N. 429 ORDINANZA (Atto di promovimento) 31 marzo 2006
Ordinanza emessa il 31 marzo 2006 dalla Corte di appello di Lecce nel procedimento penale a carico di Lionetti Michele Processo penale - Appello - Modifiche normative - Limitazione del potere di appello del pubblico ministero alle sentenze di condanna - Possibilita' per il pubblico ministero di proporre appello contro le sentenze di proscioglimento soltanto nelle ipotesi di cui all'art. 603, comma 2, se la nuova prova e' decisiva - Violazione del principio di ragionevolezza - Violazione dei principi della parita' delle parti nel contraddittorio e della ragionevole durata del processo. - Codice di procedura penale, art. 593, come sostituito dall'art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46. - Costituzione, artt. 3 e 111. Processo penale - Appello - Modifiche normative - Impugnazione della parte civile - Appello della parte civile contro le sentenze di proscioglimento - Preclusione - Violazione del principio di ragionevolezza - Lesione del diritto di difesa - Violazione dei principi della parita' delle parti nel contraddittorio e della ragionevole durata del processo. - Codice di procedura penale, art. 576, come modificato dall'art. 6 della legge 20 febbraio 2006, n. 46. - Costituzione, artt. 3, 24 e 111. Processo penale - Appello - Modifiche normative - Disciplina transitoria - Applicabilita' delle nuove norme ai processi in corso - Contrasto con il principio di ragionevolezza - Violazione del principio di buon andamento dell'attivita' giudiziaria - Violazione dei principi della parita' delle parti nel contraddittorio e della ragionevole durata del processo. - Legge 20 febbraio 2006, n. 46, art. 10. - Costituzione, artt. 3, 97 e 111.(GU n.43 del 25-10-2006 )
LA CORTE DI APPELLO Ha emesso la seguente ordinanza. Visti gli atti del procedimento penale iscritto al n. 357/06 a carico di Lionetti Michele, definito in primo grado con sentenza del Tribunale di Lecce in composizione monocratica (giudice dott. Tanisi) in data 19 maggio 2005; Rilevato che, contro la predetta sentenza - con la quale l'imputato e' stato assolto perche' il fatto non costituisce reato dalle imputazioni di diffamazione e calunnia - hanno proposto appello il pubblico ministero e, agli effetti civili, la persona offesa costituita parte civile (ed anche agli effetti penali per quanto riguarda il reato di diffamazione ai sensi dell'art. 577 c.p.p.); Rilevato che nelle more del giudizio di appello, mentre era in corso e volgeva al termine la discussione, e' stata promulgata ed e' entrata in vigore la legge 20 febbraio 2006, n. 46, per effetto della quale l'art. 577 c.p.p. e' stato abrogato mentre risultano modificati l'art. 593 c.p.p. (che nel testo ora vigente stabilisce che «l'imputato e il pubblico ministero possono appellare contro le sentenze di proscioglimento nelle ipotesi di cui all'art. 603, comma 2, se la nuova prova e' decisiva») e l'art. 576 c.p.p. (che nel testo ora vigente stabilisce che «la parte civile puo' proporre impugnazione contro i capi della sentenza di condanna che riguardano l'azione civile e, ai soli effetti della responsabilita' civile, contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio»); Rilevato che la citata legge stabilisce all'art. 10 che essa si applica ai procedimenti in corso alla data della sua entrata in vigore e che l'appello proposto contro una sentenza di proscioglimento dall'imputato o dal pubblico ministero prima di tale data viene dichiarato inammissibile con ordinanza non impugnabile, salva la possibilita' per il pubblico ministero e per l'imputato di proporre nei quarantacinque giorni successivi alla comunicazione ricorso per cassazione; Ritenuto che, a mente dell'ultima disposizione citata, sia l'appello proposto dal pubblico ministero sia - e per quanto si dira' - l'appello proposto dalla parte civile contro la sentenza in esame dovrebbero essere dichiarati inammissibili in quanto palesemente non ricorre (con riferimento all'appello del pubblico ministero) l'ipotesi prevista dall'art. 603, comma 2 c.p.p. - di appello cioe' fondato su «prove nuove o scoperte dopo il giudizio di primo grado»; Ritenuto tuttavia, prima di dichiarare l'inammissibilita' delle proposte impugnazioni e sentite le parti, di dover sottoporre al vaglio del giudice delle leggi i dubbi di legittimita' costituzionale sollevati da piu' parti gia' durante l'iter di approvazione della legge e che non appaiono a questa corte manifestamente infondati; Considerato (con riguardo all'appello del pubblico ministero) che: la Corte costituzionale ha ripetutamente affermato che «il doppio grado di giurisdizione di merito non forma oggetto di garanzia costituzionale», e neppure puo' essere derivato da convenzioni internazionali con riferimento all'art. 2 del protocollo addizionale n. 7 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali approvata a Strasburgo il 22 novembre 1984; la Corte ha ritenuto altresi' costituzionalmente legittime le limitazioni, per esempio in materia di giudizio abbreviato, al potere del pubblico ministero di impugnare una sentenza di proscioglimento o di proporre, sempre nel rito abbreviato, appello incidentale quando sia stato proposto appello da parte dell'imputato (Corte cost. n. 98 del 1994) e tuttavia la Corte, in quest'ultima sentenza, non ha mancato di rilevare che «la configurazione dei poteri di impugnazione del pubblico ministero rimane affidata alla legge ordinaria che potrebbe essere censurata per irragionevolezza solo se i poteri stessi, nel loro complesso, dovessero risultare inidonei all'assolvimento dei compiti previsti dall'art. 112 Costituzione», col principio cioe' dell'obbligatorieta' dell'azione penale; gia' alla stregua della giurisprudenza esistente della Corte costituzionale, anteriore peraltro alle modifiche apportate all'art. 111 Costituzione dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, sembrerebbe esclusa la possibilita' di negare in linea generale al pubblico ministero il potere di impugnare con appello le sentenze di proscioglimento; una cosi' pesante limitazione ai poteri del pubblico ministero si pone comunque in palese contrasto col disposto dell'art. 111, comma 2 Costituzione, secondo cui «ogni processo si svolge nel contraddittorio delle parti, in condizioni di parita', davanti a giudice terzo e imparziale»; sembrerebbe evidente infatti che la condizione di parita' delle parti garantita nel processo dal dettato costituzionale sia seriamente compromessa dal fatto che all'una - l'imputato - e' giustamente garantita la possibilita' di un nuovo giudizio di merito nel caso di condanna, mentre, nell'ipotesi speculare di assoluzione dell'imputato, analoga possibilita' non e' data - e senza alcun ragionevole motivo - al pubblico ministero (e neppure, per quanto si dira', alla persona offesa dal reato costituita parte civile, rispetto alla quale non avrebbero giustificazione alcuna le limitazioni pur ipotizzabili nei riguardi del pubblico ministero); questo profilo di possibile illegittimita' costituzionale e' stato gia' rilevato dal Presidente della Repubblica nel suo messaggio alle Camere del 20 gennaio 2006 con cui si chiese un nuovo esame della legge e nel quale si sottolineo' che «la soppressione dell'appello delle sentenze di proscioglimento, a causa della disorganicita' della riforma, fa si' che la stessa posizione delle parti del processo venga ad assumere una condizione di disparita' che supera quella compatibile con la diversita' delle funzioni svolte dalle parti stesse nel processo» mentre «le asimmetrie tra accusa e difesa costituzionalmente compatibili non devono mai travalicare i limiti posti dall'art. 111, comma 2 della Costituzione» e si sottolinea ancora «l'ulteriore incongruenza» derivante dal fatto che il pubblico ministero totalmente soccombente non puo' proporre appello, mentre cio' gli e' consentito quando la sua soccombenza sia solo parziale, avendo ottenuto una condanna diversa da quella richiesta; questi rilievi peraltro furono recepiti dal Parlamento che ritenne di rimediarvi introducendo la possibilita' per il pubblico ministero di impugnare con appello le sentenze di proscioglimento in caso di prove nuove, sopravvenute al giudizio di primo grado, aventi carattere decisivo: ma il carattere assolutamente marginale di tale possibilita' non modifica minimamente i termini del problema e non elimina i dubbi di costituzionalita' della norma in esame; la quale, secondo i rilievi contenuti anche nel messaggio presidenziale, si pone altresi' in contrasto col principio costituzionale affermato dall'art. 111 della durata ragionevole del processo dato che, in caso di esperimento con esito positivo del ricorso per cassazione da parte del pubblico ministero (sostanzialmente consentito oggi - attraverso l'ampliamento dei casi del ricorso previsto dall'art. 8 della legge in esame - anche per un motivo di merito) il processo torna irragionevolmente al primo grado, permettendo alle parti tutte le attivita' processuali che la pronuncia di una sentenza di primo grado avrebbe altrimenti precluso con inevitabile negativa incidenza sulla durata del processo; la disposizione transitoria contenuta nell'art. 10 della legge si pone altresi' in contrasto col principio costituzionale affermato dall'art. 97 costituzione del buon andamento dell'amministrazione, applicabile secondola giurisprudenza della Corte costituzionale anche agli organi dell'amministrazione della giustizia, in quanto vanifica, senza un'apparente ragione, il lavoro svolto dal pubblico ministero, costringendolo a rimodulare la sua impugnazione e a trasformarla in ricorso, perfino nel caso in cui il ricorso e' destinato a convertirsi in appello, mentre aggrava di un eccessivo carico di lavoro la Corte di cassazione fino a comprometterne l'efficienza e la stessa funzionalita', come peraltro pubblicamente denunciato dal primo presidente della stessa corte. Considerato (con riguardo all'appello proposto dalla parte civile) che: la possibilita' per la parte civile di impugnare con appello le sentenze di proscioglimento, sia pure ai soli effetti civili, derivava, prima della modifica al sistema delle impugnazioni introdotta dalla legge in esame, dal collegamento tra l'art. 576 e l'art. 593 c.p.p., prevedendo quest'ultima disposizione la possibilita' per il pubblico ministero di appellare le sentenze di proscioglimento e consentendo l'art. 576 alla parte civile di impugnare le sentenze sia di condanna che di proscioglimento con il mezzo previsto per il pubblico ministero; durante l'iter parlamentare di approvazione della legge in esame, da una parte della dottrina e molto autorevolmente nel messaggio del Presidente della Repubblica con cui il Parlamento fu richiesto di un nuovo esame, venne segnalata questa sconcertante anomalia derivante da una ridotta tutela della persona offesa nel processo penale; le Camere ritennero di ovviare a questa inaccettabile situazione (non si dimentichi che la possibilita' per la parte civile di impugnare la sentenza di primo grado sia pur ai soli effetti civili era stata introdotta in tempi lontani in seguito ad una pronuncia della Corte costituzionale, la n. 1 del 1970) sganciando, attraverso l'eliminazione nell'art. 576 delle parole «con il mezzo previsto per il pubblico ministero», l'impugnazione della parte civile da quella del pubblico ministero: nelle intenzioni del legislatore - e tanto chiaramente risulta dall'intervento del deputato della maggioranza Bertolini - l'eliminazione delle parole anzidette dal testo dell'art. 576 sarebbe valsa a mantenere ferma la possibilita' per la parte civile di appellare le sentenze di proscioglimento e quindi ad adeguatamente tutelare le aspettative di quest'ultima assicurandole una possibilita' di difesa in una prospettiva rispettosa del dettato costituzionale anche con riferimento all'art. 24; e tuttavia contro le intenzioni del legislatore il risultato e' che manca oggi nel codice una disposizione che consenta alla parte civile di proporre appello contro le sentenze di proscioglimento e d'altra parte, tenuto conto del principio della tassativita' delle impugnazioni stabilito all'art. 568, comma 1 c.p.p., la possibilita' di proporre appello non puo' ovviamente desumersi dalle buone intenzioni di un legislatore, a dir poco, frettoloso; inevitabile conseguenza e' che, dopo l'entrata in vigore della legge in esame, l'unico rimedio offerto alla parte civile a tutela delle sue ragioni e' costituito dal ricorso per cassazione che per vero non e' neppure espressamente previsto dal codice ma che discende dal dettato costituzionale (art. 111, comma 7 Cost.) e per questa ragione dovrebbe ritenersi limitato alla sola ipotesi di violazione di legge e quindi con un ambito molto piu' ridotto rispetto al ricorso per cassazione consentito alle altre parti (e tanto evidenzia un ulteriore aspetto di incostituzionalita' della legge in esame che pero' in questa sede non rileva); e tuttavia con riguardo all'appello della parte civile, ai fini del giudizio di rilevanza delle relative questioni di legittimita' costituzionale, si pone il problema di verificare se le nuove norme abbiano efficacia retroattiva - come pacificamente avviene per l'appello dell'imputato e del pubblico ministero - poiche', qualora cio' dovesse escludersi, l'appello gia' proposto dalla parte civile prima dell'entrata in vigore della legge conserverebbe pieno effetto (e le connesse questioni di costituzionalita' delle nuove norme non sarebbero quindi rilevanti nel presente processo) nonostante la sopravvenuta modifica del sistema delle impugnazioni: a tale conclusione infatti dovrebbe necessariamente pervenirsi costituendo - da un lato - la norma che prevede un mezzo di gravame norma di carattere processuale e dovendosi dall'altro fare applicazione della regola secondo cui tempus regit actum; in proposito l'art. 10 della legge in esame stabilisce al primo comma la regola di portata generale secondo cui la stessa legge «si applica ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della medesima»; e tuttavia poiche' al secondo comma si fa riferimento soltanto all'appello proposto dall'imputato e dal pubblico ministero, una interpretazione coordinata dei due commi in esame potrebbe portare alla conclusione che per l'appello della parte civile e' escluso l'effetto retroattivo delle nuove disposizioni; questa corte tuttavia non ritiene di poter aderire a questa interpretazione riduttiva atteso che la regola contenuta nel primo comma, in armonia anche con l'intitolazione della legge - che non riguarda solo l'appello del pubblico ministero e dell'imputato - ha, come si e' detto, in base alla sua formulazione letterale, una portata generale che esclude tale possibilita'; vero e' poi che cosi' interpretato l'art. 10 della legge pone un ulteriore problema di incostituzionalita' stante che, mentre al pubblico ministero e all'imputato e' fatta salva, dopo la dichiarazione di inammissibilita' dell'appello gia' proposto, di proporre entro quarantacinque giorni ricorso per cassazione, analoga possibilita' non e' riconosciuta alla parte civile la quale, una volta proposto appello, risultato quest'ultimo inammissibile, avrebbe comunque consumato il potere di impugnare la sentenza a lei sfavorevole e tuttavia una interpretazione costituzionalmente orientata, nel senso di salvaguardare nel limite del possibile, le ragioni della persona offesa, non e' possibile, a giudizio della Corte, a fronte del chiaro significato letterale della regola contenuta nel primo comma dell'art. 10; dal comma secondo dell'art. 10 in esame, che come si e' detto, riguarda solo l'appello del pubblico ministero e dell'imputato, non potrebbe poi farsi discendere la conseguenza, come pure in dottrina si e' prospettato, che la legge ha voluto comunque mantenere l'appello della parte civile contro le sentenze di proscioglimento: che questa fosse l'intenzione del legislatore lo si e' gia' rilevato, e tuttavia sarebbe azzardato e contro ogni regola interpretativa farsi discendere da una imprecisa formulazione della legge una conseguenza che si porrebbe in contrasto con la regola pacifica della tassativita' delle impugnazioni; men che mai la possibilita' per la parte civile di impugnare con appello le sentenze di proscioglimento puo' farsi discendere, come pure si e' prospettato in dottrina, dall'art. 600, comma 1 c.p.p., che prevede tale rimedio quando il giudice abbia omesso di pronunciare sulla richiesta di provvisionale o l'abbia rigettato: e' evidente infatti che questa disposizione trova applicazione solo nei casi di condanna e d'altra parte in questo caso l'appello avrebbe una portata piu' limitata (alle statuizioni cioe' della sentenza di primo grado relative alla richiesta di provvisionale) mentre, mutato il quadro normativo generale, non potrebbe piu' riguardare il merito della vicenda; per concludere: l'attuale sistema delle impugnazioni non prevede piu' l'appello della parte civile; le nuove norme si applicano retroattivamente; ovvia conseguenza e' che l'appello proposto dalla parte civile prima dell'entrata in vigore della legge (indipendentemente dalla previsione in un'apposita norma della nuova legge, che come si e' visto riguarda solo l'appello del pubblico ministero e dell'imputato) va dichiarato inammissibile eppero' prima di provvedere in tal senso va sollevata questione di legittimita' costituzionale nei termini precisati in dispositivo.
P. Q. M. Visto l'art. 1 della legge costituzionale n. 1 del 1948 e l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, solleva questione di legittimita' costituzionale: dell'art. 593 cod. proc. pen. come modificato dall'art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46, nella parte in cui limita l'appello del pubblico ministero alle sole sentenze di condanna e lo consente contro le sentenze di proscioglimento nei soli casi previsti dall'art. 603, comma 2, cod. proc. pen.; dell'art. 576 c.p.p., come modificato dall'art. 6 della citata legge n. 46/2006, in relazione all'art. 593, nella parte in cui non consente alla parte civile l'appello contro le sentenze di proscioglimento; dell'art. 10 stessa n. 46/2006 che dichiara applicabile, anche con riguardo alla parte civile, la nuova disciplina introdotta ai processi in corso; in riferimento agli artt. 111, 3, 24 e 97 Costituzione; Dispone a cura della cancelleria la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, previa notifica dell'ordinanza al pubblico ministero ed alle parti private, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri; Dispone altresi' la comunicazione ai presidenti delle due Camere del Parlamento; Sospende il giudizio in corso. Lecce, addi' 30 marzo 2006 Il Presidente: Buffa 06C0912