N. 343 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 aprile 2006
Ordinanza emessa il 7 aprile 2006 dalla Corte di appello di Torino nel procedimento penale a carico di Gotto Ferruccio ed altri Processo penale - Appello - Modifiche normative - Possibilita' per il pubblico ministero di proporre appello contro le sentenze di proscioglimento - Preclusione - Inammissibilita' dell'appello proposto prima dell'entrata in vigore della novella - Contrasto con il principio di ragionevolezza - Violazione del principio di parita' delle parti nel processo - Disparita' di trattamento tra pubblico ministero e parte civile - Lesione del principio della ragionevole durata del processo. - Codice di procedura penale, art. 593, come sostituito dall'art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46; legge 20 febbraio 2006, n. 46, art. 10. - Costituzione, artt. 3 e 111.(GU n.39 del 27-9-2006 )
LA CORTE DI APPELLO Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento penale a carico di 1) Gotto Ferruccio, nato a Villar Focchiardo (Torino) il 13 maggio 1948, elettivamente domiciliato presso lo studio difensori di fiducia avv. Andrea Galasso e Michele Galasso, entrambi del foro di Torino; 2) Portas Gianfranco, nato ad Iglesias (CA) il 23 settembre 1948, elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Michele Galasso del foro di Torino, difeso dagli avv. Giovanni Lageard e Maurizio Bortolotto del foro di Torino, di fiducia; 3) Strocchi Franco, nato a Torino il 3 maggio 1935, elettivamente domiciliato presso lo studio dei difensori di fiducia avv.ti Andrea Galasso e Michele Galasso del foro di Torino; imputati del reato di cui agli artt. 110, cpv., 572 c.p., come in atti specificato; Premesso che i predetti imputati sono stati tutti giudicati con sentenza emessa in data 3 maggio 2005 dal g.u.p. del tribunale di Torino con la quale Portas Gianfranco e Strocchi Franco sono stati dichiarati colpevoli del reato ascritto, con esclusione dei fatti contestati commessi in danno di una delle persone offese, condannati, riconosciute le attenuanti generiche e valutata la diminuente del rito, alla pena di mesi otto di reclusione ciascuno con i benefici di legge indicati nel dispositivo e con le correlative statuizioni in ordine agli interessi civili, mentre Gotto Ferruccio e' stato invece assolto dal reato continuato ascrittogli per non avere commesso il fatto; Rilevato che avverso tale sentenza (nonche' avverso l'ordinanza emessa dal g.u.p. in data 2 dicembre 2004) hanno separatamente presentato tempestivo appello i difensori degli imputati Portas Gianfranco e Trocchi Franco ed ha inoltre presentato tempestivo appello incidentale il p.m. presso il tribunale di Torino; Rilevato in particolare che negli appelli presentati dai difensori di Portas Gianfranco e di Strocchi Franco e' stata richiesta, tra l'altro, l'assoluzione degli imputati perche' il fatto non sussiste e nell'appello incidentale presentato dal p.m. e' stata invece richiesta la riforma della sentenza appellata e la conseguente condanna dell'imputato Gotto Ferruccio alla pena specificata dall'appellante; Rilevato che e' stata pertanto fissata udienza in camera di consiglio innanzi a questa sezione della corte di appello di Torino per la trattazione degli appelli come sopra proposti; Sentite le parti nel corso dell'udienza odierna; Rilevato che il difensore dell'imputato Gotto Ferruccio ha preliminarmente dichiarato che ai sensi dell'art. 595 comma 3 c.p.p. il suo assistito non appellante non intende partecipare al giudizio di appello e, pertanto, trattandosi di appello incidentale, ha chiesto che l'appello non abbia effetto nei suoi confronti; Rilevato che il p.g. ha oralmente richiesto che la corte di appello pronunciasse ordinanza con cui dichiarasse rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 593 c.p.p. (cosi' come modificato dall'art. 1 della legge 20 febbraio 2006 n. 46) e 10 primo, secondo e terzo comma della stessa legge per contrasto con gli artt. 3 e 111 della Costituzione, mentre il difensore delle parti civili Albadoro, Rovelli e Camassa si e' associato e gli altri difensori si sono rimessi; Tutto cio' premesso, la Corte di appello Osserva quanto segue 1. - Occorre preliminarmente rilevare che per errore il p.m. ha qualificato la propria impugnazione avverso l'assoluzione pronunciata in primo grado nei confronti dell'imputato Gotto Ferruccio come appello incidentale. In realta', tale qualificazione non e' esatta. Infatti, l'appello incidentale e' mezzo di impugnazione che deve essere limitato ai capi e ai punti dell'appello principale. Nel caso di specie, invece, il p.m. ha inteso appellare l'assoluzione dell'imputato Gotto in via principale, poiche' ha chiesto la riforma della pronuncia di assoluzione in ordine alla quale non era stato proposto appello alcuno dall'imputato o dalle altre parti. La disposizione dell'art. 568 comma 5 c.p.p. sancisce il principio della conservazione del mezzo di impugnazione, statuendo che l'impugnazione e' ammissibile indipendentemente dalla qualificazione ad essa data dalla parte che l'ha proposta. Tale disposizione deve pertanto essere applicata all'impugnazione presentata dal p.m., sicche' si deve escludere che l'erroneo nomen iuris possa pregiudicare l'ammissibilita' del mezzo di impugnazione proposto dal p.m. In conseguenza di quanto ora osservato, la richiesta della difesa dell'imputato Gotto Ferruccio non puo' essere accolta. 2. - E' dunque necessario valutare la questione di legittimita' costituzionale sollevata dal p.g. presso questa corte di appello degli artt. 593 c.p.p., come modificato dalla legge n. 46/2006, e dell'art. 10 commi primo, secondo e terzo della stessa legge. 2.1. - La voluntas legis e' indubbiamente nel senso indicato dal p.g., cioe' quella di precludere in ogni caso al p.m. ed all'imputato la facolta' di proporre appello avverso sentenza di proscioglimento, salva l'ipotesi che lo stesso p.m. nell'atto di appello abbia richiesto l'assunzione di una nuova prova sopravvenuta o scoperta dopo il giudizio di primo grado che il giudice reputi decisiva (ipotesi quest'ultima che non ricorre nel caso di specie). Non pare che vi sia materia a questo riguardo per nessun dubbio esegetico. Non pare infatti che si possa opporre, come taluno potrebbe prospettare, che l'appello proposto dal p.m. contro la sentenza di assoluzione emessa in primo grado, siccome inammissibile a mente dell'art. 10 secondo comma legge citata, deve automaticamente essere convertito in ricorso per cassazione, salvo poi convertirlo di nuovo in appello ex art. 580 c.p.p., avendo constatato a questo punto che contro la stessa sentenza possono dirsi proposti dei mezzi di impugnazione tra loro diversi e che e' ravvisabile la connessione di cui all'art. 12 c.p.p. tra le posizioni degli imputati a cui si riferiscono i singoli mezzi di impugnazione. 2.2. - La chiarezza della voluntas legis non esclude tuttavia che si renda ugualmente necessario interpretare la norma transitoria dell'art. 10 secondo comma della legge citata laddove prescrive al giudice, avanti il quale pende l'appello in seguito all'impugnazione proposta dal p.m. prima dell'entrata in vigore della stessa legge, di emettere ordinanza non impugnabile con la quale dichiarare l'inammissibilita' dell'appello stesso; non esclude che, inoltre, si renda anche necessario definire la portata e l'ambito di applicazione della norma dell'art. 10, terzo comma della stessa legge che prevede che entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore della nuova normativa puo' essere proposto ricorso per cassazione contro le sentenze di primo grado; non esclude che si debba, da ultimo, definire anche l'applicabilita' alla presente fattispecie della disposizione dell'art. 580 c.p.p. 2.3. - La corte di appello e' dell'avviso che l'appello proposto ex art. 595 c.p.p. debba essere considerato inammissibile in forza dell'art. 10 secondo comma legge citata. Per questa parte davvero in claris non fit intepretario. Per altro verso non condivide la tesi che fa leva sopra il poco convincente argomento che non e' necessaria un'espressa manifestazione di volonta' del p.m. di proporre ricorso per cassazione nelle forme prescritte perche' tale volonta' si puo' presumere dalla lettura dei motivi svolti nell'atto di appello che, secondo l'assunto che si commenta, si deve considerare inammissibile: tesi che avvia, con questo primo passo, la catena di successive inferenze tra loro strettamente collegate e consequenziali l'una all'altra delle quali si discute. Crede sia pertinente obiettare che non si puo' dedurre senza incorrere in una forzatura ermeneutica che l'appello proposto nell'interesse dell'imputato Gotto, in virtu' della declaranda inammissibilita', si deve intendere convertito automaticamente in ricorso in cassazione e si deve, infine, ritenere di nuovo convertito in appello in forza della disposizione dell'art. 580 c.p.p., stante la sussistenza della connessione ex art. 12 della posizione dello stesso imputato con quella degli altri imputati i cui difensori hanno proposto appello avverso la sentenza emessa in primo grado. L'interpretazione ora enunciata, oltre che assai macchinosa e, per la verita', poco lineare, e' palesemente fuorviante. Essa presuppone infatti che, in forza della norma dell'art. 10 secondo comma legge citata, l'appello presentato dal p.m. avverso l'assoluzione dell'imputato Gotto debba, almeno in una prima fase, essere considerato inammissibile e che questa constatazione dia, quindi, causa alla non breve serie di conseguenze prima riepilogata. Presuppone, pertanto, che la norma ora richiamata sia esente da profili di illegittimita' costituzionale e debba per questo motivo essere applicata riconoscendo virtualmente l'inammissibilita' dell'appello, salva la concatenazione delle successive inferenze di cui si e' detto che conduce, infine, ad un esito paradossalmente del tutto opposto, cioe' all'ammissibilita' dell'appello per effetto di una duplice conversione. Il presupposto da cui prende avvio il ragionamento criticato, in realta', non e' corretto. Non vale rilevare che, in quanto l'art. 10 secondo comma legge citata, parla testualmente di sentenza di proscioglimento, la sentenza appellata non e' una sentenza di proscioglimento perche' statuisce anche la condanna di altri imputati. Si tratta infatti di un'osservazione puramente letterale che non tiene conto del rilievo che, per il capo che si riferisce all'imputato Gotto, la sentenza impugnata dal p.m. e', appunto, una sentenza di proscioglimento. Occorre, inoltre, osservare che la sola esposizione della tesi che si commenta e' sufficiente a porre in risalto che la questione di legittimita' costituzionale sollevata dal p.g. presso questa corte di appello, riposando sopra l'assunto che le norme impugnate sono in contrasto con le disposizioni degli artt. 3 e 111 della carta costituzionale, e' chiaramente rilevante, perche', se ritenuta non manifestamente infondata, e' suscettibile di tradursi nell'affermazione dell'incostituzionalita' delle richiamate disposizioni di diritto transitorio; sicche' dunque permetterebbe di argomentare, con specifico riferimento al caso che interessa, che, tra le altre conseguenze della pretesa illegittimita' costituzionale, non e' consentita la successiva conversione dell'appello inammissibile in ricorso per cassazione e, per effetto di un passaggio ulteriore, di nuovo la sua conversione in appello. E' innegabile che la tesi esposta urta, del resto, contro l'osservazione che la norma dell'art. 580 c.p.p. contempla l'ipotesi che avverso la stessa sentenza siano proposti dei diversi mezzi di impugnazione, mentre invece nella fattispecie che ne occupa sono stati proposti dalle parti solamente dei distinti atti di appello, - uno dei quali deve essere dichiarato inammissibile a mente dell'art. 10 secondo comma legge citata, - e non dei diversi mezzi di impugnazione; che urta, inoltre, contro il rilievo che il p.m. non ha manifestato espressamente la volonta' che l'appello deve ritenersi convertito in ricorso per cassazione per l'eventualita' che esso debba essere considerato inammissibile; che urta, da ultimo, contro la considerazione che, se la menzionata disposizione fosse realmente viziata da illegittimita' costituzionale, sarebbe per cio' stesso superfluo esplorare la possibilita' della duplice conversione sopra prospettata. E' quindi a questo punto necessario affrontare il quesito che impone di stabilire se la questione di legittimita' costituzionale che il p.g. ha sottoposto all'attenzione della corte di appello sia, o non sia, manifestamente infondata, poiche' e' indubbia la rilevanza della predetta questione nel presente giudizio. 3..1. - In verita', la questione di legittimita' costituzionale intorno alla quale verte la richiesta formulata dal p.g. non puo' essere giudicata manifestamente infondata. Lo dimostrano le considerazioni qui di seguito sintetizzate. La carta costituzionale, come e' ampiamente noto, specifica i principi generali ai quali si deve adeguare la normativa processuale. Prescrive dunque, con il menzionato art. 111 secondo comma, che ogni processo si svolge nel contraddittorio delle parti; in condizioni di parita', davanti a giudice terzo ed imparziale. Soggiunge, inoltre, che la legge ne assicura la ragionevole durata. 3.2. - Costituisce, quindi, un necessario corollario dell'enunciazione sopra riportata, in quanto la condizione di parita' costituisce uno dei principi che ispirano il giusto processo, che tale condizione deve essere assicurata con rigore, poiche' si deve ritenere che la tutela dell'accennata condizione di parita' realizzi il perseguimento di un valore a cui e' riconosciuto rango costituzionale. Occorre dunque risolvere obbligatoriamente, a questo punto, il quesito che impone di chiarire se, in quanto all'imputato spetta il diritto di appellare le sentenza di condanna, la correlativa possibilita' per l'organo del p.m. di proporre appello avverso le sentenze di assoluzione rappresenta un modo non rinunciabile attraverso il quale la predetta condizione di parita' deve immancabilmente trovare concreta attuazione. La corte di appello reputa di dare al quesito una risposta affermativa. E' vero che si e' autorevolmente osservato che l'attuazione della condizione di parita' deve avvenire nel processo, mediante il mezzo costituito dal contraddittorio delle parti, e non attraverso l'attribuzione al p.m. di una facolta' di impugnazione altrettanto estesa quanto quella che spetta all'imputato avverso le sentenza di condanna. Tuttavia l'argomento addotto non e' decisivo. Appare invece conforme alla portata che deve essere riconosciuta alla ricordata condizione di parita' ed alla finalita' di non vulnerare, appunto, la tutela dell'interesse costituzionale al quale essa e' preordinata, osservare che non si puo' aderire ad un'accezione cosi' angusta del dettato dell'art. 111 secondo comma della Costituzione senza che, in realta', venga pregiudicato un aspetto essenziale della stessa parita' che il legislatore costituzionale vuole che sia invece garantita senza riserve o eccezioni. 3.3. - Aderendo all'opinione contraria, sarebbe gravemente alterata la regolarita' del processo penale. In esso, infatti, si devono confrontare le ragioni di parti che, in quanto sono depositarie di interessi contrastanti che la Costituzione tutela attribuendo loro una pari rilevanza, non possono essere poste in posizioni di cosi' accentuata ineguaglianza di trattamento quale quella che deriva dalla previsione di inammissibilita' dell'appello del p.m. contro le sentenze di assoluzione. Occorre invero rilevare che nel processo il p.m. esercita la pretesa dello Stato alla punizione del colpevole che, a sua volta, deve essere messa in relazione con il principio costituzionale dell'obbligatorieta' dell'azione penale di cui all'art. 112 della Costituzione. Orbene, mentre l'imputato con la modifica della normativa della cui legittimita' costituzionale ora si controverte rimane titolare ad ogni effetto del potere di impugnare la sentenza di condanna a garanzia della pretesa di essere ritenuto innocente, il p.m. viene invece privato di un mezzo di primaria importanza al fine di ottenere che venga affermata nel processo la pretesa dello Stato alla punizione del colpevole, sebbene anche questa pretesa goda di una tutela costituzionale che e' di grado non minore di quella che viene riconosciuta all'opposto interesse dell'imputato. La disparita' di trattamento che ne deriva si pone percio' in contrasto con l'art. 111 secondo comma della Costituzione nella parte in cui prevede che il processo si svolga in condizione di parita' tra le parti, cioe' in una condizione di diritto che assicuri a ciascuna parte processuale eguali mezzi per raggiungere le finalita' che ad ognuna di esse spetta di perseguire. 3.4. - Non rileva obiettare che la normativa di cui si discute riduce anche i casi in cui le sentenze di proscioglimento possono essere appellate dall'imputato poiche' esclude dall'appello le sentenze di proscioglimento pronunciate perche' il fatto non costituisce reato, o perche' l'imputato non e' punibile o perche' l'azione penale non e' procedibile. E' infatti innegabile che la riduzione della facolta' dell'imputato di appellare in tal modo operata non bilancia l'esclusione in toto del potere del p.m. di appellare qualunque sentenza di proscioglimento. Non rileva nemmeno che altre disposizioni in materia processuale abbiano in passato limitato la facolta' del p.m. di proporre impugnazione e che, in particolare, l'art. 443 terzo comma c.p.p. abbia escluso la facolta' del p.m. di appellare la sentenza di condanna pronunciata a seguito di giudizio abbreviato. Infatti la Corte costituzionale ha ritenuto con l'ordinanza n. 421/2001 che detta ultima limitazione non fosse in contrasto con i principi stabiliti nell'art. 111 della Costituzione con motivazione che non puo' essere estesa al caso in esame. E' noto che, con tale pronuncia, ha precisato che la Costituzione, mentre prevede la parita' delle parti nel processo, non attribuisce necessariamente a queste identiche facolta' nel processo. Tuttavia e' necessario soggiungere che l'ordinanza citata ha confermato, nell'occasione, che una disparita' di trattamento puo' essere ragionevolmente giustificata quando siano contemporaneamente preservate la speciale posizione del p.m. e dell'imputato e le esigenze che sono connesse con la corretta amministrazione della giustizia. Infatti ha chiarito che l'esigenza di assicurare la ragionevole durata del processo trova attuazione nel giudizio abbreviato, poiche' questo giudizio consente di utilizzare senza procedere al filtro del dibattimento il materiale di prova acquisito dal p.m. nelle indagini preliminari. Conseguentemente la rinuncia da parte dell'imputato al contraddittorio nell'assunzione delle prove giustifica, alla stregua di quanto ha ritenuto il giudice delle leggi, la disposizione dell'art. 443 terzo comma c.p.p. che, in ossequio all'esigenza di bilanciare divergenti interessi, esclude che il p.m. possa appellare la sentenza di condanna emessa a seguito di giudizio abbreviato. Nel caso in esame, per contro, l'esclusione della facolta' del p.m. di presentare appello contro le sentenze di proscioglimento non trova nessun corrispettivo in un correlativo atto compiuto dall'imputato che abbia l'effetto di contribuire alla ragionevole durata del processo. L'esclusione della facolta' di appellare in questo caso non trova, pertanto, giustificazione ed appare quindi manifestamente irragionevole, cosi' violando il disposto dell'art. 3 della Costituzione. 3.5. - Un distinto profilo sotto il quale la normativa esaminata appare causa di un possibile illegittimita' costituzionale deve essere ricercato nella disparita' di trattamento che viene introdotta tra il p.m. e la parte civile. Pare infatti che a quest'ultima parte attraverso la soppressione nell'art. 576 primo comma c.p.p. dell'inciso con il mezzi previsto per il pubblico ministero, sia stato mantenuto il potere di appellare, come si evince dal rilievo che non e' stata modificata la disposizione dell'art. 75 c.p.p. che prevede il trasferimento dell'azione civile dal processo civile a quello penale. Si perviene in tal modo all'assurda conseguenza che alla parte civile, malgrado persegua degli interessi eminentemente privati, e' garantito un potere di appello che viene invece sottratto al p.m., sebbene questo sia titolare della pretesa punitiva dello Stato, cioe' di una pretesa che certamente non e' di minore rilievo ai fini del corretto perseguimento dei principi del giusto processo. 3.6. - All'opposto di quanto si potrebbe pensare sulla base di un esame superficiale, anche il principio della ragionevole durata del processo viene leso dalla norma di cui si eccepisce l'illegittimita' costituzionale. Infatti, solo in apparenza essa si traduce nell'eliminazione di un grado di giudizio nei casi in cui, secondo la disposizione che e' stata modificata, il p.m. poteva presentare appello avverso la sentenza di proscioglimento. Nella realta', invece, e' stata prevista una disciplina eccessivamente complessa in forza della quale la Corte di cassazione e' chiamata a valutare, a norma dell'art. 606 lett. e) c.p.p., la mancanza, la contraddittorieta' o la manifesta illogicita' della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame. Non e' fuori luogo osservare che l'estensione del sindacato della Corte di cassazione alla conformita' al fatto della motivazione della sentenza di proscioglimento, mentre altera la natura del giudizio di legittimita' che viene cosi' dilatato incongruamente fino a valutare il fatto con stravolgimento della stessa funzione della corte di legittimita', per altro verso costituisce un'innovazione che puo' comportare un tale aggravio dei tempi del processo da concretare una lesione del principio della ragionevole durata. E' in altre parole, ragionevole pensare che dall'estensione del sindacato della Corte di legittimita' discendera' nell'applicazione concreta, quale prevedibile conseguenza, una dilatazione dei tempi del processo, cosi' causando una distinta lesione ad uno dei principi del giusto processo che trovano tutela nell'art. 111 secondo comma della Costituzione. 4. - Concludendo, la questione di legittimita' costituzionale che il p.g. ha sottoposto all'attenzione di questo giudice e' rilevante e non e' manifestamente infondata. Deve dunque essere sottoposta al vaglio della Corte costituzionale.
P. Q. M. Visto l'art. 23 legge 11 marzo 1953 n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 593 c.p.p. (cosi' come modificato dall'art. 1 della legge 20 febbraio 2006 n. 46) e 10 primo, secondo e terzo comma della stessa legge per contrasto con gli artt. 3 e 111 della Costituzione; Pertanto dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Sospende il giudizio in corso ed i termini di prescrizione del reato; Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e che essa sia comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Torino, addi' 7 aprile 2006 Il Presidente: Ogge' 06C0793