della   stessa   parte   -   in  ogni  ipotesi  altra  e  diversa  di
ristrutturazione.  Ne'  va, infine, sottaciuto come anche nella legge
Prodi  bis  sia  possibile  procedere  ad una ristrutturazione per il
tramite  di  un  concordato  proposto da un terzo, senza peraltro che
venga  alterata  la  scelta  lucidamente  operata dal legislatore del
1999,  permettendo  al  terzo  assuntore  di avvantaggiarsi di azioni
incompatibili con le finalita' della procedura di risanamento.
        b) Il   concordato   in   esame   costituisce,  per  espressa
indicazione  di  legge  e  per  opzione  concretamente  perseguita  e
realizzata  dal  Commissario  straordinario,  semplice  modalita' del
programma  di  ristrutturazione,  come  tale  inidoneo  a  sorreggere
l'assunto di parte, volto a privilegiare una considerazione del tutto
autonoma degli esiti concordatari e della normativa ad essa connessa,
rispetto  alla  legge  Marzano.  Al  riguardo, si ricorda come con la
recente   sentenza  del  1°  ottobre  2005,  questo  tribunale  abbia
omologato  il  concordato  ex  art. 4-bis,  d.l.  n. 347/2003 e succ.
modd.,  "con  assunzione da parte della societa' Parmalat S.p.A., con
sede   legale   in   Collecchio   (Parma)",   disponendo  l'immediato
trasferimento   all'Assuntore   "di  tutti  i  beni,  i  diritti,  le
partecipazioni sociali e le azioni giudiziarie promosse..".
    Nella parte motiva si legge che "con decreto ministeriale in data
23  luglio  2004 il Ministro delle attivita' produttive, d'intesa con
il Ministro delle politiche agricole e forestali, visto il parere del
Comitato  di  sorveglianza  in  data  20  luglio 2004, autorizzava il
programma  di  ristrutturazione  per le suddette societa'. In data 29
luglio  2004,  veniva  depositato  presso  il  tribunale  di Parma il
programma  di  ristrutturazione autorizzato, unitamente alla proposta
di   concordato  e  all'elenco  dei  creditori  ...  la  proposta  di
concordato  costituisce,  per  espressa  previsione  normativa, parte
integrante   del   programma   di  ristrutturazione  predisposto  dal
Commissario  straordinario  .. la devoluzione esclusiva del potere di
iniziativa   al   Commissario  straordinario  trova  la  sua  ragione
giustificatrice  nella  necessaria  integrazione  della  proposta  di
concordato  con  il  programma  di  ristrutturazione, mirando cosi' a
contemperare le finalita' connesse al ripristino di una condizione di
durevole   equilibrio   in  capo  alle  societa'  in  amministrazione
straordinaria  con  le  dinamiche solutorie proprie della proposta di
concordato.  L'adempimento  concordatario  costituisce  quindi  parte
integrante  del  piano  di  risanamento  cui  risulta  funzionalmente
rivolto,  assumendo quindi una dimensione di strumentalita' nuova per
l'istituto,  in  quanto la cessazione della procedura concorsuale con
il   soddisfacimento   a   saldo   del  ceto  creditorio  perde  ogni
connotazione  di  esclusivita'  valutativa normalmente presente nelle
varie  figure  di  concordato, venendo a contemperarsi per modalita',
interessi  coinvolti  e  termini di pagamento con le esigenze proprie
dei  processi  di ristrutturazione: in altri termini, il programma di
ristrutturazione   definisce   il   perimetro   delle  compatibilita'
solutorie  assicurate dal concordato in ragione della introduzione di
una  dimensione  di  flessibilita'  e/o  mobilita' degli istituti del
concorso mai prima registrata, attenuata negli estremi di illegittima
assolutezza,  dalla  sua ricomposizione in una proposta concordataria
capace di consenso...".
    In termini ultimi, si ritiene che le censure di illegittimita' si
incentrano  sulla disciplina generale della procedura stabilita dalla
stessa  legge Marzano, nell'ambito della quale l'epilogo naturale del
processo  di  risanamento e' costituito dal ritorno dell'imprenditore
all'ordinaria  operativita'  industriale, a conclusione del programma
di  ristrutturazione  con  qualunque  modalita'  attuato  (artt. 4  e
4-bis),  ivi  compreso  il  concordato con assunzione che costituisce
un'ipotesi  del  tutto  eventuale  e  residuale  di  conclusione  del
programma   di  ristrutturazione  dell'impresa,  cui  il  legislatore
assegna  la  sola  valenza  di determinare l'immediata chiusura della
procedura  rispetto  alla  sua  fisiologica durata ed al suo naturale
espletamento.
        2.  -  Dedotta incostituzionalita' dell'art. 6 cit. legge per
contrarieta' ai principi di cui all'art. 41 Cost.
    La  facolta' di esperire l'azione revocatoria, nel corso e per la
realizzazione   della   ristrutturazione   aziendale,   evidenzia  un
ulteriore  profilo  di  irragionevolezza  della  norma  in esame, per
disparita'  di  trattamento  tra  le imprese operanti nel mercato, in
contrasto  con il principio della liberta' di concorrenza discendente
dall'art. 41 della Costituzione.
    Come affermato in dottrina, il risanamento agevolato da misure di
sostegno   finanziario  non  puo'  considerarsi  un  vero  e  proprio
risanamento ne' in senso economico ne' giuridico.
    Sotto  il  primo  profilo,  infatti, il risanamento equivale alla
ritrovata  capacita'  dell'impresa di conseguire dei ricavi superiori
ai  costi  sostenuti:  perche' sia effettivo, tuttavia, e' necessario
che  la  prevalenza  dei  ricavi sui costi consegua alla capacita' di
produrre  valore  e  ricchezza e non all'opportunistico intervento di
misure   esterne  alle  dimensioni  interessate  dalla  sua  concreta
operativita'.  Sotto  il  profilo  giuridico il risanamento indica la
ritrovata capacita' dell'impresa di adempiere regolarmente le proprie
obbligazioni;   se  la  solvibilita'  dell'impresa  e'  il  risultato
esclusivamente   del   positivo   esercizio   di  azioni  revocatorie
fallimentari non vi e' alcun vero risanamento.
    Il  risanamento  dell'impresa  mediante l'esperimento dell'azione
revocatoria   falilmentare   costituisce   quindi  un  ingiustificato
privilegio  per  l'impresa  ammessa alla procedura ex legge Marzano e
determina un effetto distorsivo della concorrenza, in quanto permette
all'impresa  insolvente di restare sul mercato sfruttando anziche' le
proprie   capacita'   economiche,  risorse  finanziarie  precluse  ai
concorrenti.
    Detto   effetto   e'  essenzialmente  legato  alla  continuazione
dell'impresa: mentre nell'ambito delle procedure di tipo liquidatorio
le somme, eventualmente riscosse a seguito del vittorioso esperimento
dell'azione    revocatoria,    sono   esclusivamente   destinate   al
soddisfacimento   dei  creditori,  qualora  l'azione  sia  consentita
all'interno  di una procedura concorsuale di tipo risanatorio essa si
trasforma,  come  gia' visto, in una forma di finanziamento forzoso a
favore dell'impresa insolvente ed a carico dei terzi.
    La  critica  nei confronti di normative che, favorendo le imprese
in  fase di ristrutturazione, falsano la libera concorrenza non e' un
argomento  nuovo:  in  passato  sia  la  Corte  di Giustizia CE sia i
giudici  italiani  hanno  piu'  volte censurato per ragioni simili la
legge   n. 95/1979,   che  conteneva  diverse  disposizioni  tese  ad
agevolare  illegittimamente  l'impresa  insolvente  (cfr., di recente
Corte  di  Giustizia  CE  17  giugno 1999 (C-295/97), Cass. 23 giugno
2000,  n. 8539, App. Trieste 10 febbraio 2004, App. Venezia 26 giugno
2003, etc.).
    In  realta'  al  di  la' dei profili comunitari, pur rilevanti in
sede  intepretativa, l'esercizio dell'azione revocatoria fallimentare
nell'ambito  di una procedura di ristrutturazione aziendale determina
una  forte  e  strutturale  distorsione  della libera concorrenza tra
imprese con conseguente violazione dell'art. 41 della Costituzione.
    L'instaurazione di un regime di libera concorrenza tra le imprese
e  la  sua  tutela sono strumentali all'effettiva realizzazione della
liberta'  di  iniziativa  economica  di cui all'art. 41 Cost., con la
conseguenza   che,   seppure   non   espressamente  menzionato  dalla
Costituzione,   il   principio   di   libera   concorrenza  ha  rango
costituzionale.
    Tale  linea  argomentativa e' stata fatta propria sia dalla Corte
costituzionale  che  dai  giudici  civili  ed amministrativi, i quali
hanno  ricondotto la tutela della liberta' di concorrenza all'art. 41
cit.
    "La  liberta'  di  concorrenza  tra  imprese  ha,  come noto, una
duplice  finalita':  da  un  lato,  integra la liberta' di iniziativa
economica  che spetta nella stessa misura a tutti gli imprenditori e,
dall'altro, e' diretta alla protezione della collettivita', in quanto
l'esistenza  di  una  pluralita'  di imprenditori, in concorrenza tra
loro,  giova  a  migliorare  la qualita' dei prodotti e a contenere i
prezzi"  (cfr.  Corte  cost.,  16 dicembre 1982, n. 223; nello stesso
senso si veda anche Corte costituzionale 13 ottobre 2000, n. 419).
    "La  liberta'  di  iniziativa  economica  privata garantita dalla
Costituzione  (art. 41, comma 1), comprensiva anche della liberta' di
concorrenza  tra  imprese,  attiene sicuramente a materia disponibile
posto  che  e'  espressione della liberta' di scelta e di svolgimento
delle  attivita'  economiche  riconosciuta al soggetto privato" (cfr.
Cass. 21 agosto 1996, n. 7733).
    In  altri  termini,  il  principio  di  liberta'  dell'iniziativa
economica   privata   garantisce,  inter  alia,  che  ogni  operatore
economico  possa operare sul mercato in una situazione di parita' con
gli  altri  imprenditori  e  che  il  profitto, e quindi il successo,
dell'impresa  dipenda dal giudizio insito nelle dinamiche di mercato,
come costituzionalmente garantite dall'art. 41 cost.
    L'irragionevolezza  e  l'illegittimita'  di  una  disciplina  che
determini  una  discriminazione  tra  imprese in concorrenza e' stata
affermata  dalla  Corte costituzionale nella sentenza del 30 dicembre
1997,  n. 443, dichiarativa della incostituzionalita', per violazione
degli  artt. 3  e  41  della Costituzione, dell'art. 30 della legge 4
luglio 1967, n. 580 nella parte in cui non prevedeva che alle imprese
aventi  stabilimento  in  Italia fosse consentita, nella produzione e
nella  commercializzazione  di  paste  alimentari, l'utilizzazione di
ingredienti legittimamente impiegati, in base al diritto comunitario,
nel territorio della Comunita' europea».
    Ritiene  questo  giudice  di  dovere integralmente condividere il
suesposto  provvedimento  con  conseguente rimessione degli atti alla
Corte costituzionale e sospensione del presente giudizio.
                              P. Q. M.
    Visto  l'art  23,  legge  11 marzo 1953, n. 87 e gli artt. 3 e 41
Cost.
    Dichiara   la   rilevanza  e  non  manifesta  infondatezza  della
questione   di   legittimita'   costituzionale   dell'art.   6,  d.l.
23 dicembre  2003  n. 347,  conv. con mod. in legge 18 febbraio 2004,
n. 39, come modificata dal d.l. 3 maggio 2004, n. 119, conv. con mod.
in  legge  5  luglio  2004, n. 166, dal d.l. 28 febbraio 2005, n. 22,
conv.  con  mod.  in  legge 29 aprile 2005, n. 71, nella parte in cui
consente l'esercizio delle azioni revocatorie previste dagli artt. 49
e 91, d.lgs. n. 270 in costanza di un programma di ristrutturazione e
per l'effetto, dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte
costituzionale;
    Sospende il giudizio in corso;
    Ordina che a cura della cancelleria il presente provvedimento sia
notificato  alle  parti  in  causa  e al Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Dispone   che   il  presente  provvedimento  sia  comunicato  dal
cancelliere ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
        Parma, addi' 16 febbraio 2006
                          Il giudice: Mari
06C0778