N. 408 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 aprile 2006

Ordinanza  emessa  il  6  aprile  2006  dal  tribunale di Perugia nel
procedimento penale a carico di Chourabi Tarek ed altro

Reati  e  pene  -  Circostanze  del  reato  - Concorso di circostanze
  aggravanti  e  attenuanti - Divieto di prevalenza della circostanza
  attenuante  di cui all'art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309/1990 (in
  materia  di  traffico  e detenzione illeciti di stupefacenti) sulla
  recidiva  e  sulle  circostanze  aggravanti  nel  caso  di recidiva
  reiterata  -  Violazione del principio di uguaglianza - Lesione del
  principio della funzione rieducativa della pena.
- Codice  penale, art. 69, comma 4, come modificato dall'art. 3 della
  legge 5 dicembre 2005, n. 251.
- Costituzione artt. 3 e 27, comma terzo.
(GU n.42 del 18-10-2006 )
                            IL TRIBUNALE

    Letti  gli atti del procedimento a carico di Chourabi Tarek, nato
in Tunisia il 20 gennaio 1976 e di Rahali Mohamed, nato in Tunisia il
27  febbraio  1975,  imputati,  in  concorso tra loro, del delitto di
resistenza  a p.u. oltre che del delitto p. dagli artt. 110 c.p. e 73
d.P.R.  n. 309/1990  «per  avere illecitamente ceduto, a soggetti non
identificati  n. 2  involucri contenenti modica quantita' di sostanza
stupefacente   del  tipo  eroina,  nonche'  per  avere  illecitamente
detenuto,  al  fine  di  cederli  a  terzi  n. 2 involucri contenenti
ciascuno  modica  quantita'  di sostanza stupefacente rispettivamente
del tipo eroina e cocaina», fatti commessi in Perugia in data 3 marzo
2006;
    Rilevato  che  all'imputato Rahali Mohamed e' stata contestata la
recidiva reiterata di cui all'art. 99, comma 4 c.p.;
    Atteso  che,  in  concreto,  valutate  le modalita' del fatto, la
quantita'   di  stupefacente  detenuto  con  eventuale  finalita'  di
cessione   e   l'offensivita'   della   condotta  potrebbe  risultare
applicabile   l'attenuante   di  cui  all'art. 73,  comma  5,  d.P.R.
n. 309/1990  (nel  testo  da ultimo modificato in base all'art. 4-bis
della  legge 21 febbraio 2006, n. 49 di conversione del decreto-legge
30  dicembre  2005,  n. 272), che prevede una pena oscillante da anni
uno di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa ad anni sei di reclusione
ed  Euro  26.000,00  di multa in luogo della pena edittale oscillante
tra  un minimo di anni sei di reclusione ed Euro 26.000,00 di multa e
un massimo di anni venti di reclusione ed Euro 260.000,00 di multa;
    Considerato   che  ai  sensi  dell'art. 69,  comma  4  c.p.  come
modificato  dall'art. 3,  legge  n. 251/2005,  essendo ravvisabile la
recidiva  reiterata,  l'attenuante  potrebbe  al piu' essere reputata
equivalente,  con la conseguenza che per il fatto dovrebbe in sede di
condanna  irrogarsi una pena minima di anni sei di reclusione ed Euro
26.000,00 di multa;
    Considerato  che gli imputati, all'esito della convalida del loro
arresto  in  flagranza, una volta introdotto il giudizio direttissimo
hanno fatto richiesta di giudizio abbreviato condizionato e che, alla
odierna  udienza,  prima di dare corso alla discussione, il difensore
di   Rahali   Mohamed   ha   sollevato   questione   di  legittimita'
costituzionale  con riferimento alla disposizione dell'art. 69, comma
4  c.p. nel testo attualmente vigente, per asserito contrasto con gli
artt. 3 e 27, terzo comma Cost.;
    Considerato  che  nella  futura elaborazione del giudizio oggetto
del  decidere  viene  effettivamente  in  evidenza la attuale portata
dell'art. 69,  comma  4  c.p.  da ultimo riformulato, disposizione la
quale  anche  il  giudicante  reputa possa porsi in contrasto con gli
artt. 3 e 27 Cost., osserva quanto segue.
    1.  -  Il  legislatore  dispone  di  ampia discrezionalita' nella
determinazione  delle  pene,  mentre  il  giudice  deve  a  sua volta
procedere  alla  determinazione  della  pena  da irrogare in concreto
entro   i   limiti   stabiliti   e   nell'esercizio  della  sfera  di
discrezionalita' riservatagli.
    Ma tanto il legislatore quanto il giudice non possono prescindere
dalla  considerazione  delle  finalita'  della  pena, in primis della
necessaria  destinazione  della sanzione penale alla rieducazione del
condannato.
    Ed  invero, a coronamento di una lenta evoluzione interpretativa,
la  Corte  costituzionale ha rilevate nelle sentenza n. 313/1990 che,
se  la  pena  non puo' non avere un contenuto afflittivo e se ad essa
ineriscono  caratteri  di  difesa  sociale e di prevenzione generale,
tuttavia  non  puo' in alcun modo giudicarsi la finalita' rieducativa
espressamente  consacrata dall'art. 27 terzo comma Cost., non essendo
consentito strumentalizzare l'individuo per fini generali di politica
criminale  o  privilegiare  la soddisfazione di bisogni collettivi di
stabilita' e sicurezza.
    Secondo   la   Corte   costituzionale  in  pratica  la  finalita'
rieducativa non e' estranea alla legittimazione e alla funzione della
pena.
    La circostanza che, secondo il tenore della norma costituzionale,
la  pena debba tendere alla rieducazione sta ad indicare una qualita'
essenziale di essa nel suo contenuto ontologico, a partire dalla fase
della  previsione  fino  a  quella  della  sua  estinzione, dovendosi
correlare   al  verbo  «tendere»  la  concreta  possibilita'  di  una
divaricazione  tra  la finalita' e l'adesione ad essa del soggetto da
rieducare.
    In  pratica,  tutto  cio'  implica  che  la finalita' rieducativa
rilevi  non  solo  nella  fase  dell'esecuzione,  come  affermato  in
precedenti  e  anche  remote  sentenze della Corte costituzionale (si
consideri  ad  es.  la  sentenza n. 12/1966), ma piu' in generale, in
quanto  connaturata  alla  pena,  in ogni fase, compresa quella della
previsione  e  della  sua  irrogazione,  dovendosi  ritenere  che  il
precetto  dell'art. 27,  terzo comma Cost. vincoli sia il legislatore
sia   il  giudice  della  cognizione,  prima  che  il  giudice  della
sorveglianza.
    Del   resto   sul   piano   della   disciplina  positiva  si  era
concretamente  stabilito  che  la  finalita'  risocializzante dovesse
essere tenuta presente dal giudice gia' in sede di sostituzione della
pena detentiva agli effetti degli artt. 53 e segg. legge n. 689/1981,
segno  evidente  di una diretta influenza, per cosi' dire ontologica,
della rieducazione e della risocializzazione.
    2.  -  Va  a  questo  punto  aggiunto  che,  pronunciandosi sulla
questione,  in  parte  diversa,  della legittimita' costituzionale di
pene  fisse,  la  Corte  costituzionale  ha piu' volte rilevato (cfr.
sentenze n. 50/1980 e 299/1992) che l'individualizzazione della pena,
in  modo  da  tenere  conto dell'effettiva entita' e delle specifiche
esigenze  dei  singoli  casi,  si  pone  come  naturale  attuazione e
sviluppo   dei  principi  costituzionali  tanto  di  ordine  generale
(principio di uguaglianza) quanto attinenti direttamente alla materia
penale, tanto piu' che lo stesso principio di legalita' della pena ex
art. 25,  secondo  comma  cost. si inserisce in un sistema, in cui si
esige  la differenziazione piu' che l'uniformita'. In tale quadro, si
e' osservato che ha un ruolo centrale la discrezionalita' giudiziale,
nell'ambito dei criteri segnati dalla legge.
    L'adeguamento  della  pena  ai  casi concreti contribuisce cosi',
secondo   la  Corte  costituzionale,  a  rendere  il  piu'  possibile
personale  la  responsabilita'  penale, in ossequio a quanto previsto
dall'art. 27 primo comma Cost., ed ad assicurare una pena quanto piu'
possibile  finalizzata,  nella  prospettiva dell'art. 27, terzo comma
Cost.
    Il  soddisfacimento  di  tali  presupposti  e  di  tali finalita'
costituisce  anche uno strumento per l'attuazione dell'uguaglianza di
fronte  alla  pena,  intesa come proporzione della pena rispetto alle
personali   responsabilita'  e  alle  esigenze  di  risposta  che  ne
conseguono.
    La  sentenza  n. 299/1992 aggiunge anche che l'individuazione del
disvalore  oggettivo dei fatti reato tipici e quindi del loro diverso
grado di offensivita' spetta al legislatore, competendo al giudice di
valutare  la particolarita' del caso singolo onde individualizzare la
pena, stabilendo quella adeguata al caso concreto nella cornice posta
dai limiti edittali.
    3. - Orbene, pur dovendosi riconoscere che, anche nel caso in cui
sia  preclusa,  come  ora  previsto  per  i  recidivi  reiterati  dal
riformulato art. 69, quarto comma c.p. la formulazione di un giudizio
di  prevalenza  delle attenuanti sulle aggravanti, permane un residuo
margine  di  graduabilita'  della  pena, deve pur sempre esigersi che
tale  graduabilita' sia idonea ad assicurare la finalita' rieducativa
e  nel  contempo  sia  connotata  da razionalita' e proporzionalita',
intesi  quali  parametri  per  il  soddisfacimento  del  principio di
uguaglianza.
    Cosi',  venendo  al  caso  in  cui per valutazioni afferenti alla
concreta  offensivita'  del  reato  di  cui  all'art. 73, comma primo
d.P.R.   n. 309/1990   (nel   testo  da  ultimo  modificato  in  base
all'art. 4-bis  della  legge  21 febbraio 2006, n. 49, di conversione
del  decreto-legge  30  dicembre  2005,  n  272),  quest'ultimo possa
considerarsi  come  di  lieve  entita', pare incongruo precludere con
riguardo  al  recidivo  reiterato  la  formulazione di un giudizio di
prevalenza  dell'attenuante  di  cui  al  comma  5  di  quella norma,
giacche'  in tal modo, sulla base di una mera presunzione, svincolata
dall'apprezzamento  del  fatto concreto e dall'effettiva personalita'
del  reo, il quale potrebbe essere gravato da precedenti assai tenui,
della  stessa  o di diversa indole, si imporrebbe l'irrogazione di un
trattamento  sanzionatorio corrispondente a quello che il legislatore
ha,   com'e'   sua   facolta',  determinato  invece  in  rapporto  al
disvaloreoggettivo del reato nella sua dimensione ordinaria.
    In  questo  caso  l'impossibilita'  di  modulare la pena entro il
minimo   e   il   massimo   previsto   per  il  caso  di  concessione
dell'attenuante  di  cui  all'art. 73,  comma  5,  d.P.R. n. 309/1990
(intesa  nel  testo  attualmente  modificato  in  base  alla legge di
conversione  n. 49/2006)  sembra  produrre  un risultato irrazionale,
comportante  una  rilevante  disparita'  di  trattamento, non essendo
giustificabile  la  siderale distanza intercorrente tra l'irrogazione
di  una pena minima di anni uno di reclusione e multa e quella di una
pena  minima  di  anni  sei  di  reclusione  e multa, derivante dalla
formulazione, al piu', di un giudizio di equivalenza.
    Inoltre  poiche'  puo'  tendere ad una finalita' rieducativa solo
una   pena   che   sia  intrinsecamente  avvertibile  come  giusta  e
proporzionata  e  che  tenga  conto delle molteplici peculiarita' del
caso concreto, il limite alla formulazione del giudizio di prevalenza
appare  in  contrasto,  oltre  che  con  l'art. 3  Cost.,  anche  con
l'art. 27, terzo comma cost.
    In   conclusione   si  appalesa  nella  specie  rilevante  e  non
manifestamente  infondata,  per contrasto con gli artt. 3 e 27, terzo
comma    Cost.,   la   questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 69,  comma  4  c.p.,  come  modificato  dall'art. 3,  legge
n. 251/2005, nella parte in cui non consente di formulare un giudizio
di  prevalenza  dell'attenuante  di  cui  all'art. 73, comma 5 d.P.R.
n. 309/1990, nel caso di imputato recidivo ex art. 99, comma 4 c.p..
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23, legge n. 87/1953;
    Dichiara  rilevante e non manifestatamene infondata per contrasto
con   gli   articoli 3  e  27  Cost.  la  questione  di  legittimita'
costituzionale   dell'art. 69  quarto  comma  c.p.,  come  modificato
dall'art. 3,  legge  n. 251/2005,  nella parte in cui non prevede che
possa  valutarsi  la  prevalenza  sulla  recidiva e sulle circostanze
aggravanti,   nel  caso  di  recidiva  reiterata,  della  circostanza
attenuante  di  cui  all'art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990 e succ.
modif.;
    Sospende  il  processo  e  ordina la trasmissione degli atti alla
Corte costituzionale.
    Dispone  che  a  cura della cancelleria la presente ordinanza sia
comunicata  al Presidente del Consiglio dei ministri ed ai Presidenti
delle due Camere del Parlamento.
        Cosi' deciso in Perugia, il 6 aprile 2006.
                        Il giudice: Cristiani
06C0872