N. 389 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 marzo 2006
Ordinanza emessa il 21 marzo 2006 dalla Corte di assise d'appello di Roma nel procedimento penale a carico di Natali Norberto ed altri Processo penale - Appello - Modifiche normative - Possibilita' per il pubblico ministero di proporre appello contro le sentenze di proscioglimento - Preclusione - Inammissibilita' dell'appello proposto prima dell'entrata in vigore della novella - Violazione del principio di parita' delle parti - Lesione del principio della ragionevole durata del processo. - Legge 20 febbraio 2006, n. 46, art. 1, sostitutivo dell'art. 593 del codice di procedura penale; legge 20 febbraio 2006, n. 46, art. 10. - Costituzione, artt. 3 e 111, comma secondo.(GU n.41 del 11-10-2006 )
LA CORTE DI ASSISE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel processo n. 19/05 a carico Norberto + 6 (v. elenco allegato), appellante il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma avverso la sentenza di assoluzione di tutti gli imputati dall'imputazione di delitto p. e p dall'art. 270 c.p. con formula «perche' il fatto non sussiste» pronunciata dal G.u.p. del Tribunale di Roma in data 21 settembre 2004; Preso atto dell'eccezione d'incostituzionalita', avanzata all'udienza 16 marzo 2006 dall'ufficio del procuratore generale in sede, relativamente: all'art. 593 c.p.p. come novellato dalla legge n. 46/2006 nella parte in cui, fuori dai casi di cui al comma 1-bis esclude l'appello del p.m. contro le sentenze di proscioglimento; all'art. 10, comma 2 della legge n. 46/2006, per contrasto con gli articoli 3, 111, 112 della Costituzione; Uditi i difensori degli imputati, che hanno chiesto declaratoria di manifesta infondatezza dell'eccezione e d'inammissibilita' dell'appello; O s s e r v a Ai sensi del combinato disposto degli artt. 1 e 10 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 andrebbe dichiarata l'inammissibilita' dell'appello proposto dal Procuratore della Repubblica avverso l'assoluzione in primo grado degli imputati. Questa Corte ritiene che: la suindicata normativa sia sospetta di incostituzionalita' per contrasto col dettato degli artt. 111, secondo comma, e 3 della Costituzione, che, in particolare, essa sia sospetta di violare il principio della parita' delle parti nel contraddittorio posto dall'art. 111, secondo comma, della Costituzione per ogni processo, per l'intero suo svolgimento in tutte le sue fasi e gradi e, quindi, per il processo penale, per tutto l'iter successivo al promovimento dell'azione penale (art. 405 c.p.p.). Non e' manifestamente da escludere, a parere di questa Corte che la norma di cui al terzo comma del menzionato art. 111 indichi il contraddittorio come normale mezzo d'espressione dei diritti e poteri insiti nel concetto di parita' delle parti nel particolare ambito della formazione della prova nel processo penale, ma non implichi, come invece pare adombrato negli interventi della difesa, l'esaurimento/consumazione in tale funzione e fase della totalita' dell'esigenza di contraddittorio e parita' degli attori processuali; che l'affermazione del principio della parita' delle parti, nella formula amplissima adottata nel secondo comma dell'art. 111, riguardi altresi' ed in special modo la parita' di poteri rispetto all'organo della giurisdizione investito del giudizio una volta esercitata l'azione penale, poteri che si traducono nelle istanze e richieste, in rito e merito, funzionali allo svolgimento del processo ed all'ottenimento di una pronuncia giurisdizionale definitiva, nella quale l'azione penale si consumi; che nulla nella specifica norma richiamata o nel sistema complessivo della Carta costituzionale, autorizzi a ritenere il principio di parita' valido per tutti i poteri di istanza e richiesta diretti all'ottenimento della formazione del giudizio definitivo nel merito, eccezion fatta (senza alcuna grave ragione di coerenza dell'ordinamento penale processuale e sostanziale) per quelli che possono trovare espressione solo nell'appello del soccombente contro la sentenza assolutoria di primo grado. Non appare, quindi, manifestamente da escludere che sia incompatibile coi principi del giusto processo (che implicano che tutte le parti possano portare avanti la loro azione con eguali mezzi) la formulazione dell'art. 593 c.p.p. novellato, che inibendo sia al p.m. che all'imputato di proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento, se viene ad incidere solo su elementi marginali e comunque non essenziali dell'azione difensiva (nei limiti nei quali l'imputato non puo' appellare avverso sentenze di prescrizione o di assoluzione nel merito con formule diverse dal fatto non sussiste o non aver commesso il fatto) limita invece, in modo sostanziale e grave, l'esercizio dell'attivita' principale dell'organo di accusa pubblica che non solo, al pari dell'imputato, non puo' piu' appellare avverso le sentenze di prescrizione o di assoluzione con formula diversa da quella da lui sollecitata, ma altresi' e' impossibilitato ad ottenere un nuovo giudizio di fatto avverso l'assoluzione nel merito, giudizio di fatto invece concesso al soccombente imputato, legittimato all'appello avverso alla condanna. Va in proposito ricordato che la Corte costituzionale (che pure ha costantemente affermato che parita' delle parti non significa necessariamente perfetta identita' di poteri), pronunciando in merito alle limitazioni assai meno gravi ed incisive poste all'appello del p.m. dalla disciplina del giudizio abbreviato, ha ritenuto manifestamente infondato il sospetto di incostituzionalita' delle stesse solo valorizzando la razionalita' del bilanciamento dei sacrifici imposti alle parti dalla scelta di quel rito e, cosi', precisando che la limitazione dell'appello del p.m. avverso alle sentenze rese all'esito di giudizio abbreviato puo' ritenersi ragionevolmente giustificata dalla diversa posizione in cui vengono a trovarsi i due soggetti processuali nell'ambito di quel rito alternativo - nel quale l'imputato consente di essere giudicato in base alle prove raccolte dal p.m., fuori dalle garanzie del contraddittorio - nonche' dall'obiettivo primario di una rapida e completa definizione dei processi svolti in primo grado secondo quel rito alternativo (Corte cost. ordinanza n. 421/03 - 21 dicembre 2001); nello stesso senso la sentenza della Corte cost. n. 347 8 - 16 luglio 2002 letteralmente «... per quanto attiene, in particolare, al limite all'appello della parte pubblica oggetto di censura, esso continua a trovare giustificazione ... nell'obiettivo primario della rapida e completa definizione dei processi svoltisi in primo grado con il rito abbreviato: rito che - sia pure, oggi, per scelta esclusiva dell'imputato - implica una decisione fondata, in primis, sul materiale probatorio raccolto dalla parte che subisce la limitazione denunciata, fuori delle garanzie del contraddittorio ...». La preclusione al p.m. dell'appello avverso alle sentenze di proscioglimento prevista dalla norma della cui costituzionalita' si dubita non appare equilibrata da alcun sacrificio dei poteri e diritti processuali dell'imputato, ne' da esigenze di rapida definizione del processo esposto, comunque, all'appello consentito all'imputato. Ne' sembra si possa ritenere, stante la pari sostanziale gravita' ed importanza per l'ordinamento degli interessi e diritti sottoposti a giudizio dalle parti pubblica e privata, che l'esigenza di speditezza del processo possa valere per quello che abbia avuto in primo grado un esito di assoluzione piu' di quanto per quello concluso, invece, da condanna. Non pone rimedio alla prospettata violazione della parita' delle parti la facolta', riconosciuta al p.m. dal secondo comma dell'art. 593 c.p.p. novellato, di propone appello nelle ipotesi ex art. 603 comma 2, se la nuova prova e' decisiva; infatti si tratta di fattispecie marginale che non pone nella sostanza il p.m. in condizioni almeno comparabili con quelle dell'imputato rispetto alla possibilita' di ottenere una nuova valutazione in fatto su una pronuncia nel merito. D'altra parte, il sacrificio della posizione del p.m. non appare neppure compensato, in una visione complessiva dell'ordinamento processuale penale, da una corrispondente deflazione del carico di lavoro della giustizia penale, e' infatti evidente che il nuovo regime delle impugnazioni della pubblica accusa non solo e' fatalmente destinato a comportare un significativo aumento di lavoro per la Corte di cassazione, ma anche, in caso di conferma in tale ultima sede della sentenza di proscioglimento impugnata, una regressione del procedimento con conseguente ed inevitabile allungamento dei tempi di definizione del processo. E' evidente, infatti, che mentre sotto la disciplina previgente, ove la doglianza del p.m. fosse stata fondata, sarebbero stati sufficienti tre gradi di giudizio per definire il processo (sentenza d'assoluzione in primo grado, sentenza di condanna su appello del p.m., in secondo grado, rigetto da parte della Cassazione del ricorso dell'imputato avverso la sentenza d'appello), successivamente, invece, all'abolizione dell'appellabilita' delle sentenze di proscioglimento nel merito da parte del p.m., saranno necessari allo stesso fine non meno di cinque gradi di giudizio (sentenza d'assoluzione in primo grado, annullamento da parte della Cassazione sul ricorso del p.m. con rinvio al primo grado, sentenza di condanna del giudice di rinvio, conferma condanna da parte di giudice di secondo grado su appello dell'imputato, definitivo rigetto della Cassazione del ricorso proposto dall'appellante). Per quanto appena rilevato, la nuova normativa vulnera anche il secondo principio affermato nel secondo periodo del secondo comma del gia' citato art. 111 della Costituzione, quello della ragionevole durata del processo. Inoltre, appaiono incompatibili col principio di ragionevolezza insito nell'art. 3 della Costituzione: per un verso, il riconoscimento al p.m. del potere di appello in caso di soccombenza parziale (condanna diversa da quella richiesta), ma non nel caso di soccombenza totale (sentenza di proscioglimento), per altro verso, la subordinazione della possibilita' del p.m. di ottenere un nuovo giudizio in fatto avverso la sentenza di proscioglimento alla presenza e all'iniziativa, nel processo, della parte civile, poiche', ai sensi dell'art. 580 c.p.p., se la parte civile proponga appello, il ricorso per cassazione del p.m., si converte automaticamente in appello, sicche', se la parte pubblica e' «sola» a sostenere l'accusa, non puo' ottenere un nuovo giudizio in fatto, che puo', invece, conseguire ove sia affiancata dalla accusa privata. Le suesposte considerazioni fanno ritenere non manifestamente infondata, e rilevante ai fini dei presente processo, la questione di costituzionalita' del combinato disposto degli artt. 1 e 10 legge 20 febbraio 2006, n. 46 nella parte in cui precludono al p.m. la possibilita' di appellare nel merito le sentenze di proscioglimento e, nell'ipotesi di processi d'appello gia' pendenti impongono alla Corte di appello di dichiarare l'inammissibilita' del predetto gravame. Sciogliendo la riserva di cui all'udienza del 16 marzo 2006.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata l'eccezione di costituzionalita' proposta dal Procuratore generale dalla Repubblica di Roma all'udienza del 16 marzo 2006, con riferimento agli artt. 1 e 10 legge 20 febbraio 2006, n. 46, nella parte in cui inibiscono al p.m. di proporre appello avverso sentenze di proscioglimento nel merito e impongono alla Corte d'appelio di dichiarare l'inammissibilita' degli appelli dei p.m. gia' pendenti e, per l'effetto, rimette gli atti alla Corte costituzionale per la decisione; Sospende il presente processo a carico di Natali Norberto + 6 sino alla decisione; Dispone altresi' la notificazione della presente ordinanza alla Presidenza del Consiglio dei ministri e la sua comunicazione ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Roma, addi' 21 marzo 2006 Il Presidente: Cappiello Il consigliere estensore: Mauro 06C0844