N. 404 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 marzo 2006

Ordinanza emessa l'11 marzo 2006 (pervenuta alla Corte costituzionale
il  7  settembre  2006)  dal  tribunale  di Cagliari nel procedimento
penale a carico di Laconi Ignazio

Reati  e  pene  -  Circostanze  del  reato  - Concorso di circostanze
  aggravanti  e  attenuanti - Divieto di prevalenza delle circostanze
  attenuanti  sulle  circostanze  inerenti alla persona del colpevole
  nel  caso  previsto dall'art. 99, quarto comma, cod. pen. (recidiva
  reiterata)  -  Contrasto  con  il  principio  di  ragionevolezza  -
  Disparita'  di trattamento rispetto a situazioni analoghe - Parita'
  di  trattamento di situazioni diverse - Violazione del principio di
  legalita'   -   Lesione   dei   principi   di   personalita'  della
  responsabilita' penale e della funzione rieducativa della pena.
- Codice  penale, art. 69, comma 4, come modificato dall'art. 3 della
  legge 5 dicembre 2005, n. 251.
- Costituzione,  artt. 3,  25,  comma  secondo,  e  27, commi primo e
  terzo.
(GU n.42 del 18-10-2006 )
                            IL TRIBUNALE

    Ha pronunciato la seguente ordinanza ai sensi dell'art. 23, legge
11  marzo  1953  n. 87,  nell'ambito  del  procedimento penale contro
Laconi  Ignazio,  nato  a  Cagliari  il 5 febbraio 1969, imputato del
delitto  di  cui all'art. 73, comma 1 e 1-bis, d.P.R. 9 ottobre 1990,
n. 309  come  modificato dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49 perche',
senza  l'autorizzazione di cui all'art. 17, illecitamente deteneva 14
dosi di cocaina e 11 dosi di eroina, per un peso complessivo di gr. 4
(lordi),  sostanze  stupefacenti  di  cui  alla  tabella  I  prevista
dall'art.  14  della legge medesima, con modalita' e circostanze tali
da  non  apparire  destinate  ad uso personale (avendone tra l'altro,
offerto in vendita al carabiniere Paoluzzi Alessandro).
    Commesso  in  Cagliari  il  4  marzo 2006, con l'aggravante della
recidiva specifica, reiterata ed infraquinquennale.
    Nell'ambito di un'attivita' di contrasto del traffico di sostanze
stupefacenti  svolgentesi  nel  popolare  quartiere  di  San  Elia in
Cagliari,  in  data  4  marzo  2006  i  Carabinieri della stazione di
Cagliari  San  Bartolomeo  effettuarono  un'articolata  attivita'  di
indagine  attraerso servizi di osservazione, pedinamento e controllo,
in  abiti  militari e civili, in prossimita' dello stabile denominato
«Palazzo  Bodano»  sito  nella  via  Schiavazzi  n. 4/A  dello stesso
centro.
    Durante   l'osservazione,  i  militari  ebbero  modo  di  notare,
ripetutamente,  un  giovane,  tale Laconi Ignazio, pregiudicato anche
per  reati  in  materia  di  stupefacenti, sostare in un ballatoio in
prossimita' di una cantina aperta; videro in diverse occasioni alcuni
giovani, conosciuti agli operanti come tossicodipendenti, avvicinarsi
al Laconi, il quale, subito dopo, si recava all'interno della cantina
e ne riusciva poco dopo.
    Verso   le   21,15  i  militari,  ritenendo  che  fosse  in  atto
un'attivita'  di  spaccio di stupefacenti, decisero di intervenire ed
alcuni  di essi, tra cui l'appuntato Alessandro Paoluzzi, si recarono
in  abiti  civili  nel  ballatoio ove sostava il Laconi; questi, alla
vista dei militari in borghese, evidentemente non riconoscendoli come
appartenenti  all'Arma,  si avvino' al Paoluzzi e con lo stupefacente
in mano gli chiese se volesse acquistare «una busta».
    Il   giovane   venne   bloccato  e  sottoposto  a  perquisizione,
rinvenendosi  sulla sua persona 14 dosi di cocaina (grammi 2,11) e 11
dosi  di  eroina  (grammi  1,9)  oltre  alla  somma  di cento/00 euro
suddivisa in banconote di vario taglio.
    Il  Laconi  venne  quindi  tratto  in arresto nella flagranza del
delitto  di  illegale  detenzione di sostanza stupefacente ricompresa
nella  Tabella I di cui all'art. 14 del d.P.R. n. 309/1990 e condotto
in data 6 marzo 2006 davanti al Tribunale di Cagliari in composizione
monocratica  per la convalida dell'arresto ed il contestuale giudizio
direttissimo.
    Convalidato  l'arresto  ed  applicata al Laconi, su richiesta del
pubblico ministero, la misura cautelare della custodia in carcere, la
difesa  dell'imputato  ha  chiesto  termine  a difesa; il processo e'
stato  quindi  rinviato  all'udienza  del  9  marzo 2006, nella quale
l'imputato  presente  ed  il  suo  difensore hanno chiesto procedersi
nelle  forme  del  rito  abbreviato;  sussistendo  i  presupposti, il
giudice ha disposto procedersi nelle forme del rito abbreviato.
      Ad  esito  della  discussione  le  parti  hanno  rassegnato  le
rispettive  conclusioni,  chiedendo il pubblico ministero la condanna
del  Laconi  alla pena di anni quattro di reclusione e 20.000,00 euro
di  multa,  la  difesa dell'imputato in via principale, l'assoluzione
per   detenzione   ad  uso  personale,  in  subordine  l'applicazione
dell'attenuante  di  cui  al comma 5 dell'art. 73, d.P.R. n. 309/1990
con  giudizio  di  prevalenza  della stessa sulla contestata recidiva
reiterata  specifica ed infraquinquennale contestata; in relazione, a
tale   conclusione   subordinata,   ha   sollevato   l'eccezione   di
illegittimita'   costituzionale   dell'art.  69,  comma  4  c.p.  per
violazione  degli  art.  3, 25 secondo comma e 27 primo e terzo commi
della Costituzione.
    Il  processo e' stato rinviato per eventuali repliche all'odierna
udienza.
    Ad  esito della discussione, il tribunale ritiene che l'eccezione
di illegittimita' costituzionale sollevata dalla difesa dell'imputato
appare  non  manifestamente  infondata  ed  e'  rilevante ai fini del
giudizio.
    Quanto  alla  rilevanza,  si  deve  osservare  come  gli elementi
emergenti  dagli  atti  potrebbero  portare  nel  caso  di  specie ad
affermare  la  penale  responsabilita'  dell'imputato in relazione al
reato   a   lui  ascritto,  in  quanto  diversi  elementi  parrebbero
contraddire  all'esclusiva  destinazione  dello  stupefacente  ad uso
personale.
    In  caso  di  condanna,  considerata  la  complessiva entita' del
fatto,  esso  andrebbe qualificato, per la sua oggettiva consistenza,
nell'ambito  della  fattispecie attenuata di cui all'art. 73, comma 5
d.P.R.  9  ottobre  1990  n. 309,  che nell'ipotesi di fatto di lieve
entita'  concernente  le  sostanze  di  cui  alle  Tabelle  I  e III,
esattamente  come  e'  nel  caso  in  esame, stabilisce la pena della
reclusione  da  uno  a  sei  anni  e  della  multa da 2.580,00 euro a
25.800,00  euro  (limiti edittali che per quanto concerne le sostanze
qui  in esame non sono mutati per effetto della disciplina introdotta
con d.l. 30 dicembre 2005, n. 272 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale
27 febbraio 2006 ed in vigore dal 28 febbraio 2006).
    In  relazione  alla  disposizione  di  cui  all'art. 73, comma 5,
d.P.R.  n. 309/1990  e' costantemente e pacificamente riconosciuta la
sua  natura  di  circostanza  attenuante  ad effetto speciale, con la
conseguenza  che quando essa concorre con una circostanza aggravante,
compresa  anche  la  recidiva,  deve  obbligatoriamente procedersi al
giudizio  di  comparazione  tra  circostanze  attenuanti e aggravanti
secondo  la  previsione  di cui all'art. 69 c.p. (tra le tante: Cass.
pen. sez.  VI,  15  ottobre  2002,  n. 37016,  Cass.  pen  sez. IV, 2
febbraio  2001,  n. 10771  e  Cass.  pen. sez.  un.,  2l giugno 2000,
n. 17).
    Poiche'  nel  giudizio  a  quo  e'  stata  contestata la recidiva
reiterata specifica ed infraquinquennale, viene in considerazione una
circostanza  aggravante  inerente  la  persona  del colpevole (tra le
tante:  Cass.  pen.  5  marzo  1999  e 3 ottobre 2000), e sussistendo
l'attenuante  ad  effetto  speciale  del fatto di lieve entita', deve
procedersi  al  giudizio obbligatorio di comparazione tra circostanze
attenuanti   e   aggravanti.  Nell'ambito  del  giudizio  volto  alla
determinazione  della  pena in concreto secondo i criteri di cui agli
artt. 133 c.p. e 27 della Costituzione e, in particolare, allorquando
concorrano  circostanze  attenuanti  ed aggravanti e debba procedersi
percio'  all'obbligatorio  (giudizio di comparazione, deve aversi ora
riguardo  al  disposto  di  cui  all'art.  69 quarto comma c.p., come
modificato  dalla  legge  5 dicembre 2005 n. 251, in vigore alla data
del commesso reato per cui e' processo.
    Tale nuova disciplina, a differenza di quanto avveniva nel regime
previgente,  in  caso  di  recidiva  reiterata vincola il giudice nel
bilanciamento  delle circostanze al solo giudizio di equivalenza o di
subvalenza   delle   attenuanti   rispetto   alle  aggravanti,  senza
introdurre  alcuna  eccezione,  neppure  in  relazione  a circostanze
attenuanti   ad   effetto  speciale,  come  e'  pacificamente  quella
dell'art.  73,  comma 5, d.P.R. n. 309/1990, le quali introducono una
ridefinizione  della  cornice  edittale  in  modo  del tutto autonomo
rispetto alla fattispecie non attenuata.
    Ne consegue che nel caso in esame, applicando i criteri suddetti,
poiche'    none'   piu'   possibile   il   giudizio   di   prevalenza
dell'attenuante  del  fatto  di  lieve  entita'  di  cui  al  comma 5
dell'art.  73,  d.P.R.  n. 309/1990 sulla contestata aggravante della
recidiva reiterata, ma solo quello di equivalenza (o subvalenza delle
attenuanti  rispetto  alle  aggravanti), la pena da irrogare andrebbe
definita  nell'ambito  della  cornice  edittale  di  cui  al  comma 1
dell'art.  73,  d.P.R.  citato e, quindi, in concreto a partire dalla
pena base di otto anni di reclusione e 25.800,00 euro di multa e fino
al massimo stabilito in venti anni di reclusione e 258.000,00 euro di
multa  (ovvero,  secondo la disciplina introdotta dall'art. 4-bis del
citato  decreto  n. 272/2005,  in quanto quest'ultima possa ritenersi
legge piu' favorevole ai sensi dell'art. 2 c.p., a partire dalla pena
di  sei  anni di reclusione e 26.000,00 euro di multa e fino a quella
di venti anni di reclusione e 260.000,00 euro di multa).
    L'attuale testo dell'art. 69, quarto comma c.p. appare, pertanto,
in  contrasto con il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della
Costituzione,   in  quanto,  irragionevolmente,  sottopone  fatti  di
detenzione  illegale  di  stupefacenti  di  cui  alle Tabelle I e III
riconducili  al  caso  di  lieve  entita',  ove  siano commessi da un
recidivo  reiterato,  al  medesimo trattamento sanzionatorio previsto
per   le  ipotesi  -  oggettivamente  diverse  e  ben  piu'  gravi  -
riconducibili   al  fatto  di  non  lieve  entita';  di  converso,  e
altrettanto  irragionevolmente, la disposizione in parola consente di
sottoporre  ad un trattamento sanzionatorio notevolmente diverso casi
che, sul piano oggettivo, appaiono in tutto analoghi.
    Cosi'   facendo   si  arriverebbe  alla  conseguenza,  del  tutto
irragionevole,  di  irrogare  nei  confronti di un recidivo reiterato
(magari  per  reati  commessi  in  tempi  non recenti o per non gravi
delitti)  per  il  reato  di  detenzione  illegale di pochi grammi di
stupefacenti di cui alla Tabella I la pena di otto anni di reclusione
e 25.800 euro di multa (ovvero sei anni di reclusine e 26.000 euro di
multa)  e,  viceversa,  di  irrogare  una  pena  inferiore  al limite
edittale ora indicato a chi abbia commesso fatti oggettivamente assai
piu'  gravi  e indicativi di una ben maggiore pericolosita', come nel
caso di chi detenga, ad esempio, ben piu' consistenti quantita' della
medesima  sostanza,  ma  abbia  potuto  beneficiare  delle attenuanti
generiche,  perche',  magari,  incensurato  o, comunque, non recidivo
reiterato.
    La  stessa  norma  conduce  anche a punire diversamente fatti tra
loro  oggettivamente  identici  e  che  si  differenziano solo per lo
status  personale  di  chi  li  abbia  commessi,  cioe'  solo  per la
circostanza  che l'autore sia oppure no un recidivo reiterato. Cosi',
nell'esempio  sopra  visto, un soggetto imputato di detenzione a fini
di  spaccio di pochi grammi di stupefacente di cui alla Tabella I che
non  sia  recidivo  reiterato  vedrebbe  la  sua  pena  correttamente
determinata in misura vicina al minimo edittale previsto per il fatto
di  lieve  entita'  (un anno di reclusione e 2.580,00 euro di multa),
pur  se  annovera  gia'  un precedente, anche se specifico, mentre un
recidivo reiterato vedrebbe la sua pena determinata nell'ambito della
cornice   edittale  della  fattispecie  non  attenuata  del  comma  1
dell'art.  73,  d.P.R.  n. 309/1990 e, quindi, in concreto, a partire
dalla  pena di otto anni di reclusione e 25.800 euro di multa (ovvero
sei  anni  di  reclusione  e  26.000,00  euro  di  multa); e cio', si
osservi,  anche  se  annovera  precedenti  non  recenti o comunque di
scarsissima  significativita'  rispetto  al  reato  oggetto del nuovo
giudizio  (si  pensi  ad  un  recidivo  per  minacce  semplici, o per
ingiurie o simili).
    Ne  deriva  un'irragionevole  ed  ingiustificata  disparita'  del
trattamento  penale  per  effetto  della  quale,  in dipendenza della
condizione  di  recidivo  reiterato  in  cui  versa  l'autore,  fatti
oggettivamente   identici   o   analoghi   sono   sottoposti  a  pene
sensibilmente  diverse e fatti oggettivamente diversi sono sottoposti
alla medesima pena.
    Il  principio  della pari dignita' sociale e dell'eguaglianza dei
cittadini   di  fronte  alla  legge  enunciato  dall'art. 3  comma  1
Costituzione  vale  a  statuire  che  il Legislatore non puo' operare
discriminazioni  fra  i  soggetti dell'ordinamento a seconda del loro
sesso,  razza,  lingua,  religione, opinioni politiche, ma neppure in
ragione  delle  loro  condizioni  personali e sociali; e perche' tale
principio  possa trovare effettiva applicazione, occorre che la legge
tratti  in  maniera  eguale  situazioni  eguali  e in maniera diversa
situazioni   diverse   (tra  le  tante:  Corte  costituzionale  sent.
n. 217/1972).
    Orbene,  se  la  valutazione della diversita' delle situazioni e'
rimessa in linea di principio al Legislatore, tale valutazione non si
fonda   su   una   discrezionalita'   assoluta,  trasformandosi  essa
altrimenti  in  arbitrio,  ma, secondo quanto costantemente affermato
dalla  giurisprudenza costituzionale, la discrezionalita' legislativa
trova  un  limite  nella  ragionevolezza  delle  statuizioni  volte a
giustificare  la  disparita'  di  trattamento  tra i cittadini (Corte
copstituzionale   sentenze   n. 62/1972,  n. 200/1972,  n. 370/1996);
affermazione, questa, che conserva la sua validita' anche allorquando
venga in considerazione la questione, delicatissima, del sindacato da
parte della Corte costituzionale delle scelte legislative di politica
criminale (Corte costituzionale sent. n. 362/2002).
    Nel  caso  di specie, non pare che la preclusione del giudizio di
prevalenza   per  i  recidivi  reiterati  possa  trovare  ragionevole
giustificazione  nella  diversa  condizione  in cui versa il recidivo
reiterato.  Come  e'  noto  e  come puo' constatarsi nella quotidiana
pratica  giudiziaria,  la  recidiva reiterata puo' non assumere alcun
significato  pregnante  sotto il profilo della pericolosita', potendo
venire  in  considerazione  precedenti  risalenti  nel  tempo, ovvero
riferentesi  a  delitti  che,  pur  dolosi,  non  sono tuttavia gravi
rispetto alla tavola dei valori costituzionali ed alla loro gerarchia
o   che,  comunque,  non  hanno  alcuna  significativita'  sul  piano
criminale rispetto ai fatti oggetto del nuovo giudizio.
    La   norma   in   esame,   precludendo  al  giudice  in  sede  di
bilanciamento   la   prevalenza   delle   attenuanti  sulla  recidiva
reiterata,  introduce  in  tal  modo  un'  ipotesi  di  pericolosita'
presunta,  uno  status  personale  che,  qualunque  sia il titolo dei
delitti  oggetto  delle  precedenti  condanne  e  l'epoca  della loro
commissione,  impone  di  per  se'  un'indiscriminata omologazione di
tutti   i   recidivi   reiterati,  di  cui  presume  in  assoluto  la
pericolosita'.
    La disposizione dell'art. 69, quarto comma c.p. nella sua attuale
formulazione  pare  cosi'  porsi  in  contrasto  con  il principio di
eguaglianza,  perche'  essa  sottopone  a  trattamento  sanzionatorio
identico  casi  che  sono  oggettivamente  e  sensibilmente diversi e
sottopone  a  trattamento penale diverso casi che sono oggettivamente
identici,  in  dipendenza  di una condizione personale dell'autore di
cui,  irragionevolmente,  presume  in  assoluto  la  pericolosita', a
prescindere dalla situazione concreta e dalle circostanze del caso.
    Ma  la  norma  da  applicare al caso concreto, appare altresi' in
contrasto con i principi evincibili dagli artt. 25 secondo comma e 27
primo e terzo comma della Costituzione.
    Anzitutto,   essa,   introducendo  un  automatismo  sanzionatorio
ancorato   alla   sola   personalita'   del  colpevole  ed  alla  sua
pericolosita'   presunta   e   svincolando   del  tutto  la  concreta
determinazione  della  pena dalla oggettiva gravita' del fatto, viola
il  principio  di  legalita'  di  cui  all'art.  25,  comma  2  della
Costituzione,  che  impone,  nell'ambito  delle  sanzioni  penali, di
irrogare queste ultime solo in presenza della commissione di un fatto
costituente reato e preclude, invece, di punire la sola pericolosita'
sociale.
    Ma  ancor piu' evidente appare il contrasto con i principi di cui
all'art.  27,  primo  e  terzo  comma  della Costituzione, oltre che,
sott'altro aspetto, del gia' richiamato art. 3 della Costituzione.
    Tali  principi,  infatti,  fissano  i  caratteri che delineano il
sistema  punitivo  secondo la Costituzione e rendono incostituzionali
le pene che da tali caratteri si discostano.
    Viene   qui   in   considerazione,  anzitutto,  il  principio  di
personalita'  della  responsabilita'  penale  insita  nella  funzione
retributiva  della  pena,  per  cui deve escludersi che la pena possa
essere aggravata solo per soddisfare esigenze generali di prevenzione
e   di   difesa  sociale  che  prescindono  dalla  valutazione  della
personalita'  del  condannato;  viene  poi  in  esame il principio di
proporzionalita'   della   pena,   insito   anch'esso   nel  concetto
retributivo, che impone un trattamento differenziato delle situazioni
diverse, ma anche la congruita' della pena, intesa quest'ultima quale
adeguatezza  della pena irrogata in concreto alla gravita' del fatto,
al  grado  dell'offesa,  al  tipo  di colpevolezza ed alle condizioni
personali dell'agente.
    Ma  viene,  soprattutto,  in  considerazione  il  principio della
finalita'   rieducativa   della   pena;  infatti,  secondo  la  Carta
costituzionale la pena, oltre che un'ineludibile fmalita' retributiva
e  generaipreventiva,  deve  avere  anche una finalita' rieducativa e
agevolare  percio'  la  risocializzazione  del  reo, anche ai fini di
combattere  la  recidiva;  si  afferma, percio', nella giurisprudenza
costituzionale  e  dalla  piu' attenta dottrina, che nel quadro della
pena  edittalmente  fissata secondo il principio retributivo, la pena
concretamente  applicabile  va  determinata  anche  in funzione delle
eventuali  esigenze  specialpreventivo-risocializzative del soggetto,
senza   che  l'una  funzione  possa  essere  obliterata  a  esclusivo
vantaggio dell'altra (Corte costituzionale sent. n. 306/1993).
    Si     delinea,     in     ultima    analisi,    la    necessita'
dell'individualizzazione  della  pena;  ed invero, solo l'adeguamento
del trattamento punitivo alla specificita' del caso concreto consente
di   assicurare   un'effettiva   eguaglianza  di  fronte  alle  pene,
contribuisce  a  rendere  «personale»  la responsabilita' penale ed a
finalizzare la pena stessa alla rieducazione del reo.
    Se   tali   sono  i  caratteri  che  deve  avere  il  trattamento
sanzionatorio  delineato  dalla  Costituzione,  l'attuale  disciplina
dell'art.  69  quarto  comma c.p. non appare affatto conforme ad essi
ed,  anzi, se ne discosta nettamente. Precludendo in caso di recidiva
reiterata  il  giudizio  di prevalenza delle attenuanti, la norma non
realizza ne' la finalita' retributiva e generalpreventiva perche' non
consente  di  adeguare la pena alla specificita' del caso concreto e,
anzi,   impone,   come  dovrebbe  avvenire  nel  caso  in  esame,  un
trattamento sanzionatorio del tutto sproporzionato ed inadeguato alla
gravita'  del  caso,  ma  neppure  la  finalita'  specialpreventiva e
rieducativa  della  pena,  non  potendo  una pena siffatta, abnorme e
sproporzionata,   agevolare   il  reinserimento  sociale  del  reo  e
modificare la sua personalita'.
    Una   pena   quale   quella  che  consegue  al  nuovo  regime  di
comparazione  delle  circostanze  introdotto  dalla  cosiddetta legge
«Cirielli»  per  i  recidivi  reiterati,  non produce alcun risultato
sotto   il   profilo  generalpreventivo,  perche'  anche  socialmente
percepita  come  ingiusta  in  quanto  abnorme  e sproporzionata, non
realizza  alcun  risultato utile sotto il profilo specialpreventivo e
rieducativo,    perche'    imponendo    l'irrogazione   di   sanzioni
sproporzionate   ed  irragionevoli,  aggrava  ingiustificatamente  lo
stigma  sociale  che si accompagna alla condanna e preclude in radice
ogni speranza di riscatto e di emenda.
                              P. Q. M.
    Visto  l'art. 23,  legge  11  marzo  1953,  n. 87,  ritenutane la
rilevanza e la non manifesta infondatezza;
    Solleva  questione  di legittimita costituzionale, per violazione
degli  artt  3,  25,  secondo  comma  e 27, primo e terzo comma della
Costituzione,  dell'art.  69,  quarto  comma  c.p.,  come  modificato
dall'art.  3  legge  7  dicembre  2005,  n. 251 nella parte in cui fa
divieto  di  prevalenza  delle  circostanze attenuanti sulle ritenute
circostanze  aggravanti,  comprese  quelle quelle inerenti la persona
del colpevole nell'ipotesi di cui al quarto comma dell'art. 99 c.p.
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla  Corte
costituzionale.
    Sospende il giudizio in corso.
    Ordina  che  la  presente  ordinanza  sia notificata a cura della
cancelleria  al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata al
Presidente  dei  Senato della Repubblica e al Presidente della Camera
dei deputati.
        Cagliari, addi' 11 marzo 2006
                         Il giudice: Ornano
06C0859