N. 410 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 giugno 2006

Ordinanza  emessa  il  14  giugno  2006  dalla  Corte  di  appello di
Catanzaro nel procedimento penale a carico di Russo Carmine ed altro

Processo   penale  -  Appello  -  Modifiche  normative  -  Disciplina
  transitoria  degli  appelli  gia'  presentati  - Ipotesi di appello
  presentato  dall'imputato avverso i capi di decisione di condanna e
  del  pubblico  ministero avverso i capi di decisione di assoluzione
  della  medesima  sentenza  nei  confronti  dello stesso imputato su
  reati  connessi  -  Mancata  previsione  di trattazione e decisione
  contestuale  -  Irragionevolezza  -  Violazione del principio della
  ragionevole durata del processo.
- Legge 20 febbraio 2006, n. 46, art. 10.
- Costituzione, artt. 3 e 111.
(GU n.42 del 18-10-2006 )
                         LA CORTE DI APPELLO

    Ha pronunciato la seguente ordinanza.
    La corte, letti gli atti del procedimento n. 599/2005 Reg. Gen. a
carico  di  Russo Carmine, nato a Castrovillari il 29 febbraio 1964 e
di  Saladino  Pasquale,  nato  a  Castrovillari  il  30  giugno 1954,
imputati  per  i  reati a) p. e p. dagli artt. 110, 117, 481 c.p.; b)
110,  48,  323,  480  c.p.;  c)  110, 48, 323, 480 c.p.; d) 20, legge
n. 47/1985, commessi in Castrovillari tra il 1999 e il 2001;
    Sentite le parti;

                          Premesso in fatto

    Con  sentenza del 6 luglio 2004 il Tribunale di Castrovillari, in
composizione  collegiale,  condannava alla pena ritenuta di giustizia
Russo  Carmine  e Saladino Pasquale per i reati loro ascritti ai capi
a),  b),  c)  -  limitatamente  alle rubricate ipotesi di falsita' in
certificati  o  autorizzazioni  amministrative  mediante  induzione -
assolvendoli  invece  dalla concorrente ipotesi di cui agli artt. 48,
323  c.p.  del  pari  rubricata  ai  citati capi b) e c), con formula
perche'  il  fatto  non  sussiste,  e dichiarando la improcedibilita'
della  azione penale in ordine alla contravvenzione di cui al capo d)
perche' estinta per prescrizione.
    Avverso  la  sentenza  hanno  proposto  tempestivo  appello i due
imputati  in  relazione  ai  capi di condanna sub a), b), c) con atto
depositato il 29 ottobre 2004 e il pubblico ministero in relazione al
capi  di  assoluzione  sub b), c) con atto depositato il 15 settembre
2004.
    Emesso  decreto  di citazione per la celebrazione del giudizio di
secondo grado, alla odierna udienza e' stato celebrato il processo di
appello,  in  contumacia  degli  imputati  regolarmente  citati e non
comparsi.

                       Considerato in diritto

    Nelle  more  del giudizio di impugnazione e' entrata in vigore la
legge  n. 46  del  2006,  che  ha  sancito  la  regola generale della
inappellabilita'   delle   sentenze  di  assoluzione,  modellando  la
disciplina transitoria con l'art. 10.
    Non  vi  e'  dubbio che il principio, in base alla voluntas legis
desumibile  dai  lavori preparatori e dalla lettura dell'intero testo
normativo,  dalla  quale  si  ricava  la  volonta'  di  escludere  la
possibilita'   di  un  secondo  giudizio  di  merito  per  l'imputato
prosciolto,   vada   riferito   alle   sentenze  di  proscioglimento,
indipendentemente  dal  fatto  se  la decisione assolutoria interessi
l'intera accusa, oppure soltanto una parte di essa, e quindi riguardi
i  singoli capi di decisione: cio' che, poi, trova pieno conforto nel
successivo  art. 580  c.p.p.,  destinato  a regolare proprio siffatte
ipotesi.  Ne  deriva  che, a fronte di una sentenza contenente alcuni
capi  di decisione assolutori ed altri capi di decisione di condanna,
puo'  essere  astrattamente proposto ricorso in relazione ai primi ed
appello  in  relazione ai secondi: il regime definitivo, disciplinato
dal  citato  art. 580  c.p.p., come novellato dall'art. 7 della legge
n. 46/2006,   prevede  che,  qualora  i  gravami  riguardino  ipotesi
accusatorie in cui sussista la connessione di cui all'art. 12 c.p.p.,
il  ricorso  si  converte  in  appello,  dando  una  regolamentazione
razionale al sistema delle impugnazioni ed evitando una irragionevole
scissione  del  processo  giustificata  proprio dalla incidenza della
connessione sull'esito finale del giudizio.
    Analoga   disposizione   non  e'  invece  contenuta  nella  norma
transitoria  di  cui  all'art. 10  della  legge  n. 46/2006, la quale
prevede    esclusivamente    la    regola   della   declaratoria   di
inammissibilita'  dell'appello gia' presentato avverso la sentenza di
assoluzione  e  i  successivi  rimedi giurisdizionali, caratterizzati
dalla  possibilita'  di  una nuova aggressione avverso la sentenza di
primo grado con il diverso strumento del ricorso per cassazione.
    In  questo  modo  si determina tuttavia, per gli appelli pendenti
quali  quelli all'esame di questa Corte, proprio quella frattura che,
nel   regime   definitivo,  l'art. 580  c.p.p.  mira  a  scongiurare,
dovendosi  dichiarare  la  inammissibilita'  dell'appello del p.m. in
relazione   ai  punti  di  decisione  assolutori  e  trattare  invece
l'appello  dell'imputato  in  relazione  ai  punti  di  decisionte di
condanna.   Ne'   sarebbe   possibile   sospendere   la   trattazione
dell'appello  presentato  dall'imputato  in  attesa  dell'esito della
declaratoria    di   inammissibilita'   dell'appello   del   p.m.   e
dell'eventuale successivo giudizio di Cassazione, sia perche' nessuna
norma  legittima  la  sospensione  del  procedimento per una siffatta
ipotesi  (con  inevitabili  ricadute, tra l'altro, sulla prescrizione
dei   reati),   sia  perche'  si  realizzerebbe  una  stasi  a  tempo
indeterminato  del  processo in palese violazione del principio della
ragionevole durata.
    La   incongruita'   di  tale  disciplina  e'  palese,  in  quanto
l'imputato  risulta costretto ad una evidente duplicazione di giudizi
che, in caso del ricorso per Cassazione del p.m. e annullamento della
sentenza  di  primo  grado,  finirebbe per esporlo ad un processo con
durata  estremamente  dilatata  nel  tempo,  posto  che  il  troncone
definito  immediatamente  in  grado di appello in conseguenza del suo
gravame   avrebbe  rapida  definizione,  mentre  quello  legato  alla
impugnazione   del   p.m.   in   origine  coevo)  vedrebbe  un  esito
estremamente   piu'   lontano.  Tale  soluzione  appare  ancora  piu'
stridente  laddove si consideri che la connessione di cui all'art. 12
c.p.p.  prevede  anche  il  caso  della  continuazione o del concorso
formale  tra reati incidente sulla determinazione globale della pena,
che maggiormente impone di privilegiare una trattazione congiunta.
    Una  siffatta  disciplina  appare  quindi  in  contrasto  con gli
artt. 3 e 111 Cost. poiche' da un lato introduce una regolamentazione
transitoria  degli  appelli gia' presentati irragionevolmente diversa
da  quella  prevista per il regime ordinario e dall'altro lato dilata
enormemente e senza una valida causale i tempi della celebrazione del
giudizio nato come unitario.
    Ne'   puo'   ritenersi   che  la  illegittimita'  sia  risolubile
attraverso  la  applicazione del primo comma dell'art. 10 citato, che
detta il principio in base al quale la novella legislativa si applica
anche  ai  procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della
legge  n. 46/2006,  che  potrebbe  fare  ipotizzare  la  applicazione
dell'art. 580 c.p.p. ora in vigore anche al regime transitorio.
    Ed  infatti  l'art. 580 c.p.p. prevede la conversione del ricorso
in  appello,  mentre  nel  caso in esame non vi e' nessun ricorso per
cassazione  pendente, ne' e' possibile qualificare l'appello proposto
dal  p.m.  come  ricorso  poiche'  la norma transitoria non contempla
affatto   tale  possibilita',  imponendo  piuttosto  un  autonomo  ed
ulteriore   atto   di   impulso,  conseguente  alla  declaratoria  di
inammissibilita'   dell'appello  con  ordinanza,  per  consentire  la
prosecuzione  del  giudizio  nei gradi ulteriori. Senza contare, poi,
che  in  caso  di conversione del mezzo di impugnazione da ricorso in
appello,  secondo  il  diritto  vivente  della Corte di cassazione il
contenuto del mezzo di gravame deve essere quello proprio del ricorso
(Cass. sez. un., 23 luglio 1993, n. 7247, Rabiti), con la conseguenza
che  la eventuale automatica conversione dell'appello (basato su mere
questioni  di merito) in ricorso, sia pure al fine di determinare una
ulteriore  conversione  in  appello,  finirebbe  per  evidenziarne la
inammissibilita', privando surrettiziamente la parte pubblica di ogni
reale potere di impugnativa.
    E'  evidente  che  la questione prospettata sia rilevante ai fini
della  decisione, in quanto l'appello presentato dal p.m. riguarda un
capo  di  decisione assolutamente connesso con quello appellato dagli
imputati,  trattandosi di reati in concorso formale ex art. 81, comma
1, c.p., ed essendo il gravame fondato anche su questioni di merito.
                              P. Q. M.
    Visti  gli  artt. 134  Cost.,  23  e  segg., legge 11 marzo 1953,
n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 10  della  legge  20 febbraio
2006,  n. 46,  per  violazione degli artt. 3 e 111 Costituzione nella
parte  in cui, disciplinando il regime transitorio degli appelli gia'
presentati,   non   prevede   che,  in  caso  di  appello  presentato
dall'imputato  avverso  i  capi  di  decisione di condanna e dal p.m.
avverso  i  capi di decisione di assoluzione contenuti nella medesima
sentenza  nei  confronti  dello  stesso imputato su reati connessi ex
art. 12 c.p.p., entrambi gli appelli debbano essere trattati e decisi
contestualmente;
    Sospende il procedimento in corso;
    Dispone  la  trasmissione  degli atti del procedimento alla Corte
costituzionale;
    Manda  alla  cancelleria  per  la  immediata  notificazione della
presente  ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche'
per  la  sua  comunicazione ai Presidenti della Camera dei deputati e
del Senato della Repubblica.
        Catanzaro, addi' 14 giugno 2006
                   Il Presidente estensore: Zampi
06C0874