N. 461 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 maggio 2006
Ordinanza emessa il 15 maggio 2006 dal tribunale di Milano nei procedimenti civili riuniti promossi da Giacone Vita ed altri contro Ministero dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca ed altri Impiego pubblico - Personale degli enti locali trasferito nei ruoli del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario statale (A.T.A.) - Trattamento economico - Previsione, con norma di interpretazione autentica dell'attribuzione del trattamento economico annuo in godimento al 31 dicembre 1999 - Ingiustificato deteriore trattamento di detto personale rispetto ai lavoratori A.T.A., a parita' di qualifica ed anzianita' di servizio - Violazione dei principi di certezza del diritto e di affidamento - Incidenza sul diritto di difesa, sul principio di tutela giurisdizionale e sul diritto di proprieta' - Interferenza sulla funzione giurisdizionale. - Legge 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 218. - Costituzione, artt. 3, 24, 42, 101, 102, 104 e 113.(GU n.44 del 8-11-2006 )
IL TRIBUNALE Letti gli atti e i documenti della causa iscritta al n. 5889/04 RGL pendente davanti al Tribunale di Milano (e delle altre 15 cause riunite alla prima di cui all'allegato A) vertenti su identiche questioni di diritto, pendenti davanti al medesimo Tribunale) tra: Giacone Vita e il Ministero dell'istruzione universita' e ricerca e la Direzione didattica i Circolo sciogliendo la riserva assunta in data 14 aprile 2006 rileva I termini della controversia Con rispettivi ricorsi al Tribunale di Milano, quale giudice del lavoro, i ricorrenti di cui alle cause indicate nell'allegato A), hanno esposto di far parte del personale ATA, che ricomprende tutto il personale che svolge attivita' «non docente» presso le scuole statali materne e primarie, medie e superiori. Hanno spiegato che detto personale, fino al 31 dicembre 1999, e' appartenuto a due diverse amministrazioni: quello in servizio presso le scuole superiori rientrava negli organici dello Stato, mentre quello delle scuole materne e primarie statali, era alle dipendenze degli enti locali interessati, svolgendo, comunque, identiche mansioni. Hanno, poi, chiarito i ricorrenti che questa ripartizione ha avuto termine con la legge n. 124/1999 (art. 8) con la quale e' stato disposto il graduale assorbimento da parte dello Stato del personale ausiliario scolastico, originariamente proprio degli enti locali. Secondo la tesi dei ricorrenti l'art. 8, comma 1, della legge n. 124/1999 avrebbe, in particolare, stabilito, da una parte, il riconoscimento dell'anzianita' gia' maturata, dall'altra, l'erogazione della retribuzione corrispondente a tale anzianita' all'interno dell'ordinamento statale. Ha spiegato la parte attrice che, tuttavia, con gli atti normativi e contrattuali successivi (il Decreto interministeriale n. 184 del 23 luglio 1999, l'accordo del 20 luglio 2000 tra l'Aran e le organizzazioni sindacali, il d.m. del 5 aprile 2001 con cui e' stato recepito detto ultimo accordo) sarebbe stato operato un processo di stravolgimento del disposto della legge n. 124/1999, introducendo via via nuovi e diversi criteri per l'inquadramento del personale ATA degli enti locali che hanno portato ad un risultato esattamente opposto a quello previsto. Sul punto, ha tenuto a precisare la difesa dei ricorrenti che, in ottemperanza a detti ulteriori atti, l'anzianita' e' diventata interamente una funzione dipendente della retribuzione goduta, con determinazione di una nuova anzianita' (fittizia) esclusivamente sulla base della retribuzione in godimento presso l'ente locale al 31 dicembre 1999. Cio' premesso, hanno lamentato i lavoratori che, per effetto della particolare procedura adottata per disciplinare il trasferimento dei dipendenti, basata sul riconoscimento della sola «retribuzione maturata», si sono ritrovati con una anzianita' giuridica ed economica ridotta in modo sensibile (secondo la misura, dettagliatamente indicata nei ricorsi introduttivi del giudizio, per ciascuna posizione soggettiva). Tale sistema di inquadramento, contestato dai dipendenti per le suddette ragioni, avrebbe, infatti, loro comportato un trattamento economico complessivo, da un lato, non corrispondente alla effettiva anzianita' maturata, dall'altro, inferiore a quella percepita dai dipendenti ATA che hanno prestato la propria attivita' ininterrottamente presso lo Stato, rivestendo la medesima qualifica e svolgendo le medesime mansioni degli stessi. Per tale motivo, hanno chiesto nelle conclusioni, che fossero dichiarati nulli e/o annullati e/o disapplicati i rispettivi decreti di inquadramento, richiamati in ciascun ricorso, e che fosse accertato il diritto degli stessi al riconoscimento giuridico e economico della propria anzianita' maturata presso l'ente locale di provenienza. In aggiunta, hanno auspicato la condanna del Ministero dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca - in persona del Ministro pro tempore - a versare ai ricorrenti la differenza tra quanto effettivamente percepito e quanto avrebbero dovuto percepire a partire dal 1° gennaio 2000, in ragione della differenza tra lo stipendio tabellare dovuto in base alla categoria e all'anzianita' stabilite dal contratto colletivo nazionale di lavoro 26 maggio 1999 del Comparto scuola e successive modifiche e il minore importo corrisposto a seguito del trasferimento nei ruoli del personale ATA della scuola, oltre alle differenze stipendiali maturate e maturande. Costituendosi ritualmente in giudizio, con articolata memoria difensiva, per ciascuna delle cause proposte, la parte convenuta ha contestato la fondatezza delle domande, chiedendone il rigetto. Con vittoria di spese. Al riguardo, secondo una prima impostazione difensiva (cfr., ad es., le cause RG 8983/2005 e RG 1191/2005), la resistente ha, in primo luogo, sostenuto che l'art. 8, comma 4, della legge n. 124/1999 ha previsto che il descritto «passaggio» dagli enti locali allo Stato del personale ATA avrebbe dovuto avvenire gradualmente, «secondo tempi e modalita' da stabilire con successivo decreto interministeriale». In tal senso, il menzionato art. 8, secondo la tesi sostenuta nella memoria di costituzione, si configurerebbe come una disposizione contenente «un rinvio recettizio a prescrizioni deputate a precisare le puntuali modalita» del trasferimento del personale in questione, cosicche' le successive norme menzionate (il Decreto interministeriale n. 184 del 23 luglio 1999, l'Accordo del 20 luglio 2000 tra l'Aran e le organizzazioni sindacali, il d.m. del 5 aprile 2001) verrebbero a «costituire parte integrante del disposto dell'art. 8, comma 2 che preciserebbero e completerebbero, rendendolo di fatto attuabile». La resistente ha, poi, ricordato che, anche qualora si dovesse concludere che la legge n. 124/1999 avesse previsto il pieno mantenimento dell'anzianita' dei lavoratori essendo completa nelle sue previsioni, la stessa sarebbe stata legittimamente derogata dalle menzionate fonti intervenute successivamente, in conformita' al disposto dell'art. 2 del d.lgs. n. 165/2001 che, al comma 2, prevede che «eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilita' sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a categorie di essi, possono essere derogate da successivi contratti o accordi collettivi e, per la parte derogata non sono ulteriormente appllcabili, salvo che la legge disponga espressamente in senso contrario». Una volta chiarito quale fosse il rapporto tra le norme in questione, la difesa della resistente si e' preoccupata di evidenziare la logica dei criteri previsti dalle disposizioni in parola e come, in alcun modo, si potessero ritenere pregiudicati i diritti dei lavoratori, tenuto conto che, certamente, non sarebbe stata intenzione del legislatore della legge n. 124/1999 aumentare lo stipendio degli stessi, ma solo garantire loro la conservazione del trattamento fino a quel momento conseguito, con piena legittimita', dunque, dell'inquadramento compiuto che non determinava un decremento della retribuzione complessiva in precedenza goduta e che neppure menomava l'anzianita', tenendosi conto della stessa ai fini di un piu' celere passaggio allo scaglione stipendiale successivo a quello di inquadramento. Ha eccepito, da ultimo, la parte convenuta che, diversamente, qualora si ritenesse che la legge n. 124/1999 dovesse essere interpretata nel senso della necessaria conservazione dell' «integrale» anzianita' maturata, con la conclusione di un aumento stipendiale del personale ATA, ne sarebbe derivata la conseguenza della incostituzionalita' della norma, ai sensi dell'art. 81, comma 4, Cost., per il fatto che la legge n. 124/1999 non indica attribuzioni o stanziamenti per il finanziamento dei trasferimenti di personale nei ruoli statali, dovendosi, quindi, necessariamente adottare una soluzione ermeneutica che producesse il risultato del «costo zero» per la pubblica amministrazione. Nelle more del giudizio, tuttavia, il 10 gennaio 2006, e' entrato in vigore il comma 218 dell'articolo unico della legge n. 266/2005 che dispone che il comma 2 dell'art. 8 della legge n. 124/1999 «si interpreta nel senso che il personale degli enti locali trasferito nei ruoli del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA) statale e' in quadrato nelle qualifiche funzionali e nei profili professionali dei corrispondenti ruoli statali, sulla base del trattamento economico complessivo in godimento all'atto del trasferimento, con l'attribuzione della posizione stipendiale di importo pari o immediatamente inferiore al trattamento annuo in godimento al 31 dicembre 1999 costituito dallo stipendio, dalla retribuzione individuale di anzianita', nonche' da eventuali indennita', ove spettanti, previste dai contratti collettivi di lavoro del comparto degli enti locali, vigenti alla data dell'inquadramento, L'eventuale differenza tra l'importo della posizione stipendiale di inquadramento e il trattamento annuo in godimento al 31 dicembre 1999, come sopra indicato, viene corrisposto «ad personam» e considerata utile, previa temporizzazione, ai fini del conseguimento della successiva posizione stipendiale. E' fatta salva l'esecuzione dei giudicati formatisi alla data di entrata in vigore della presente legge». Cosi', secondo una ulteriore impostazione difensiva, la parte convenuta ha sostenuto come le proprie ragioni meritassero accoglimento in virtu' di quest'ultima norma alla quale si dovrebbe attribuire una effettiva natura interpretativa dell'art. 8 della legge n. 124/1999. Il giudice ha, quindi, concesso la produzione in causa di note con riferimento alla novella in parola e nelle stesse e' stata eccepita l'incostituzionalita' della norma che, pur definendosi interpretativa del comma 2 dell'art. 8 della legge n. 124/1999, finisce per riprodurre il contenuto dell'art. 3 del menzionato Accordo del 20 luglio 2000 tra l'Aran e le organizzazioni sindacali. Il giudice nell'udienza successiva, al termine della discussione orale delle parti si e' riservato di decidere. Il quadro normativo di riferimento Il diritto azionato in giudizio e' fondato, innanzitutto, sull'art. 8 della legge n. 124/1999 che, per regolare il trasferimento di personale ATA degli enti locali alle dipendenze dello Stato, prevede ai primi due commi che «1) Il personale ATA degli istituti e scuole statali di ogni ordine e grado e' a carico dello Stato. Sono abrogate le disposizioni che prevedono la fornitura di tale personale da parte dei comuni e delle province. 2) Il personale di ruolo di cui al comma 1, dipendente dagli enti locali, in servizio nelle istituzioni scolastiche statali alla data di entrata in vigore della presente legge, e' trasferito nei ruoli del personale ATA statale ed e' inquadrato nelle qualifiche funzionali e nei profili professionali corrispondenti per lo svolgimento dei compiti propri dei predetti profili. Relativamente a qualifiche e profili che non trovino corrispondenza nei ruoli del personale ATA statale e' consentita l'opzione per l'ente di appartenenza, da esercitare comunque entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. A detto personale vengono riconosciuti ai fini giuridici ed economici l'anzianita' maturata presso l'ente locale di provenienza nonche' il mantenimento della sede in fase di prima applicazione in presenza della relativa disponibilita' del posto». Cio' posto, si deve ricordare che, all'art. 8 cit., e' seguita una ulteriore produzione normativa, come, del resto, previsto dal comma 4 della medesima disposizione che prevedeva: «il trasferimento del personale di cui ai commi 2 e 3 avviene gradualmente, secondo tempi e modalita' da stabilire con decreto del Ministro della pubblica istruzione, emanato di concerto con i Ministri dell'interno, del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e per la funzione pubblica (...)». Cosi', in attuazione del comma 4 citato, il decreto interministeriale del 23 luglio 1999, n. 184, all'art. 3 ha stabilito che «con successivo decreto del Ministro della pubblica istruzione, di concerto con i Ministri dell'interno, del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e per la funzione pubblica verranno definiti i criteri di inquadramento, nell'ambito del comparto scuola, finalizzati all'allineamento degli istituti retributivi del personale in questione a quelli del comparto medesimo, con riferimento alla retribuzione stipendiale, ai trattamenti accessori e al riconoscimento ai fini giuridici ed economici, nonche' dell'incidenza sulle rispettive gestioni previdenziali dell'anzianita' maturata presso gli enti previa contrattazione collettiva, da svolgersi entro il mese di ottobre 1999, fra l'ARAN e le organizzazioni sindacali rappresentative dei comparti scuola ed enti locali». E', allora, stato stipulato l'accordo del 20 luglio 2000 tra l'Aran e le organizzazioni sindacali ed emanato il d.m. del 5 aprile 2001, con cui e' stato recepito detto ultimo accordo e poste le regole per l'inquadramento del personale trasferito negli organici statali (art. 3) secondo le seguenti previsioni: «i dipendenti di cui all'art. 1 del presente accordo, sono inquadrati nella progressione economica per posizioni stipendiali delle corrispondenti qualifiche professionali del comparto scuola, indicate nell'allegata Tabella B), con le seguenti modalita'. Ai suddetti dipendenti viene attribuita la posizione stipendiale, tra quelle indicate nell'allegata Tabella B), d'importo pari o immediatamente inferiore al trattamento annuo in godimento al 31 dicembre 1999 costituito da stipendio e retribuzione individuale di anzianita' nonche', per coloro che ne sono provvisti dall'indennita' specifica prevista dall'art. 4, comma 3 del CCNL 16 luglio 1996 enti locali come modificato dall'art. 28 del CCNL 1° aprile 1999 enti locali, dall'indennita' prevista dall'art. 37, comma 4, del CCNL 6 luglio 1995 e dall'indennita' prevista dall'art. 37, comma 1, lettera d) del medesimo CCNL. L'eventuale differenza tra l'importo annuo della posizione stipendiale di inquadramento e il trattamento annuo in godimento al 31 dicembre 1999, come sopra indicato, e' corrisposta ad personam e considerata utile, previa temporizzazione, ai fini del conseguimento della successiva posizione stipendiale. Al personale destinatario del presente accordo e' corrisposta l'indennita' integrativa speciale nell'importo in godimento al 31 dicembre 1999, se piu' elevato di quella della corrispondente qualifica del comparto scuola. L'inquadramento definitivo, nei profili professionali della scuola, del personale di cui al presente accordo dovra' essere disposto tenendo conto della tabella A) di equiparazione allegata». Con riguardo all'Accordo del 20 luglio 2000 tra l'Aran e le organizzazioni sindacali, la menzionata agenzia - investita in precedenti giudizi della questione ai sensi dell'art. 64 del d.lgs. n. 165/2001 dal Tribunale di Milano Sezione lavoro (con ordinanza del 21 gennaio 2003:), ha chiarito che detto atto «trova fondamento non nella contrattazione collettiva prevista dal d.lgs. n. 29/1993 o dal successivo d.lgs. n. 165/2001, ma nell'art. 3 del decreto interministeriale n. 184 del 23 luglio 1999. L'Accordo in parola, pertanto, non e' atto di natura contrattuale ai sensi dei richiedenti decreti legislativi ma e' finalizzato esclusivamente a consentire un primo inquadramento di tale personale nel comparto Scuola. Cio' e' dimostrato dalla circostanza che per il suo recepimento si e' reso necessario un ulteriore decreto interministeriale in data 5 aprile 2001; 2) diversi e definitivi inquadramenti del personale stesso trovano dunque eventuali ragioni non in norme contrattuali, che infatti non esistono, ma nella legge n. 124/1999. Quest'ultima, per altro, non fa riferimento a fondi contrattuali per il proprio finanziamento, si che puo' escludersi un qualsiasi potere delle parti firrnatarie dell'accordo sia nell'utilizzazione di risorse finanziarie sia nell'interpretazione o nella mancata applicazione di norma che non hanno, appunto, natura e fondamento contrattuale» (cfr. doc. 9 ric. della causa RG 5889/2004). Da ultimo, rispetto a tale originario quadro normativo, e' intervenuto il comma 218 dell'articolo unico della legge n. 266/2005 che dispone che il comma 2 dell'art. 8 della legge n. 124/1999 «si interpreta nel senso che il personale degli enti locali trasferito nei ruoli del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA) statale e' inquadrato nelle qualifiche funzionali e nei profili professionali dei corrispondenti ruoli statali, sulla base del trattamento economico complessivo in godimento all'atto del trasferimento, con l'attribuzione della posizione stipendiale di importo pari o immediatamente inferiore al trattamento annuo in godimento al 31 dicembre 1999 costituito dallo stipendio, dalla retribuzione individuale di anzianita', nonche' da eventuali indennita', ove spettanti, previste dai contratti collettivi di lavoro del compado degli enti locali, vigenti alla data dell'inquadramento, L'eventuale differenza tra l'importo della posizione stipendiale di inquadramento e il trattamento annuo in godimento al 31 dicembre 1999, come sopra indicato, viene corrisposto «ad personam» e considerata utile, previa temporizzazione, ai fini del conseguimento della successiva posizione stipendiale. E' fatta salva l'esecuzione dei giudicati formatisi alla data di entrata in vigore della presente legge». Questione di costituzionalita' Nelle note autorizzate prodotte in giudizio i difensori delle parti ricorrenti hanno sollevato la questione della legittimita' costituzionale del menzionato comma 218 dell'articolo unico della legge n. 266/2005 con riferimento agli artt. 3, 24, 97, 101, 102, 103, 104, 108 e 113 della Costituzione. L'eccezione appare fondata. Rilevanza della questione La questione sottoposta appare rilevante ai fini della decisione delle cause riunite proponendosi il comma 218 cit. di offrire l'interpretazione autentica del comma 2 dell'art. 8 della legge n. 124/1999, ovvero della disposizione di legge che fonderebbe la pretesa dei ricorrenti. E', subito, da notare come il comma 218 cit. debba considerarsi applicabile ai giudizi di cui all'allegato A) alla presente ordinanza, gia' pendenti davanti al Tribunale di Milano al momento della sua entrata in vigore, avendo una portata evidentemente retroattiva (sia che alla stessa si riconosca una natura interpretativa sia che si opti per un significato innovativo delle sue previsioni) in virtu' della ultima parte della stessa che chiarisce che «e' fatta salva l'esecuzione dei giudicati formatisi alla data di entrata in vigore della presente legge», ponendo quale limite per la sua applicazione esclusivamente la formazione del giudicato. Appare utile, in particolare, poi, osservare come la nuova disposizione verrebbe ad essere determinante nei giudizi in corso per il fatto che chiarisce in via interpretativa il significato del comma 2 dell'art. 8 della legge n. 124/1999 in senso favorevole alla soluzione proposta dal Ministero convenuto ed in senso difforme rispetto alle scelte ermeneutiche adottate nelle numerose pronunce della Corte di cassazione intervenute nel 2005 sulla medesima materia (sempre favorevoli ai pubblici dipendenti ricorrenti). Non manifesta infondatezza I) La natura interpretativa. Appare da sottolineare come la questione sollevata non risulti manifestamente infondata. a) Per motivare, innanzitutto, occorre verificare come al comma 218 dell'articolo unico della legge n. 266/2005 non possa attribuirsi la natura interpretativa che la disposizione stessa pretende di avere. Giova, infatti, rammentare come sia stato chiarito dalla Corte costituzionale che si' deve riconoscere il «carattere interpretativo soltanto a una legge che, fermo il tenore testuale della norma interpretata, ne chiarisce il significato normativo ovvero privilegia una delle tante interpretazioni possibili» (cfr. Corte Cost. 4 aprile 1990, n. 155; cfr. anche Corte costituzionale 24 febbraio 1988, n. 233). Inoltre, e' stata reputata «di interpretazione autentica la disposizione che si saldi con quella da interpretare..., senza pero' intaccare o integrare il dato testuale ma solo chiarendone e esplicandone il contenuto ovvero escludendo o enucleando uno dei significati possibili» (cfr. Corte costituzionale 10 febbraio 1993, n. 39). Si deve, poi, evidenziare come, sul punto medesimo, la Corte di cassazione abbia specificato che la legge di interpretazione autentica «si caratterizza per la mancanza nel suo contenuto di una nuova disposizione», sicche' «una norma ha carattere interpretativo con conseguente efficacia retroattiva quando, pur rimanendo immutata la formulazione letterale della disposizione interpretata, se ne chiarisca e se ne precisi il significato», cosicche', per riconoscersi una siffatta natura interpretativa, e' necessario che «la scelta ermeneutica imposta dalla legge interpretativa rientri tra le varianti di senso compatibili con il tenore letterale del testo interpretato stabilendo un significato che ragionevolmente poteva essere ascritto alla legge anteriore» (cfr. Cass. 28 agosto 2002, n. 12605). Ora, tenuto conto di questi principi, pare possibile sottolineare come una semplice comparazione delle due disposizioni renda evidente come le parole di cui al co. 218 cit. non possano corrispondere a quelle contenute nell'art. 8 della legge 12 aprile 1999, ancorche' interpretate secondo la massima estensione possibile del loro significato (le due norme, d'altro canto, appaiono, ictu oculi, del tutto differenti e di diversa portata), cosicche' risulta impossibile definire la previsione inclusa nella legge n. 266/2005 come interpretativa dell'artr. 8, comma 20 cit. oppure, in altri termini, che la scelta ermeneutica imposta dalla legge n. 266/2005 rientri tra le varianti di senso compatibili con il tenore letterale del testo interpretato stabilendo un significato che ragionevolmente potesse essere ascritto alla legge anteriore. Solo per esemplificare, si noti come il complesso meccanismo previsto dalla norma interpretante per calcolare il trattamento economico spettante ai dipendenti ATA trasferiti non possa ritenersi in alcun modo ricompreso nella previsione del riconoscimento «ai fini giuridici ed economici» dell'anzianita' maturata presso l'ente locale di provenienza di cui all'art. 8 cit. Cio' e' tanto vero che, per introdurre il meccanismo di calcolo del trattamento economico oggi inserito nella disposizione di interpretazione autentica, e' stato necessario stipulare l'apposito Accordo del 20 luglio 2000 tra l'Aran e le organizzazioni sindacali. Ad ulteriore conferma, si puo' porre in luce che l'accordo e' stato considerato come modificativo del menzionato art. 8 dalla Corte di cassazione nelle sentenze con le quali ha deciso le controversie in esame affermando che «il senso fatto palese dal significato proprio delle parole, secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore (volonta' e coerenza dell'ordinamento, non intento degli autori) e' esattamente opposto: riconoscimento dell'anzianita' non solo ai fini giuridici ma anche economici» (Cass. 14 aprile 2005, n. 7747). Inoltre, come si e' evidenziato nelle premesse della presente ordinanza, il Ministero convenuto mai ha, nelle proprie difese anteriori alla novella di cui si tratta (cfr., ad es., le cause RG 8983/2005 e RG 1191/2005), affermato che l'Accordo del 20 luglio 2000 tra l'Aran e le organizzazioni sindacali avesse funzione interpretativa dell'art. 8 cit., sostenendo, al contrario, che il menzionato amI. 8 si configurerebbe come una disposizione contenente «un rinvio recettizio a prescrizioni deputate a precisare le puntuali modalita» del trasferimento del personale in questione, cosicche' le successive norme menzionate (il Decreto interministeriale n. 184 del 23 luglio 1999, l'Accordo del 20 luglio 2000 tra l'Aran e le organizzazioni sindacali, il d.m. del 5 aprile 2001) verrebbero a «costituire parte integrante del disposto dell'art. 8, comma 2 che preciserebbero e completerebbero, rendendolo di fatto attuabile». Occorre, pertanto, concludere che la disposizione introdotta dalla legge finanziaria non essendo neppure lontanamente compatibile con la norma che pretende di interpretare, non soddisfa i requisiti richiesti dalla Corte costituzionale e dalla Corte di cassazione per essere considerata una norma interpretativa, risultando, viceversa, innovare il contenuto della norma che pretende di interpretare. b) Quand'anche si reputasse che il comma 218 in parola abbia un carattere interpretativo, si debbono, comunque, sollevare molteplici dubbi di costituzionalita' collegati alla legittimita' della scelta del legislatore di emanare nel caso una norma di interpretazione autentica. E', infatti, da ricordare come la Corte costituzionale abbia chiarito nella sentenza n. 525 del 2000 che «il legislatore puo' adottare norme che precisino il significato di altre disposizioni legislative non solo quando sussista una situazione di incertezza nell'applicazione del diritto o vi siano contrasti giurisprudenziali, ma anche in presenza di un indirizzo omogeneo della Corte di cassazione, quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, con cio' vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore (v., tra le altre, le sentenze n. 311 del 1995 e n. 397 del 1994 e l'ordinanza n. 480 del 1992)». Evidenziati i presupposti per l'uso legittimo del potere di interpretazione autentica da parte del legislatore, con riferimento all'ultimo menzionato nella suddetta pronuncia della Corte costituzionale, si e' gia' osservato come il contenuto del comma 218 cit. non rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario dell'art. 8 della legge n. 24/1999, ma appare anche da evidenziare, nel solco ermeneutico tracciato dalla Corte costituzionale, come il significato letterale dell'art. 8, comma 2, della legge n. 124/1999 - che statuisce che al personale ATA trasferito «vengono riconosciuti ai fini giuridici ed economici l'anzianita' maturata presso l'ente locale di provenienza» - risulti chiarissimo e di immediata interpretazione fin da una prima lettura non essendo possibile attribuire alle parole altra interpretazione se non quella fatta propria dal significato delle stesse per cui al personale trasferito agli organici dello Stato e' mantenuta intatta l'anzianita' maturata presso l'ente locale, con effetti non solo giuridici, ma anche economici (cfr. anche Corte costituzionale n. 299/1999; Corte costituzionale n. 187/1981; Corte costituzionale n. 133/1997). Una volta osservato come difficilmente possano rinvenirsi molteplici varianti nell'individuazione del significato dell'art. 8 cit., e' possibile, peraltro, anche notare come sulla medesima norma sussista ormai un indirizzo ermeneutico univoco e costante della Corte di legittimita' (cfr. Cass. n. 3224, 3225 e 3356 del 25 gennaio 2005; n. 4722/2005; n. 7747/2005; 10576/2005; 18653/2005; n. 18829/2005 tutte allegate), cosicche' e' possibile affermare che, nella materia in questione, al momento dell'emanazione dell'articolo unico co. 218 della legge n. 266/2005, non sussistesse alcun contrasto interpretativo (di scarso rilievo, appaiono alcune limitate pronunce della giurisprudenza di merito di segno opposto, in confronto alla giurisprudenza univoca della Corte di cassazione che viene a mostrare un orientamento omogeneo), essendosi formato un «diritto vivente» (cfr. Corte costituzionale n. 299 del 1999). Appare, dunque, possibile porre in luce come, nel caso, al momento dell'emanazione del comma 218 cit., da una parte, non esistessero una situazione di incertezza nell'applicazione del diritto o contrasti giurisprudenziali (non ricorrono quei casi in cui la legge anteriore riveli gravi ed insuperabili anfibologie o abbia dato luogo a contrastanti applicazioni, specie in sede giurisprudenziale), ma un indirizzo omogeneo della Corte di cassazione e, dall'altra, come la scelta imposta dal comma 218 cit. non rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario dell'art. 8 della legge n. 124/1999, cosicche' paiono difettare i presupposti per il ricorso da parte del legislatore ad una norma interpretativa del medesimo art. 8. c) Inoltre, rammentandosi come il comma 218 (che si autoqualifica come norma «di interpretazione autentica») abbia portata retroattiva, giova evidenziare come il giudice delle leggi abbia specificato come la legge di interpretazione autentica sia soggetta, tra gli altri, al limite del rispetto del principio dell'affidamento dei consociati nella certezza dell'ordinamento giuridico, principio che trova applicazione anche in materia processuale e che, nel caso di specie, deve ritenersi violato in conseguenza della non prevedibilita' della soluzione interpretativa adottata dal legislatore, rispetto a quelle affermatesi nella prassi, oltre che in relazione ai principi generali di ragionevolezza e di uguaglianza (cfr. Corte costituzionale sentenze n. 0376 del 2004; n. 525 del 2000 e n. 26 del 2003). In conclusione, quindi, per la violazione dei suddetti principi nell'uso del potere legislativo, si deve evidenziare come il comma 218 cit. appaia porsi in conflitto con gli artt. 24, 101, 102, 104 e 113 della costituzione potendo proporsi, anche in caso di ritenuta natura interpretativa, le considerazioni che si andranno meglio ad esporre nel prossimo paragrafo relative alla violazione dei principi costituzionali di ragionevolezza, di tutela del legittimo affidamento e di certezza della situazioni giuridiche e risultando la medesima norma invasiva della sfera riservata al potere giudiziario (imponendo, con effetto retroattivo, una interpretazione diversa da quella consolidatasi in giurisprudenza). Con riguardo, poi, al contrasto con il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost., e' possibile, comunque, anticipare come, anche nel caso in cui si consideri il comma 218 cit. come effettivamente di carattere interpretativo, la norma preveda una disparita' di trattamento, creando tre categorie di dipendenti trattati differentemente pur a parita' di mansioni ed anzianita' (come meglio sara' esposto). II) La portata innovativa. Qualora, invece, secondo l'interpretazione proposta nella presente ordinanza, su valutasse il comma 218 in esame come una norma di carattere innovativo, si dovrebbe osservare come la disposizione, modificando le regole poste dalla legislazione antecedente, paia scontrarsi con diverse norme della Carta costituzionale. Si e' gia' anticipato come si debba attribuire al comma 218 cit. portata retroattiva (sia che alla stessa si riconosca una natura interpretativa sia che si opti per un significato innovativo delle sue previsioni) in virtu' della ultima parte della stessa che chiarisce che «e' fatta salva l'esecuzione dei giudicati formatisi alla data di entrata in vigore della presente legge», ponendo quale limite per la sua applicazione esclusivamente la formazione del giudicato. A tal riguardo, in primo luogo, si deve osservare come possa certamente il legislatore emanare, al di fuori della materia penale, norme legislative con efficacia retroattiva, come la stessa Corte costituzionale ha, piu' volte, specificato, con il limite, tuttavia, «della ragionevolezza e del non contrasto con altri valori e interessi costituzionalmente protetta» (cfr. Corte costituzionale sentenze n. 36 del 1985 e n. 123 del 1988), con la conseguenza che «non e' decisivo verificare se la norma censurata abbia carattere effettivamente interpretativo (e sia percio' retroattiva) ovvero sia innovativa con efficacia retroattiva. Infatti, il divieto di retroattivita' della legge - pur costituendo valore di civilta' giuridica e principio generale dell'ordinamento, cui il legislatore deve in linea di principio attenersi - non e' stato tuttavia elevato a dignita' costituzionale, salva per la materia penale la previsione dell'art. 25 Cost. Quindi il legislatore, nel rispetto di tale previsione, puo' emanare norme con efficacia retroattiva - interpretative o innovative che esse siano - purche' la retroattivita' trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non si ponga in contrasto con altri valori e interessi costituzionalmente protetti» (sentenza n. 374 del 2002; in senso conforme: sentenze n. 229 del 1999 e n. 419 del 2000; ordinanza n. 263 del 2002; Cfr., anche, Corte costituzionale sent. n. 0376 del 2004; n. 525 del 2000 e n. 26 del 2003). a) Il che porta a porre in luce come il comma 218 si ponga in insanabile conflitto, innanzitutto, con l'art. 3 della Costituzione. Non puo' non sottolinearsi, infatti, come la legge n. 124/1998, come interpretata nelle pronunce menzionate della Corte di cassazione, operando il trasferimento coattivo dei dipendenti ATA degli enti locali all'amministrazione dello Stato, avesse stabilito il principio per cui essi avrebbero dovuto essere considerati esattamente uguali ai corrispondenti dipendenti ATA statali (tenuto anche conto dell'identita' delle mansioni svolte nei vari profili) grazie al riconoscimento agli stessi ai fini giuridici ed economici dell'anzianita' maturata presso l'ente locale di provenienza. In virtu' della legge interpretante, che gode di efficacia retroattiva, viceversa, si configurano tre categorie di dipendenti a parita' di mansioni e di anzianita': la prima categoria e' rappresentata dal personale ATA che e' sempre stato dipendente dello Stato; la seconda categoria e' rappresentata dal personale ATA - transitato in virtu' della citata norma dagli enti locali allo Stato - che si vede riconosciuta ai fini giuridici ed economici l'anzianita' maturata presso l'ente locale di appartenenza in seguito alle sentenze passate in giudicato; la terza categoria e' rappresentata dal personale ATA - transitato in virtu' della citata norma dagli enti locali allo Stato - che non si vede riconosciuta ai fini giuridici ed economici l'anzianita' maturata presso l'ente locale di appartenenza, restando assoggettato alla meno favorevole disciplina sopravvenuta. Appare, allora, possibile considerare come la norma «interpretante» introduca una evidente e irragionevole disparita' di trattamento giuridico-economico tra dipendenti appartenenti al medesimo profilo professionale, svolgenti le medesime mansioni e forniti della medesima anzianita'. Occorre, a tal punto, anche confermare come tale contrasto con il principio di uguaglianza sia, come anticipato, rinvenibile anche nel caso in cui si consideri il comma 218 cit. come effettivamente di carattere interpretativo, considerato che la norma prevede una disparita' di trattamento, creando le tre categorie di dipendenti sopra menzionate tramite la distinzione, derivante dalla stessa disposizione, tra il personale da sempre appartenuto allo Stato e quello trasferito dagli enti locali e, all'interno di quest'ultimo gruppo, tramite la previsione per cui «e' fatta salva l'esecuzione dei giudicati formatisi alla data di entrata in vigore della presente legge». b) Sotto un altro profilo, deve, inoltre, tenersi conto come la disposizione interpretata avesse completamente esaurito i propri effetti, avendo disciplinato le modalita' di inquadramento del personale ATA degli enti locali ormai trasferito alle dipendenze dello Stato (tutte le parti ricorrenti hanno tenuto a chiarire come il nuovo inquadramento ed il trasferimento fosse gia' avvenuto alla data d'avvento della novella legislativa ne' tale assunto e' stato contestato negli scritti o nella discussione orale dal Ministero convenuto che si e' riferito al personale «trasferito» senza operare distinzioni). Si deve, allora, porre in rilievo come il carattere esclusivamente retroattivo della norma in esame (che non ha possibilita' di attuazione se non relativamente a situazioni gia' esauritesi), unitamente alla sua natura non interpretativa ma innovativa, evidenzi la sua funzionalita' ad incidere sui giudizi in corso, superando l'elaborazione giurisprudenziale formatasi negli anni e l'orientamento ormai, in materia, consolidato della Corte di cassazione. Come si e' rilevato, del resto, il comma 218 cit. non ha inteso evitare incertezze interpretative o giurisprudenziali, ormai non piu' esistenti, ne' ha raccolto inesistenti divergenti opinioni nella dottrina, ne' ha privilegiato una interpretazione tra quelle astrattamente possibili, introducendo, al contrario, un'interpretazione pacificamente incompatibile con il testo della norma interpretata. Il che porta ad osservare come il dato testuale della disposizione in analisi abbia l'esclusiva funzione di contrapporsi all'interpretazione ormai consolidata della norma offerta dalla giurisprudenza nell'esercizio di poteri costituzionalmente riservati al potere giudiziario (cfr. Corte costituzionale 12 luglio 1995, n. 311 e 23 novembre 1994, n. 397), potendo rivelare l'intento esclusivo di incidere sui giudizi in corso, ponendosi, cosi', in violazione dei principi costituzionali di ragionevolezza, di tutela del legittimo affidamento e di certezza della situazioni giuridiche e (imponendo, con effetto retroattivo, una interpretazione diversa da quella consolidatasi in giurisprudenza) risultando invasiva della sfera riservata al potere giudiziario, con violazione dei principi costituzionali di cui agli artt. 24, 101,102, 104 e 113 della Costituzione. In proposito, la Corte costituzionale ha, del resto, osservato che deve essere rigorosamente protetta la «sicurezza giuridica, principio che, quale elemento essenziale dello stato di diritto, non puo' essere leso da norme con effetti retroattivi che incidano irragionevolmente su situazioni regolate da leggi precedenti» e che tale regola comporta «la tutela dell'affidamento legittimamente posto sulla certezza dell'ordinamento giuridico, e quello delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario, cio' che vieta di intervenire per annullare gli effetti del giudicato o di incidere intenzionalmente su concrete fattispecie sub iudice» (Cfr. Corte costituzionale n. 525/2000). c) Si aggiunga, inoltre, come il comma 218 cit. appaia violare l'art. 42 della Carta costituzionale. Non si puo', del resto, non rilevare come i diritti di carattere economico derivanti dall'applicazione dell'art. 8 della legge n. 124/1999 secondo il costante orientamento della Corte di cassazione sopra menzionato (per cui al personale trasferito «vengono riconosciuti ai fini giuridici ed economici l'anzianita' maturata presso l'ente locale di provenienza») ormai risultassero, al momento dell'entrata in vigore della norma interpretante, far parte del patrimonio dei dipendenti gia' inquadrati in virtu' del trasferimento avvenuto negli organici dello Stato, apparendo cosi' espropriati in ragione della novella di cui alla legge n. 266/2005. Giova, allora, porre in rilevo, come, secondo la giurisprudenza costituzionale, «il sacrificio degli interessi dei privati proprietari non e' irragionevole tutte le volte che i motivi di interesse generale, che legittimano l'espropriazione della proprieta' privata, siano tali non solo da escludere che il provvedimento ablatorio possa perseguire un interesse meramente privato, ma da postulare anche che esso miri alla soddisfazione di effettive e specifiche esigenze rilevanti per la comunita» (cfr. Corte costituzionale n. 135 del 1998) e come, nella fattispecie, non siano rinvenibili giustificazioni di interesse generale che legittimino l'espropriazione della proprieta' privata, essendovi, dunque, fondati motivi per reputare la norma illegittima per contrasto con l'art. 42 Cost. Impossibilita' di interpretazioni costituzionalmente orientate del comma 218 cit. In seguito alle suddette premesse appare doverosa la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, dovendosi solo, da ultimo, precisare come, attesa la perentorieta' delle parole utilizzate dal legislatore nel dettare il comma 218 cit. e la chiara ed univoca volonta', che traspare dalla norma, di voler riproporre il contenuto dell'art. 3 del menzionato accordo del 20 luglio 2000 tra l'Aran e le organizzazioni sindacali, non pare possibile alcuna soluzione interpretativa costituzionalmente orientata che, nel presente giudizio, consenta di pervenire ad una decisione che prescinda dall'eccezione di costituzionalita' che occorre dunque, sollevare.
P. Q. M. Sciogliendo la riserva: Visti gli artt. 3, 24, 101, 102, 104, 113 e 42 della Costituzione e l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza; Solleva la questione di legittimita' costituzionale del comma 218 dell'articolo unico della legge n. 266/2005 per contrasto con gli artt. 3, 24, 101, 102, 104, 113 e 42 della Costituzione; Sospende il presente giudizio; Ordina alla cancelleria di provvedere alla immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina, altresi', alla cancelleria di notificare la presente ordinanza alle parti; Ordina, infine, alla cancelleria di comunicare la presente ordinanza ai Presidenti delle due Camere del Parlamento nonche' al Presidente del Consiglio dei inistri. Milano, addi' 2 maggio 2006 Il giudice: Di Leo 06C0962