N. 390 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 marzo 2006

Ordinanza  emessa  il  23 marzo  2006  dal tribunale di Frosinone nel
procedimento di Ciarrapico Giuseppe ed altri

Reati  e  pene  -  Prescrizione  - Modifiche normative comportanti un
  regime piu' favorevole in tema di termini di prescrizione dei reati
  -  Disciplina  transitoria  - Inapplicabilita' delle nuove norme ai
  processi  gia' pendenti in primo grado ove, alla data di entrata in
  vigore della novella, vi sia stata la dichiarazione di apertura del
  dibattimento  -  Irragionevole disparita' di trattamento rispetto a
  situazioni  analoghe - Violazione del principio di proporzionalita'
  della  pena  -  Lesione  del principio della ragionevole durata del
  processo.
- Legge 5 dicembre 2005, n. 251, art. 10, comma 3.
- Costituzione, artt. 2, [3], 27 e 111.
(GU n.41 del 11-10-2006 )
                            IL TRIBUNALE

    A scioglimento della riserva assunta alla udienza del 17 febbraio
2006, nel procedimento penale contro Ciarrapico Giuseppe, nato a Roma
il  28 gennaio 1934, residente a Marino, c.da Santa Maria delle Mole,
via  Mameli  n. 1,  elettivamente  domiciliato in Roma, via Archimede
n. 144,  presso  lo  studio  del  difensore  avv.  Francesco  Caroleo
Grimaldi,  che  lo  difende unitamente all'avv. Piermaria De Cesaris,
del  Foro di Frosinone; Astazi Renzo, nato a Ferentino il 14 novembre
1934,  ivi  residente in via Tofe Vado Del Cerro n. 99, elettivamente
domiciliato in Frosinone, via del Plebiscito n. 18, difeso di fiducia
dall'avv.  Raffaele  Maietta,  del  Foro di Frosinone; Casano Pietro,
nato  a  Pantelleria  il  2 giugno  1930, residente in Frosinone, via
America  Latina  n. 113,  elettivamente domiciliato in Frosinone, via
Casilina  nord,  presso  lo studio del difensore di fiducia, Raffaele
Maietta; Di Lena Giovanni, nato a Nettuno il 6 luglio 1953, residente
a  Morolo,  via  Icone  n. 84,  difeso  di fiducia dall'avv. Raffaele
Maietta,  del  foro  di  Frosinone;  Imbriale  Matteo  Renato, nato a
Sant'Angelo  dei  Lombardi il 3 novembre 1937, residente a Frosinone,
via  Casilina nord snc, difeso di fiducia dall'avv. Raffaele Maietta,
del  Foro  di  Frosinone;  Capoccetta  Luigi,  nato  a  Colleferro il
9 aprile   1950,   residente   in   Frosinone,   via  Ceccano  n. 10,
elettivamente  domiciliato  in  Frosinone, via Lecce n. 31 difeso, di
fiducia, dall'avv. Vincenzo Galassi, del Foro di Frosinone;

                            O s s e r v a

    Che,  nel  corso  della  udienza del 17 febbraio 2006 i difensori
degli  imputati  chiedevano  al tribunale di ritenere rilevante e non
manifestamente  infondata  la  questione  relativa  alla legittimita'
costituzionale  dell'art. 10, comma 3, della legge n. 251 del 2005 e,
di  conseguenza,  di rimettere gli atti alla Corte costituzionale per
le sue determinazioni.
    Com'e'  noto,  il  giorno  8 dicembre 2005 e, quindi, pendente il
presente  processo  e  gia'  aperto  il  dibattimento  a carico degli
attuali  imputati, entrava in vigore la legge sopra indicata che, tra
l'altro,  interveniva  in  maniera  rilevante  sulla disciplina della
prescrizione del reato.
    I  termini di prescrizione per le diverse categorie di reati, per
effetto della novella, venivano infatti modificati.
    La legge, peraltro, contiene una specifica disciplina transitoria
all'art. 10,  comma 2, il quale stabilisce, quale regola di carattere
generale,   quella  secondo  cui  «...  le  disposizioni  dell'art. 6
(ovvero, quelle relative alla nuova disciplina della prescrizione dei
reati)  non  si applicano ai procedimenti in corso se i nuovi termini
di prescrizione risultano piu' lunghi di quelli previgenti», il comma
3  della  stessa  norma,  quindi,  introduce una norma transitoria di
natura  in  qualche  modo eccezionale prevedendo che «se, per effetto
delle  nuove  disposizioni,  i termini di prescrizione risultano piu'
brevi, le stesse si applicano ai procedimenti ed ai processi pendenti
alla  data  di  entrata in vigore della presente legge, ad esclusione
dei  processi  gia'  pendenti  in  primo  grado  ove  vi sia stata la
dichiarata  di  apertura  del dibattimento, nonche' dei processi gia'
pendenti in grado di appello o avanti alla Corte di cassazione».
    E,  pertanto,  se  il termine di prescrizione, alla stregua della
nuova  normativa,  risulta  piu'  lungo  di  quello  conseguente alla
applicazione  della  normativa  previgente,  ed allora, sia in virtu'
della  disposizione  di  carattere  generale di cui all'art. 2, terzo
comma  c.p.,  che,  quindi, della disposizione specificamente dettata
dall'art. 10,  comma 2  della  legge  n. 251  del 2005, continueranno
senz'altro  ad  essere  applicati  i  vecchi  criteri  e  la  vecchia
disciplina;  se,  invece,  il  termine  di prescrizione, alla stregua
della  nuova normativa, risulta piu' breve di quello conseguente alla
applicazione  della  normativa  previgente,  ed  anche in tal caso in
perfetta  coerenza con il principio generale di cui all'art. 2, terzo
comma,  si  applichera'  la nuova normativa; salvo, pero', per.auanto
riguarda  i processi per i quali in primo grado sia stato gia' aperto
il dibattimento ovvero i processi pendenti in grado di appello ovvero
in  Cassazione,  per  i  quali  continuera', invece, ad applicarsi la
normativa previgente ancorche' meno favorevole.
I  difensori  degli  odierni  imputati  hanno  segnalato al tribunale
svariati  profili  di  illegittimita' costituzionale relativi proprio
alla  normativa  transitoria  speciale di cui al comma 3 dell'art. 10
della  legge  che,  come  si  e'  visto,  esclude  la possibilita' di
applicare   la   nuova   disciplina  -  quand'anche  piu'  favorevole
all'imputato  -  nei processi pendenti alla data della sua entrata in
vigore   laddove   in   questi   ultimi  sia  gia'  stato  aperto  il
dibattimento.
    In particolare, i difensori hanno ritenuto che questo criterio di
discriminazione   nella  applicazione  della  nuova  normativa  fosse
irrispettoso   del   principio  di  eguaglianza  quale  stigmatizzato
dall'art. 3    della    Costituzione    inteso   sotto   il   profilo
dell'irragionevolezza  di  un  trattamento  diversificato - quanto al
termine  di  prescrizione del reato - per fatti analoghi e situazioni
analoghe.
    Hanno,  inoltre,  sottolineato  come a loro avviso tale normativa
colliderebbe  con  il  principio  di  tassativita'  e legalita' della
fattispecie  penale  come  fissato  dall'art. 25, secondo comma della
Costituzione   e,   quindi,   con  l'art.  101  secondo  comma  della
Costituzione  nella misura in cui non consentirebbero al giudice, pur
a   dibattimento  aperto,  di  disporre  l'immediato  proscioglimento
dell'imputato per intervenuta estinzione dei reati a lui ascritti.
    Il  p.m.  a  sua  volta,  ha  ritenuto  non  privi di pregio e di
fondamento  le argomentazioni dei difensori rimettendosi in ogni caso
al tribunale per le sue determinazioni.
    Tanto  sopra  premesso,  occorre  in  primo  luogo  affermare  la
rilevanza  della  questione di legittimita' costituzionale posta alla
attenzione del Collegio.
    Ebbene,  e'  opportuno  a tal proposito richiamare le imputazione
per le quali, tra le altre, a tutt'oggi gli odierni imputati sono sub
sudice:
        Giuseppe Ciarrapico risponde:
          1)  del  reato  p. e p. dagli artt. 110 c.p., 81 cpv. c.p.,
236,  commi  1  e  2, in relazione all'art. 223, comma 2, l.f. e 2621
c.c.,   per  fatti  commessi  tra  il  1992  ed  il  1994,  accertati
nell'agosto 1996;
          2) del reato p. e p. dagli artt. 81 cpv. c.p., 223, comma 2
l.f.  in  relazione  all'art. 2621  c.c.,  per  fatti  di  bancarotta
impropria  commessi  sino  alla  data di dichiarazione del fallimento
(19 dicembre 1997);
          3)  del  reato  p.  e  p. dagli artt. 81, 110, 373 c.p., in
concorso  (esterno)  con Luigi Capoccetta, per fatti di falsa perizia
avvenuti nel marzo del 1995;
        Luigi Capoccetta risponde:
          del  reato  p.  e  p.  dagli  artt. 81,  110,  373 c.p., in
concorso  (esterno)  con  Giuseppe  Ciarrapico,  per  fatti  di falsa
perizia avvenuti nel marzo del 1995;
        Astazi  Renzo,  Casano  Pietro,  Di  Lena  Giovanni, Imbriale
Matteo Renato rispondono:
          del  reato  di  cui agli artt. 110, 117, 61 n. 2 e 476 c.p.
perche',  nella  rispettiva  qualita'  ed in concorso (esterno per il
Silenzi)  tra  loro  per fatti di falso in atto pubblico commessi dal
marzo del 1993 sino al maggio del 1996;
        Casano Pietro e Imbriale Matteo rispondono, ancora:
    del  reato  di cui all'art. 361 c.p. per fatti di omessa denunzia
alla a.g. per fatti commessi dal 9 aprile 1994 al 5 maggio 1995.
    La  questione  appare  dunque in primo luogo rilevante in quanto,
salvo  che per quanto riguarda il reato di cui all'art. 361 c.p., per
tutti i reati per i quali ancora si procede, la prescrizione massima,
conseguente   all'intervento  di  diversi  atti  interruttivi  ed  in
applicazione  della previgente disciplina, sarebbe, ed in effetti e',
quella di quindici anni (cfr., il combinato disposto degli artt. 157,
primo comma, n. 1 e 160 u.c. c.p. nel testo oggi novellato).
    In  applicazione  della  disciplina  conseguente  alla entrata in
vigore  della legge n. 251 del 2005, invece, in assenza di contestata
recidiva  nei  confronti  di  alcuno  degli  imputati,  detto termine
sarebbe:
        1)  di  dodici  anni  e  sei  mesi  per  quanto  riguarda  le
imputazioni elevate a carico di Giuseppe Ciarrapico sub-1 e sub-2;
        2)   di  sette  anni  e  sei  mesi  per  quanto  riguarda  la
imputazione elevata a carico di Giuseppe Ciarrapico sub-3 e sub-4);
        3) di sette anni e sei mesi, del pari, per quanto riguarda la
imputazione elevata a carico di Luigi Capoccetta;
        4)  di  sette  anni  e  sei mesi per la imputazione elevata a
carico  di  Astazi  Renzo,  Casano Pietro, Di Lena Giovanni, Imbriale
Matteo Renato.
    Detti  termini, ad esclusione di quelli relativi ai reati sub-1 e
2   ascritti  al  Ciarrapico,  sarebbero  pertanto  irrimediabilmente
decorsi.
    Se  non  che,  essendo  stato  aperto il dibattimento prima della
entrata  in  vigore della legge n. 251 del 2005, proprio in forza del
disposto  della norma transitoria di cui al terzo comma dell'art. 10,
gia'  sopra  richiamata,  dovrebbero applicarsi i vecchi termini, non
ancora perenti.
    Laddove,   pertanto,   la   Corte   condividesse   i  rilievi  di
illegittimita' costituzionale della norma transitoria che si andranno
di  seguito a segnalare, non v'e' dubbio che la conseguenza immediata
sarebbe   la   applicazione   della  normativa  sopravvenuta  con  la
declaratoria  di  estinzione  dei  suddetti  reati  in  quanto  ormai
prescritti.
    La  stessa iniziativa dei difensori di sollecitare il tribunale a
sollevare  la  questione,  infatti,  esclude,  seppure  ve  ne  fosse
bisogno, l'eventualita' di una rinuncia alla causa estintiva.
    Si  tratta, quindi, di verificare se il criterio di selezione che
il  legislatore ha inteso adottare al fine di discriminare le vicende
processuali  ed  i reati tuttora assoggettati al vecchio regime della
prescrizione  risponde  a  criteri di ragionevolezza e di equita' che
possano  peraltro  trovare  riscontro  in  principi  assunti  a rango
costituzionale.
    E'  pacifico, infatti, che la norma transitoria di cui si discute
introduca  una situazione di soggettiva disparita' di trattamento tra
coloro  che,  avendo commesso infatti analoghi, se non - in ipotesi -
identici,   sono  penalmente  perseguiti  in  materia  differente  in
considerazione  del diverso tempo di prescrizione del medesimo reato;
e  cio' a seconda che nel processo nel quale sono imputati sia o meno
intervenuta la dichiarazione di apertura del dibattimento.
    Ora, se e' vero che la presenza di una norma transitoria siffatta
e'  senz'altro  finalizzata  a  salvare dalla mannaia del decorso del
tempo  una  mole  di attivita' processuale giu' intrapresa e, dunque,
per  questa  via, a determinare una necessaria diversa disciplina per
situazioni   diverse,  e'  necessario  tuttavia  interrogarsi  se  il
criterio  selettivo adottato sia intrinsecamente ragionevole; ovvero,
in  altri  termini, se il diverso trattamento normativo di situazioni
pure diverse sia fondato su un criterio di ragionevolezza.
    Per affrontare correttamente il problema e' opinione del Collegio
che  si  debba  in  primo luogo rimarcare la natura sostanziale della
prescrizione  come  parte  ed  elemento  essenziale  del  trattamento
sanzionatorio  che  l'ordinamento  riserva  al  fatto  reato  e  che,
pertanto,  rappresenta  la  reazione  dell'ordinamento  alla  lesione
dell'ordine giuridico concretatasi ed avvenuta con la commissione del
fatto previsto dalla legge come reato.
    Questa  ricostruzione  e'  pacifica  e  radicata  nella  dottrina
tradizionale  che,  anzi,  ha costruito l'istituto della prescrizione
inquadrandolo  come  una  delle  ipotesi conosciute di rinunzia dello
Stato   alla  potesta'  di  punire  e  richiamando  in  proposito  le
considerazioni  svolte  nella  Relazione ministeriale al codice nella
quale,  per l'appunto, si sottolineava che l'istituto opera sul piano
sostanziale  della  estinzione  del  diritto dello Stato a perseguire
penalmente  il  mero e non gia' sul piano meramente processuale della
estinzione  dell'azione penale (cfr., Relazione ministeriale, I, pag.
198);   tant'e',  si  osservava,  che  la  prescrizione  opera  anche
indipendentemente  dalla costituzione del rapporto processuale (cfr.,
ivi).
    Nella  dottrina,  insomma, il fondamento e la ratio dell'istituto
vengono   rinvenuti   nel   riconoscimento   normativo  di  un  fatto
assolutamente  naturale  nella  vita individuale e sociale, in virtu'
del  quale  il mero decorso del tempo porta a sbiadire la memoria del
fatto  e, con esso, l'interesse dello Stato a reagire per ricostruire
l'ordine  destabilizzato dalla commissione del fatto di reato ovvero,
cioe', dalla lesione di un interesse che l'ordinamento ha ritenuto di
tutelare con la previsione di una sanzione penale.
    Sul  piano  del  diritto  positivo,  d'altro  canto, e' opportuno
osservare  che,  in  base  alla previgente formulazione dell'art. 157
c.p.,  l'istituto  era  gia'  per  piu'  versi  correlato,  sul piano
sostanziale   ed   applicativo,   al  riconoscimento  di  circostanze
attenuanti/aggravanti  ed  al  conseguente  giudizio di bilanciamento
imposto dall'art. 69, la innovazione legislativa apportata in termini
rigoristici  all'art.  157,  comma  terzo,  c.p. con l'esclusione del
giudizio  di  comparazione ai fini del computo del tempo necessario a
prescrivere il reato, fornisce una ulteriore conferma del persistente
rilievo sostanziale della causa estintiva.
    Per  altro  verso,  questa  natura,  gia'  evidente  dalla stessa
collocazione  sistematica della relativa disciplina nel titolo VI del
libro  I  del  codice  penale,  era stata affermata dal giudice delle
leggi  nella  sentenza  n. 275  del  2000  con  cui  si  affermava la
rinunciabilita' della prescrizione cosi' come della amnistia.
    Tanto  piu' grave e' la violazione tanto piu' grave per specie ed
entita'  e' dunque la sanzione che viene approntata dall'ordinamento;
proporzionalmente  piu'  lungo  e'  il  termine  in cui l'ordinamento
conserva  memoria  del fatto e, con essa, l'interesse ad applicare la
sanzione.
    E  la  proporzione  tra  l'entita'  della  pena  da un lato ed il
termine  di prescrizione dall'altro, secondo cui tanto piu' grave per
specie  ed  entita'  e'  la  sanzione prevista tanto piu' lunga e' la
prescrizione del reato rappresenta, salvo eccezioni rare e non sempre
commendevoli   di   prescrizioni   speciali,  un  dato  assolutamente
consolidato  nel  diritto  vivente; ed un dato che non viene smentito
nemmeno   nella   recente   riforma   dove,  indipendentemente  dagli
aggravamenti  determinati  dalle condizioni soggettive del reo, detto
principio  di  proporzionalita' tra la pena edittale ed il termine di
prescrizione e' un fatto normativo pacifico.
    Si  ci  puo'  attendere,  quindi,  che ad un medesimo fatto-reato
corrisponda,  quantomeno sul piano edittale, una medesima sanzione e,
di conseguenza, una medesima prescrizione.
    Con  la  opzione legislativa per la individuazione del momento di
apertura  del dibattimento come elemento discriminante tra la vecchia
e  nuova  normativa  e,  dunque, per la applicazione dei vecchi o dei
nuovi  termini  di  prescrizione, si potra' avere, invece, che per un
medesimo  fatto  reato,  commesso  per  avventura lo stesso giorno e,
sin'anche,  da  piu'  oggetti  in  concorso  tra  loro,  la  risposta
dell'ordinamento  sia  diversa  quanto  al  termine  di  prescrizione
applicabile.
    Richiamando  un  esempio  gia'  praticato  in  altre ordinanze di
remissione  ma  ulteriormente  portato a conseguenze estreme (ma che,
nella  pratica giudiziaria, non rappresentano evenienze infrequenti),
si  potra'  avere  che  due  persone, arrestate nella fragranza di un
reato  commesso  in  concorso  tra  loro,  siano  tratte  a  giudizio
direttissimo  ma  l'una ritenga e l'altra non ritenga di avvalersi di
un  termine  a  difesa sicche' per una di esse il dibattimento si sia
aperto prima della entrata in vigore, nel frattempo, della novella e,
per  l'altro, di dibattimento sia stato invece aperto successivamente
al fatidico 8 dicembre del 2005.
    In  virtu'  di  quanto disposto dall'art. 10, comma 3 della legge
251 del 2005, pertanto, per il primo trovera' applicazione la vecchia
disciplina della prescrizione e, per il secondo, la nuova normativa.
    Per uno stesso fatto reato, cioe', avremo una risposta differente
dell'ordinamento  in merito alla valenza da esso attribuita al vulnus
determinato dalla sua commissione.
    E  cio',  come  si e' osservato, indipendentemente dalla minore o
maggiore   solerzia   della   autorita'   giudiziaria  nell'esercizio
dell'azione penale.
    Non  possono  condividersi  invece quelle considerazioni che pure
sono  state  acutamente  sviluppate  da  coloro che hanno ritenuto la
questione de quo priva di quel minimo fondamento (o, per meglio dire,
di quella non manifesta infondatezza) idoneo(a) ad indurre il giudice
ordinario  a rimettere la questione al giudice delle leggi, cui solo,
peraltro, compete il giudizio sulla fondatezza della questione.
    In particolare, e' vero che, come e' stato detto, la variabilita'
del  termine  di prescrizione - anche in relazione a fatti analoghi e
persino  in  caso  di  concorso  di  persone  nel  medesimo  reato  -
rappresenta  un  dato fisiologico nel nostro ordinamento processuale;
e' infatti ben possibile ed anzi praticamente piuttosto frequente che
una  medesima  vicenda processuale che, per avventura, coinvolga piu'
imputati  tratti  a giudizio per reati commessi in concorso, comporti
che per soggetti diversi il termine di prescrizione possa in concreto
articolarsi  diversamente;  potra'  avvenire,  ad esempio, che taluno
opti per l'accesso a riti alternativi; altri opti per il dibattimento
ma   che,  nel  corso  del  dibattimento,  talune  posizioni  vengano
stralciate  a  causa  di'  impedimenti  di' natura soggettiva che non
consentano ed anzi consigliano la separazione delle posizioni.
    Il  favor  separationis,  d'altro  canto,  e'  un  dato normativo
chiaramente  evincibile nella disciplina della riunione o separazione
dei processi contenuta nel vigente codice di rito.
    Se  non  che, due sono le considerazioni che debbono essere fatte
in proposito:
        1)   in   primo   luogo  occorre  dire  che  in  questi  casi
l'allungamento  o  comune  il  diverso  articolarsi  del  termine  di
prescrizione  risponde ad opzioni processuali - quant'anche meramente
dilatorie - comunque riferibili alla iniziativa dell'imputato;
        2)  in secondo luogo, quel che potra' avvenire in conseguenza
di diverse scelte processuali e' il diverso articolarsi di un termine
di  prescrizione  che,  tuttavia,  per  lo stesso reato, rimane pero'
identico.
    Nel  caso  che  si  occupa,  invece,  per  un  verso  la  diversa
prescrizione  applicabile  - per soggetti diversi in fasi processuali
diverse  ma  per  un  medesimo fatto - non corrisponde ad una opzione
processuale   riferibile   alla   iniziativa   dell'imputato  quanto,
piuttosto,  ad  una  scelta del legislatore cui quest'ultimo non puo'
che  soggiocare  indipendentemente dalle scelte processuali compiute;
in  secondo  luogo, poi, non saremmo di fronte al diverso articolarsi
della  scadenza  di un medesimo termine di prescrizione conseguente a
diverse  opzioni  ed  iniziative  processuali  ma, al contrario, alla
introduzione  di  un  termine  di  prescrizione  che  per il medesimo
fatto-reato  diviene  invece,  ad  un  certo punto, gia' ab initio ed
indipendentemente   dalle   strategie   processuali,  sostanzialmente
diverso.
    E  vale  la  pena  di  richiamare  ancora la gia' citata sentenza
n. 275  del  2000  nella  quale  la  Corte  costituzionale, dopo aver
ribadito  come l'istituto della prescrizione riposi sull'interesse di
natura  collettiva  a  non  perseguire i reati qualora il decorso del
tempo  consente  di ritenere svanito il ricordo dei fatti e l'allarme
sociale  da  essi  determinato,  rileva  che,  per  questo motivo, la
prescrizione    doveva   ritenersi   istituito   sotratto   ad   ogni
discrezionalita'  legislativa  «pura»  (assimilabile, cioe', a quella
che  anima  il  ricorso  dello Stato a periodiche amnistie) in quanto
legato  invece  ad un avvento oggettivo rappresentato dal decorso del
tempo.
    Ritiene   dunque   il  collegio  che  il  differente  trattamento
riservato  dal  legislatore  a  situazioni  rese  differenti  solo ed
esclusivamente dal dato rappresentato dalla dichiarazione di apertura
del  dibattimento  non sia sorretto da un criterio di ragionevolezza;
in  altri  termini,  se  il  principio  di  eguaglianza  sta non solo
nell'esigenze  di  un  eguale  trattamento  di  situazioni eguali ma,
anche, nel diverso trattamento di' situazioni differenti, e' pur vero
che  il diverso trattamento di situazioni differenti deve fondarsi su
un  criterio  di razionalita' che nel caso di' specie non e' in alcun
modo rinvenibile.
    Non  e' rinvenibile, in particolare, alcun fondamento ragionevole
per   differenziare   in   termini   in   alcuni  casi  assolutamente
rimarchevoli  (nel  nostro  caso  siamo  in  presenza  di  termini di
prescrizione   che   risulterebbero  raddoppiati  rispetto  a  quelli
applicabili  in  virtu'  della  normativa  sostanziale  sopravvenuta)
situazioni  diverse  in relazione ad una circostanza come si e' visto
del tutto episodica ed esterna alla ratio dell'istituto.
    Ne  risulterebbe  in  ipotesi violato l'art. 3 della Costituzione
ma,  anche, a ben guardare, ed a parere del Collegio, l'art. 27 della
Carta riguardato sotto il profilo della necessita' che il complessivo
trattamento  sanzionatorio  apprestato dall'ordinamento nei confronti
del  reo  sia  coerente  e  proporzionale rispetto al fatto di reato;
laddove,   nel   caso   di   specie,   nell'ambito   del  trattamento
sanzionatorio  devesi  comprendere  anche  il tempo entro il quale lo
Stato ritenga di dover conservare memoria del fatto lesivo e, quindi,
di perseguire penalmente il reo.
    A  parere  del  Collegio,  inoltre,  la  norma  in  esame si pone
altresi'  in contrasto con il disposto di cui all'art. 111, commi 1 e
2   della   Costituzione   cosi'   come   riformulata   dalla   legge
costituzionale 23 novembre 1999, n. 2; e cio' in quanto:
        1)  l'esigenza  di  un processo giusto esige, in parallelo al
principio   di   eguaglianza   di   cui   all'art.   3   della  carta
costituzionale,  parita' di complessivo trattamento sanzionatorio per
fattispecie incriminatrici dalle pene edittali invariate;
        2)  l'esigenza  di  assicurare  una  durata  ragionevole  del
processo  puo'  indubbiamente  confliggere  con  la sopravvenienza di
soluzioni  normative  eterogenee in grado di arrestare o protrarre lo
sviluppo  del  processo  senza  essere ancorate ad elementi di natura
oggettiva.
    Ritenuta,  per  quanto  sopra  esposto,  la  rilevanza  e  la non
manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale
sollevata dalle difese degli odierni imputati;
                              P. Q. M.
    Visti gli artt. 23 e 24 della legge n. 87 del 1953;
    Dichiara  rilevante  e non manifestante infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 10, comma 3 della legge 251 del
2005  per  violazione  degli  artt. 2, 27 e 111 della Costituzione e,
pertanto;
    Sospende il processo;
    Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la
comunicazione  mediante  notifica  del  presente  provvedimento  alle
parti,  al  Presidente del Consiglio dei ministri, e la comunicazione
ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
        Frosinone, addi' 3 marzo 2005
                       Il Presidente: Caporaso
06C0845