N. 461 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 maggio 2006

Ordinanza  emessa  il  15 maggio  2006  dal  tribunale  di Milano nei
procedimenti  civili riuniti promossi da Giacone Vita ed altri contro
Ministero dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca ed altri

Impiego  pubblico  - Personale degli enti locali trasferito nei ruoli
  del   personale   amministrativo,  tecnico  ed  ausiliario  statale
  (A.T.A.)  -  Trattamento  economico  -  Previsione,  con  norma  di
  interpretazione   autentica   dell'attribuzione   del   trattamento
  economico  annuo  in godimento al 31 dicembre 1999 - Ingiustificato
  deteriore  trattamento  di  detto  personale rispetto ai lavoratori
  A.T.A.,  a  parita'  di  qualifica  ed  anzianita'  di  servizio  -
  Violazione  dei principi di certezza del diritto e di affidamento -
  Incidenza   sul   diritto   di  difesa,  sul  principio  di  tutela
  giurisdizionale  e  sul  diritto di proprieta' - Interferenza sulla
  funzione giurisdizionale.
- Legge 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 218.
- Costituzione, artt. 3, 24, 42, 101, 102, 104 e 113.
(GU n.44 del 8-11-2006 )
                            IL TRIBUNALE

    Letti  gli  atti e i documenti della causa iscritta al n. 5889/04
RGL  pendente  davanti al Tribunale di Milano (e delle altre 15 cause
riunite  alla  prima  di  cui  all'allegato  A) vertenti su identiche
questioni  di  diritto,  pendenti davanti al medesimo Tribunale) tra:
Giacone  Vita  e il Ministero dell'istruzione universita' e ricerca e
la  Direzione  didattica  i Circolo sciogliendo la riserva assunta in
data 14 aprile 2006 rileva
                    I termini della controversia
    Con  rispettivi ricorsi al Tribunale di Milano, quale giudice del
lavoro,  i  ricorrenti  di  cui alle cause indicate nell'allegato A),
hanno  esposto  di far parte del personale ATA, che ricomprende tutto
il  personale  che  svolge  attivita'  «non docente» presso le scuole
statali materne e primarie, medie e superiori.
    Hanno  spiegato che detto personale, fino al 31 dicembre 1999, e'
appartenuto  a due diverse amministrazioni: quello in servizio presso
le  scuole  superiori  rientrava  negli  organici dello Stato, mentre
quello  delle  scuole materne e primarie statali, era alle dipendenze
degli   enti   locali  interessati,  svolgendo,  comunque,  identiche
mansioni.
    Hanno,  poi,  chiarito  i  ricorrenti  che questa ripartizione ha
avuto termine con la legge n. 124/1999 (art. 8) con la quale e' stato
disposto  il graduale assorbimento da parte dello Stato del personale
ausiliario scolastico, originariamente proprio degli enti locali.
    Secondo  la  tesi  dei  ricorrenti l'art. 8, comma 1, della legge
n. 124/1999  avrebbe,  in  particolare,  stabilito,  da una parte, il
riconoscimento    dell'anzianita'    gia'    maturata,    dall'altra,
l'erogazione  della  retribuzione  corrispondente  a  tale anzianita'
all'interno dell'ordinamento statale.
    Ha  spiegato  la  parte  attrice  che,  tuttavia,  con  gli  atti
normativi  e  contrattuali  successivi  (il Decreto interministeriale
n. 184  del 23 luglio 1999, l'accordo del 20 luglio 2000 tra l'Aran e
le  organizzazioni  sindacali,  il  d.m. del 5 aprile 2001 con cui e'
stato  recepito  detto  ultimo  accordo)  sarebbe  stato  operato  un
processo  di  stravolgimento  del  disposto  della legge n. 124/1999,
introducendo  via via nuovi e diversi criteri per l'inquadramento del
personale  ATA  degli  enti  locali che hanno portato ad un risultato
esattamente opposto a quello previsto.
    Sul punto, ha tenuto a precisare la difesa dei ricorrenti che, in
ottemperanza  a  detti  ulteriori  atti,  l'anzianita'  e'  diventata
interamente  una  funzione  dipendente della retribuzione goduta, con
determinazione  di  una  nuova  anzianita'  (fittizia) esclusivamente
sulla base della retribuzione in godimento presso l'ente locale al 31
dicembre 1999.
    Cio'  premesso,  hanno  lamentato  i  lavoratori che, per effetto
della    particolare   procedura   adottata   per   disciplinare   il
trasferimento  dei  dipendenti,  basata sul riconoscimento della sola
«retribuzione   maturata»,  si  sono  ritrovati  con  una  anzianita'
giuridica  ed economica ridotta in modo sensibile (secondo la misura,
dettagliatamente  indicata nei ricorsi introduttivi del giudizio, per
ciascuna posizione soggettiva).
    Tale  sistema  di inquadramento, contestato dai dipendenti per le
suddette  ragioni,  avrebbe,  infatti, loro comportato un trattamento
economico  complessivo, da un lato, non corrispondente alla effettiva
anzianita'  maturata,  dall'altro,  inferiore  a quella percepita dai
dipendenti    ATA   che   hanno   prestato   la   propria   attivita'
ininterrottamente presso lo Stato, rivestendo la medesima qualifica e
svolgendo le medesime mansioni degli stessi.
    Per  tale  motivo,  hanno  chiesto nelle conclusioni, che fossero
dichiarati  nulli e/o annullati e/o disapplicati i rispettivi decreti
di   inquadramento,  richiamati  in  ciascun  ricorso,  e  che  fosse
accertato  il  diritto  degli  stessi  al  riconoscimento giuridico e
economico  della  propria anzianita' maturata presso l'ente locale di
provenienza.
    In   aggiunta,   hanno   auspicato   la  condanna  del  Ministero
dell'istruzione,  dell'universita'  e  della ricerca - in persona del
Ministro  pro  tempore  -  a  versare ai ricorrenti la differenza tra
quanto effettivamente percepito e quanto avrebbero dovuto percepire a
partire  dal  1°  gennaio  2000,  in  ragione della differenza tra lo
stipendio  tabellare  dovuto  in base alla categoria e all'anzianita'
stabilite  dal contratto colletivo nazionale di lavoro 26 maggio 1999
del  Comparto  scuola  e  successive  modifiche  e  il minore importo
corrisposto  a  seguito del trasferimento nei ruoli del personale ATA
della scuola, oltre alle differenze stipendiali maturate e maturande.
    Costituendosi  ritualmente  in  giudizio,  con articolata memoria
difensiva,  per  ciascuna delle cause proposte, la parte convenuta ha
contestato  la  fondatezza delle domande, chiedendone il rigetto. Con
vittoria di spese.
    Al  riguardo,  secondo una prima impostazione difensiva (cfr., ad
es.,  le  cause  RG  8983/2005  e RG 1191/2005), la resistente ha, in
primo luogo, sostenuto che l'art. 8, comma 4, della legge n. 124/1999
ha previsto che il descritto «passaggio» dagli enti locali allo Stato
del  personale  ATA  avrebbe  dovuto  avvenire gradualmente, «secondo
tempi    e    modalita'   da   stabilire   con   successivo   decreto
interministeriale».
    In  tal  senso,  il  menzionato art. 8, secondo la tesi sostenuta
nella   memoria   di   costituzione,   si   configurerebbe  come  una
disposizione contenente «un rinvio recettizio a prescrizioni deputate
a  precisare le puntuali modalita» del trasferimento del personale in
questione,  cosicche'  le  successive  norme  menzionate  (il Decreto
interministeriale  n. 184 del 23 luglio 1999, l'Accordo del 20 luglio
2000  tra  l'Aran e le organizzazioni sindacali, il d.m. del 5 aprile
2001)   verrebbero   a  «costituire  parte  integrante  del  disposto
dell'art. 8, comma 2 che preciserebbero e completerebbero, rendendolo
di fatto attuabile».
    La  resistente  ha,  poi, ricordato che, anche qualora si dovesse
concludere   che  la  legge  n. 124/1999  avesse  previsto  il  pieno
mantenimento  dell'anzianita'  dei  lavoratori essendo completa nelle
sue previsioni, la stessa sarebbe stata legittimamente derogata dalle
menzionate  fonti  intervenute  successivamente,  in  conformita'  al
disposto  dell'art. 2 del d.lgs. n. 165/2001 che, al comma 2, prevede
che  «eventuali  disposizioni  di  legge,  regolamento o statuto, che
introducano  discipline  dei rapporti di lavoro la cui applicabilita'
sia  limitata  ai  dipendenti  delle  amministrazioni  pubbliche, o a
categorie  di essi, possono essere derogate da successivi contratti o
accordi  collettivi  e,  per la parte derogata non sono ulteriormente
appllcabili,  salvo  che  la  legge  disponga  espressamente in senso
contrario».
    Una  volta  chiarito  quale  fosse  il  rapporto  tra le norme in
questione,   la   difesa   della  resistente  si  e'  preoccupata  di
evidenziare  la  logica  dei  criteri  previsti dalle disposizioni in
parola  e  come,  in alcun modo, si potessero ritenere pregiudicati i
diritti  dei  lavoratori,  tenuto  conto che, certamente, non sarebbe
stata intenzione del legislatore della legge n. 124/1999 aumentare lo
stipendio  degli  stessi, ma solo garantire loro la conservazione del
trattamento  fino  a quel momento conseguito, con piena legittimita',
dunque, dell'inquadramento compiuto che non determinava un decremento
della  retribuzione  complessiva  in  precedenza goduta e che neppure
menomava  l'anzianita',  tenendosi  conto  della stessa ai fini di un
piu'  celere passaggio allo scaglione stipendiale successivo a quello
di inquadramento.
    Ha  eccepito,  da  ultimo,  la parte convenuta che, diversamente,
qualora   si  ritenesse  che  la  legge  n. 124/1999  dovesse  essere
interpretata   nel   senso   della   necessaria  conservazione  dell'
«integrale»  anzianita'  maturata,  con  la conclusione di un aumento
stipendiale  del  personale  ATA,  ne sarebbe derivata la conseguenza
della  incostituzionalita'  della norma, ai sensi dell'art. 81, comma
4,   Cost.,  per  il  fatto  che  la  legge  n. 124/1999  non  indica
attribuzioni o stanziamenti per il finanziamento dei trasferimenti di
personale  nei  ruoli  statali,  dovendosi,  quindi,  necessariamente
adottare  una  soluzione  ermeneutica che producesse il risultato del
«costo zero» per la pubblica amministrazione.
    Nelle more del giudizio, tuttavia, il 10 gennaio 2006, e' entrato
in  vigore  il  comma 218 dell'articolo unico della legge n. 266/2005
che  dispone  che  il comma 2 dell'art. 8 della legge n. 124/1999 «si
interpreta  nel  senso  che il personale degli enti locali trasferito
nei  ruoli  del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA)
statale  e'  in  quadrato  nelle  qualifiche funzionali e nei profili
professionali  dei  corrispondenti  ruoli  statali,  sulla  base  del
trattamento   economico   complessivo   in   godimento  all'atto  del
trasferimento,  con  l'attribuzione  della  posizione  stipendiale di
importo  pari  o  immediatamente  inferiore  al  trattamento annuo in
godimento  al  31  dicembre  1999  costituito  dallo stipendio, dalla
retribuzione   individuale   di   anzianita',  nonche'  da  eventuali
indennita',  ove  spettanti,  previste  dai  contratti  collettivi di
lavoro   del   comparto   degli   enti   locali,  vigenti  alla  data
dell'inquadramento,   L'eventuale   differenza  tra  l'importo  della
posizione  stipendiale  di  inquadramento  e  il trattamento annuo in
godimento al 31 dicembre 1999, come sopra indicato, viene corrisposto
«ad  personam»  e  considerata utile, previa temporizzazione, ai fini
del  conseguimento  della  successiva posizione stipendiale. E' fatta
salva  l'esecuzione  dei  giudicati formatisi alla data di entrata in
vigore della presente legge».
    Cosi',  secondo  una  ulteriore  impostazione difensiva, la parte
convenuta   ha   sostenuto   come   le  proprie  ragioni  meritassero
accoglimento  in  virtu' di quest'ultima norma alla quale si dovrebbe
attribuire  una  effettiva  natura  interpretativa  dell'art. 8 della
legge n. 124/1999.
    Il  giudice  ha,  quindi, concesso la produzione in causa di note
con  riferimento  alla  novella  in  parola  e  nelle stesse e' stata
eccepita  l'incostituzionalita'  della  norma  che,  pur  definendosi
interpretativa  del  comma 2  dell'art. 8  della  legge  n. 124/1999,
finisce  per  riprodurre  il  contenuto  dell'art. 3  del  menzionato
Accordo del 20 luglio 2000 tra l'Aran e le organizzazioni sindacali.
    Il  giudice nell'udienza successiva, al termine della discussione
orale delle parti si e' riservato di decidere.
                 Il quadro normativo di riferimento
    Il   diritto  azionato  in  giudizio  e'  fondato,  innanzitutto,
sull'art. 8   della   legge   n. 124/1999   che,   per   regolare  il
trasferimento  di  personale  ATA  degli  enti locali alle dipendenze
dello  Stato,  prevede  ai  primi  due commi che «1) Il personale ATA
degli  istituti  e  scuole statali di ogni ordine e grado e' a carico
dello Stato. Sono abrogate le disposizioni che prevedono la fornitura
di  tale  personale  da  parte  dei  comuni  e  delle province. 2) Il
personale  di  ruolo di cui al comma 1, dipendente dagli enti locali,
in  servizio  nelle  istituzioni  scolastiche  statali  alla  data di
entrata  in  vigore della presente legge, e' trasferito nei ruoli del
personale  ATA statale ed e' inquadrato nelle qualifiche funzionali e
nei  profili  professionali  corrispondenti  per  lo  svolgimento dei
compiti  propri  dei  predetti  profili. Relativamente a qualifiche e
profili  che  non  trovino corrispondenza nei ruoli del personale ATA
statale  e'  consentita  l'opzione  per  l'ente  di  appartenenza, da
esercitare  comunque  entro  tre mesi dalla data di entrata in vigore
della  presente legge. A detto personale vengono riconosciuti ai fini
giuridici  ed economici l'anzianita' maturata presso l'ente locale di
provenienza  nonche'  il  mantenimento  della  sede  in fase di prima
applicazione in presenza della relativa disponibilita' del posto».
    Cio'  posto,  si  deve ricordare che, all'art. 8 cit., e' seguita
una  ulteriore  produzione  normativa,  come, del resto, previsto dal
comma 4  della medesima disposizione che prevedeva: «il trasferimento
del  personale  di  cui  ai commi 2 e 3 avviene gradualmente, secondo
tempi  e  modalita'  da  stabilire  con  decreto  del  Ministro della
pubblica istruzione, emanato di concerto con i Ministri dell'interno,
del  tesoro,  del  bilancio e della programmazione economica e per la
funzione pubblica (...)».
    Cosi',   in   attuazione   del   comma 4   citato,   il   decreto
interministeriale del 23 luglio 1999, n. 184, all'art. 3 ha stabilito
che  «con  successivo decreto del Ministro della pubblica istruzione,
di  concerto  con i Ministri dell'interno, del tesoro, del bilancio e
della  programmazione  economica  e per la funzione pubblica verranno
definiti i criteri di inquadramento, nell'ambito del comparto scuola,
finalizzati all'allineamento degli istituti retributivi del personale
in  questione  a  quelli  del comparto medesimo, con riferimento alla
retribuzione    stipendiale,    ai   trattamenti   accessori   e   al
riconoscimento ai fini giuridici ed economici, nonche' dell'incidenza
sulle  rispettive  gestioni  previdenziali  dell'anzianita'  maturata
presso  gli enti previa contrattazione collettiva, da svolgersi entro
il  mese  di  ottobre  1999, fra l'ARAN e le organizzazioni sindacali
rappresentative dei comparti scuola ed enti locali».
    E',  allora,  stato  stipulato  l'accordo  del 20 luglio 2000 tra
l'Aran  e le organizzazioni sindacali ed emanato il d.m. del 5 aprile
2001,  con  cui  e'  stato  recepito  detto ultimo accordo e poste le
regole  per  l'inquadramento  del personale trasferito negli organici
statali (art. 3) secondo le seguenti previsioni: «i dipendenti di cui
all'art.  1  del presente accordo, sono inquadrati nella progressione
economica  per  posizioni stipendiali delle corrispondenti qualifiche
professionali del comparto scuola, indicate nell'allegata Tabella B),
con le seguenti modalita'. Ai suddetti dipendenti viene attribuita la
posizione  stipendiale, tra quelle indicate nell'allegata Tabella B),
d'importo  pari  o  immediatamente  inferiore al trattamento annuo in
godimento  al 31 dicembre 1999 costituito da stipendio e retribuzione
individuale  di  anzianita' nonche', per coloro che ne sono provvisti
dall'indennita'  specifica  prevista dall'art. 4, comma 3 del CCNL 16
luglio  1996  enti  locali  come  modificato dall'art. 28 del CCNL 1°
aprile  1999  enti  locali,  dall'indennita'  prevista  dall'art. 37,
comma 4,   del   CCNL   6  luglio  1995  e  dall'indennita'  prevista
dall'art. 37, comma 1, lettera d) del medesimo CCNL.
    L'eventuale   differenza  tra  l'importo  annuo  della  posizione
stipendiale  di  inquadramento e il trattamento annuo in godimento al
31 dicembre  1999,  come sopra indicato, e' corrisposta ad personam e
considerata  utile, previa temporizzazione, ai fini del conseguimento
della successiva posizione stipendiale. Al personale destinatario del
presente  accordo  e'  corrisposta  l'indennita' integrativa speciale
nell'importo  in  godimento  al  31 dicembre 1999, se piu' elevato di
quella della corrispondente qualifica del comparto scuola.
    L'inquadramento   definitivo,  nei  profili  professionali  della
scuola,  del  personale  di  cui  al  presente  accordo dovra' essere
disposto tenendo conto della tabella A) di equiparazione allegata».
    Con  riguardo  all'Accordo  del  20  luglio  2000 tra l'Aran e le
organizzazioni  sindacali,  la  menzionata  agenzia  -  investita  in
precedenti  giudizi  della questione ai sensi dell'art. 64 del d.lgs.
n. 165/2001 dal Tribunale di Milano Sezione lavoro (con ordinanza del
21  gennaio  2003:), ha chiarito che detto atto «trova fondamento non
nella  contrattazione collettiva prevista dal d.lgs. n. 29/1993 o dal
successivo   d.lgs.   n. 165/2001,   ma   nell'art.   3  del  decreto
interministeriale  n. 184  del  23  luglio 1999. L'Accordo in parola,
pertanto, non e' atto di natura contrattuale ai sensi dei richiedenti
decreti  legislativi ma e' finalizzato esclusivamente a consentire un
primo  inquadramento  di  tale personale nel comparto Scuola. Cio' e'
dimostrato  dalla  circostanza  che per il suo recepimento si e' reso
necessario  un  ulteriore  decreto interministeriale in data 5 aprile
2001;  2)  diversi  e  definitivi  inquadramenti del personale stesso
trovano  dunque  eventuali  ragioni  non  in  norme contrattuali, che
infatti  non  esistono, ma nella legge n. 124/1999. Quest'ultima, per
altro,  non  fa  riferimento  a  fondi  contrattuali  per  il proprio
finanziamento, si che puo' escludersi un qualsiasi potere delle parti
firrnatarie    dell'accordo   sia   nell'utilizzazione   di   risorse
finanziarie  sia nell'interpretazione o nella mancata applicazione di
norma che non hanno, appunto, natura e fondamento contrattuale» (cfr.
doc. 9 ric. della causa RG 5889/2004).
    Da  ultimo,  rispetto  a  tale  originario  quadro  normativo, e'
intervenuto  il comma 218 dell'articolo unico della legge n. 266/2005
che  dispone  che  il comma 2 dell'art. 8 della legge n. 124/1999 «si
interpreta  nel  senso  che il personale degli enti locali trasferito
nei  ruoli  del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA)
statale  e'  inquadrato  nelle  qualifiche  funzionali  e nei profili
professionali  dei  corrispondenti  ruoli  statali,  sulla  base  del
trattamento   economico   complessivo   in   godimento  all'atto  del
trasferimento,  con  l'attribuzione  della  posizione  stipendiale di
importo  pari  o  immediatamente  inferiore  al  trattamento annuo in
godimento  al  31  dicembre  1999  costituito  dallo stipendio, dalla
retribuzione   individuale   di   anzianita',  nonche'  da  eventuali
indennita',  ove  spettanti,  previste  dai  contratti  collettivi di
lavoro   del   compado   degli   enti   locali,   vigenti  alla  data
dell'inquadramento,   L'eventuale   differenza  tra  l'importo  della
posizione  stipendiale  di  inquadramento  e  il trattamento annuo in
godimento al 31 dicembre 1999, come sopra indicato, viene corrisposto
«ad  personam»  e  considerata utile, previa temporizzazione, ai fini
del  conseguimento  della  successiva posizione stipendiale. E' fatta
salva  l'esecuzione  dei  giudicati formatisi alla data di entrata in
vigore della presente legge».
                   Questione di costituzionalita'
    Nelle  note  autorizzate  prodotte  in giudizio i difensori delle
parti  ricorrenti  hanno  sollevato  la  questione della legittimita'
costituzionale  del  menzionato  comma  218 dell'articolo unico della
legge  n. 266/2005  con  riferimento  agli artt. 3, 24, 97, 101, 102,
103, 104, 108 e 113 della Costituzione.
    L'eccezione appare fondata.

                      Rilevanza della questione

    La  questione sottoposta appare rilevante ai fini della decisione
delle  cause  riunite  proponendosi  il  comma  218  cit.  di offrire
l'interpretazione  autentica  del  comma 2  dell'art.  8  della legge
n. 124/1999,  ovvero  della  disposizione  di legge che fonderebbe la
pretesa dei ricorrenti.
    E',  subito,  da notare come il comma 218 cit. debba considerarsi
applicabile   ai   giudizi  di  cui  all'allegato  A)  alla  presente
ordinanza,  gia'  pendenti  davanti al Tribunale di Milano al momento
della  sua  entrata  in  vigore,  avendo  una  portata  evidentemente
retroattiva   (sia   che   alla   stessa   si  riconosca  una  natura
interpretativa  sia  che  si opti per un significato innovativo delle
sue  previsioni)  in  virtu'  della  ultima  parte  della  stessa che
chiarisce  che  «e'  fatta salva l'esecuzione dei giudicati formatisi
alla  data  di entrata in vigore della presente legge», ponendo quale
limite  per  la  sua  applicazione  esclusivamente  la formazione del
giudicato.
    Appare  utile,  in  particolare,  poi,  osservare  come  la nuova
disposizione verrebbe ad essere determinante nei giudizi in corso per
il  fatto  che  chiarisce  in  via  interpretativa il significato del
comma 2  dell'art. 8 della legge n. 124/1999 in senso favorevole alla
soluzione  proposta  dal  Ministero  convenuto  ed  in senso difforme
rispetto  alle  scelte  ermeneutiche adottate nelle numerose pronunce
della Corte di cassazione intervenute nel 2005 sulla medesima materia
(sempre favorevoli ai pubblici dipendenti ricorrenti).

                     Non manifesta infondatezza

    I) La natura interpretativa.
    Appare  da  sottolineare  come la questione sollevata non risulti
manifestamente infondata.
        a) Per  motivare,  innanzitutto,  occorre  verificare come al
comma 218  dell'articolo  unico  della  legge  n. 266/2005  non possa
attribuirsi  la  natura  interpretativa  che  la  disposizione stessa
pretende di avere.
    Giova,  infatti,  rammentare  come sia stato chiarito dalla Corte
costituzionale  che si' deve riconoscere il «carattere interpretativo
soltanto  a  una  legge  che,  fermo  il  tenore testuale della norma
interpretata, ne chiarisce il significato normativo ovvero privilegia
una delle tante interpretazioni possibili» (cfr. Corte Cost. 4 aprile
1990,  n. 155;  cfr.  anche  Corte  costituzionale  24 febbraio 1988,
n. 233).
    Inoltre,  e'  stata  reputata  «di  interpretazione  autentica la
disposizione  che si saldi con quella da interpretare..., senza pero'
intaccare  o  integrare  il  dato  testuale  ma  solo  chiarendone  e
esplicandone  il  contenuto  ovvero  escludendo  o enucleando uno dei
significati  possibili»  (cfr. Corte costituzionale 10 febbraio 1993,
n. 39).
    Si  deve,  poi, evidenziare come, sul punto medesimo, la Corte di
cassazione   abbia   specificato  che  la  legge  di  interpretazione
autentica  «si  caratterizza per la mancanza nel suo contenuto di una
nuova  disposizione»,  sicche' «una norma ha carattere interpretativo
con  conseguente efficacia retroattiva quando, pur rimanendo immutata
la  formulazione  letterale  della  disposizione  interpretata, se ne
chiarisca   e   se   ne   precisi  il  significato»,  cosicche',  per
riconoscersi  una  siffatta  natura interpretativa, e' necessario che
«la scelta ermeneutica imposta dalla legge interpretativa rientri tra
le  varianti  di  senso compatibili con il tenore letterale del testo
interpretato  stabilendo  un  significato  che ragionevolmente poteva
essere  ascritto  alla  legge  anteriore» (cfr. Cass. 28 agosto 2002,
n. 12605).
    Ora, tenuto conto di questi principi, pare possibile sottolineare
come  una semplice comparazione delle due disposizioni renda evidente
come  le  parole  di  cui al co. 218 cit. non possano corrispondere a
quelle  contenute  nell'art.  8 della legge 12 aprile 1999, ancorche'
interpretate   secondo  la  massima  estensione  possibile  del  loro
significato  (le  due norme, d'altro canto, appaiono, ictu oculi, del
tutto differenti e di diversa portata), cosicche' risulta impossibile
definire   la   previsione   inclusa  nella  legge  n. 266/2005  come
interpretativa  dell'artr. 8, comma 20 cit. oppure, in altri termini,
che la scelta ermeneutica imposta dalla legge n. 266/2005 rientri tra
le  varianti  di  senso compatibili con il tenore letterale del testo
interpretato  stabilendo  un  significato che ragionevolmente potesse
essere ascritto alla legge anteriore.
    Solo  per  esemplificare,  si  noti  come il complesso meccanismo
previsto  dalla  norma  interpretante  per  calcolare  il trattamento
economico  spettante ai dipendenti ATA trasferiti non possa ritenersi
in alcun modo ricompreso nella previsione del riconoscimento «ai fini
giuridici ed economici» dell'anzianita' maturata presso l'ente locale
di provenienza di cui all'art. 8 cit.
    Cio'  e'  tanto vero che, per introdurre il meccanismo di calcolo
del   trattamento  economico  oggi  inserito  nella  disposizione  di
interpretazione  autentica,  e' stato necessario stipulare l'apposito
Accordo del 20 luglio 2000 tra l'Aran e le organizzazioni sindacali.
    Ad  ulteriore  conferma,  si  puo' porre in luce che l'accordo e'
stato considerato come modificativo del menzionato art. 8 dalla Corte
di  cassazione  nelle sentenze con le quali ha deciso le controversie
in  esame  affermando  che  «il  senso  fatto  palese dal significato
proprio  delle  parole,  secondo  la  connessione  di  esse,  e dalla
intenzione del legislatore (volonta' e coerenza dell'ordinamento, non
intento   degli   autori)   e'  esattamente  opposto:  riconoscimento
dell'anzianita' non solo ai fini giuridici ma anche economici» (Cass.
14 aprile 2005, n. 7747).
    Inoltre,  come  si  e'  evidenziato nelle premesse della presente
ordinanza,  il  Ministero  convenuto  mai  ha,  nelle  proprie difese
anteriori  alla  novella  di cui si tratta (cfr., ad es., le cause RG
8983/2005 e RG 1191/2005), affermato che l'Accordo del 20 luglio 2000
tra   l'Aran   e   le   organizzazioni   sindacali   avesse  funzione
interpretativa  dell'art. 8  cit.,  sostenendo,  al contrario, che il
menzionato  amI. 8 si configurerebbe come una disposizione contenente
«un rinvio recettizio a prescrizioni deputate a precisare le puntuali
modalita»  del trasferimento del personale in questione, cosicche' le
successive  norme menzionate (il Decreto interministeriale n. 184 del
23  luglio  1999,  l'Accordo  del  20  luglio  2000  tra  l'Aran e le
organizzazioni  sindacali,  il  d.m.  del 5 aprile 2001) verrebbero a
«costituire  parte  integrante  del disposto dell'art. 8, comma 2 che
preciserebbero e completerebbero, rendendolo di fatto attuabile».
    Occorre,  pertanto,  concludere  che  la  disposizione introdotta
dalla  legge finanziaria non essendo neppure lontanamente compatibile
con  la  norma che pretende di interpretare, non soddisfa i requisiti
richiesti  dalla Corte costituzionale e dalla Corte di cassazione per
essere  considerata  una norma interpretativa, risultando, viceversa,
innovare il contenuto della norma che pretende di interpretare.
        b) Quand'anche  si reputasse che il comma 218 in parola abbia
un   carattere   interpretativo,   si  debbono,  comunque,  sollevare
molteplici  dubbi  di  costituzionalita'  collegati alla legittimita'
della  scelta  del  legislatore  di  emanare  nel  caso  una norma di
interpretazione autentica.
    E',  infatti,  da  ricordare  come  la Corte costituzionale abbia
chiarito  nella  sentenza  n. 525  del  2000 che «il legislatore puo'
adottare  norme  che  precisino  il significato di altre disposizioni
legislative  non  solo  quando  sussista una situazione di incertezza
nell'applicazione del diritto o vi siano contrasti giurisprudenziali,
ma  anche  in  presenza  di  un  indirizzo  omogeneo  della  Corte di
cassazione,  quando  la  scelta  imposta  dalla  legge rientri tra le
possibili varianti di senso del testo originario, con cio' vincolando
un significato ascrivibile alla norma anteriore (v., tra le altre, le
sentenze  n. 311  del 1995 e n. 397 del 1994 e l'ordinanza n. 480 del
1992)».
    Evidenziati  i  presupposti  per  l'uso  legittimo  del potere di
interpretazione  autentica  da parte del legislatore, con riferimento
all'ultimo   menzionato   nella   suddetta   pronuncia   della  Corte
costituzionale,  si e' gia' osservato come il contenuto del comma 218
cit.  non  rientri  tra  le  possibili  varianti  di  senso del testo
originario  dell'art.  8  della  legge n. 24/1999, ma appare anche da
evidenziare,    nel   solco   ermeneutico   tracciato   dalla   Corte
costituzionale,  come  il significato letterale dell'art. 8, comma 2,
della  legge  n. 124/1999  -  che  statuisce  che  al  personale  ATA
trasferito  «vengono  riconosciuti  ai  fini  giuridici  ed economici
l'anzianita'  maturata presso l'ente locale di provenienza» - risulti
chiarissimo  e  di immediata interpretazione fin da una prima lettura
non essendo possibile attribuire alle parole altra interpretazione se
non  quella  fatta  propria  dal  significato delle stesse per cui al
personale  trasferito  agli organici dello Stato e' mantenuta intatta
l'anzianita'  maturata  presso  l'ente  locale,  con effetti non solo
giuridici,  ma  anche  economici  (cfr.  anche  Corte  costituzionale
n. 299/1999;  Corte  costituzionale n. 187/1981; Corte costituzionale
n. 133/1997).
    Una   volta   osservato  come  difficilmente  possano  rinvenirsi
molteplici  varianti  nell'individuazione del significato dell'art. 8
cit.,  e' possibile, peraltro, anche notare come sulla medesima norma
sussista  ormai  un  indirizzo  ermeneutico  univoco e costante della
Corte di legittimita' (cfr. Cass. n. 3224, 3225 e 3356 del 25 gennaio
2005;    n. 4722/2005;    n. 7747/2005;    10576/2005;    18653/2005;
n. 18829/2005  tutte allegate), cosicche' e' possibile affermare che,
nella  materia in questione, al momento dell'emanazione dell'articolo
unico   co.  218  della  legge  n. 266/2005,  non  sussistesse  alcun
contrasto interpretativo (di scarso rilievo, appaiono alcune limitate
pronunce   della  giurisprudenza  di  merito  di  segno  opposto,  in
confronto  alla  giurisprudenza univoca della Corte di cassazione che
viene  a  mostrare  un  orientamento  omogeneo), essendosi formato un
«diritto vivente» (cfr. Corte costituzionale n. 299 del 1999).
    Appare,  dunque,  possibile  porre  in  luce  come,  nel caso, al
momento  dell'emanazione  del  comma  218  cit.,  da  una  parte, non
esistessero   una  situazione  di  incertezza  nell'applicazione  del
diritto o contrasti giurisprudenziali (non ricorrono quei casi in cui
la  legge  anteriore riveli gravi ed insuperabili anfibologie o abbia
dato    luogo   a   contrastanti   applicazioni,   specie   in   sede
giurisprudenziale),   ma   un   indirizzo  omogeneo  della  Corte  di
cassazione  e,  dall'altra, come la scelta imposta dal comma 218 cit.
non  rientri  tra le possibili varianti di senso del testo originario
dell'art.  8  della  legge  n. 124/1999, cosicche' paiono difettare i
presupposti  per  il  ricorso  da  parte del legislatore ad una norma
interpretativa del medesimo art. 8.
        c) Inoltre,   rammentandosi   come   il  comma  218  (che  si
autoqualifica   come  norma  «di  interpretazione  autentica»)  abbia
portata  retroattiva,  giova  evidenziare come il giudice delle leggi
abbia  specificato  come  la  legge  di interpretazione autentica sia
soggetta,  tra  gli  altri,  al  limite  del  rispetto  del principio
dell'affidamento   dei  consociati  nella  certezza  dell'ordinamento
giuridico,   principio   che  trova  applicazione  anche  in  materia
processuale  e  che,  nel  caso  di specie, deve ritenersi violato in
conseguenza  della  non prevedibilita' della soluzione interpretativa
adottata dal legislatore, rispetto a quelle affermatesi nella prassi,
oltre  che  in  relazione ai principi generali di ragionevolezza e di
uguaglianza  (cfr.  Corte  costituzionale  sentenze n. 0376 del 2004;
n. 525 del 2000 e n. 26 del 2003).
    In  conclusione,  quindi, per la violazione dei suddetti principi
nell'uso  del  potere  legislativo, si deve evidenziare come il comma
218  cit. appaia porsi in conflitto con gli artt. 24, 101, 102, 104 e
113  della  costituzione  potendo proporsi, anche in caso di ritenuta
natura  interpretativa,  le  considerazioni che si andranno meglio ad
esporre  nel prossimo paragrafo relative alla violazione dei principi
costituzionali di ragionevolezza, di tutela del legittimo affidamento
e  di  certezza  della situazioni giuridiche e risultando la medesima
norma   invasiva   della   sfera   riservata  al  potere  giudiziario
(imponendo,  con  effetto retroattivo, una interpretazione diversa da
quella consolidatasi in giurisprudenza).
    Con  riguardo,  poi, al contrasto con il principio di uguaglianza
di  cui  all'art.  3  Cost., e' possibile, comunque, anticipare come,
anche   nel  caso  in  cui  si  consideri  il  comma  218  cit.  come
effettivamente  di  carattere  interpretativo,  la  norma preveda una
disparita'  di  trattamento,  creando  tre  categorie  di  dipendenti
trattati  differentemente  pur  a  parita'  di mansioni ed anzianita'
(come meglio sara' esposto).
    II) La portata innovativa.
    Qualora,   invece,   secondo   l'interpretazione  proposta  nella
presente ordinanza, su valutasse il comma 218 in esame come una norma
di  carattere innovativo, si dovrebbe osservare come la disposizione,
modificando  le  regole  poste  dalla  legislazione antecedente, paia
scontrarsi con diverse norme della Carta costituzionale.
    Si  e' gia' anticipato come si debba attribuire al comma 218 cit.
portata  retroattiva  (sia  che  alla  stessa si riconosca una natura
interpretativa  sia  che  si opti per un significato innovativo delle
sue  previsioni)  in  virtu'  della  ultima  parte  della  stessa che
chiarisce  che  «e'  fatta salva l'esecuzione dei giudicati formatisi
alla  data  di entrata in vigore della presente legge», ponendo quale
limite  per  la  sua  applicazione  esclusivamente  la formazione del
giudicato.
    A  tal  riguardo,  in  primo  luogo, si deve osservare come possa
certamente  il legislatore emanare, al di fuori della materia penale,
norme  legislative  con  efficacia  retroattiva, come la stessa Corte
costituzionale  ha, piu' volte, specificato, con il limite, tuttavia,
«della  ragionevolezza  e  del  non  contrasto  con  altri  valori  e
interessi  costituzionalmente  protetta»  (cfr.  Corte costituzionale
sentenze  n. 36  del  1985 e n. 123 del 1988), con la conseguenza che
«non  e'  decisivo  verificare  se la norma censurata abbia carattere
effettivamente  interpretativo (e sia percio' retroattiva) ovvero sia
innovativa   con   efficacia  retroattiva.  Infatti,  il  divieto  di
retroattivita'  della  legge  -  pur  costituendo  valore di civilta'
giuridica  e  principio generale dell'ordinamento, cui il legislatore
deve  in linea di principio attenersi - non e' stato tuttavia elevato
a  dignita' costituzionale, salva per la materia penale la previsione
dell'art.  25  Cost.  Quindi  il  legislatore,  nel  rispetto di tale
previsione,   puo'   emanare   norme   con  efficacia  retroattiva  -
interpretative   o   innovative   che   esse   siano   -  purche'  la
retroattivita'   trovi   adeguata  giustificazione  sul  piano  della
ragionevolezza  e  non  si  ponga  in  contrasto  con  altri valori e
interessi  costituzionalmente protetti» (sentenza n. 374 del 2002; in
senso conforme: sentenze n. 229 del 1999 e n. 419 del 2000; ordinanza
n. 263  del 2002; Cfr., anche, Corte costituzionale sent. n. 0376 del
2004; n. 525 del 2000 e n. 26 del 2003).
        a) Il che porta a porre in luce come il comma 218 si ponga in
insanabile conflitto, innanzitutto, con l'art. 3 della Costituzione.
    Non  puo'  non sottolinearsi, infatti, come la legge n. 124/1998,
come   interpretata   nelle   pronunce   menzionate  della  Corte  di
cassazione,  operando  il  trasferimento  coattivo dei dipendenti ATA
degli  enti  locali all'amministrazione dello Stato, avesse stabilito
il  principio  per  cui  essi  avrebbero  dovuto  essere  considerati
esattamente  uguali  ai corrispondenti dipendenti ATA statali (tenuto
anche  conto  dell'identita'  delle mansioni svolte nei vari profili)
grazie  al  riconoscimento agli stessi ai fini giuridici ed economici
dell'anzianita' maturata presso l'ente locale di provenienza.
    In  virtu'  della  legge  interpretante,  che  gode  di efficacia
retroattiva,  viceversa, si configurano tre categorie di dipendenti a
parita' di mansioni e di anzianita':
        la  prima categoria e' rappresentata dal personale ATA che e'
sempre stato dipendente dello Stato;
        la  seconda  categoria  e'  rappresentata dal personale ATA -
transitato  in virtu' della citata norma dagli enti locali allo Stato
-   che   si   vede  riconosciuta  ai  fini  giuridici  ed  economici
l'anzianita' maturata presso l'ente locale di appartenenza in seguito
alle sentenze passate in giudicato;
        la  terza  categoria  e'  rappresentata  dal  personale ATA -
transitato  in virtu' della citata norma dagli enti locali allo Stato
-  che  non  si  vede  riconosciuta  ai  fini  giuridici ed economici
l'anzianita'  maturata presso l'ente locale di appartenenza, restando
assoggettato alla meno favorevole disciplina sopravvenuta.
    Appare,    allora,    possibile   considerare   come   la   norma
«interpretante»  introduca una evidente e irragionevole disparita' di
trattamento   giuridico-economico   tra  dipendenti  appartenenti  al
medesimo  profilo  professionale,  svolgenti  le  medesime mansioni e
forniti della medesima anzianita'.
    Occorre, a tal punto, anche confermare come tale contrasto con il
principio  di uguaglianza sia, come anticipato, rinvenibile anche nel
caso  in  cui  si  consideri il comma 218 cit. come effettivamente di
carattere  interpretativo,  considerato  che  la  norma  prevede  una
disparita'  di  trattamento,  creando  le tre categorie di dipendenti
sopra  menzionate  tramite  la  distinzione,  derivante  dalla stessa
disposizione,  tra  il  personale  da sempre appartenuto allo Stato e
quello  trasferito  dagli  enti locali e, all'interno di quest'ultimo
gruppo,  tramite  la  previsione per cui «e' fatta salva l'esecuzione
dei giudicati formatisi alla data di entrata in vigore della presente
legge».
        b) Sotto  un altro profilo, deve, inoltre, tenersi conto come
la  disposizione  interpretata avesse completamente esaurito i propri
effetti,  avendo  disciplinato  le  modalita'  di  inquadramento  del
personale  ATA  degli  enti  locali  ormai trasferito alle dipendenze
dello  Stato  (tutte le parti ricorrenti hanno tenuto a chiarire come
il  nuovo  inquadramento ed il trasferimento fosse gia' avvenuto alla
data  d'avvento  della  novella legislativa ne' tale assunto e' stato
contestato  negli  scritti  o  nella  discussione orale dal Ministero
convenuto  che si e' riferito al personale «trasferito» senza operare
distinzioni).
    Si   deve,   allora,   porre   in   rilievo   come  il  carattere
esclusivamente   retroattivo   della  norma  in  esame  (che  non  ha
possibilita'  di  attuazione  se  non relativamente a situazioni gia'
esauritesi),   unitamente  alla  sua  natura  non  interpretativa  ma
innovativa,  evidenzi la sua funzionalita' ad incidere sui giudizi in
corso,  superando  l'elaborazione  giurisprudenziale  formatasi negli
anni  e  l'orientamento ormai, in materia, consolidato della Corte di
cassazione.
    Come  si  e' rilevato, del resto, il comma 218 cit. non ha inteso
evitare incertezze interpretative o giurisprudenziali, ormai non piu'
esistenti,  ne'  ha  raccolto  inesistenti  divergenti opinioni nella
dottrina,   ne'   ha  privilegiato  una  interpretazione  tra  quelle
astrattamente      possibili,     introducendo,     al     contrario,
un'interpretazione  pacificamente  incompatibile  con  il testo della
norma interpretata.
    Il   che   porta   ad  osservare  come  il  dato  testuale  della
disposizione  in  analisi  abbia l'esclusiva funzione di contrapporsi
all'interpretazione  ormai  consolidata  della  norma  offerta  dalla
giurisprudenza  nell'esercizio di poteri costituzionalmente riservati
al  potere  giudiziario  (cfr.  Corte  costituzionale 12 luglio 1995,
n. 311  e  23  novembre  1994,  n. 397),  potendo  rivelare l'intento
esclusivo  di  incidere  sui  giudizi  in corso, ponendosi, cosi', in
violazione  dei  principi costituzionali di ragionevolezza, di tutela
del legittimo affidamento e di certezza della situazioni giuridiche e
(imponendo,  con  effetto retroattivo, una interpretazione diversa da
quella  consolidatasi  in  giurisprudenza)  risultando invasiva della
sfera  riservata  al  potere giudiziario, con violazione dei principi
costituzionali  di  cui  agli  artt.  24,  101,102,  104  e 113 della
Costituzione.
    In  proposito,  la  Corte costituzionale ha, del resto, osservato
che  deve  essere  rigorosamente  protetta  la  «sicurezza giuridica,
principio  che, quale elemento essenziale dello stato di diritto, non
puo'  essere  leso  da  norme  con  effetti  retroattivi che incidano
irragionevolmente  su  situazioni regolate da leggi precedenti» e che
tale regola comporta «la tutela dell'affidamento legittimamente posto
sulla  certezza  dell'ordinamento  giuridico, e quello delle funzioni
costituzionalmente riservate al potere giudiziario, cio' che vieta di
intervenire  per  annullare  gli  effetti del giudicato o di incidere
intenzionalmente  su  concrete  fattispecie  sub  iudice» (Cfr. Corte
costituzionale n. 525/2000).
        c) Si  aggiunga,  inoltre,  come  il  comma  218  cit. appaia
violare l'art. 42 della Carta costituzionale.
    Non  si puo', del resto, non rilevare come i diritti di carattere
economico   derivanti   dall'applicazione  dell'art.  8  della  legge
n. 124/1999   secondo   il   costante  orientamento  della  Corte  di
cassazione sopra menzionato (per cui al personale trasferito «vengono
riconosciuti  ai  fini  giuridici  ed economici l'anzianita' maturata
presso  l'ente locale di provenienza») ormai risultassero, al momento
dell'entrata  in  vigore  della  norma  interpretante,  far parte del
patrimonio dei dipendenti gia' inquadrati in virtu' del trasferimento
avvenuto  negli  organici dello Stato, apparendo cosi' espropriati in
ragione della novella di cui alla legge n. 266/2005.
    Giova,  allora,  porre in rilevo, come, secondo la giurisprudenza
costituzionale,   «il   sacrificio   degli   interessi   dei  privati
proprietari  non  e'  irragionevole  tutte  le  volte che i motivi di
interesse generale, che legittimano l'espropriazione della proprieta'
privata,  siano  tali  non  solo  da  escludere  che il provvedimento
ablatorio  possa  perseguire  un  interesse  meramente privato, ma da
postulare  anche  che  esso  miri  alla  soddisfazione di effettive e
specifiche   esigenze   rilevanti   per   la  comunita»  (cfr.  Corte
costituzionale  n. 135 del 1998) e come, nella fattispecie, non siano
rinvenibili  giustificazioni  di  interesse  generale che legittimino
l'espropriazione della proprieta' privata, essendovi, dunque, fondati
motivi  per reputare la norma illegittima per contrasto con l'art. 42
Cost.
Impossibilita'  di  interpretazioni  costituzionalmente orientate del
                           comma 218 cit.
    In seguito alle suddette premesse appare doverosa la trasmissione
degli  atti  alla  Corte  costituzionale,  dovendosi solo, da ultimo,
precisare  come,  attesa la perentorieta' delle parole utilizzate dal
legislatore  nel  dettare  il  comma  218 cit. e la chiara ed univoca
volonta',  che traspare dalla norma, di voler riproporre il contenuto
dell'art. 3 del menzionato accordo del 20 luglio 2000 tra l'Aran e le
organizzazioni   sindacali,   non  pare  possibile  alcuna  soluzione
interpretativa   costituzionalmente   orientata   che,  nel  presente
giudizio,  consenta  di  pervenire  ad  una  decisione  che prescinda
dall'eccezione di costituzionalita' che occorre dunque, sollevare.
                              P. Q. M.
    Sciogliendo la riserva:
    Visti gli artt. 3, 24, 101, 102, 104, 113 e 42 della Costituzione
e l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza;
    Solleva la questione di legittimita' costituzionale del comma 218
dell'articolo  unico  della  legge  n. 266/2005 per contrasto con gli
artt. 3, 24, 101, 102, 104, 113 e 42 della Costituzione;
    Sospende il presente giudizio;
    Ordina alla cancelleria di provvedere alla immediata trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale;
    Ordina,  altresi',  alla  cancelleria  di  notificare la presente
ordinanza alle parti;
    Ordina,  infine,  alla  cancelleria  di  comunicare  la  presente
ordinanza  ai  Presidenti  delle due Camere del Parlamento nonche' al
Presidente del Consiglio dei inistri.
        Milano, addi' 2 maggio 2006
                         Il giudice: Di Leo
06C0962