N. 343 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 aprile 2006

Ordinanza  emessa  il  7 aprile 2006 dalla Corte di appello di Torino
nel procedimento penale a carico di Gotto Ferruccio ed altri

Processo penale - Appello - Modifiche normative - Possibilita' per il
  pubblico  ministero  di  proporre  appello  contro  le  sentenze di
  proscioglimento   -  Preclusione  -  Inammissibilita'  dell'appello
  proposto prima dell'entrata in vigore della novella - Contrasto con
  il  principio  di  ragionevolezza  -  Violazione  del  principio di
  parita'  delle  parti  nel processo - Disparita' di trattamento tra
  pubblico  ministero  e  parte  civile - Lesione del principio della
  ragionevole durata del processo.
- Codice  di  procedura penale, art. 593, come sostituito dall'art. 1
  della legge 20 febbraio 2006, n. 46; legge 20 febbraio 2006, n. 46,
  art. 10.
- Costituzione, artt. 3 e 111.
(GU n.39 del 27-9-2006 )
                         LA CORTE DI APPELLO

    Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza nel procedimento penale a
carico  di  1) Gotto  Ferruccio, nato a Villar Focchiardo (Torino) il
13 maggio  1948, elettivamente domiciliato presso lo studio difensori
di  fiducia  avv. Andrea Galasso e Michele Galasso, entrambi del foro
di   Torino;   2) Portas   Gianfranco,   nato  ad  Iglesias  (CA)  il
23 settembre   1948,   elettivamente  domiciliato  presso  lo  studio
dell'avv. Michele  Galasso  del  foro  di  Torino,  difeso dagli avv.
Giovanni  Lageard  e  Maurizio  Bortolotto  del  foro  di  Torino, di
fiducia;   3) Strocchi  Franco,  nato  a  Torino  il  3 maggio  1935,
elettivamente  domiciliato  presso lo studio dei difensori di fiducia
avv.ti  Andrea Galasso e Michele Galasso del foro di Torino; imputati
del  reato  di  cui  agli  artt. 110,  cpv.,  572  c.p., come in atti
specificato;
    Premesso  che  i predetti imputati sono stati tutti giudicati con
sentenza  emessa  in  data  3 maggio 2005 dal g.u.p. del tribunale di
Torino  con  la  quale Portas Gianfranco e Strocchi Franco sono stati
dichiarati  colpevoli  del  reato  ascritto, con esclusione dei fatti
contestati commessi in danno di una delle persone offese, condannati,
riconosciute  le  attenuanti  generiche  e valutata la diminuente del
rito, alla pena di mesi otto di reclusione ciascuno con i benefici di
legge  indicati  nel  dispositivo e con le correlative statuizioni in
ordine  agli interessi civili, mentre Gotto Ferruccio e' stato invece
assolto  dal  reato  continuato ascrittogli per non avere commesso il
fatto;
    Rilevato  che  avverso tale sentenza (nonche' avverso l'ordinanza
emessa  dal  g.u.p.  in  data  2 dicembre  2004)  hanno separatamente
presentato  tempestivo  appello  i  difensori  degli  imputati Portas
Gianfranco  e  Trocchi  Franco  ed  ha  inoltre presentato tempestivo
appello incidentale il p.m. presso il tribunale di Torino;
    Rilevato   in   particolare  che  negli  appelli  presentati  dai
difensori  di  Portas  Gianfranco  e  di  Strocchi  Franco  e'  stata
richiesta, tra l'altro, l'assoluzione degli imputati perche' il fatto
non  sussiste e nell'appello incidentale presentato dal p.m. e' stata
invece richiesta la riforma della sentenza appellata e la conseguente
condanna   dell'imputato   Gotto   Ferruccio  alla  pena  specificata
dall'appellante;
    Rilevato  che  e'  stata  pertanto  fissata  udienza in camera di
consiglio  innanzi  a questa sezione della corte di appello di Torino
per la trattazione degli appelli come sopra proposti;
    Sentite le parti nel corso dell'udienza odierna;
    Rilevato  che  il  difensore  dell'imputato  Gotto  Ferruccio  ha
preliminarmente  dichiarato che ai sensi dell'art. 595 comma 3 c.p.p.
il  suo  assistito non appellante non intende partecipare al giudizio
di  appello  e,  pertanto,  trattandosi  di  appello  incidentale, ha
chiesto che l'appello non abbia effetto nei suoi confronti;
    Rilevato  che  il  p.g.  ha  oralmente  richiesto che la corte di
appello  pronunciasse  ordinanza  con cui dichiarasse rilevante e non
manifestamente  infondata la questione di legittimita' costituzionale
degli artt. 593 c.p.p. (cosi' come modificato dall'art. 1 della legge
20 febbraio  2006  n. 46)  e  10  primo,  secondo e terzo comma della
stessa  legge per contrasto con gli artt. 3 e 111 della Costituzione,
mentre il difensore delle parti civili Albadoro, Rovelli e Camassa si
e' associato e gli altri difensori si sono rimessi;
    Tutto cio' premesso, la Corte di appello

                        Osserva quanto segue

    1.  -  Occorre preliminarmente rilevare che per errore il p.m. ha
qualificato la propria impugnazione avverso l'assoluzione pronunciata
in  primo  grado  nei  confronti  dell'imputato  Gotto Ferruccio come
appello  incidentale.  In realta', tale qualificazione non e' esatta.
Infatti,  l'appello  incidentale  e'  mezzo  di impugnazione che deve
essere  limitato ai capi e ai punti dell'appello principale. Nel caso
di   specie,  invece,  il  p.m.  ha  inteso  appellare  l'assoluzione
dell'imputato  Gotto in via principale, poiche' ha chiesto la riforma
della  pronuncia  di  assoluzione  in ordine alla quale non era stato
proposto appello alcuno dall'imputato o dalle altre parti.
    La   disposizione   dell'art. 568   comma 5  c.p.p.  sancisce  il
principio  della  conservazione  del mezzo di impugnazione, statuendo
che    l'impugnazione    e'   ammissibile   indipendentemente   dalla
qualificazione  ad  essa  data  dalla  parte  che l'ha proposta. Tale
disposizione   deve   pertanto   essere   applicata  all'impugnazione
presentata  dal  p.m.,  sicche' si deve escludere che l'erroneo nomen
iuris  possa  pregiudicare l'ammissibilita' del mezzo di impugnazione
proposto dal p.m.
    In conseguenza di quanto ora osservato, la richiesta della difesa
dell'imputato Gotto Ferruccio non puo' essere accolta.
    2.  -  E' dunque necessario valutare la questione di legittimita'
costituzionale  sollevata  dal  p.g.  presso  questa corte di appello
degli  artt. 593  c.p.p.,  come  modificato dalla legge n. 46/2006, e
dell'art. 10 commi primo, secondo e terzo della stessa legge.
    2.1.  - La voluntas legis e' indubbiamente nel senso indicato dal
p.g., cioe' quella di precludere in ogni caso al p.m. ed all'imputato
la  facolta' di proporre appello avverso sentenza di proscioglimento,
salva  l'ipotesi  che  lo  stesso  p.m.  nell'atto  di  appello abbia
richiesto  l'assunzione  di  una  nuova prova sopravvenuta o scoperta
dopo  il  giudizio  di  primo  grado  che  il giudice reputi decisiva
(ipotesi quest'ultima che non ricorre nel caso di specie).
    Non  pare  che vi sia materia a questo riguardo per nessun dubbio
esegetico.  Non  pare  infatti  che  si  possa  opporre,  come taluno
potrebbe  prospettare,  che  l'appello  proposto  dal  p.m. contro la
sentenza  di assoluzione emessa in primo grado, siccome inammissibile
a mente dell'art. 10 secondo comma legge citata, deve automaticamente
essere convertito in ricorso per cassazione, salvo poi convertirlo di
nuovo in appello ex art. 580 c.p.p., avendo constatato a questo punto
che  contro  la  stessa  sentenza possono dirsi proposti dei mezzi di
impugnazione  tra loro diversi e che e' ravvisabile la connessione di
cui  all'art. 12  c.p.p.  tra  le  posizioni  degli imputati a cui si
riferiscono i singoli mezzi di impugnazione.
    2.2. - La chiarezza della voluntas legis non esclude tuttavia che
si  renda  ugualmente  necessario  interpretare  la norma transitoria
dell'art. 10  secondo  comma  della legge citata laddove prescrive al
giudice,  avanti il quale pende l'appello in seguito all'impugnazione
proposta dal p.m. prima dell'entrata in vigore della stessa legge, di
emettere   ordinanza   non   impugnabile   con  la  quale  dichiarare
l'inammissibilita'  dell'appello stesso; non esclude che, inoltre, si
renda anche necessario definire la portata e l'ambito di applicazione
della  norma dell'art. 10, terzo comma della stessa legge che prevede
che entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore della
nuova normativa puo' essere proposto ricorso per cassazione contro le
sentenze  di  primo  grado;  non  esclude  che  si  debba, da ultimo,
definire  anche  l'applicabilita'  alla  presente  fattispecie  della
disposizione dell'art. 580 c.p.p.
    2.3.  - La corte di appello e' dell'avviso che l'appello proposto
ex  art. 595  c.p.p.  debba essere considerato inammissibile in forza
dell'art. 10  secondo comma legge citata. Per questa parte davvero in
claris non fit intepretario.
    Per  altro  verso non condivide la tesi che fa leva sopra il poco
convincente    argomento    che   non   e'   necessaria   un'espressa
manifestazione   di   volonta'  del  p.m.  di  proporre  ricorso  per
cassazione  nelle  forme  prescritte  perche'  tale  volonta' si puo'
presumere  dalla  lettura dei motivi svolti nell'atto di appello che,
secondo l'assunto che si commenta, si deve considerare inammissibile:
tesi  che  avvia,  con  questo  primo  passo, la catena di successive
inferenze  tra  loro  strettamente  collegate  e consequenziali l'una
all'altra  delle quali si discute. Crede sia pertinente obiettare che
non  si puo' dedurre senza incorrere in una forzatura ermeneutica che
l'appello  proposto  nell'interesse  dell'imputato  Gotto,  in virtu'
della  declaranda  inammissibilita',  si  deve  intendere  convertito
automaticamente  in ricorso in cassazione e si deve, infine, ritenere
di   nuovo   convertito   in  appello  in  forza  della  disposizione
dell'art. 580  c.p.p.,  stante  la  sussistenza  della connessione ex
art. 12  della posizione dello stesso imputato con quella degli altri
imputati  i  cui difensori hanno proposto appello avverso la sentenza
emessa in primo grado.
    L'interpretazione  ora  enunciata,  oltre che assai macchinosa e,
per la verita', poco lineare, e' palesemente fuorviante.
    Essa  presuppone  infatti  che, in forza della norma dell'art. 10
secondo  comma  legge  citata,  l'appello presentato dal p.m. avverso
l'assoluzione  dell'imputato  Gotto  debba, almeno in una prima fase,
essere  considerato  inammissibile  e  che  questa constatazione dia,
quindi, causa alla non breve serie di conseguenze prima riepilogata.
    Presuppone,  pertanto,  che la norma ora richiamata sia esente da
profili  di  illegittimita'  costituzionale e debba per questo motivo
essere   applicata   riconoscendo   virtualmente   l'inammissibilita'
dell'appello,  salva  la concatenazione delle successive inferenze di
cui  si e' detto che conduce, infine, ad un esito paradossalmente del
tutto  opposto,  cioe' all'ammissibilita' dell'appello per effetto di
una duplice conversione.
    Il  presupposto da cui prende avvio il ragionamento criticato, in
realta',  non e' corretto. Non vale rilevare che, in quanto l'art. 10
secondo  comma  legge  citata,  parla  testualmente  di  sentenza  di
proscioglimento,  la  sentenza  appellata  non  e'  una  sentenza  di
proscioglimento   perche'   statuisce  anche  la  condanna  di  altri
imputati.  Si  tratta  infatti di un'osservazione puramente letterale
che  non  tiene  conto  del rilievo che, per il capo che si riferisce
all'imputato  Gotto,  la sentenza impugnata dal p.m. e', appunto, una
sentenza di proscioglimento.
    Occorre,  inoltre,  osservare  che la sola esposizione della tesi
che si commenta e' sufficiente a porre in risalto che la questione di
legittimita' costituzionale sollevata dal p.g. presso questa corte di
appello,  riposando  sopra  l'assunto  che le norme impugnate sono in
contrasto  con  le  disposizioni  degli  artt. 3  e  111  della carta
costituzionale,  e'  chiaramente  rilevante, perche', se ritenuta non
manifestamente     infondata,    e'    suscettibile    di    tradursi
nell'affermazione     dell'incostituzionalita'    delle    richiamate
disposizioni  di diritto transitorio; sicche' dunque permetterebbe di
argomentare,  con  specifico  riferimento al caso che interessa, che,
tra le altre conseguenze della pretesa illegittimita' costituzionale,
non    e'   consentita   la   successiva   conversione   dell'appello
inammissibile  in  ricorso  per  cassazione  e,  per  effetto  di  un
passaggio ulteriore, di nuovo la sua conversione in appello.
    E'  innegabile  che  la  tesi  esposta  urta,  del  resto, contro
l'osservazione  che la norma dell'art. 580 c.p.p. contempla l'ipotesi
che  avverso  la  stessa sentenza siano proposti dei diversi mezzi di
impugnazione,  mentre  invece  nella  fattispecie  che ne occupa sono
stati  proposti dalle parti solamente dei distinti atti di appello, -
uno   dei   quali   deve  essere  dichiarato  inammissibile  a  mente
dell'art. 10 secondo comma legge citata, - e non dei diversi mezzi di
impugnazione; che urta, inoltre, contro il rilievo che il p.m. non ha
manifestato  espressamente  la  volonta' che l'appello deve ritenersi
convertito  in  ricorso  per  cassazione  per l'eventualita' che esso
debba  essere  considerato inammissibile; che urta, da ultimo, contro
la  considerazione che, se la menzionata disposizione fosse realmente
viziata  da  illegittimita'  costituzionale,  sarebbe per cio' stesso
superfluo  esplorare  la possibilita' della duplice conversione sopra
prospettata.
    E'  quindi  a  questo  punto necessario affrontare il quesito che
impone  di  stabilire  se la questione di legittimita' costituzionale
che  il p.g. ha sottoposto all'attenzione della corte di appello sia,
o non sia, manifestamente infondata, poiche' e' indubbia la rilevanza
della predetta questione nel presente giudizio.
    3..1.  -  In verita', la questione di legittimita' costituzionale
intorno  alla  quale  verte  la richiesta formulata dal p.g. non puo'
essere   giudicata   manifestamente   infondata.   Lo  dimostrano  le
considerazioni qui di seguito sintetizzate.
    La  carta  costituzionale,  come  e' ampiamente noto, specifica i
principi generali ai quali si deve adeguare la normativa processuale.
Prescrive  dunque, con il menzionato art. 111 secondo comma, che ogni
processo  si svolge nel contraddittorio delle parti; in condizioni di
parita',  davanti  a giudice terzo ed imparziale. Soggiunge, inoltre,
che la legge ne assicura la ragionevole durata.
    3.2.    -   Costituisce,   quindi,   un   necessario   corollario
dell'enunciazione sopra riportata, in quanto la condizione di parita'
costituisce  uno  dei  principi  che ispirano il giusto processo, che
tale  condizione  deve  essere assicurata con rigore, poiche' si deve
ritenere  che la tutela dell'accennata condizione di parita' realizzi
il   perseguimento   di   un  valore  a  cui  e'  riconosciuto  rango
costituzionale.
    Occorre  dunque  risolvere  obbligatoriamente, a questo punto, il
quesito  che  impone di chiarire se, in quanto all'imputato spetta il
diritto   di  appellare  le  sentenza  di  condanna,  la  correlativa
possibilita'  per  l'organo  del  p.m. di proporre appello avverso le
sentenze   di   assoluzione  rappresenta  un  modo  non  rinunciabile
attraverso   il   quale   la  predetta  condizione  di  parita'  deve
immancabilmente trovare concreta attuazione.
    La  corte  di  appello  reputa  di  dare  al quesito una risposta
affermativa.
    E' vero che si e' autorevolmente osservato che l'attuazione della
condizione  di  parita' deve avvenire nel processo, mediante il mezzo
costituito   dal   contraddittorio  delle  parti,  e  non  attraverso
l'attribuzione  al  p.m.  di una facolta' di impugnazione altrettanto
estesa  quanto  quella che spetta all'imputato avverso le sentenza di
condanna. Tuttavia l'argomento addotto non e' decisivo.
    Appare  invece conforme alla portata che deve essere riconosciuta
alla  ricordata  condizione  di  parita'  ed  alla  finalita'  di non
vulnerare,  appunto, la tutela dell'interesse costituzionale al quale
essa   e'   preordinata,   osservare  che  non  si  puo'  aderire  ad
un'accezione  cosi'  angusta  del dettato dell'art. 111 secondo comma
della  Costituzione  senza  che,  in  realta',  venga pregiudicato un
aspetto   essenziale   della   stessa   parita'  che  il  legislatore
costituzionale  vuole  che  sia  invece  garantita  senza  riserve  o
eccezioni.
    3.3.   -  Aderendo  all'opinione  contraria,  sarebbe  gravemente
alterata  la  regolarita'  del  processo penale. In esso, infatti, si
devono   confrontare   le  ragioni  di  parti  che,  in  quanto  sono
depositarie  di  interessi  contrastanti  che  la Costituzione tutela
attribuendo  loro  una  pari  rilevanza,  non possono essere poste in
posizioni  di  cosi'  accentuata  ineguaglianza  di trattamento quale
quella  che  deriva dalla previsione di inammissibilita' dell'appello
del p.m. contro le sentenze di assoluzione.
    Occorre  invero  rilevare  che  nel  processo il p.m. esercita la
pretesa  dello  Stato  alla punizione del colpevole che, a sua volta,
deve  essere  messa  in  relazione  con  il  principio costituzionale
dell'obbligatorieta'  dell'azione  penale  di  cui all'art. 112 della
Costituzione.
    Orbene,  mentre  l'imputato con la modifica della normativa della
cui legittimita' costituzionale ora si controverte rimane titolare ad
ogni  effetto  del  potere  di  impugnare  la  sentenza di condanna a
garanzia  della  pretesa  di essere ritenuto innocente, il p.m. viene
invece privato di un mezzo di primaria importanza al fine di ottenere
che  venga  affermata  nel  processo  la  pretesa  dello  Stato  alla
punizione  del  colpevole,  sebbene  anche questa pretesa goda di una
tutela  costituzionale che e' di grado non minore di quella che viene
riconosciuta all'opposto interesse dell'imputato.
    La  disparita'  di  trattamento  che ne deriva si pone percio' in
contrasto con l'art. 111 secondo comma della Costituzione nella parte
in cui prevede che il processo si svolga in condizione di parita' tra
le  parti, cioe' in una condizione di diritto che assicuri a ciascuna
parte  processuale  eguali  mezzi per raggiungere le finalita' che ad
ognuna di esse spetta di perseguire.
    3.4.  -  Non  rileva obiettare che la normativa di cui si discute
riduce  anche  i  casi  in cui le sentenze di proscioglimento possono
essere   appellate  dall'imputato  poiche'  esclude  dall'appello  le
sentenze   di   proscioglimento  pronunciate  perche'  il  fatto  non
costituisce  reato,  o  perche'  l'imputato non e' punibile o perche'
l'azione penale non e' procedibile.
    E'   infatti   innegabile   che   la   riduzione  della  facolta'
dell'imputato   di   appellare  in  tal  modo  operata  non  bilancia
l'esclusione  in  toto  del  potere  del  p.m. di appellare qualunque
sentenza di proscioglimento.
    Non  rileva nemmeno che altre disposizioni in materia processuale
abbiano  in  passato  limitato  la  facolta'  del  p.m.  di  proporre
impugnazione  e  che,  in  particolare, l'art. 443 terzo comma c.p.p.
abbia  escluso  la  facolta'  del  p.m.  di  appellare la sentenza di
condanna pronunciata a seguito di giudizio abbreviato.
    Infatti  la  Corte  costituzionale  ha  ritenuto  con l'ordinanza
n. 421/2001 che detta ultima limitazione non fosse in contrasto con i
principi  stabiliti  nell'art. 111 della Costituzione con motivazione
che non puo' essere estesa al caso in esame.
    E'   noto   che,   con   tale  pronuncia,  ha  precisato  che  la
Costituzione, mentre prevede la parita' delle parti nel processo, non
attribuisce necessariamente a queste identiche facolta' nel processo.
Tuttavia   e'   necessario  soggiungere  che  l'ordinanza  citata  ha
confermato,  nell'occasione,  che  una disparita' di trattamento puo'
essere  ragionevolmente  giustificata quando siano contemporaneamente
preservate  la  speciale  posizione  del  p.m.  e  dell'imputato e le
esigenze  che  sono  connesse  con  la corretta amministrazione della
giustizia.  Infatti  ha  chiarito  che  l'esigenza  di  assicurare la
ragionevole   durata  del  processo  trova  attuazione  nel  giudizio
abbreviato,  poiche'  questo  giudizio  consente  di utilizzare senza
procedere  al filtro del dibattimento il materiale di prova acquisito
dal  p.m. nelle indagini preliminari. Conseguentemente la rinuncia da
parte  dell'imputato  al  contraddittorio nell'assunzione delle prove
giustifica,  alla  stregua  di  quanto  ha  ritenuto il giudice delle
leggi,  la  disposizione  dell'art. 443  terzo  comma  c.p.p. che, in
ossequio all'esigenza di bilanciare divergenti interessi, esclude che
il  p.m.  possa appellare la sentenza di condanna emessa a seguito di
giudizio abbreviato.
    Nel  caso  in  esame, per contro, l'esclusione della facolta' del
p.m.  di presentare appello contro le sentenze di proscioglimento non
trova   nessun   corrispettivo   in   un  correlativo  atto  compiuto
dall'imputato  che  abbia  l'effetto  di contribuire alla ragionevole
durata del processo.
    L'esclusione  della  facolta'  di  appellare  in  questo caso non
trova,  pertanto,  giustificazione  ed  appare  quindi manifestamente
irragionevole,   cosi'   violando   il   disposto  dell'art. 3  della
Costituzione.
    3.5.  - Un distinto profilo sotto il quale la normativa esaminata
appare  causa  di  un  possibile  illegittimita'  costituzionale deve
essere ricercato nella disparita' di trattamento che viene introdotta
tra  il p.m. e la parte civile. Pare infatti che a quest'ultima parte
attraverso   la   soppressione   nell'art. 576   primo  comma  c.p.p.
dell'inciso  con  il  mezzi  previsto  per il pubblico ministero, sia
stato  mantenuto  il  potere di appellare, come si evince dal rilievo
che  non  e' stata modificata la disposizione dell'art. 75 c.p.p. che
prevede  il  trasferimento  dell'azione  civile dal processo civile a
quello penale.
    Si  perviene  in  tal modo all'assurda conseguenza che alla parte
civile,  malgrado  persegua degli interessi eminentemente privati, e'
garantito  un  potere  di appello che viene invece sottratto al p.m.,
sebbene questo sia titolare della pretesa punitiva dello Stato, cioe'
di  una  pretesa  che certamente non e' di minore rilievo ai fini del
corretto perseguimento dei principi del giusto processo.
    3.6. - All'opposto di quanto si potrebbe pensare sulla base di un
esame  superficiale,  anche il principio della ragionevole durata del
processo  viene leso dalla norma di cui si eccepisce l'illegittimita'
costituzionale.
    Infatti,  solo  in apparenza essa si traduce nell'eliminazione di
un  grado di giudizio nei casi in cui, secondo la disposizione che e'
stata  modificata,  il  p.m.  poteva  presentare  appello  avverso la
sentenza di proscioglimento. Nella realta', invece, e' stata prevista
una disciplina eccessivamente complessa in forza della quale la Corte
di  cassazione e' chiamata a valutare, a norma dell'art. 606 lett. e)
c.p.p., la mancanza, la contraddittorieta' o la manifesta illogicita'
della   motivazione,   quando   il   vizio   risulta  dal  testo  del
provvedimento   impugnato   ovvero   da   altri   atti  del  processo
specificamente indicati nei motivi di gravame.
    Non e' fuori luogo osservare che l'estensione del sindacato della
Corte di cassazione alla conformita' al fatto della motivazione della
sentenza  di proscioglimento, mentre altera la natura del giudizio di
legittimita'  che viene cosi' dilatato incongruamente fino a valutare
il  fatto  con  stravolgimento  della  stessa funzione della corte di
legittimita',  per  altro  verso  costituisce un'innovazione che puo'
comportare  un tale aggravio dei tempi del processo da concretare una
lesione del principio della ragionevole durata.
    E'  in  altre parole, ragionevole pensare che dall'estensione del
sindacato  della  Corte di legittimita' discendera' nell'applicazione
concreta,  quale  prevedibile  conseguenza, una dilatazione dei tempi
del processo, cosi' causando una distinta lesione ad uno dei principi
del  giusto  processo  che trovano tutela nell'art. 111 secondo comma
della Costituzione.
    4. - Concludendo, la questione di legittimita' costituzionale che
il p.g. ha sottoposto all'attenzione di questo giudice e' rilevante e
non e' manifestamente infondata.
    Deve   dunque   essere   sottoposta   al   vaglio   della   Corte
costituzionale.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23 legge 11 marzo 1953 n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'   costituzionale  degli  artt. 593  c.p.p.  (cosi'  come
modificato  dall'art. 1  della  legge  20 febbraio  2006  n. 46) e 10
primo, secondo e terzo comma della stessa legge per contrasto con gli
artt. 3 e 111 della Costituzione;
    Pertanto  dispone  l'immediata trasmissione degli atti alla Corte
costituzionale;
    Sospende  il  giudizio  in corso ed i termini di prescrizione del
reato;
    Ordina  che,  a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia
notificata  al  Presidente  del Consiglio dei ministri e che essa sia
comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della
Repubblica.
        Torino, addi' 7 aprile 2006
                        Il Presidente: Ogge'
06C0793