N. 373 ORDINANZA (Atto di promovimento) 4 maggio 2006
Ordinanza emessa il 4 maggio 2006 dal Consiglio di Stato sul ricorso proposto dalla Azienda Policlinico Umberto I contro Medikron S.r.l. Sanita' pubblica - Decreti ingiuntivi e sentenze divenute esecutive dopo la data di entrata in vigore del D.L. n. 341/1999 (conv. in legge n. 453/1999), relativi a crediti nei confronti della soppressa azienda ospedaliera Policlinico Umberto I - Prevista inefficacia con norma di interpretazione autentica nei confronti della nuova azienda ospedaliera Policlinico Umberto I - Lesione di diritto inviolabile della persona - Irragionevolezza - Violazione dei limiti alla retroattivita' dell'interpretazione autentica - Incidenza sul diritto di azione e sul principio di tutela giurisdizionale - Incidenza sul principio di buon andamento - Lesione delle prerogative costituzionali riservate al potere giurisdizionale, con particolare riferimento a quelle del Consiglio di Stato - Violazione di principi derivanti dall'ordinamento comunitario. - D.l. 31 gennaio 2005, n. 7, convertito in legge 31 marzo 2005, n. 43, art. 7-quater, comma 1. - Costituzione, artt. 2, 3, 24, 97, 101, 102, 103, 104, 108, 113 e 117, primo comma. Sanita' pubblica - Pignoramenti intrapresi in forza di titoli esecutivi e giudizi di ottemperanza pendenti in base al medesimo titolo, nei confronti della soppressa azienda ospedaliera Policlinico Umberto I - Prevista inefficacia per i primi ed estinzione anche d'ufficio per i secondi, con norma di interpretazione autentica, nei confronti della nuova azienda ospedaliera Policlinico Umberto I - Lesione di diritto inviolabile della persona - Irragionevolezza - Violazione dei limiti alla retroattivita' dell'interpretazione autentica - Incidenza sul diritto di azione e sul principio di tutela giurisdizionale - Incidenza sul diritto di azione e sul principio di tutela giurisdizionale - Incidenza sul principio di buon andamento - Lesione delle prerogative costituzionali riservate al potere giurisdizionale, con particolare riferimento a quelle del Consiglio di Stato - Violazione di principi derivanti dall'ordinamento comunitario. - D.L. 31 gennaio 2005, n. 7, convertito in legge 31 marzo 2005, n. 43, art. 7-quater, comma 2. - Costituzione, artt. 2, 3, 24, 97, 101, 102, 103, 104, 108, 113 e 117, primo comma. Sanita' pubblica - Controversie relative alla soppressa azienda universitaria Policlinico Umberto I - Disciplina relativa ai decreti ingiuntivi e sentenza esecutiva e pignoramenti in forza di titoli esecutivi di giudizi di ottemperanza nei confronti della predetta azienda - Previsione che dall'attuazione della normativa censurata non debbano derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica - Lesione di diritto inviolabile della persona - Irragionevolezza - Violazione dei limiti alla retroattivita' dell'interpretazione autentica - Incidenza sul diritto di azione e sul principio di tutela giurisdizionale - Incidenza sul principio di buon andamento - Lesione delle prerogative costituzionali riservate al potere giurisdizionale, con particolare riferimento a quelle del Consiglio di Stato - Violazione di principi derivanti dall'ordinamento comunitario. - D.L. 31 gennaio 2005, n. 7, convertito in legge 31 marzo 2005, n. 43, art. 7-quater, comma 4. - Costituzione, artt. 2, 3, 24, 97, 101, 102, 103, 104, 108, 113 e 117, primo comma.(GU n.41 del 11-10-2006 )
IL CONSIGLIO DI STATO Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso in appello n. 333 del 2005 dell'Azienda Policlinico Umberto I, costituitasi in persona del commissario, straordinario l.r. pro tempore, dott. Dino Cosi, rappresentata e difesa dall'avv. Antonio Capparelli, elettivamente domiciliata in Roma, viale del Policlinico, n. 155; Contro la Medikron S.r.l. costituitasi in persona del l.r. pro tempore dott.ssa Anna Bacigalupo, rappresentata e difesa dall'avv. Luigi Parenti, elettivamente domiciliata in Roma, viale delle Milizie, n. 114, presso lo studio dell'avv. Luigi Parenti per la riforma della sentenza n. 13081 del 13 ottobre 2004/16 novembre 2004, pronunciata tra le parti dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. III; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Societa' appellata; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Designato relatore il consigliere Gabriele Carlotti; Uditi alla pubblica udienza del 13 dicembre 2005 l'avv. Capparelli per l'Azienda Policlinico Umberto I e l'avv. Luigi Parenti per la societa' appellata; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue. Fatto e diritto Il Collegio dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 7-quater, primo, secondo e quarto comma, del decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7 (Disposizioni urgenti per l'universita' e la ricerca, per i beni e le attivita' culturali, per il completamento di grandi opere strategiche, per la mobilita' dei pubblici dipendenti, e per semplificare gli adempimenti relativi a imposte di bollo e tasse di concessione, nonche' altre misure urgenti), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana 31 gennaio 2005, n. 24 e convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1 della legge 31 marzo 2005, n. 43, entrata in vigore il giorno successivo a quello della pubblicazione. Si espongono di seguito i termini della questione che s'intende sottoporre al giudizio della Corte costituzionale. La vicenda contenziosa Con il ricorso n. 11076 del 2003, cosi' allibrato al r.g. del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, la Medkron instauro' un giudizio ai sensi dell'art. 27 del n. 1054/1924, onde ottenere l'ottemperanza dell'Azienda Policlinico Umberto I (nel prosieguo, anche «Azienda» o «Azienda Policlinico») al decreto ingiuntivo n. 81142/2000, emesso dal Tribunale ordinario civile di Roma in data 14 dicembre 2000, notificato all'Azienda sunnominata il 19 gennaio 2001 e divenuto esecutivo in data 24 marzo 2001, con formula esecutiva apposta il successivo 9 agosto 2001 e nuovamente notificato in forma esecutiva il 21 settembre 2001. Il titolo suddetto recava (e reca) l'ingiunzione al pagamento di lire 133.228.600 per sorte, oltre agli interessi legali maturandi, nonche' di ulteriori lire 150.000 per spese, lire 920.000 per competenze e lire 1.150.000 per onorari, maggiorati di I.V.A. e C.A.P. Nel giudizio amministrativo cosi' instaurato si costitui' l'azienda resistente, deducendo in via preliminare l'inammissibilita' del ricorso poiche' promosso contro un decreto ingiuntivo esecutivo (e, quindi, a suo dire, nei confronti di un titolo privo dei requisiti, propri del giudicato, previsti dalla normativa riguardante la ottemperanza) ed, ancora, l'improponibilita' dell'impugnativa, stante l'avvenuta attivazione, da parte della Medikron, di analoga procedura esecutiva innanzi al giudice ordinario. Fu dedotta inoltre la carenza di legittimazione passiva della Azienda Policlinico Umberto I sull'assunto che le fatture, in base alle quali era stato emesso il decreto ingiuntivo, si riferivano a prestazioni commissionate dalla disciolta Azienda universitaria Policlinico Umberto I ed eseguite in un'epoca anteriore alla nascita del nuovo ente (con autonoma personalita' giuridica di diritto pubblico; cfr., l'art. 1, primo comma, del decreto-legge 1° ottobre 1999, n. 341); di qui la protesta di completa estraneita' dell'attuale Azienda Policlinico Umberto I rispetto alla fattispecie in contenzioso. Con sentenza del 2 febbraio 2004, n. 926, notificata il 13 febbraio 2004, respinte tutte le predette eccezioni, il Tribunale amministrativo regionale accolse il ricorso della Medikron e, conseguentemente, ordino' all'Azienda Policlinico Umberto I di dare integrale esecuzione al decreto ingiuntivo in questione nel termine di sessanta giorni; il tribunale incarico' altresi' dell'esecuzione in via sostitutiva, per l'eventualita' della perdurante inottemperanza dell'obbligata, un Commissario ad acta, nominato nella persona del direttore generale in carica della stessa Azienda. Quest'ultima interpose appello avverso la sentenza n. 926/2004, ma la sezione, con la decisione n. 7241, deliberata l'11 giugno 2004 e depositata in segreteria il 9 novembre 2004, respinse l'impugnazione, giudicando infondati tutti i motivi con essa dedotti. Nel frattempo, con istanza depositata il 9 settembre 2004, la Medikron chiese al Tribunale amministrativo regionale di sostituire il commissario gia' nominato (posto che l'Azienda aveva contestato l'opportunita' della scelta compiuta dal tribunale, lamentando altresi' l'assenza di disponibilita' finanziarie) ed, in ogni caso, di adottare i necessari provvedimenti, onde portare ad esecuzione la sentenza n. 926/2004, rimasta inosservata. Con la sentenza ora impugnata, specificata nell'epigrafe della presente ordinanza, il tribunale capitolino - preso atto del comportamento ostruzionistico dell'Azienda, considerato prova eloquente della «pervicace volonta' della stessa di non adempiere» - ordino' nuovamente al direttore generale dell'azienda, policlinico di dare integrale esecuzione al decreto ingiuntivo nel termine di quindici giorni dalla notificazione o dalla comunicazione in via amministrativa della sentenza. Al contempo, il Tribunale amministrativo regionale dispose che, in caso di inutile decorso del termine assegnato, all'esecuzione della predetta sentenza avrebbe provveduto, in via sostitutiva, altro commissario ad acta, entro i successivi sessanta giorni, ponendo a carico dell'Azienda Policlinico Umberto I gli oneri del relativo compenso. L'azienda resistente fu altresi' condannata al pagamento delle spese relative all'ulteriore fase del giudizio. Contro la pronuncia e' insorta in appello l'azienda policlinico. L'impugnazione dell'ente e' affidata ad un'unica, ancorche' articolata, censura: in dettaglio, l'appellante, per un verso, continua a negare la sua legittimazione passiva, sostanziale e processuale, rispetto alla controversia e, per altro verso, contesta la perdurante efficacia del titolo posto in executivis. Al riguardo, occorre osservare che gli argomenti difensivi dell'Azienda poggiano sulla norma interpretativa recata dall'art. 8-sexies del decreto-legge 28 maggio 2004, n. 136 (Disposizioni urgenti per garantire la funzionalita' di taluni settori della pubblica amministrazione), aggiunto dalla legge di conversione 27 luglio 2004, n. 286, secondo cui: «1. - La successione prevista dal comma 1 dell'articolo 2 del decreto-legge 1° ottobre 1999, n. 341, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 dicembre 1999, n. 453, si interpreta nel senso che l'azienda Policlinico Umberto I di Roma succede nei contratti di durata in essere con la soppressa omonima azienda universitaria esclusivamente nelle obbligazioni relative alla esecuzione dei medesimi successiva alla data di istituzione della predetta azienda Policlinico Umberto I». A detta dell'appellante, la norma succitata escluderebbe la responsabilita' patrimoniale dell'azienda policlinico per le passivita' riferibili alla soppressa azienda universitaria, essendo queste ultime confluite nella Gestione Liquidatoria appositamente creata dal d.l. n. 341/1999. La naturale efficacia retroattiva della previsione avrebbe quindi travolto il decreto ingiuntivo azionato, giacche' relativo a prestazioni rese in favore della precedente azienda. Secondo l'azienda appellante (v. la memoria datata 31 marzo 2005), siffatta inefficacia sopravvenuta conseguirebbe, vieppiu', all'art. 3 del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 280 (Interventi urgenti per fronteggiare la crisi di settori economici e per assicurare la funzionalita' di taluni settori della pubblica amministrazione), pubblicato in pari data nella Gazetta Ufficiale, che recita: «1. - I decreti di ingiunzione di cui all'articolo 641 del codice di procedura civile divenuti esecutivi dopo la data di entrata in vigore del decreto-legge 1° ottobre 1999, n. 341, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 dicembre 1999, n. 453, sono inefficaci nei confronti dell'azienda ospedaliera Policlinico Umberto I, qualora gli stessi siano relativi a crediti vantati nei confronti della soppressa omonima azienda universitaria per obbligazioni contrattuali anteriori alla data di istituzione della predetta azienda ospedaliera Policlinico Umberto I, secondo quanto disposto dall'articolo 2, comma 1, del citato decreto-legge n. 341 del 1999, come interpretato dall'articolo 8-sexies del d.l. 28 maggio 2004, n. 136, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 luglio 2004, n. 186. 2. - I pignoramenti eventualmente intrapresi in forza dei titoli di cui al comma 1 perdono efficacia e i giudizi di ottemperanza in base al medesimo titolo pendenti sono dichiarati estinti anche d'ufficio. 3. - Nelle azioni esecutive iniziate sui medesimi titoli di cui al comma 1, alla soppressa azienda universitaria Policlinico Umberto I subentra il commissario di cui al comma 3 dell'articolo 2 del decreto-legge 10 ottobre 1999, n. 341, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 dicembre 1999, n. 453». In secondo grado si e' costituita la Medikron eccependo in via preliminare l'inammissibilita' dell'appello, essendosi impugnata una decisione meramente ordinatoria, esclusivamente attinente alle misure esecutive del giudicato. Inoltre, la Medikron ha osservato come tutte le questioni dedotte dall'Azienda siano state gia' esaminate e ritenute prive di fondatezza dalla sunnominata decisione della Sezione n. 7241 del 2004, passata in giudicato; in via subordinata, l'appellata ha eccepito l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3 del d.l. n. 280/2004 per violazione, sotto differenti profili, degli artt. 3, 24, 41, 77, 97, 101, 102, 104 e 113 Cost. Nelle more della decisione il d.l. n. 280/2004 e' decaduto per mancata conversione nel termine di sessanta giorni dalla pubblicazione (v. il comunicato del Ministero della giustizia in data 29 gennaio 2005, nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana 29 gennaio 2005, n. 23). L'art. 7-quater del d.l. 31 gennaio 2005, n. 7. Sennonche' il contenuto dispositivo dell'art. 3 del d.l. n. 280/2004 e' stato successivamente recepito nell'art. 7-quater del d.l. n. 7/2005, aggiunto dalla legge di conversione 31 marzo 2005, n. 43 e rubricato «Controversie relative alla soppressa azienda universitaria Policlinico Umberto I», dal seguente tenore: «1. - I decreti di ingiunzione di cui all'articolo 641 del codice di procedura civile e le sentenze divenuti esecutivi dopo la data di entrata in vigore del decreto-legge 1° ottobre 1999, n. 341, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 dicembre 1999, n. 453, sono inefficaci nei confronti dell'azienda ospedaliera Policlinico Umberto I, qualora gli stessi siano relativi a crediti vantati nei confronti della soppressa omonima azienda universitaria per obbligazioni contrattuali anteriori alla data di istituzione della predetta azienda ospedaliera Policlinico Umberto I, secondo quando disposto dall'articolo 2, comma 1, del citato decreto-legge n. 341 del 1999, come interpretato dall'articolo 8-sexies del decreto-legge 28 maggio 2004, n. 136, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 luglio 2004, n. 186. 2. - I pignoramenti eventualmente intrapresi in forza dei titoli di cui al comma 1 perdono efficacia e i giudizi di ottemperanza in base al medesimo titolo pendenti sono dichiarati estinti anche d'ufficio. 3. - Nelle azioni esecutive iniziate sui medesimi titoli di cui al comma 1, alla soppressa azienda universitaria Policlinico Umberto I subentra il commissario di cui al comma 3 dell'articolo 2 del decreto-legge 1° ottobre 1999, n. 341, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 dicembre 1999, n. 453. 4. - Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica». Giova mettere in evidenza che le uniche, e tuttavia importanti, differenze tra la portata precettiva dell'art. 3 del d.l. n. 280/2004 e dell'art. 7-quater del d.l. n. 7/2005, concernono, da un lato, l'inserimento nel testo del primo comma delle parole «e le sentenze», e, dall'altro lato, l'aggiunta del quarto comma. La rilevanza della questione. I) l'art. 8-sexies del decreto-legge 28 maggio 2004, n. 136. Pur ravvisandosi la piena legittimazione della sezione a sollevare la questione per i motivi di seguito specificati (v. Corte cost., 23 novembre 1994, n. 397), si osserva in via preliminare che la valutazione della rilevanza del tema che s'intende devolvere alla cognizione della Corte costituzionale postula la previa disamina dell'eventuale incidenza, sull'oggetto della controversia, del disposto dell'art. 8-sexies del decreto-legge 28 maggio 2004, n. 136; ancora, si osserva che il giudizio di rilevanza presenta altresi' talune interferenze con lo scrutinio dell'eccezione d'inammissibilita' dell'appello sollevata dalla Medikron. In ordine alla prima problematica, e' dirimente osservare che l'art. 8.-sexies e' entrato in vigore prima della deliberazione e della successiva decisione della sezione n. 7241 del 2004, con cui la legittimazione sostanziale e processuale dell'Azienda policlinico Umberto I e' stata accertata in via definitiva. Versandosi in materia di diritti soggettivi, il giudicato copre anche il deducibile e, dunque, il locus standi dell'appellante non puo' piu' esser messo in discussione, nemmeno da questo Collegio. Per mero dovere di completezza motivazionale, in aggiunta alle superiori e concludenti considerazioni, deve peraltro escludersi che si sia alla presenza di un "giudicato ingiusto". Ed invero, correttamente la decisione della sezione n. 7241/2004 non si occupa dell'art. 8-sexies del decreto-legge n. 136/2004: la disposizione, infatti, manifestamente non attiene allo specifico oggetto della controversia ed, inoltre, le conseguenze effettuali che l'Azienda trae dalla sua esegesi si palesano del tutto esorbitanti rispetto al reale tenore della norma. L'art. 8-sexies ha natura tipicamente interpretativa. La previsione al centro dell'ermeneutica legislativa e' il comma 1 dell'art. 2 del decreto-legge n. 341/1999, secondo cui «L'Azienda Policlinico Umberto I succede all'omonima azienda universitaria nei rapporti in corso, relativi alla gestione dell'assistenza sanitaria, con utenti, autorita' competenti e altre amministrazioni, nei contratti in corso per la costruzione di strutture destinate ad attivita' assistenziali, nonche' nei contratti in corso per la fornitura di beni e servizi destinati all'assistenza sanitaria, per un periodo massimo di dodici mesi Tanto premesso, e' agevole rilevare come l'art. 8-sexies abbia soltanto ridotto l'estensione oggettiva della successione ex lege disposta nel 1999, limitandola ai contratti di' durata (comunque, ancora in corso) ed alle «obbligazioni relative alla esecuzione dei medesimi successiva alla data di istituzione della predetta azienda Policlinico Umberto I». Dalla lettura del riferito dato positivo si evince, quindi, per quel che interessa la vicenda sottoposta all'esame del Collegio, che il Legislatore ha voluto escludere la successione legale dell'azienda neoistituita relativamente alle sole obbligazioni di pagamento di forniture, afferenti a contratti di durata ancora in corso alla data di costituzione dell'ente (avvenuta secondo il meccanismo congegnato dall'art. 1, comma 1, del decreto-legge n. 341/1999) e da eseguirsi in epoca successiva a detta costituzione. In altre parole, la disposizione ha escluso ogni responsabilita' dell'Azienda Policlinico Umberto I per le forniture da essa stessa richieste, sebbene nell'ambito dei contratti di durata (somministrazioni o appalti di forniture in essere). Orbene, muovendo da tali premesse, in aggiunta a quanto gia' considerato, occorre considerare che: il decreto ingiuntivo del quale si controverte era gia' esecutivo al momento dell'entrata in vigore del decreto-legge n. 136/2004; l'art. 8-sexies non accenna affatto ai titoli giudiziari medio tempore perfezionatisi, ne' le ordinarie regole dell'esegesi legislativa consentono di spingere l'interpretazione della disposizione fino a ritenere che da essa sia derivata la completa rimozione dei provvedimenti giurisdizionali definitivi; in tal senso, del resto, convergono considerazioni di ordine sistematico, posto che lo scopo eliminativo sopra descritto si e' invece chiaramente perseguito con gli artt. 3 del decreto-legge n. 280/2004 e 7-quater del decreto-legge n. 7/2005; infine, appare concludente il rilievo che l'art. 8-sexies non ha modificato il limite temporale massimo di dodici mesi entro cui il Legislatore del 1999 aveva contenuto gli effetti della successione legale e, quindi, anche sotto tal profilo, la fattispecie concreta sfugge all'applicazione della previsione in disamina. II) L'art. 3 del decreto legge 29 novembre 2004, n. 280. Una volta accertato che l'art. 8-sexies non e' rilevante per la decisione dell'affare che occupa la sezione, va esclusa altresi' la pregnanza, agli stessi fini, dell'art. 3 del decreto-legge n. 280/2004. Ed invero, sebbene il contenuto precettivo della norma, come gia' accennatosi, sia rifluito, con modifiche, nell'art. 7-quater, e' assorbente la circostanza che la caducazione dell'efficacia dei decreti ingiuntivi da esso derivata e' venuta meno in forza della mancata conversione e che, dunque, dal 30 al 31 gennaio 2005 tali provvedimenti giurisdizionali acquisirono nuovamente la loro originaria forza. A diversa sorte e' invece andato incontro l'art. 7-quater, introdotto nell'ordinamento con un decreto-legge poi convertito e, pertanto, perfettamente vigente e vincolante. III) L'ammissibilita' dell'appello. Dopo aver individuato esattamente la norma sulla quale s'incentrano i dubbi di costituzionalita' nutriti dal Collegio, s'impone l'esame dell'eccezione preliminare d `inammissibilita' dell'appello formulata dalla Medikron. L'argomento difensivo spiegato dall'appellata si radica su un consolidato indirizzo pretorio di questo Consiglio che, in piu' occasioni, ha negato l'appellabilita' delle sentenze in materia di ottemperanza aventi un contenuto meramente ordinatorio. Non v'e' dubbio che tale sia la portata precettiva di una parte della pronuncia avversata, giacche' la sollecitazione all'adempimento rivolta al, commissario ad acta e la previsione della sua eventuale sostituzione (nell'ipotesi di mancata esecuzione) hanno essenzialmente la natura di misure attuative del giudicato. Nondimeno e' altrettanto incontrovertibile che la sentenza appellata contenga un capo scevro di profili ordinatori: si allude all'accertamento dell'irrilevanza della mancanza di fondi a configurare un'oggettiva impossibilita' di adempimento. Dipoi prevale su ogni altra considerazione il rilievo che il tenore del secondo comma dell'art. 7-quater impone ai giudicanti un obbligo incondizionato e preminente su ogni altro profilo processuale di provvedere, anche d'ufficio, all'estinzione dei giudizi d'ottemperanza pendenti e che, d'altro canto, quand'anche la clausola normativa fosse ipoteticamente suscettibile di una diversa interpretazione (laddove cioe' non fosse ravvisabile nel suddetto articolo la fonte della descritta postergazione rispetto alla dichiarazione d'estinzione di ogni altra eccezione pregiudiziale o preliminare), la disamina della questione relativa alla sopravvivenza dell'efficacia del decreto ingiuntivo azionato risulterebbe comunque logicamente prioritaria, apparendo del tutto evidente che il giudice dell'ottemperanza sia legittimato a disporre della potesta' ordinatoria di sollecitare il commissario ad acta (e, se del caso, di sostituirlo) soltanto se e fintantoche' continui a mantenere efficacia il titolo della cui esecuzione si tratta. Un triplice ordine di motivi si oppone quindi all'applicazione, nella concreta fattispecie, della regola giurisprudenziale sopra riferita: in primo luogo, la sentenza appellata veicola almeno un contenuto parzialmente decisorio; in secondo luogo, e' lo stesso secondo comma dell'art. 7-quater ad impedire la verifica dell'ammissibilita' dell'appello con riguardo alla sussistenza di un reale interesse all'impugnazione ed, infine, la regola surricordata si palesa comunque recessiva, in base ai principi generali del processo amministrativo, laddove l'oggetto della controversia devoluta in appello investa (come avviene nel caso di specie) proprio la contestazione della permanenza, sotto il profilo della validita' o dell'efficacia, dell'indefettibile condizione dell'azione esecutiva. Ed invero, al ricorrere di quest'evenienza si verifica una concorrenza di cause estintive del giudizio, profondamente differenziate tuttavia sul crinale delle conseguenze giuridiche: mentre, infatti, la dichiarazione d'inammissibilita' dell'appello condurrebbe alla conferma della pronuncia impugnata, dalla sopravvenuta cessazione dell'efficacia del decreto ingiuntivo scaturirebbe la completa paralisi ed il sostanziale travolgimento di tutti gli atti esecutivi fino ad oggi adottati incluse le tre decisioni giurisdizionali (due del Tribunale amministrativo regionale del Lazio ed una della Sezione). La ricognizione dell'eventuale ricorrenza dei presupposti processuali per un rinvio alla Corte costituzionale si presenta quindi come indagine obbligata e logicamente preminente. IV) La pendenza del giudizio di ottemperanza. Riguardo a siffatti requisiti, si rileva che il comma 2 dell'art. 7-quater si applica ai soli giudizi pendenti. Ebbene, sul punto, non appare seriamente revocabile in dubbio che il giudizio d'ottemperanza, a suo tempo instaurato dalla Medikron sia ancora pendente, in secondo ed in primo grado (non avendo ancora trovato alcuna soddisfazione le pretese fatte valere dalla societa' appellata in via coattiva). V) La natura dei crediti. Nemmeno e' contestato che le fatture cui si riferisce il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale ordinario di Roma attengano a forniture di merci eseguite in favore dell'Azienda universitaria Policlinico Umberto I, prima dell'istituzione dell'omonima Azienda ospedaliera disposta con il d.l. n. 341/1999, e che, quindi, il credito "sostanziale" azionato risalga ad obbligazioni contrattuali assunte dall'azienda soppressa (ancorche' la circostanza non sia stata mai dedotta in sede di opposizione al decreto ingiuntivo, formatosi validamente nei confronti dell'azienda appellante). VI) Gli effetti dell'art. 7-quater sul giudizio in corso. Vista da quest'angolazione la questione della legittimita' costituzionale del suddetto art. 7-quater del d.l. 31 gennaio 2005, n. 7 appare rilevante, posto che, qualora la sezione non nutrisse dubbi al riguardo, non potrebbe far altro che prendere atto dell'avvenuta perdita d'efficacia per factum principis sia del decreto ingiuntivo messo in esecuzione, sia della sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio n. 926 del 2004 e sia, infine, della decisione della sezione n. 7241/2004, dichiarando, in via consequenziale, l'estinzione del giudizio "di primo grado" (cosi' deve, invero, interpretarsi ragionevolmente il secondo comma della norma in discorso, poiche' l'estinzione del solo processo di appello condurrebbe all'esito, chiaramente contrario alla ratio sottesa alla disposizione, di conservare piena efficacia alla sentenza impugnata). La non manifesta infondatezza della questione. Con riferimento al requisito della non manifesta infondatezza, la sezione, per un verso, richiama alcune delle argomentazioni gia' svolte dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. III, nell'ordinanza di rimessione n. 1514/2005, depositata il 16 novembre 2005, per altro verso, sviluppa diverse ed ulteriori censure. I) Violazione degli artt. 100, 101, 102, 104, e 108 Cost., sotto il profilo della lesione delle prerogative costituzionalmente riservate al potere giurisdizionale. Sul punto i dubbi di costituzionalita' s'incentrano sulla circostanza che, con la norma in esame, il Legislatore, disponendo l'inefficacia dei decreti ingiuntivi divenuti esecutivi dopo la data di istituzione dell'azienda ospedaliera (e, giova ribadirlo, emessi direttamente nei confronti dell'azienda ospedaliera di nuova istituzione), ha di fatto posto nel nulla, non meri provvedimenti giurisdizionali impugnati o impugnabili, ma veri e propri giudicati gia' perfezionatisi, ledendo in tal guisa l'indipendenza della magistratura (sia ordinaria sia) amministrativa (quest'ultima tutelata, in apicibus, dall'art. 100, nonche' dall'art. 108 Cost.). La sezione e', infatti, dell'avviso che un decreto ingiuntivo divenuto esecutivo sia a tutti gli effetti un «giudicato», anche ai sensi degli artt. 37 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 e 27 n. 4 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054; la diversa tesi, talora sostenuta in dottrina, della non equiparabilita' alla res judicata del decreto ingiuntivo, divenuto esecutivo a norma dell'art. 647 c.p.c., cozza a ben vedere con lo jus receptum accolto dalla giurisprudenza del supremo Collegio (tra le molte, Cass., sez. l., 20 aprile 1996, n. 3757) e di questo Consiglio (e' sufficiente al riguardo il rinvio a Cons. St., sez. IV, 15 maggio 2002, n. 2604) che, del resto, trova un sicuro appiglio positivo nell'art. 656 c.p.c. (dedicato ai mezzi di impugnazione dell'ingiunzione divenuta esecutiva). Va invero riconosciuto valido, anche con riferimento al decreto ingiuntivo non opposto nei termini di legge, il principio secondo cui gli effetti del «giudicato sostanziale» si estendono, non solo alla decisione relativa al «bene della vita» (nella specie, un diritto di credito) oggetto del contendere, siccome individuato nell'atto introduttivo del processo o del procedimento giurisdizionale, ma altresi' a tutte le altre necessarie premesse della statuizione principale, ancorche' implicite o ritenute dal giudicante, inerenti all'esistenza ed alla validita' del rapporto giuridico dedotto: pertanto, anche l'ingiunzione ex art. 633 e ss., quantunque adottata in esito ad un accertamento sommario, acquista nondimeno, in seguito all'acquisita esecutivita' per mancata opposizione, autorita' ed efficacia di cosa giudicata esattamente al pari di una sentenza di condanna, diversamente fondata su una preventiva e piena cognizione giurisdizionale. Ne' puo' sensatamente opinarsi, in contrario, che a tale approdo esegetico si opponga ora l'art. 111, secondo comma, Cost., dal momento che il procedimento monitorio non esclude affatto il contraddittorio, piuttosto l'instaurazione della dialettica processuale e' differita ed eventuale, rimanendo una scelta strategica e d'opportunita' del debitore ingiunto decidere se contrastare, o meno, in giudizio le pretese creditorie azionate. Collocato in questa prospettiva, il decreto ingiuntivo e' idoneo a costituire condizione dell'azione di ottemperanza avanti all'autorita' giurisdizionale amministrativa ogniqualvolta, come accaduto nella fattispecie, il convenuto, pur ritualmente notiziato della pendenza della lite, scelga intenzionalmente di disinteressarsi od ometta negligentemente di preoccuparsi della proposizione del ricorso contenente una domanda di pagamento avanzata nei suoi confronti, senza proporre alcuna tempestiva opposizione. Alla luce di siffatte premesse, risulta altamente opinabile la legittimita' costituzionale di una norma, quale l'art. 7-quater, che, apparentemente sovvertendo in maniera radicale i principi che regolano i rapporti tra l'ordine giudiziario ed il potere legislativo, annichila completamente un atto del primo ordine, dotato di forza e valore di giudicato. E' ben noto - e, quindi, non occorre richiamarne i precedenti - l'orientamento della Corte costituzionale sulle leggi d'interpretazione autentica, la cui efficacia retroattiva, qualora non fosse conciliata con la salvaguardia di fondamentali valori di civilta' giuridica, oltre a vulnerare i principi di ragionevolezza e di eguaglianza, di legittimo affidamento, finirebbe per porsi in radicale antitesi con il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (da ultimo, sentenze n. 376 del 2004, n. 291 del 2003 e n. 446 del 2002). La posizione teste' riferita si mostra vieppiu' convincente e condivisibile nell'ipotesi, corrispondente a quella oggetto dell'incidente sollevato con la presente ordinanza, in cui il Legislatore, senza nemmeno frapporre la mediazione di una norma d'interpretazione autentica (come invece era stato in materia con l'art. 8-sexies del d.l. 28 maggio 2004, n. 136, inserito dall'art. 1 della legge di conversione 27 luglio 2004, n. 186), giunga direttamente, cosi' rivelando platealmente l'intenzione di incidere sui giudizi esecutivi e d'ottemperanza in corso, ad annullare gli effetti del giudicato mediante una previsione innovativa dell'ordinamento giuridico. Non sarebbe poi conferente obiettare che l'ordinamento processuale gia' conosca un ipotesi di cessazione di efficacia di un decreto ingiuntivo nell'art. 188 disp. att. c.p.c. (di guisa che il Legislatore del 2005 non avrebbe fatto altro che estendere, ad una diversa fattispecie, il medesimo meccanismo effettuale). E', difatti, d'immediata percezione la distanza tra il modello codicistico teste' richiamato e la previsione contestata e, soprattutto, sono evidenti le differenti esigenze che giustificano le due norme (nel primo caso, la tutela del valore supremo del contraddittorio, quando esso non sia mancato per mera trascuratezza dell'ingiunto; nel secondo caso, le contingenti preoccupazioni finanziarie pubbliche e lo scopo di salvaguardare il buon esito di un'operazione di riorganizzazione di un'azienda universitaria in stato di permanente deficit strutturale, accollando il relativo onere economico a tutti i creditori, ancorche' provvisti di un valido titolo giudiziario); si tratta di diversita' funzionali veramente macroscopiche e tali da rendere assolutamente improponibile e non poco irragionevole un accostamento del genere descritto. Sembra, dunque, evidente la lesione dei principi relativi ai rapporti tra potere legislativo e potere giudiziario, nonche' delle disposizioni relative alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi (cfr. sentenze della Corte costituzionale n. 374 del 2000 e n. 15 del 1995). II) Violazione degli artt. , 100, 101, 102, 103 e 104 Cost., sotto il profilo della lesione delle prerogative costituzionalmente riservate al potere giurisdizionale, con particolare riferimento a quelle del Consiglio di Stato. Il vulnus sopra delineato sembra configurarsi a fortiori sotto altro profilo. Va svolta, invero, una diversa considerazione di non poco momento, riguardo al fatto che a ben vedere, nella presente vicenda contenziosa i «giudicati» suscettibili di esser posti nel nulla sono due, dal momento che al decreto ingiuntivo piu' volte richiamato, emesso dall'autorita' giurisdizionale ordinaria, si e' sovrapposto quello formatosi sulla decisione n. 7241/2004, pronunciata da questa sezione. Orbene, l'applicazione del combinato disposto dei commi 1 e 2 dell'art. 7-quater del d.l. n. 7/2005, oltre a privare di efficacia il primo titolo, riserva eguale trattamento anche alla pronuncia amministrativa surrichiamata, svuotandola di qualunque pratica utilita' per la Medikron (e ad uguale sorte vanno incontro anche le due sentenze del Tribunale amministrativo regionale del Lazio); non v'e' bisogno di dilungarsi sulla circostanza che qualunque futura ed ulteriore iniziativa dell'appellata in sede giurisdizionale, diretta a conseguire l'attuazione delle varie sentenze amministrative intervenute a suo favore, s'infrangerebbe inevitabilmente contro l'eccezione, rilevabile anche d'ufficio (si veda il secondo comma della norma in questione), di sopravvenuta inefficacia del decisum con conseguente paralisi di ogni azione in tal senso. III) Violazione degli artt. 24 e 113 Cost., sotto il profilo della lesione del diritto di agire in giudizio. Ne' varrebbe obiettare, in contrario, che la norma censurata, lungi dal negare l'esistenza dei diritti di credito della societa' appellata processualmente accertati, avrebbe il piu' limitato fine di trasporre l'esecuzione dalla sede giudiziaria a quella amministrativa, nell'ambito cioe' della «gestione separata» prevista e disciplinata dall'art. 2, commi 3 e ss., del decreto-legge 1° ottobre 1999, n. 341 (Disposizioni urgenti per l'Azienda Policlinico Umberto I e per l'Azienda ospedaliera Sant'Andrea di Roma), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 4 ottobre 1999, n. 233 e convertito, con modificazioni, in Legge 3 dicembre 1999, n. 453. In realta', non vi e' alcuna garanzia per la Medikron (come dovrebbe invece sussistere al lume della certezza del diritto, dell'effettivita' della difesa e della stabilita' delle pronunce giurisdizionali) di ottenere, una volta ricondotta l'azione di ottemperanza nell'alveo concorsuale instaurato dal surrichiamato provvedimento normativo, completa soddisfazione delle sue pretese. Il comma sesto del succitato art. 2 del d.l. n. 341/1999 subordina, infatti, la copertura dei disavanzi alla capienza delle risorse finanziarie pubbliche messe a disposizione secondo il procedimento descritto dal comma 6 del sunnominato art. 2 del decreto-legge n. 341/1999. Non puo' d'altronde obliterarsi che - al di la' delle assicurazioni verbali del difensore dell'azienda circa la capienza dei fondi acquisiti alla gestione separata - osta alla completa soddisfazione del diritto della Medikron il quarto comma dell'art. 7-quater, secondo cui dall'attuazione dei primi tre commi della stessa disposizione non possono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Veramente non si comprende, dunque, come possa pronosticarsi utile e vantaggiosa l'insinuazione di nuovi crediti (ossia quelli rivenienti dall'estinzione d'ufficio dei giudizi di ottemperanza pendenti) nelle procedure di liquidazione ora devolute alla gestione separata, se le risorse a disposizione di tale ufficio straordinario non appaiono in alcun modo incrementabili. IV) Violazione degli artt. 24, 101, 103, 104, 108 e 113 della Costituzione, con riguardo alla previsione dell'estinzione d'ufficio dei giudizi d'ottemperanza pendenti. Si e' detto che il tenore del secondo comma dell'art. 7-quater impone in capo al decidente un obbligo ineludibile di dichiarare, anche d'ufficio, l'estinzione d'ufficio dei giudizi d'ottemperanza pendenti. Sul punto la Corte costituzionale gia' in altre occasioni ha statuito (Corte cost., n. 103/1995) che, per individuare i limiti di costituzionalita' di un tal genere d'intervento legislativo occorre apprezzare in chiave comparativa il rapporto tra la portata estintiva delle norme censurate ed il grado di realizzazione che, alla pretesa azionata, sia stato comunque assicurato dal Legislatore; con la conseguenza che, quando la legge sopravvenuta, senza negare il fondamento delle pretese fatte valere in giudizio, abbia comunque soddisfatto, anche se non integralmente, le ragioni fatte valere nei giudizi da estinguere, dovrebbe allora escludersi l'illegittimita' costituzionale della previsione, proprio perche' coerente con il riconoscimento ex lege del diritto fatto valere giudizialmente. Una volta calato il principio teste' richiamato alla vicenda che occupa il Collegio, si palesa con ancor maggiore evidenza l'illegittimita' denunciata. Il vulnus all'art. 24 Cost. e', innanzitutto, manifesto al lume di quanto sopra considerato in ordine all'espressa esclusione di aggravi per la finanza pubblica a seguito dell'attuazione dell'art. 7-quater. Concorre con la precedente osservazione la circostanza che, in questa vicenda, e' del tutto assente la «soddisfazione alternativa in via legislativa» delle pretese fatte valere dalla societa' istante (e di tutti gli altri, numerosi creditori che versano nelle identiche condizioni della Medikron). Il pagamento dell'appellata avverra' soltanto all'esito di una procedura liquidatoria di natura amministrativa, senza che allo stato il Legislatore abbia offerto alcuna garanzia circa il sicuro riconoscimento dei crediti gia' accertati in via giurisdizionale e, soprattutto, in assenza di alcuna certezza della loro futura insinuazione, per l'intero ammontare o per gran parte di esso, in un procedimento concorsuale in stato avanzato e non piu' finanziabile. Non vi e' chi non veda come, cosi' disponendo, si e' in pratica operata una sostanziale vanificazione della via giurisdizionale, intesa quale mezzo al fine della completa ed effettiva attuazione di un preesistente diritto. Della correttezza di quanto affermato costituisce, del resto, indizio eloquente l'ulteriore circostanza dell'assenza nell'articolo censurato di ogni riferimento alla compensazione delle spese processuali. Ed invero, sebbene la compensazione in via legislativa si presenti oggi in conflitto con vincolanti principi promananti dal diritto internazionale pattizio, nondimeno in pregresse occasioni la clausola compensativa ebbe a superare indenne il rigoroso vaglio del giudice delle leggi; essa venne, infatti, giudicata non irrazionale al cospetto di uno ius superveniens idoneo a bilanciare adeguatamente l'interesse pubblico con le richieste delle parti agenti e tale da non frustrare lo ius persequendi iudicio quod sibi debetur, stante il riconoscimento in via legislativa della pretesa fatta valere dagli interessati (di qui la giustificazione di una compensazione legale, pur in assenza di una soccombenza, anche soltanto virtuale). Alla disposizione in esame, ribaditi i superiori rilievi, sembra invece applicabile lo spettro dei principi affermati con la sentenza della Corte costituzionale n. 123/1987, con la quale si rimosse il contrasto, con l'art. 24 Cost., del primo comma dell'art. 10 della legge n. 425 del 1984, stigmatizzandone la distanza dall'istituto dell'estinzione del processo (ed, in particolare, dall'art. 310 c.p.c., che conserva efficacia alle sentenze di merito pronunciate nel corso del giudizio), per essersi palesata dal Legislatore la volonta' di impedire in ogni modo la realizzazione del diritto alla decisione della controversia, anche laddove una sentenza di merito fosse stata resa. Ugualmente, nel caso di specie, l'art. 7-quater del decreto-legge n. 7/2005 e' sopraggiunto dopo una serie di pronunce giudiziali (della magistratura ordinaria e di quella amministrativa), assolutamente concordi e, soprattutto, assurte all'intangibilita' propria della cosa giudicata, cosi' violando il valore costituzionale del diritto di agire, a sua volta naturalmente implicante il diritto del cittadino ad ottenere una decisione di merito senza onerose reiterazioni di tutele. Infine, la dichiarazione d'inefficacia delle sentenze di ottemperanza, oltre a rendere assolutamente incerto il conseguimento della sorte del credito e degli accessori, impedisce alla Medikron di ottenere il pagamento dei 2.000,00 (duemila/00) euro liquidati dalla sezione con la decisione n. 7241/2004. V) Violazione dell'art. 2, 24 e 117, primo comma, della Costituzione. Il primo comma dell'art. 117 della Costituzione, nel testo introdotto dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, ha vincolato l'esercizio della potesta' legislativa dello Stato al rispetto degli obblighi internazionali assunti dalla Repubblica italiana. La sezione e' dell'avviso che tali obblighi, costituenti nuovo parametro interposto di costituzionalita', non siano unicamente quelli del diritto internazionale consuetudinario, ma anche quelli derivanti dal «diritto pattizio». Orbene, nell'ambito di tale fonte del jus gentium, un posto di assoluto rilievo e' assegnato alla disciplina dei diritti dell'uomo; a livello regionale e, piu' precisamente, in ambito europeo, questa tutela e' essenzialmente o, comunque, prevalentemente affidata alla «Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali», ratificata dalla Repubblica Italiana con la Legge 4 agosto 1955, n. 848. Nell'ambito delle istituzioni create dalla convenzione in parola, la nomopoiesi del «diritto vivente» umanitario e' attribuita alla Corte europea dei diritti dell'uomo, la cui giurisprudenza consente l'emersione a livello internazionale dei diritti inviolabili, in tal modo arricchendo il catalogo aperto dell'art. 2 Cost. e, per l'effetto, creando paralleli obblighi (anche) per tutti i legislatori della Repubblica italiana, vincolati, appunto, al rispetto dell'art. 117 Cost. In questo contesto, per i fini che qui interessano, meritano di essere invocati tre articoli dell'acquis di Strasburgo: in dettaglio, vengono in rilievo gli art. 6 1/2. 1 e 13 della Convenzione, secondo cui, rispettivamente: «1. - Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale decidera' sia delle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che le venga rivolta. La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l'accesso alla sala d'udienza puo' essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell'interesse della morale, dell'ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una societa' democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicita' puo' pregiudicare gli interessi della giustizia» e «Ogni persona i cui diritti e le cui liberta' riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto ad un ricorso effettivo davanti ad un'istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell'esercizio delle loro funzioni ufficiali», nonche' l'art. 1 del Protocollo addizionale n. 1, in base al quale: «Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno puo' essere privato della sua proprieta' se non per causa di utilita' pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale. Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di mettere in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l'uso dei beni in modo conforme all'interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende». La Corte europea dei diritti dell'uomo, nel caso «Capitanio contro Italia» (sez. I, sentenza dell'11 luglio 2002, in ricorso n. 28724/1995), con riguardo al diritto di accesso ad un tribunale, ha chiarito che «il diritto ad un tribunale garantito dall'articolo 6 protegge parimenti la attuazione delle decisioni giudiziarie definitive e vincolanti che, in uno Stato che rispetta la preminenza del diritto, non possono restare inoperanti a detrimento di una parte. Di conseguenza, l'esecuzione di una decisione giudiziaria non puo' essere ritardata in maniera eccessiva»; il medesimo concetto era stato gia' affermato, oltre che nel caso-pilota «Immobiliare Saffi», anche nella vertenza «Caso contro Italia» (sentenza, sez. Il, del 3 agosto 2000, in ricorso n. 22671/1993), ove la Corte ebbe modo di precisare che: «[...] mentre potrebbe accettarsi che gli Stati membri possano, in circostanze eccezionali..., utilizzando il loro margine di apprezzamento per controllare l'uso dei beni, intervenire in procedimenti per l'esecuzione di una decisione giudiziaria, la conseguenza di un tale intervento non dovrebbe consistere nel prevenire, invalidare o ritardare eccessivamente l'esecuzione o, ancora meno, che la sostanza della decisione sia compromessa [...]». Nell'occasione, sebbene con riferimento alla normativa italiana sull'equo canone, venne statuito il principio generale secondo cui: «[...] un'ingerenza, cosi' come previsto dal secondo paragrafo dell'art. 1 del Protocollo n. 1,. deve realizzare un "giusto equilibrio" tra le esigenze dell'interesse generale e la necessita' di proteggere i diritti fondamentali individuali. Ci deve essere una ragionevole relazione di proporzionalita' tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito. Nel determinare se questa esigenza sia stata raggiunta, la Corte riconosce che lo Stato gode di un largo margine di apprezzamento in riferimento sia alla scelta dei mezzi di applicazione e sia all'accertamento se le conseguenze dell'applicazione siano giustificate dall'interesse generale per il proposito di conseguire l'oggetto della legge in questione». Ancora va segnalato che, ai fini dell'applicazione dell'art. 1 del Protocollo addizionale, e' considerato «bene» pure «[...] un profitto futuro... se il guadagno e' stato acquisito o e' stato oggetto d'un credito esigibile [...]» (sentenza «Saggio contro Italia», sez. II, del 25 ottobre 2001, in ricorso n. 41879/1998) ed anche un titolo esecutivo («caso Ambruosi contro Italia», sentenza del 19 ottobre 2000, in ricorso n. 31227/1996) e che siffatta qualificazione e' da reputarsi vincolante anche per i Legislatori italiani ogniqualvolta adottino provvedimenti normativi suscettibili di incidere negativamente sui diritti tutelati dallo strumento internazionale. Inoltre, nella stessa decisione del «caso Saggio» appena citata, si e' osservato altresi' che: «[...] in linea di massima un sistema di sospensione temporanea del pagamento dei crediti di una impresa commerciale in crisi..., non e' criticabile in se', visto in particolare il margine di apprezzamento autorizzato dal secondo comma dell'articolo 1. Tuttavia, un tale sistema comporta il rischio d'imporre ai creditori un carico eccessivo quanto alla possibilita' di ottenere i loro beni e deve quindi prevedere alcune garanzie di procedura per controllare che la messa in opera del sistema e la sua incidenza sul diritto di proprieta' dei singoli non siano arbitrari ne' imprevedibili». Ad avviso della sezione le norme e la giurisprudenza passate velocemente in rassegna convergono nel rendere palese l'incompatibilita' con la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, e dunque incostituzionale per violazione degli artt. 2 e 117 Cost., una disposizione come l'art. 7-quater che: privi i creditori, che abbiano ottenuto un titolo esecutivo nei confronti dell'Azienda ospedaliera Policlinico Umberto I, di un «bene», quanto meno con riferimento al credito per le spese processuali liquidate nel decreto ingiuntivo dichiarato inefficace ex lege; impedisca l'attuazione delle decisioni giudiziarie definitive, rendendole inoperanti a detrimento di una parte; in ogni caso, ritardi in maniera eccessiva l'esecuzione di' una decisione giudiziaria (si noti che la Medikron ha coltivato diligentemente le sue giuste pretese in sede giurisdizionale, affrontando gli oneri, le spese ed i disagi di ben cinque procedimenti: uno avanti al iribunale ordinario, due avanti al Tribunale amministrativo regionale del Lazio ed altrettanti avanti al Consiglio di Stato); sospendendo l'esecuzione di un giudicato e subordinando, con un rinvio sine die, la soddisfazione delle pretese dei creditori, gia' muniti di un titolo esecutivo, all'esito incerto di una procedura concorsuale di carattere amministrativo; travalichi i limiti di una legittima ingerenza pubblica ai sensi dell'art. 1 del Protocollo addizionale, non avendo previsto il Legislatore del del 2005, garanzie di procedura per controllare che la messa in opera del sistema di liquidazione in via amministrativa e la sua incidenza sul diritto di proprieta' dei singoli non siano arbitrari ne' imprevedibili. VI) Violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione. Appare dubbia anche la conformita' al principio di ragionevolezza e di buon andamento amministrativo di una disposizione, come l'art. 7-quater, che incide sui giudicati allo scopo di dare rilevanza esterna ad un criterio organizzativo di centri di spesa che si sarebbe potuto conseguire, ben piu' efficacemente, con strumenti interni di regresso tra la gestione liquidatoria e l'Azienda ospedaliera. Se, infatti, il Collegio non ha motivi di dubitare della legittimita' costituzionale del decreto-legge n. 341/1999, al quale e' sotteso un disegno coerente volto a sgravare le aziende sanitarie neoistituite degli oneri finanziari correlati alle precedente gestioni, in modo da consentire alle prime di cominciare a funzionare senza essere oberate dal passivo in precedenza accumulato (v., in tema, Corte cost., 9 dicembre 2005, n. 437), per contro si rivela del tutto irragionevole rispetto a tale scopo, sotto il profilo della violazione del canone di proporzionalita', la previsione della perdita di efficacia dei suddetti provvedimenti giurisdizionali. Si tratta, infatti, di una misura estrema, mai presa in considerazione dal Legislatore nemmeno in occasione dell'analogo, ma ben piu' rilevante fenomeno della creazione delle gestioni liquidatorie delle soppresse UU.ss.ss.ll.. In questo senso il plesso normativo (essenzialmente rappresentato dall'art. 6, comma 1, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, dall'art. 2, comma 14, della legge 28 dicembre 1995, n. 549) che, nell'ambito della complessiva «aziendalizzazione» delle articolazioni locali del Servizio sanitario nazionale, regolo' la liquidazione dei debiti delle disciolte unita' sociosanitarie locali si presta a costituire un idoneo tertium comparationis, valido a dimostrare l'irrazionalita' della scelta legislativa compiuta con l'approvazione dell'art. 7-quater. VII) Violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione. L'articolo in questione lede l'affidamento formatosi nella Medikron (ed in tutti gli altri creditori nelle medesime condizioni dell'appellata) in ordine alla soddisfazione dei crediti gia' riconosciuti in via giurisdizionale, con un accertamento provvisto della forza di giudicato ed, inoltre, a fronte del generale principio della responsabilita' patrimoniale, da' luogo ad un'evidente disparita' di trattamento tra i soggetti che vantino pretese creditorie nei confronti dell'Azienda Policlinico Umberto I, unicamente in ragione dell'epoca della nascita delle rispettive obbligazioni. VIII) Violazione degli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione. L'effetto della norma censurata e', dunque, quello di rendere inefficace la tutela giurisdizionale ottenuta da taluni creditori nei confronti dell'zienda ospedaliera, per di piu' soltanto limitatamente ad alcune categorie di atti (i decreti ingiuntivi e le sentenze di ottemperanza, appunto). IX) Violazione dell'art. 117, primo comma, della Costituzione, sotto il profilo della violazione dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario. In ultimo, ad avviso del Collegio, l'art. 7-quater viola la c.d. «quinta liberta' comunitaria». Come e' noto, la creazione di uno spazio comune europeo di liberta', di sicurezza e di giustizia postula indefettibilmente la libera circolazione delle decisioni giudiziarie, incentrata sul principio del mutuo riconoscimento. Ebbene, le esigenze di una reale cooperazione giudiziaria in materia civile (che di recente si e' sensibilmente rafforzata proprio in relazione ai titoli esecutivi) escludono in radice che uno Stato membro possa autonomamente stabilire di porre nel nulla l'efficacia di atti dell'autorita' giurisdizionale, astrattamente suscettibili di valicare i confini nazionali. Riguardato da questa prospettiva, l'art. 7-quater si pone in recisa antitesi con i principi del Trattato rilevanti ratione materiae, ne' occorre indagare se in concreto nella controversia siano attualmente rinvenibili elementi di collegamento con l'ordinamento sovranazionale, dal momento che un nesso del genere sussiste in re ipsa ed in maniera evidente ed incontrovertibile, posto che un decreto ingiuntivo o una decisione dell'autorita' giurisdizionale amministrativa relativa a diritti patrimoniali, dichiarati ex lege inefficaci, non potranno mai circolare in ambito comunitario, ne' i relativi crediti potranno essere ceduti dagli aventi diritto. Al lume delle precedenti considerazioni, il Collegio opina che non residui alcun margine per un'esegesi alternativa e costituzionalmente orientata dell'art. 7-quater piu' volte citato e che, conseguentemente, il giudizio non possa esser definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale sopra illustrata, ritenuta rilevante e non manifestamente infondata. In conclusione, deve disporsi la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, con conseguente sospensione del giudizio.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 Cost. e 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale del primo, del secondo e del quarto comma, comma dell'articolo 7-quater del decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7 (Disposizioni urgenti per l'universita' e la ricerca, per i beni e le attivita' culturali, per il completamento di grandi opere strategiche, per la mobilita' dei pubblici dipendenti, e per semplificare gli adempimenti relativi a imposte di bollo e tasse di concessione, nonche' altre misure urgenti), introdotto, in sede di conversione, dalla legge 31 marzo 2005, n. 43, in riferimento a tutti i parametri costituzionali indicati nella suestesa motivazione, e, per l'effetto, dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio. Ordina che, a cura della segreteria sezionale, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati. Cosi' deciso in Roma, nella sede del Consiglio di Stato nella Camera di consiglio del 13 dicembre 2005. Il Presidente: Elefante L'estensore: Carlotti 06C0827