N. 352 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 maggio 2006
Ordinanza emessa il 17 maggio 2006 dalla Corte dei conti - Sezione giurisdizionale d'appello per la Regione Siciliana - sugli appelli riuniti proposti da De Gaetano Rosario ed altro contro Procuratore regionale presso la Sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana. Corte dei conti - Giudizi di responsabilita' - Soggetti condannati per fatti commessi prima dell'entrata in vigore della legge censurata - Possibilita' di chiedere, in sede di appello, la definizione del giudizio mediante il pagamento di una somma non inferiore al 10 per cento e non superiore al 20 per cento del danno quantificato nella sentenza di primo grado - Irrazionalita' - Violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione - Interferenza sulla funzione giurisdizionale - Violazione del principio di separazione del potere legislativo dal potere giudiziario. - Legge 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 231. - Costituzione, artt. 3, 97, 101 e 103. Corte dei conti - Giudizio di responsabilita' - Soggetti condannati per fatti commessi prima dell'entrata in vigore della legge censurata - Giudizio di impugnazione - Possibilita' della sezione di appello della Corte dei conti, in caso di accoglimento della richiesta di riduzione del danno, di determinare la riduzione della somma dovuta in misura non superiore al 30 per cento del danno quantificato nella sentenza di primo grado - Irrazionalita' - Violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione - Interferenza sulla funzione giurisdizionale. - Legge 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 232. - Costituzione, artt. 3, 97, 101 e 103. Corte dei conti - Giudizi di responsabilita' - Soggetti condannati per fatti commessi prima dell'entrata in vigore della legge censurata - Fase di appello - Previsione che il giudizio si intende definito a decorrere dalla data di deposito della ricevuta di versamento presso la segreteria della sezione di appello della somma dovuta dal condannato - Irrazionalita' - Violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione - Interferenza sulla funzione giurisdizionale. - Legge 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 233. - Costituzione, artt. 3, 97, 101 e 103.(GU n.40 del 4-10-2006 )
LA CORTE DEI CONTI Ha adottato la seguente ordinanza, sui ricorsi in appello in materia di responsabilita' amministrativa, iscritti ai numeri 1777 resp. e 1801 resp. del registro di segreteria, presentati dai signori De Gaetano Rosario, elettivamente domiciliato, insieme al suo difensore avvocato Giovanni Lentini, in Palermo via Siracusa n. 30, presso lo studio dell'avv. Roberto Genna, e dal signor Morsellino Giovanni elettivamente domiciliato, insieme al suo difensore avvocato Fabrizio Genco, in Palermo via Sferracavallo n. 146/a presso lo studio dell'avv. Anna Drago, per la riforma della sentenza n. 1712/2005 dell'8 luglio 2005 emessa dalla Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Siciliana, e nei confronti dei signori Maimone Mariano, Scavuzzo Domenico, Marino Francesco, Gandolfo Diego, Malerba Giovanni, Simone Vincenzo, Saccaro Renato, Todaro Diego, Lentini Michele, Morsellino Salvatore. Uditi nella Camera di consiglio del 7 marzo 2006 il relatore, consigliere Mariano Grillo, l'avvocato Fabrizio Genco per Morsellino Giovanni e, delegato dall'avv. Giovanni Lentini, per De Gaetano Rosario; l'avvocato Maria Beatrice Miceli comparsa per Marino Francesco e, su delega dell'avvocato Gaspare Lentini, per Saccaro Renato; il vice procuratore generale Diana Calaciura per il pubblico ministero. Visti tutti gli atti della causa. Fatto A seguito di giudizio penale definito con sentenza della suprema Corte di cassazione n. 2953 del 1° settembre 1999, che proscioglieva il signor Vincenzo Barone - segretario comunale - e i signori Todaro Francesco e Catalano Mariano - rispettivamente assessore e sindaco del Comune di Calatafimi Segesta - dal delitto di truffa, mentre per l'imputazione di tentativo di abuso d'ufficio dichiarava la prescrizione maturata in corso di processo, il consiglio comunale di quel comune con delibera n. 65 del 12 settembre 2001 riconosceva il diritto al rimborso delle spese legali sostenute dai predetti, ritenendo che la sentenza della suprema Corte fosse a contenuto favorevole agli imputati. Il procuratore regionale considerava non sussistenti le condizioni previste dalla disciplina vigente in materia di rimborso delle spese legali in favore dei dipendenti pubblici coinvolti in giudizio civile, penale, amministrativo e contabile e imputava la responsabilita' del danno di 111.485,00 euro ai componenti del consiglio che avevano adottato la suddetta delibera ed al rag. De Gaetano Rosario che aveva espresso il parere di regolarita' tecnica. A seguito dell'ordinanza n. 391 del 2004 la procura regionale estendeva la domanda anche nei confronti di Morsellino Giovanni che aveva reso il parere di regolarita' contabile sulla legalita' della spesa. La sezione giurisdizionale con sentenza n. 1712 del 2005, resa in prima istanza, ha mandato assolti per assenza di dolo e colpa grave i componenti del consiglio comunale, mentre ha dichiarato la responsabilita' dei signori De Gaetano Rosario e Morsellino Giovanni; ha determinato il danno risarcibile nella misura del 25% di quello contestato ed ha condannato in solido i convenuti al pagamento in favore del Comune di Calatafimi Segesta della somma di 27.871,25 euro, oltre rivalutazione monetaria dalla data dell'esborso sino alla pubblicazione della sentenza ed agli interessi legali sulle somme rivalutate, da questa ultima data sino al soddisfo ed alle spese del giudizio in favore dello Stato che ha liquidato in complessivi euro 398,50. Avverso tale sentenza i signori De Gaetano Rosario e Morsellino Giovanni interpongono separati appelli con i quali chiedono il proscioglimento per infondatezza della domanda. Nelle sue conclusioni la procura generale chiede il rigetto degli appelli. Con istanza in data 8 febbraio 2006 gli appellanti congiuntamente dichiarano che intendono avvalersi della disposizione di cui all'art. 1, comma 231, della legge n. 266 del 23 dicembre 2005 e chiedono la definizione del procedimento mediante il pagamento in solido del 10% della somma portata in condanna nella sentenza impugnata. Su detta istanza il procuratore generale conclude chiedendo alla sezione di determinare la somma dovuta nella misura del 25% del danno a cui gli istanti sono stati condannati in solido. Tutte le parti sono intervenute alla discussione in Camera di consiglio confermando le domande gia' avanzate con i rispettivi atti conclusionali. Diritto I ricorsi vengono riuniti ai sensi dell'art. 335 del c.p.c. perche' le impugnazioni sono state proposte separatamente contro la stessa sentenza. Il Collegio preliminarmente rileva che avverso la sentenza n. 1712 dell'8 luglio 2005, notificata il 20 luglio 2005, gli interessati hanno ritualmente ed in termini interposto i rispettivi appelli. In pendenza degli stessi e' intervenuta la legge 23 dicembre 2005, n. 266, il cui art. 1 prevede che «Con riferimento alle sentenze di primo grado pronunciate nei giudizi di responsabilita' dinanzi alla Corte dei conti per fatti commessi antecedentemente alla data di entrata in vigore della presente legge, i soggetti nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di condanna possono chiedere alla competente sezione di appello, in sede di impugnazione, che il procedimento venga definito mediante il pagamento di una somma non inferiore al 10 per cento e non superiore al 20 per cento del danno quantificato nella sentenza» (comma 231). «La sezione di appello, con decreto in Camera di consiglio, sentito il procuratore competente, delibera in merito alla richiesta e, in caso di accoglimento, determina la somma dovuta in misura non superiore al 30 per cento del danno quantificato nella sentenza di primo grado, stabilendo il termine per il versamento» (comma 232). Infine che «il giudizio di appello si intende definito a decorrere dalla data di deposito della ricevuta di versamento presso la segreteria della sezione di appello» (comma 233). Tali disposizioni, in sostanza, introducono nella fase dell'appello un procedimento camerale diretto alla definizione agevolata del giudizio di responsabilita' amministrativa. La sezione dubita della legittimita' costituzionale di un simile sistema di regole, applicabili nella specie poiche' il mutamento di diritto sostanziale e' avvenuto prima dell'accertamento definitivo della responsabilita' dei soggetti intimati, in relazione agli artt. 3, 97, 101 e 103 Cost. Dalla giurisprudenza costituzionale (sentt. nn. 68 del 1971, 63 del 1973 e 1032 del 1988) sembra desumersi che la concreta garanzia dei principi costituzionali di eguaglianza, del buon andamento e del controllo contabile, i quali ultimi sono legati dal comune fine di assicurare l'efficienza e la regolarita' della gestione finanziaria e patrimoniale degli enti pubblici, sia sostanzialmente affidata alla legge ordinaria. Sono riservate, infatti, al discrezionale apprezzamento del legislatore non solo la determinazione e la graduazione dei tipi e dei limiti di responsabilita' che, in relazione alle varie categorie di dipendenti pubblici o alle particolari situazioni regolate, appaiano come le forme piu' idonee a garantire l'attuazione dei predetti principi costituzionali (sent. n. 411 del 1988; ord. n. 549 del 1988, nonche', in relazione all'art. 28 Cost., le sentt. nn. 2 del 1968, 123 del 1972, 164 del 1982, 26 del 1987), ma anche la possibilita' di stabilire un limite patrimoniale della responsabilita' amministrativa (sent. n. 340 del 2001). Cio' significa in ultima analisi, per un verso, che, ancorche' non sia possibile trarre dall'ordinamento (artt. 97 e 103, secondo comma, Cost.) un principio di inderogabilita' delle comuni regole della responsabilita', si puo', tuttavia, da esso ricavare la regola secondo la quale la discrezionalita' del legislatore, per essere correttamente esercitata, deve determinare e graduare i tipi e i limiti della responsabilita', caso per caso, in riferimento alle diverse categorie di dipendenti pubblici ovvero alle particolari situazioni, stabilendo, per ciascuna di esse, le forme piu' idonee a garantire i principi del buon andamento e del controllo contabile (sent. n. 371 del 1998) e, per l'altro, che, in sede di giudizio di legittimita' costituzionale, le leggi disciplinanti la responsabilita' dei pubblici dipendenti sono sindacabili, in riferimento ai parametri invocati, solo sotto il profilo della ragionevolezza della disciplina adottata e delle differenziazioni introdotte (art. 3 Cost.). Pur non potendosi negare, dunque, in linea di principio la possibilita' di un intervento legislativo del tipo di quello esaminato, e', tuttavia, pur sempre necessario che esso sia, anzitutto, strettamente collegato alle specifiche peculiarita' del caso, tali da escludere che possa risultare arbitraria la sostituzione della disciplina generale - originariamente applicabile - con quella eccezionale successivamente emanata, tanto sotto il profilo del rispetto del principio costituzionale di parita' di trattamento, quanto sotto il profilo della tutela del buon andamento e della salvaguardia da indebite interferenze dell'esercizio della funzione giurisdizionale. Sennonche', nella specie le previsioni normative denunciate di incostituzionalita' sono caratterizzate da una indeterminatezza assoluta sullo scopo perseguito dal legislatore, tale da precludere definitivamente la ricerca di una qualsiasi ratio normativa che non sia quella della limitazione patrimoniale del risarcimento per se stessa; pertanto, esse, connotandosi unicamente come effetto premiale ingiustificato, si palesano come una negazione illogica e ingiustificata dei principi del buon andamento e del controllo contabile, che non puo' certamente rappresentare un termine di comparazione con gli altri valori coinvolti ai fini della verifica del rispetto dei principi di eguaglianza e di buon andamento. Le previsioni in questione appaiono viziate in relazione ai parametri costituzionali indicati anche per altro aspetto. Infatti, nel sistema positivo vigente l'attenuazione della responsabilita' amministrativa, nei singoli casi, e' rimessa al potere riduttivo sul quantum affidato al giudice, che puo' anche tenere conto delle capacita' economiche del soggetto responsabile, oltre che del comportamento, al livello della responsabilita' e del danno effettivamente cagionato. In contrasto con questi principi dell'ordinamento ed assolutamente irragionevole e', pertanto, una riduzione predeterminata e pressoche' automatica della responsabilita' amministrativa e della misura del risarcimento, senza che possa soccorrere una valutazione sull'incidenza del comportamento complessivo e sulle funzioni effettivamente svolte nella produzione del danno, in occasione della prestazione che ha dato luogo alla responsabilita' (cfr. Corte cost. sent. n. 340 del 2001). Ugualmente incostituzionale appare, infine, l'affidamento al giudice contabile di un potere discrezionale illimitato nella individuazione delle ragioni da porre a fondamento dell'accoglimento della domanda di riduzione dell'addebito e della concreta determinazione della misura del risarcimento, avendo il legislatore indicato solo i limiti quantitativi di tale potere fra un minimo e un massimo risultanti dalla norma, senza fissare i criteri direttivi ai quali il giudice stesso debba attenersi. Le norme in esame, infatti, oltre a porsi in diretto contrasto con i principi di cui gli artt. 3, 97 e 103 Cost., essendo dirette ad introdurre una disciplina limitativa in forma generalizzata della responsabilita' amministrativa con riferimento indiscriminato a tutti i pubblici dipendenti e a tutte le possibili situazioni, confliggono con il principio secondo cui il giudice e' soggetto alla legge (art. 101 Cost.), con grave vulnus del principio di separazione del potere legislativo dal potere giudiziario. La questione di legittimita' costituzionale, non superabile in via interpretativa, e' rilevante. Qualora, infatti, le norme denunciate venissero dichiarate incostituzionali non potrebbero piu' essere applicate nel presente giudizio che proseguirebbe secondo il rito ordinario.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 231, 232 e 233 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, in relazione agli artt. 3, 97, 101 e 103 Cost. Ordina l'immediata trasmissione degli atti, a cura della segreteria, alla Corte costituzionale, sospendendo conseguentemente il processo sino all'esito del giudizio incidentale di costituzionalita'. Dispone che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e alle parti, e sia comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Cosi' provveduto in Palermo, nella Camera di consiglio del 7 marzo 2006. Il Presidente: Sancetta 06C0805