N. 430 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 maggio 2006

Ordinanza emessa il 12 maggio 2006 dalla Corte di assise d'appello di
Trieste  nel  procedimento  penale  a  carico di Cicutta Gianpaolo ed
altro

Processo penale - Appello - Modifiche normative - Possibilita' per il
  pubblico  ministero  di  proporre  appello  contro  le  sentenze di
  proscioglimento,  nelle  sole ipotesi di cui all'art. 603, comma 2,
  se  la  nuova  prova  e'  decisiva  - Inammissibilita' dell'appello
  proposto   prima   dell'entrata   in   vigore   della   novella   -
  Ingiustificata  disparita' di trattamento tra le parti - Violazione
  del principio della ragionevole durata del processo.
- Codice  di  procedura penale, art. 593, come sostituito dall'art. 1
  della legge 20 febbraio 2006, n. 46; legge 20 febbraio 2006, n. 46,
  art. 10.
- Costituzione, artt. 3 e 111.
(GU n.43 del 25-10-2006 )
                    LA CORTE DI ASSISE DI APPELLO

    Riunita  in  Camera di consiglio per deliberare sulla istanza con
cui  il  pubblico  ministero,  nell'epigrafato procedimento penale in
grado  di  appello pendente a carico di Cicutta Gianpaolo ed Ermacora
Elio  in  ordine  ai  delitti  di  concorso  in  omicidio aggravato e
concorso  in porto di arma comune da sparo aggravato, all'udienza del
giorno  12 maggio 2006 ha chiesto che la Corte di Assise di Appello -
ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione
dedotta   -   voglia   sollevare   la   questione   di   legittimita'
costituzionale  dell'art.  10 della legge 20 febbraio 2006, n. 46, in
riferimento  all'art.  593  c.p.p., come modificato dall'art. 1 della
medesima  legge,  per  violazione, tra gli altri, del principio della
parita'  delle  parti  nel  processo  e  della ragionevole durata del
processo  sanciti  dall'art.  111  Cost., nonche' del principio della
obbligatorieta'  dell'esercizio  dell'azione penale sancito dall'art.
112  Cost.,  con  conseguente  sospensione  del  giudizio  in corso e
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Sentiti il difensore della Parte Civile e quelli degli imputati;
    Ha pronunciato la seguente ordinanza;
    Ritiene  la  Corte  che  la  dedotta  questione  di  legittimita'
costituzionale  e'  rilevante  e  non  manifestamente  infondata, nei
termini appresso indicati.
    Sotto  il  profilo della rilevanza - con riferimento appunto agli
appelli proposti dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale
di  Udine e dal Procuratore generale della Repubblica presso la Corte
di  appello  di  Trieste  nei confronti dell'imputato Ermacora Elio -
deve in primo luogo osservarsi che il nuovo regime delle impugnazioni
delineato  dalla legge 20 febbraio 2006, n. 46, da applicarsi ex art.
10  della stessa anche ai gravami proposti prima della sua entrata in
vigore, consente in via generale alla pubblica accusa di impugnare le
sentenze  di  proscioglimento  di  primo  grado  solo con ricorso per
cassazione  e  non  piu'  con  atto  d'appello,  salva la particolare
ipotesi prevista dall'art. 593, comma secondo, c.p.p. (come novellato
dall'art. 1 della medesima) e salva la conversione - tuttora prevista
dal novellato art. 580 c.p.p. - del ricorso per cassazione in appello
qualora  contro  la  stessa  sentenza  siano  stati proposti mezzi di
impugnazione   diversi   e   ricorra  uno  dei  casi  di  connessione
contemplati dall'art. 12 c.p.p.
    Proprio  in  quest'ultima  ipotesi  si  versa  dunque nel caso di
specie,  perche'  avverso  la  sentenza  di  primo  grado  sono stati
proposti  i tuttora ammissibili atti d'appello del pubblico ministero
e  del  difensore  del  Cicutta avverso la statuizione di condanna di
quest'ultimo  per  il  delitto  di  omicidio contestato al capo a) di
rubrica,  nonche'  ulteriori  atti  d'appello  del  Procuratore della
Repubblica  presso  il  Tribunale di Udine e del Procuratore generale
della  Repubblica  presso  la  Corte di appello di Trieste avverso la
pronuncia  assolutoria  dal  medesimo  reato  del coimputato Ermacora
Elio:  appelli  che  questa  Corte,  in  forza  della  citata novella
legislativa, dovrebbe valutare alla stregua di ricorsi per cassazione
convertiti  in  appello, in applicazione del combinato disposto degli
artt. 580 e 12 lett. a) c.p.p.
    Cio'   peraltro   -   tenuto   conto  del  costante  orientamento
interpretativo  della  Suprema  corte  secondo  cui  il  ricorso  per
cassazione  del  pubblico ministero convertito in appello ex art. 580
c.p.p.  mantiene  la  sua  natura  di impugnazione di legittimita' ed
obbliga  la  Corte di appello a sindacarne l'ammissibilita' secondo i
parametri  previsti  dall'art. 606 c.p.p. (cfr. Sez. 4ª, 29 settembre
2005,  n. 38879,  RV 232429; Sez. 6ª, 25 settembre 2002, n. 42810, RV
223788)  -  non  potrebbe  che  comportare,  per  effetto della nuova
normativa  entrata  in  vigore,  la  declaratoria di inammissibilita'
degli    appelli    proposti   avverso   la   pronuncia   assolutoria
dell'Ermacora,  in  quanto  essi - a tutta evidenza - sono fondati in
via  esclusiva  su  questioni di merito (opportunita' di rinnovare la
perizia  balistica  alla  luce  degli  elementi segnalati dalla parte
civile  in  sede  di  discussione  finale  e  diversa valutazione del
compendio   probatorio  acquisito  a  carico  dell'imputato  assolto)
chiaramente  esulanti  dai motivi del ricorso per cassazione previsti
dall'art.  606  c.p.p.  (nel  testo novellato dall'art. 8 della legge
n. 46/2006),  ivi  compreso  quello di cui alla lett. d) della citata
norma: tale previsione, infatti, contempla l'ipotesi - ben diversa da
quella prospettata nei due atti di appello della pubblica accusa - di
«... mancata  assunzione di una prova decisiva, quando la parte ne ha
fatto   richiesta  anche  nel  corso  dell'istruzione  dibattimentale
limitatamente ai casi previsti dall'art. 495, comma 2».
    In  secondo  luogo  va  precisato  che  -  quand'anche si volesse
ritenere   che   l'art.   10  della  legge  n. 46/2006  debba  essere
interpretato  alla luce del novellato art. 593 c.p.p., nella parte in
cui  questo  consente  la proposizione di appello avverso sentenza di
proscioglimento  ai  sensi dell'art. 603, comma secondo, c.p.p. se la
nuova  prova e' decisiva - i gravami presentati dal Procuratore della
Repubblica  di  Udine e dal Procuratore generale avverso la pronuncia
assolutoria  dell'Ermacora  non  sarebbero  comunque ammissibili, non
essendo  stata  prospettata  -  nella sostanza - la assunzione di una
nuova  prova sopravvenuta o scoperta dopo il giudizio di primo grado,
bensi'  semplicemente  la  rinnovazione  di  un  mezzo  di prova gia'
espletato nella precedente fase processuale.
    Di  conseguenza,  anche  sotto  questo  profilo  la  questione di
legittimita'  costituzionale  presenta tutta la sua rilevanza ai fini
del presente processo.
    Sotto  il  diverso  profilo  della non manifesta infondatezza, la
Corte ritiene che la menzionata normativa si ponga in contrasto con i
parametri costituzionali dettati dagli artt. 3 e 111 Cost.
    A   tale   riguardo,   infatti,   conviene  ricordare  che  nella
giurisprudenza  della Corte costituzionale e' stato piu' volte bensi'
ribadito  il concetto secondo cui «... il principio della parita' tra
accusa e difesa non comporta necessariamente l'identita' tra i poteri
processuali  del  pubblico ministero e quelli dell'imputato e del suo
difensore»,   ed   altresi'  sottolineato  come  «una  diversita'  di
trattamento  rispetto  a tali poteri possa risultare giustificata sia
dalla  peculiare  posizione istituzionale del pubblico ministero, sia
dalla  funzione  allo  stesso affidata, sia da esigenze connesse alla
corretta  amministrazione  della  giustizia:  ma,  in  ogni  caso, il
diverso  trattamento  riservato  al  pubblico  ministero,  per essere
conforme  a  Costituzione, dovra' trovare una ragionevole motivazione
proprio  in  quella  peculiare  posizione  o  in quella funzione o in
quelle  esigenze  appena  richiamate»  (Corte  cost. sent. n. 363 del
1991).
    In  base  a  tale  orientamento,  la  Corte  ha,  in particolare,
costantemente  ritenuto  che  l'art.  443, comma terzo, c.p.p., nella
parte in cui non prevede la possibilita' per il pubblico ministero di
proporre  appello avverso le sentenze di condanna emesse a seguito di
giudizio  abbreviato, salvo che si tratti di sentenza che modifica il
titolo del reato, non contrasta con l'art. 111, comma secondo, Cost.,
come  inserito dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, che
ha conferito veste autonoma ad un principio - quale appunto quello di
parita' delle parti - pacificamente gia' insito nel pregresso sistema
dei   valori   costituzionali,   tale  preclusione  trovando  la  sua
giustificazione «... nell'obiettivo primario di una rapida e completa
definizione  dei  processi  svoltisi  in  primo grado secondo il rito
alternativo  di  cui si tratta: rito che - sia pure, oggi, per scelta
esclusiva  dell'imputato  - implica una decisione fondata, in primis,
sul  materiale  raccolto  dalla  parte  che  subisce  la  limitazione
censurata,  fuori delle garanzie del contraddittorio» (ord. n. 21 del
2001;  nello  stesso  senso,  ord.  n. 363 del 1991, n. 373 del 1991,
n. 305 del 1992 e n. 165 del 2003).
    Orbene,  l'esame della relazione di accompagnamento alla proposta
di  legge  d'iniziativa  del  deputato Pecorella (Camera dei deputati
n. 4604) rende evidente che la limitazione dei poteri processuali del
pubblico  ministero,  ben  lungi  dal  venire giustificata in ragione
della sua peculiare posizione istituzionale, o della funzione ad esso
affidata ovvero delle esigenze connesse alla corretta amministrazione
della  giustizia,  e' stata ricondotta esclusivamente alla necessita'
di  adeguamento  dell'ordinamento  interno  al  principio sancito dal
Protocollo  addizionale n. 7 alla Convenzione per la salvaguardia dei
diritti   dell'uomo   e   delle  liberta'  fondamentali,  adottato  a
Strasburgo  il 22 novembre 1984, reso esecutivo dalla 1° aprile 1990,
n. 98,  che  «all'art.  2  statuisce  il  diritto  al doppio grado di
giurisdizione   in  materia  penale  per  chiunque  venga  dichiarato
colpevole  di  una  infrazione  penale  da  un tribunale», e cio' sul
rilievo  che  tale  principio  «allo  stato  e' reso vano dal vigente
codice  di  procedura penale nella parte in cui, prevedendo che possa
essere  impugnata  la  sentenza  di  primo  grado  di proscioglimento
dell'imputato da parte del pubblico ministero, in caso di sentenza di
condanna  in  sede di gravame non concede la possibilita' di ottenere
un secondo grado di giudizio nel merito in favore del condannato, che
ne avrebbe diritto in forza del principio esposto».
    Le  ragioni  addotte  a  fondamento della disciplina normativa in
esame  appaiono alla Corte non solo estranee a quelle che legittimano
una  limitazione  dei  poteri  processuali del pubblico ministero, ma
anche del tutto prive di fondamento.
    Ed  invero,  la Corte costituzionale, nel mentre ha ripetutamente
affermato  che  «... il  doppio  grado di giurisdizione di merito non
forma  oggetto di garanzia costituzionale» (sentenze n. 117 del 1973;
n. 62  del  1981;  n. 301 del 1986; n. 543 del 1989, n. 438 del 1994;
ordinanza n. 421 del 2001), ha ritenuto che « ... il tenore dell'art.
2,  comma 1,  del  Protocollo  addizionale  n. 7, anche attraverso il
confronto   con   quanto   gia'  disposto  in  tema  di  impugnazioni
dall'art. 14,  comma  1, del Patto internazionale relativo ai diritti
civili  e  politici  del 19 dicembre 1966, ratificato dall'Italia con
legge  25 ottobre 1977, n. 881, non legittima una interpretazione per
cui  il  riesame  ad opera di un tribunale superiore debba coincidere
con un giudizio di merito. La formulazione dell'art. 2, nel demandare
al  legislatore  interno  ampi spazi per la disciplina dell'esercizio
del diritto all'impugnazione, non esclude infatti che il principio si
sostanzi  nella  previsione  del ricorso in Cassazione, gia' previsto
dalla Costituzione italiana».
    Ne'  del  resto,  sempre  in base a quanto osservato dalla Corte,
varrebbe  sostenere la tesi secondo cui, essendo la ricorribilita' in
Cassazione  gia'  prevista dalla Costituzione, l'art. 2, comma primo,
di  tale  Convenzione  avrebbe  introdotto  il  diritto ad un secondo
giudizio  di merito, poiche' in tal modo si incorrerebbe in un palese
vizio   logico,   «... in  quanto  la  norma  convenzionale  verrebbe
interpretata  alla  luce del diritto interno, come se la disposizione
pattizia  avesse  il  ruolo  di  riempire  i  vuoti  dell'ordinamento
nazionale.  Vuoto che, tra l'altro, non si porrebbe in contraddizione
con   l'ordinamento   costituzionale   italiano,   alla   luce  della
consolidata  giurisprudenza  di questa Corte in tema di non rilevanza
costituzionale  della  garanzia  del  doppio  grado di giurisdizione»
(sentenza n. 288 del 1997).
    Cio'   posto,  appare  evidente  che  la  nuova  disciplina  crea
un'irragionevole  disparita' di trattamento, rilevante ai sensi degli
artt. 3 e 111 Cost., a sfavore del pubblico ministero, disparita' che
non  appare  legittimata  da  alcuna razionale esigenza e, tantomeno,
dalla  circostanza  che  l'appello venga precluso anche all'imputato,
ben diverso essendo l'interesse sostanziale del pubblico ministero ad
impugnare una sentenza di proscioglimento.
    La  questione  di  legittimita' costituzionale del citato art. 10
della  legge  n. 46  del  2006  in  riferimento al novellato art. 593
codice   di   procedura  penale  appare  inoltre  non  manifestamente
infondata  anche  sotto  il  diverso  profilo  della  violazione  del
parametro  della  ragionevole  durata  del processo sancito dall'art.
111, comma 2, seconda ipotesi, Cost.
    Va  invero  rilevato  che,  nell'ipotesi  di ingiusta sentenza di
proscioglimento  e  di  conseguente impugnazione accolta, il percorso
processuale   ordinario   imposto  dalla  nuova  normativa  si  snoda
attraverso non meno di cinque gradi di giudizio (assoluzione in primo
grado,  annullamento  della  Cassazione,  condanna  in  primo  grado,
conferma  in appello, rigetto del ricorso in Cassazione), laddove nel
precedente  sistema esso si completava in soli tre gradi (assoluzione
in   primo   grado,  riforma  in  appello,  rigetto  del  ricorso  in
Cassazione)
    L'allungamento  dei tempi processuali che ne deriva - e dunque la
compressione del principio, a rilevanza costituzionale, di efficienza
del   processo   -   risulta   ancora   piu'  sensibile  e  privo  di
giustificazione se si' considera che con la recente legge n. 251/2005
sono  stati  ridotti i termini di prescrizione per numerosi reati, in
ordine  ai  quali  dunque l'iter processuale innescato da un'ingiusta
sentenza  di  proscioglimento  pare  destinato  a concludersi con una
sentenza  dichiarativa  della  prescrizione,  piuttosto  che  con una
sentenza definitiva che accerti nel merito la penale responsabilita'.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  593  cod.  proc.  pen., come
modificato  dall'art.  1  della  legge  20  febbraio  2006,  n. 46, e
dell'art.  10  della medesima legge, in riferimento agli articoli 3 e
111 della Costituzione;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla  Corte
costituzionale, sospendendo il giudizio in corso;
    Ordina  che  a  cura  della Cancelleria la presente ordinanza sia
notificata  al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata
ai   Presidenti   della  Camera  dei  Deputati  e  del  Senato  della
Repubblica.
    Cosi'  deciso in Trieste, nella Camera di consiglio del 12 maggio
2006.
Il Presidente: Drigani
06C0913