N. 371 SENTENZA 6 - 14 novembre 2006

Giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.

Parlamento - Immunita' parlamentari - Procedimento civile a carico di
  un  senatore  per il risarcimento del danno asseritamente derivante
  da  dichiarazioni rese nel corso di una intervista pubblicata da un
  quotidiano  -  Deliberazione  di  insindacabilita'  delle  opinioni
  adottata  dalla  Camera  di appartenenza - Ricorso per conflitto di
  attribuzione  del  Tribunale  di Milano - Eccepita inammissibilita'
  per  intervenuta  pronuncia  di non doversi procedere nei confronti
  del  parlamentare  adottata in sede penale a seguito della medesima
  deliberazione di insindacabilita' - Reiezione.
- Deliberazione del Senato della Repubblica del 31 gennaio 2001 (doc.
  IV-quater, n. 58).
- Costituzione, art. 68, primo comma.
Parlamento - Immunita' parlamentari - Procedimento civile a carico di
  un  senatore  per il risarcimento del danno asseritamente derivante
  da  dichiarazioni rese nel corso di una intervista pubblicata da un
  quotidiano  -  Deliberazione  di  insindacabilita'  delle  opinioni
  adottata  dalla  Camera  di appartenenza - Ricorso per conflitto di
  attribuzione del Tribunale di Milano - Intervenuta pronuncia di non
  doversi  procedere  nei confronti del parlamentare adottata in sede
  penale a seguito della medesima deliberazione di insindacabilita' -
  Eccezione  di  inammissibilita'  per  le  possibili conseguenze sul
  rapporto  tra  l'azione  civile  esercitata in sede penale e quella
  esercitata in sede propria - Reiezione.
- Deliberazione del Senato della Repubblica del 31 gennaio 2001 (doc.
  IV-quater, n. 58).
- Costituzione, art. 68, primo comma.
Parlamento - Immunita' parlamentari - Procedimento civile a carico di
  un  senatore  per il risarcimento del danno asseritamente derivante
  da  dichiarazioni rese nel corso di una intervista pubblicata da un
  quotidiano  -  Deliberazione  di  insindacabilita'  delle  opinioni
  adottata  dalla  Camera  di appartenenza - Ricorso per conflitto di
  attribuzione del Tribunale di Milano - Intervenuta pronuncia di non
  doversi  procedere  nei confronti del parlamentare adottata in sede
  penale a seguito della medesima deliberazione di insindacabilita' -
  Eccepita   inammissibilita'   per  l'effetto  preclusivo  di  detta
  pronuncia   sul   giudizio  civile  di  risarcimento  danni  e  per
  insufficiente motivazione sul punto - Reiezione.
- Deliberazione del Senato della Repubblica del 31 gennaio 2001 (doc.
  IV-quater, n. 58).
- Costituzione, art. 68, primo comma.
Parlamento - Immunita' parlamentari - Procedimento civile a carico di
  un  senatore  per il risarcimento del danno asseritamente derivante
  da  dichiarazioni rese nel corso di una intervista pubblicata da un
  quotidiano  -  Deliberazione  di  insindacabilita'  delle  opinioni
  adottata  dalla  Camera  di appartenenza - Ricorso per conflitto di
  attribuzione  del  Tribunale  di  Milano  - Lamentata lesione della
  sfera  delle  proprie  attribuzioni, costituzionalmente garantita -
  Insussistenza  del  nesso  funzionale  tra dichiarazioni rese extra
  moenia  e  atti  parlamentari tipici - Rilevanza della comunanza di
  argomenti  e  contesto  politico  - Esclusione - Riferimento, nella
  dichiarazione,  all'istituzione  di  una  Commissione  comunale  di
  inchiesta  -  Possibilita'  di  verificare la sussistenza del nesso
  funzionale  con riferimento a tutta l'attivita' della Commissione -
  Esclusione - Rilevanza del riferimento ai lavori di una Commissione
  bicamerale  d'inchiesta  sul  ciclo  dei  rifiuti e sulle attivita'
  illecite  connesse  -  Esclusione  -  Non spettanza al Senato della
  Repubblica  di  adottare  la  deliberazione impugnata e conseguente
  annullamento della stessa.
- Deliberazione del Senato della Repubblica del 31 gennaio 2001 (doc.
  IV-quater, n. 58).
- Costituzione, art. 68, primo comma.
(GU n.46 del 22-11-2006 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Franco BILE;
  Giudici:  Giovanni  Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,
Romano   VACCARELLA,  Paolo  MADDALENA,  Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso
QUARANTA,  Franco  GALLO,  Luigi  MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino
CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  per  conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto  a  seguito della deliberazione del Senato della Repubblica del
31 gennaio    2001   relativa   alla   insindacabilita',   ai   sensi
dell'art. 68,   primo   comma,  della  Costituzione,  delle  opinioni
espresse  dal  senatore  Riccardo  De  Corato nei confronti di Walter
Ganapini, promosso con ricorso del Tribunale di Milano, prima sezione
civile,  notificato il 25 novembre 2004, depositato in cancelleria il
14 dicembre 2004 ed iscritto al n. 31 del registro conflitti 2004;
    Visto l'atto di costituzione del Senato della Repubblica;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  10 ottobre  2006  il  giudice
relatore Giovanni Maria Flick;
    Udito l'avvocato Nicolo' Zanon per il Senato della Repubblica.

                          Ritenuto in fatto

    1.  - Con ordinanza depositata il 6 ottobre 2003, il Tribunale di
Milano,  I sezione civile - nel corso del giudizio civile promosso da
Walter   Ganapini   per  il  risarcimento  dei  danni  conseguenti  a
dichiarazioni   del  senatore  Riccardo  De  Corato  -  ha  sollevato
conflitto  di attribuzione nei confronti del Senato della Repubblica,
in   relazione   alla   deliberazione,   adottata  dall'Assemblea  il
31 gennaio  2001  (documento  IV-quater,  n. 58),  con  la  quale, in
conformita' alla proposta formulata dalla Giunta per le elezioni e le
immunita' parlamentari, si era ritenuto che i fatti per i quali e' in
corso  tale  giudizio  -  gia'  oggetto  di  procedimento  penale per
diffamazione  a  mezzo  stampa  nei confronti del senatore De Corato,
definito  con  sentenza  di  non doversi procedere del giudice per le
indagini  preliminari del Tribunale di Monza in data 21 febbraio 2001
-   concernono   opinioni   espresse  da  un  membro  del  Parlamento
nell'esercizio  delle  sue funzioni: con conseguente insindacabilita'
ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione.
    Il  ricorrente  espone che la pretesa risarcitoria si fonda sulle
dichiarazioni  del senatore, contenute in un'intervista al quotidiano
«La  Repubblica»,  pubblicata  il  22 dicembre  1997. Il parlamentare
avrebbe  dichiarato  -  avuto  riguardo  ai rifiuti umidi provenienti
dalla   citta'  di  Milano  -  che  «il  conferimento  dell'umido  in
discariche  di  mezza  Italia  e'  stata una prerogativa della giunta
Formentini-Ganapini»,  come  risulta  dagli  «atti  della Commissione
d'inchiesta   del  comune»;  aggiungendo  che  «l'attuale  management
dell'AMSA»  (Azienda municipalizzata per i servizi ambientali) «e' lo
stesso voluto dall'allora assessore all'ambiente Ganapini nel 1995» e
che  «a  conferma  di  tutto  cio', vi e' l'avviso di garanzia che la
procura  di  Lanciano,  in  provincia  di  Chieti,  aveva  emesso nei
confronti  di Ganapini, che, violando le leggi della Regione Abruzzo,
aveva conferito nelle discariche di quel comune tonnellate di rifiuti
di Milano».
    Il  Tribunale  riferisce,  altresi',  che  in  relazione  a  tali
dichiarazioni  era stato in precedenza promosso, a seguito di querela
del  Ganapini,  un  procedimento penale nei confronti del senatore De
Corato  per  diffamazione  a mezzo stampa (art. 595, terzo comma, del
codice  penale):  procedimento  a  fronte  del  quale il Senato aveva
adottato  la  delibera  di  insindacabilita'  dianzi indicata, cui il
giudice  per  le  indagini  preliminari  del Tribunale di Monza aveva
aderito,  pronunciando  sentenza  di  non  doversi  procedere per non
essere l'imputato punibile ai sensi dell'art. 68 Cost.
    Rilevato   che  l'effetto  impeditivo  della  prosecuzione  delle
attivita' processuali, conseguente alla delibera di insindacabilita',
si  estende  anche  al giudizio civile, il giudice ricorrente solleva
conflitto  di  attribuzione  giacche',  a  suo  avviso, il Senato non
avrebbe   correttamente  esercitato  il  proprio  potere  valutativo,
interferendo  cosi'  illegittimamente nelle attribuzioni degli organi
giurisdizionali.
    Alla  luce  della  giurisprudenza  di  questa  Corte, difatti, il
«nesso  funzionale» - presupposto dall'art. 68, primo comma, Cost. ai
fini   dell'operativita'   della  garanzia  dell'insindacabilita'  in
rapporto  alle  dichiarazioni  rese  dal  parlamentare extra moenia -
andrebbe  inteso  non  come  semplice  collegamento  di  argomento  o
contesto,  ma come identificabilita' della dichiarazione stessa quale
espressione  di  attivita'  parlamentare:  pertanto  occorrerebbe «la
identita'  sostanziale  di  contenuto fra l'opinione espressa in sede
parlamentare   e   quella   manifestata  nella  sede  esterna».  Tale
condizione   non   ricorrerebbe  nel  caso  di  specie,  non  essendo
ravvisabile   alcuna   sostanziale  identita'  di  contenuto  tra  le
dichiarazioni  oggetto  di  giudizio  e l'interrogazione parlamentare
presentata  dal  senatore  De  Corato  al  Ministro  dell'ambiente il
2 ottobre 1996, su cui si era essenzialmente basata la valutazione di
insindacabilita' del Senato.
    L'interrogazione  -  ponendo  l'accento sull'asserita incapacita'
del  sindaco  Formentini  e  dell'assessore  all'ambiente  Ganapini a
gestire  l'emergenza rifiuti verificatasi nella citta' di Milano - si
era  limitata a chiedere al Ministro competente se fosse a conoscenza
del  fatto  che  il  consiglio  comunale aveva aperto un'inchiesta su
detta  gestione,  con la nomina di apposita commissione, i cui atti e
la  cui  relazione  finale  erano  stati trasmessi alla Procura della
Repubblica  di Milano e alla Procura regionale della Corte dei conti.
L'intervista  giornalistica, invece, conteneva dichiarazioni di altro
tenore,  prive  di  corrispondenza  con l'atto tipico, in particolare
quanto  all'avviso  di  garanzia  che  la Procura della Repubblica di
Lanciano   avrebbe   emesso   nei  confronti  del  Ganapini,  per  il
conferimento  nelle discariche di quel comune di ingenti quantitativi
di  rifiuti  provenienti  da  Milano,  in  violazione della normativa
regionale.
    Alla  proposizione  del  conflitto  non  sarebbe d'altra parte di
ostacolo  la  circostanza  che il giudice per le indagini preliminari
del  Tribunale  di  Monza,  allineandosi alle conclusioni del Senato,
abbia  dichiarato  di  non  doversi  procedere,  in  sede penale, nei
confronti  del  parlamentare  per  i medesimi fatti per i quali e' in
corso  il giudizio civile: giacche', a mente dell'art. 652 del codice
di  procedura  penale,  nel  giudizio civile di danno ha efficacia di
giudicato solo la sentenza irrevocabile di assoluzione pronunciata in
seguito  a  dibattimento,  e  non  anche  la  sentenza di non doversi
procedere  ex  art. 425  cod.  proc.  pen., resa in esito all'udienza
preliminare.
    Il  Tribunale  ricorrente chiede, pertanto, che la Corte dichiari
la   non   spettanza   al  Senato  del  potere  di  qualificare  come
insindacabili  le  dichiarazioni  rese  dal  sen. Riccardo De Corato,
oggetto  del  giudizio  civile  in  questione,  trattandosi di potere
esercitato  al  di  fuori  delle ipotesi previste dall'art. 68, primo
comma,   Cost.   con  conseguente  annullamento  della  deliberazione
adottata dal Senato in data 31 gennaio 2001.
    2.  -  Con  ordinanza  n. 338 del 2004, depositata il 10 novembre
2004, la Corte ha dichiarato ammissibile il conflitto.
    L'ordinanza  di  ammissibilita', unitamente all'atto introduttivo
del  giudizio,  e'  stata  notificata  in  data  25 novembre 2004. Il
conseguente deposito e' stato effettuato il 14 dicembre 2004.
    3.  -  Nel  giudizio si e' costituito il Senato della Repubblica,
depositando  documenti  e  svolgendo  deduzioni,  a conclusione delle
quali  ha  chiesto che la Corte dichiari inammissibile e in subordine
rigetti  il  ricorso,  dichiarando  che  spettava al Senato affermare
l'insindacabilita',  ai sensi dell'art. 68, primo comma, Cost., delle
opinioni  espresse dal senatore De Corato nei confronti del Ganapini,
oggetto del giudizio civile pendente davanti al ricorrente.
    La difesa del Senato eccepisce preliminarmente l'inammissibilita'
del  ricorso,  rilevando come tale giudizio derivi da fatto materiale
che   aveva   gia'   formato   oggetto  di  procedimento  penale  per
diffamazione  a mezzo stampa, conclusosi con sentenza del giudice per
le  indagini  preliminari  del  Tribunale  di  Monza  di  non luogo a
procedere  per  l'insindacabilita'  delle  dichiarazioni  in  assunto
diffamatorie: procedimento nel quale l'attore si era costituito parte
civile.
    Ove  la  delibera  di  insindacabilita' fosse annullata, verrebbe
meno  la  causa  di  improcedibilita'  e, ai sensi dell'art. 345 cod.
proc.  pen., l'anzidetta sentenza di non luogo a procedere, ancorche'
non  piu'  soggetta  ad  impugnazione,  non  impedirebbe  l'esercizio
dell'azione  penale per il medesimo fatto e contro la stessa persona.
Cio'   comporterebbe,  tuttavia,  la  «reviviscenza»  della  facultas
eligendi   dell'attore  fra  una  nuova  costituzione  nell'iniziando
processo  penale, con trasferimento in quella sede dell'azione civile
risarcitoria,  e  la  coltivazione  di  quest'ultima  nella  sede sua
propria:   esito,   questo,   di  dubbia  ragionevolezza,  posto  che
l'anzidetta  facultas  eligendi  dovrebbe  ritenersi  definitivamente
«consumata»   con   la   precedente   opzione  del  Ganapini  per  la
costituzione  di  parte  civile  nel  processo  penale. Ove invece si
ritenesse  operante  il  principio di immanenza della costituzione di
parte  civile  (art. 76 cod. proc. pen.), la rimozione della causa di
improcedibilita'   determinerebbe   l'automatica   riacquisizione  in
capo all'attore  dell'anzidetta veste processuale; con la conseguenza
che   il  giudizio  civile,  da  cui  il  ricorso  per  conflitto  di
attribuzione  promana,  rimarrebbe  sospeso,  tornando  ad  essere il
giudice  penale l'organo competente a pronunciarsi (art. 75, comma 3,
cod. proc. pen.).
    In  sostanza,  dunque, l'accoglimento del ricorso determinerebbe,
in  alternativa,  o  una violazione del principio di inammissibilita'
del  contemporaneo  esercizio  dell'azione  civile  in  sede penale e
civile;  oppure  una  situazione  per  cui il ricorrente non potrebbe
giovarsi  della  decisione  favorevole  del conflitto, dovendo il suo
processo  rimanere  sospeso  in  attesa della decisione di un giudice
penale,  che,  peraltro,  aveva gia' ritenuto di non promuovere alcun
conflitto di attribuzione.
    In  aggiunta  a  cio',  il  ricorso  implicherebbe  una  sorta di
«giudizio  di  secondo  grado»  sulla fondatezza delle argomentazioni
poste a base della delibera di insindacabilita', nel quale, peraltro,
la  relativa  valutazione  verrebbe  irragionevolmente effettuata non
gia' dal competente giudice penale d'appello, in sede di impugnazione
della  sentenza  di  non  luogo a procedere, ma da un giudice diverso
(quello civile).
    Un  ulteriore  motivo  di  inammissibilita' sarebbe rappresentato
dalla  insufficiente  indicazione,  ad  opera  del  ricorrente, delle
ragioni  per le quali la pronuncia del giudice penale non impedirebbe
di  adottare  una  soluzione  opposta in sede civile; con conseguente
mancato assolvimento dell'onere di «preciso riferimento agli elementi
indispensabili  per  l'identificazione  delle ragioni del conflitto»,
piu' volte affermato da questa Corte.
    Nel merito, la difesa del Senato osserva che il 2 ottobre 1996 il
senatore De Corato aveva presentato un'interrogazione parlamentare al
Ministro  dell'ambiente  (interrogazione  n. 4-02108)  concernente la
grave  emergenza  rifiuti  verificatasi  nel  Comune di Milano, nella
quale  si  ricordava come il presidente della Commissione d'inchiesta
attivata  dal  comune  avesse  inviato  copia della propria relazione
conclusiva  sia  alla  Procura  della  Repubblica  di Milano che alla
Procura  regionale  della  Corte  dei  conti: con cio' implicitamente
manifestando  la  convinzione  che  i  comportamenti  di  alcuni  dei
soggetti  interessati  dall'inchiesta  potessero  assumere  rilevanza
penale. L'interrogazione rimarcava, altresi', come in detta relazione
-  approvata  da  tutti  i  componenti della Commissione, con la sola
eccezione   del  rappresentante  della  Lega  Nord  -  fossero  state
evidenziate   in   modo   inequivoco  irregolarita'  ed  inefficienze
addebitabili  tanto  al  sindaco  pro  tempore quanto al Ganapini, il
quale,  in  una  prima  fase,  aveva  contemporaneamente ricoperto la
carica  di  assessore  comunale  e  di  presidente dell'AMSA (Azienda
municipalizzata per i servizi ambientali). L'atto parlamentare tipico
si  concludeva, quindi, con la richiesta di sapere se i predetti dati
fossero  noti  al  Ministro  dell'ambiente  e  per  quale  ragione, a
dispetto  di  essi, il Governo avesse ritenuto di rinnovare la nomina
del  sindaco  di  Milano  a commissario straordinario per l'emergenza
rifiuti.
    L'emergenza   rifiuti  nella  citta'  di  Milano  sarebbe  stata,
peraltro, solo uno degli aspetti dei quali i parlamentari interessati
alle  vicende  ambientali avevano consapevolezza in quel periodo. Nel
corso  della  XIII  legislatura  era  stata infatti creata, con legge
10 aprile   1997,  n. 97,  una  Commissione  parlamentare  bicamerale
d'inchiesta «sul ciclo dei rifiuti e sulle attivita' illecite ad esso
connesse»,  la  quale  aveva dedicato una particolare attenzione alla
situazione  della  Regione Abruzzo. Al riguardo, la difesa del Senato
fa  specifico  riferimento: al resoconto dell'audizione del sostituto
procuratore della Repubblica presso la Pretura di Pescara, effettuata
il 18 novembre 1997, che dava notizia dell'esistenza di una inchiesta
denominata  «Gambero»,  da  cui  sarebbe  emerso  un «patto di azione
contra  legem  fra alcune imprese di smaltimento e un certo numero di
imprenditori  delle  Regioni  centrali e settentrionali produttori di
rifiuti»; al resoconto del 19 febbraio 1998, da cui risultava che una
delegazione della Commissione si sarebbe successivamente recata nelle
province  di  Teramo,  Pescara e Chieti per effettuare sopralluoghi e
svolgere   audizioni;   a   quello   del  27 gennaio  1999,  relativo
all'audizione  del  sostituto  procuratore  della Repubblica di Vasto
(Chieti); alla relazione finale della Commissione, la quale - nel dar
conto  della notevole quantita' di rifiuti pericolosi che risultavano
essere  stati  sversati in Abruzzo - ipotizzava un inquietante legame
tra i rifiuti solidi urbani prodotti a Milano e le discariche abusive
abruzzesi, essendo emerso che l'Azienda municipalizzata del capoluogo
lombardo  non  inviava  direttamente i rifiuti nella predetta regione
(stante  il divieto posto da una legge regionale), ma erano piuttosto
«le  societa'  aggiudicatarie  di  appalti  per  la separazione delle
diverse  frazioni  di  rifiuto»  a spedirle ivi «per le operazioni di
trattamento  e  cernita»:  con  la  particolarita', tuttavia, che una
volta  entrato  «nel  presunto  stabilimento, il materiale acquistava
"cittadinanza" abruzzese e, di conseguenza, per circa il 90 per cento
veniva smaltito come rifiuto in quel sito».
    A fronte di cio', le dichiarazioni rilasciate il 22 dicembre 1997
dal  parlamentare  al  quotidiano «La Repubblica» rappresenterebbero,
dunque, un classico caso di divulgazione alla stampa del contenuto di
atti    parlamentari    tipici:    atti   costituiti   non   soltanto
dall'interrogazione  presentata  il  2 ottobre  1996  sulla specifica
questione del trattamento dei rifiuti prodotti nella citta' di Milano
(oltre  che  da  quelle,  sul  medesimo tema, presentate dallo stesso
senatore  il  6,  11  e  18 maggio  2000,  cui  era riferimento nella
proposta della Giunta delle elezioni e delle immunita' parlamentari),
ma  anche  dalle acquisizioni risultanti, gia' nel novembre 1997, dai
lavori della Commissione parlamentare d'inchiesta.
    La  tesi del Tribunale ricorrente - il quale, nel riconoscere che
la delibera di insindacabilita' adottata in relazione al procedimento
penale  esplicava  i  suoi  effetti  anche  in sede civile (e cio' in
conformita'  all'avviso espresso nella seduta del 27 marzo 2002 dalla
Giunta  delle  elezioni  e  delle  immunita'  parlamentari, che aveva
percio' escluso la necessita' di rinnovarla), si era pero' discostato
dalla   pronuncia   del   giudice   penale,   sull'assunto   che  tra
l'interrogazione  parlamentare  e  la  dichiarazione  pubblicata  non
sarebbe  riscontrabile  una  «sostanziale identita' di contenuto», ma
una   mera   «comunanza   di   argomento»   -   non  sarebbe  infatti
condivisibile.  In  entrambi  i  casi,  si tratterebbe della medesima
vicenda  (la gestione dell'emergenza rifiuti nella citta' di Milano),
del  comportamento tenuto dal medesimo soggetto (il Ganapini) e delle
responsabilita'  anche  penali  in  cui  quest'ultimo potrebbe essere
incorso a seguito di inchieste della magistratura.
    Ne'  varrebbe addurre, in contrario, che nella dichiarazione resa
alla  stampa  si  evidenziano  particolari  di  cui non vi e' traccia
nell'interrogazione   -   quale,  in  specie,  l'avviso  di  garanzia
proveniente dalla Procura di Lanciano - trattandosi di meri «elementi
di  contorno»  rispetto  al  contenuto  principale  rinvenibile anche
nell'atto  tipico, che rispecchiano eventi apparentemente accaduti in
un  momento successivo all'interrogazione. Diversamente opinando, del
resto,  si  perverrebbe  al  paradosso che il parlamentare - il quale
intenda divulgare extra moenia le preoccupazioni gia' espresse in una
interrogazione   circa   la   correttezza  del  comportamento  di  un
determinato   soggetto   -  si  troverebbe  costretto  a  tacere  gli
accadimenti  temporalmente  successivi  che  vadano  a  rafforzare le
preoccupazioni  stesse:  il  che  equivarrebbe  a  sostenere  che  la
divulgazione   dell'atto   parlamentare  tipico  puo'  avvenire  solo
attraverso   la  diffusione  dei  resoconti  stenografici  ufficiali,
negando,  con  cio',  che  l'attivita'  dei membri delle Camere possa
proiettarsi  al di fuori delle aule parlamentari nell'interesse della
libera dialettica politica.
    Ma  anche  nell'ipotesi in cui una simile ricostruzione non fosse
accolta,   risulterebbe   comunque   risolutiva,   nel   senso  della
insindacabilita'  della dichiarazione in questione, la considerazione
che  il  riferimento  di essa all'inchiesta abruzzese rappresenta una
divulgazione  delle risultanze ufficiali degli atti della Commissione
parlamentare  d'inchiesta  sul  ciclo  dei  rifiuti e sulle attivita'
illecite ad esso connesse: atti dai quali sarebbe emersa - per quanto
dianzi   indicato   -  l'esistenza  di  indagini  della  magistratura
abruzzese relative ad illeciti commessi nell'attivita' di smaltimento
dei  rifiuti  provenienti anche da Milano, che e' plausibile avessero
interessato  anche  il  Ganapini  per  le funzioni svolte nel periodo
interessato.
    Tale  fattispecie  non  potrebbe  essere confusa con quella degli
atti  tipici  compiuti  sul medesimo tema da parlamentari diversi dal
dichiarante, con la connessa questione della possibilita' o meno, per
quest'ultimo,  di giovarsi di tali atti ai fini dell'insindacabilita'
delle proprie dichiarazioni extra moenia. Le risultanze degli atti di
commissioni  parlamentari  d'inchiesta  non  costituirebbero  infatti
«opinioni»   espresse  da  altri  parlamentari,  ma  dati  e  notizie
appartenenti alla conoscenza diffusa di tutti i membri del Parlamento
e   della   stessa  pubblica  opinione:  onde  la  loro  divulgazione
all'esterno    risulterebbe   coperta   non   solo   dalla   garanzia
dell'insindacabilita',  di  cui  all'art. 68,  comma primo, Cost., ma
anche  dal  principio  di  pubblicita' degli atti parlamentari, sulla
base  dell'art. 64  Cost.  e  - ove ritenuti ancora in vigore - degli
artt. 30 e 31 del regio editto sulla stampa 26 marzo 1848, n. 695.
    4.   -  Nell'imminenza  dell'udienza  pubblica  il  Senato  della
Repubblica  ha  depositato  memoria,  insistendo  affinche'  la Corte
dichiari inammissibile o, in via subordinata, rigetti il ricorso.
    La  difesa del Senato rimarca come, nella verifica dell'esistenza
del  nesso  funzionale,  occorra  tener  conto anche degli atti della
Commissione   di   inchiesta   istituita  dal  Comune  di  Milano  il
19 febbraio   1996,   esplicitamente  richiamati  nell'interrogazione
parlamentare,  i  quali  dovrebbero essere pertanto considerati parte
integrante  dell'interrogazione  stessa: atti che - al pari di quelli
della  Commissione  parlamentare  -  avevano peraltro avuto ampia eco
nella pubblica opinione.
    La  Commissione  d'inchiesta era stata in effetti costituita allo
scopo  di  verificare  la  realizzazione  del  piano  predisposto dal
Ganapini  - all'epoca assessore all'ambiente e presidente-commissario
dell'A.M.S.A.  -  al  fine  di  fronteggiare  lo  stato  di emergenza
determinatosi nel capoluogo lombardo nello smaltimento dei rifiuti e,
in  particolare,  «gli  aspetti  dei  rapporti commerciali instaurati
dall'A.M.S.A.  nei  confronti  delle societa' a cui e' stato affidato
l'incarico  del ritiro, smaltimento e trattamento» dei rifiuti solidi
urbani. Dopo aver evidenziato come fosse il Ganapini ad autorizzare i
dirigenti  dell'A.M.S.A.  a sottoscrivere i contratti, senza peraltro
che  vi  fosse  «alcun  criterio selettivo tra piu' ditte, ne' alcuna
trattativa», la relazione della Commissione concludeva affermando che
l'intera attivita' contrattuale si era svolta «all'insegna della piu'
assoluta  leggerezza»,  con  scarsa  cura  dei costi e con scelte per
nulla   severe   nei  confronti  di  imprese  resesi  precedentemente
inadempienti,  tanto  da far supporre l'esistenza di una «volonta' di
coprire  le societa' amiche». Di particolare rilievo risulterebbe poi
la  circostanza  che,  secondo  la  Commissione,  «il ricorso a ditte
esterne all'A.M.S.A.» si era dimostrato «ingiustificato», perche' non
ci  si  era «curati di verificare se le imprese potevano effettuare i
conferimenti»;  e  che  anche  la  maggiore  fra tali imprese «avesse
firmato  il  contratto  con  il comune il 22 dicembre 1995 quando con
delibera  regionale  [...] l'uso delle discariche di cui disponeva in
Veneto era stato vietato dalla Regione».
    Anche   i   contratti  dell'A.M.S.A.  che  avevano  dato  origine
all'inchiesta  della  Procura  di Lanciano richiamata nell'intervista
erano  stati  d'altra  parte  stipulati  con  le modalita' aspramente
criticate   dalla  Commissione.  Il  20 febbraio  1996,  infatti,  il
Ganapini,  nella  qualita'  di  commissario-presidente dell'A.M.S.A.,
aveva  autorizzato il direttore generale dell'azienda a sottoscrivere
un  contratto  con  un  consorzio  di  imprese per il trasporto della
«frazione  secca» dei rifiuti solidi urbani in un impianto situato in
S.  Maria  Imbaro  (Chieti).  Pochi  mesi  dopo,  e  precisamente  il
29 ottobre  1996,  il legale rappresentante dell'A.M.S.A. - l'ing. R.
M.  -  era  stato  citato  a  giudizio dalla Procura della Repubblica
presso  la  Pretura circondariale di Lanciano, in quanto imputato, in
concorso  con  i  legali rappresentanti di detto consorzio e di altre
imprese  che  avevano  preso  parte alle attivita' di smaltimento dei
rifiuti,  per  la  violazione  della normativa statale e regionale in
materia  di rifiuti: iniziativa giudiziale della quale era stata data
peraltro notizia dagli organi di informazione.
    Ad  avviso della difesa del Senato, tale complesso di circostanze
-  unitamente  al fatto che il Ganapini avesse il potere di approvare
le delibere d'urgenza sulla cui base venivano predisposti i contratti
fra  l'A.M.S.A.  e le imprese per il trasporto ed il conferimento dei
rifiuti  nelle discariche - «possono aver indotto il sen. De Corato a
ragionare,  nelle  dichiarazioni al quotidiano «La Repubblica», di un
avviso di garanzia a carico del dr. Ganapini».
    La medesima difesa ribadisce infine l'esigenza - gia' evidenziata
con  l'atto  di  costituzione - di tener conto anche degli atti della
Commissione   parlamentare  bicamerale  d'inchiesta  «sul  ciclo  dei
rifiuti  e  sulle  attivita'  illecite ad esso connesse», rispetto ai
quali   le   dichiarazioni   rese   dal  sen.  De  Corato  nel  corso
dell'intervista   presenterebbero,  in  parte  qua,  una  sostanziale
identita' di contenuti.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Il Tribunale di Milano, I sezione civile - investito di un
giudizio  civile  per  risarcimento danni promosso da Walter Ganapini
nei  confronti  del  senatore  Riccardo  De  Corato  -  con ordinanza
depositata  il 6 ottobre 2003, ha sollevato conflitto di attribuzione
tra  poteri dello Stato nei confronti del Senato della Repubblica, in
relazione  alla  deliberazione, adottata dall'Assemblea il 31 gennaio
2001  (documento IV-quater, n. 58), con la quale si e' ritenuto che i
fatti  per  i  quali  e'  in  corso  tale  giudizio - gia' oggetto di
procedimento penale per diffamazione a mezzo stampa nei confronti del
parlamentare,  definito  con sentenza di non doversi procedere emessa
dal  giudice  per  le  indagini preliminari del Tribunale di Monza in
data 21 febbraio 2001 - concernono opinioni espresse da un membro del
Parlamento   nell'esercizio   delle  sue  funzioni:  con  conseguente
insindacabilita'   ai   sensi   dell'art. 68,   primo   comma,  della
Costituzione.
    Il  giudizio  civile  trae  origine  da  dichiarazioni  rese  dal
senatore   De   Corato   nel  corso  dell'intervista  pubblicata  sul
quotidiano   «La   Repubblica»  del  22 dicembre  1997.  In  esse  il
parlamentare  avrebbe  in  particolare  affermato, con riferimento ai
rifiuti   umidi   provenienti   dalla   citta'  di  Milano,  che  «il
conferimento  dell'umido  in  discariche di mezza Italia e' stata una
prerogativa  della giunta Formentini-Ganapini», cio' risultando dagli
«atti  della  Commissione  d'inchiesta  del  comune»;  che «l'attuale
management   dell'AMSA»   (Azienda   municipalizzata  per  i  servizi
ambientali)  «e'  lo stesso voluto dall'allora assessore all'ambiente
Ganapini nel 1995»; che, «a conferma di tutto cio', vi e' l'avviso di
garanzia  che  la  Procura di Lanciano, in Provincia di Chieti, aveva
emesso  nei  confronti  di  Ganapini,  che,  violando  le leggi della
Regione  Abruzzo,  aveva  conferito  nelle  discariche di quel comune
tonnellate di rifiuti di Milano».
    Il  Tribunale  ricorrente  ritiene  insussistenti  i  presupposti
dell'insindacabilita' di cui all'art. 68, primo comma, Cost., negando
segnatamente   che  possa  ravvisarsi  un  nesso  funzionale  tra  le
dichiarazioni   rese  alla  stampa  e  l'interrogazione  parlamentare
presentata  il  2 ottobre  1996  dal  sen.  De  Corato sul tema della
gestione  dell'emergenza  rifiuti  nella  citta' di Milano, stante il
difetto di identita' sostanziale fra i rispettivi contenuti.
    Resiste  il Senato della Repubblica, eccependo l'inammissibilita'
del   ricorso  sotto  diversi  profili  e  contestando,  nel  merito,
l'assunto  del  giudice ricorrente, tenuto conto anche del fatto che,
in  ogni  caso,  le  dichiarazioni  in  questione  rappresenterebbero
divulgazione  di  risultanze  ufficiali  degli atti della Commissione
parlamentare  d'inchiesta  «sul  ciclo  dei rifiuti e sulle attivita'
illecite  ad  esso  connesse»,  istituita  con  legge 10 aprile 1997,
n. 97.
    Con   successiva  memoria,  la  difesa  del  Senato  ha  altresi'
evidenziato l'esigenza di ricostruire i contenuti dell'interrogazione
parlamentare  del  2 ottobre  1996,  ai fini della verifica del nesso
funzionale rispetto alla successiva intervista, anche alla luce delle
risultanze  degli  atti  della  Commissione d'inchiesta istituita dal
Comune  di Milano richiamati nell'interrogazione stessa: ottica nella
quale  risulterebbe  avvalorata la conclusione dell'insindacabilita',
ex  art. 68,  primo  comma,  Cost.,  delle  dichiarazioni  rese extra
moenia.
    2.  - Deve, preliminarmente, essere ribadita l'ammissibilita' del
conflitto,  sussistendone  i presupposti oggettivi e soggettivi, come
gia' ritenuto da questa Corte con l'ordinanza n. 338 del 2004.
    2.1.  -  Al  riguardo,  la  proposizione  del  conflitto non puo'
ritenersi  preclusa  dall'avvenuta  pronuncia,  in  sede  penale,  di
sentenza  che  -  recependo la valutazione espressa nella delibera di
insindacabilita'  del Senato - ha dichiarato di non doversi procedere
nei   confronti   del  parlamentare  per  le  medesime  dichiarazioni
attualmente oggetto del giudizio civile.
    Questa  Corte ha gia' avuto modo di affermare che la declaratoria
di  improcedibilita'  della domanda risarcitoria, resa dal giudice di
primo  grado uniformandosi alla delibera di insindacabilita' adottata
dalla   Camera   di  appartenenza  del  parlamentare  convenuto,  non
impedisce   al   giudice   di   appello  di  sollevare  conflitto  di
attribuzione in relazione alla medesima delibera, dovendosi escludere
che  il  relativo  potere,  ove  non  esercitato, si «consumi» con la
decisione  di  prime cure (sentenza n. 235 del 2005). Una simile tesi
contrasterebbe,  infatti,  «con  il  principio secondo cui il giudice
d'appello,  in  forza  dell'effetto  devolutivo dell'impugnazione, ha
rilevanti poteri di cognizione e di decisione e, quindi, ha il potere
di  porsi  ogni  questione non preclusa che ritenga rilevante ai fini
del decidere». Per converso, da tale principio, e dall'assenza, nella
legge  11 marzo  1953,  n. 87,  «di  un  termine  decadenziale per la
proposizione  dei  conflitti  interorganici  consegue  che  anche  il
giudice  d'appello  e'  competente  ad esprimere in via definitiva la
volonta'  del  potere cui appartiene ... ed e' legittimato a proporre
un conflitto non sollevato dal giudice di primo grado».
    Ad  analoga  conclusione deve evidentemente pervenirsi a fortiori
nel caso in esame.
    La  circostanza,  infatti, che la sentenza penale recettiva della
valutazione  di insindacabilita' espressa dal Senato sia stata emessa
nell'udienza  preliminare,  e  non  gia'  a  seguito di dibattimento,
esclude,  ai  sensi  dell'art. 652  cod.  proc.  pen., che essa possa
comunque  avere  efficacia di giudicato nel giudizio civile di danno.
Il   Tribunale   civile  ricorrente  e'  chiamato  di  conseguenza  a
pronunciarsi  sulla  domanda  risarcitoria  senza  alcuna preclusione
derivante  dalla  decisione del giudice penale: per modo che - stante
il  carattere  «diffuso»  del potere giurisdizionale e la conseguente
competenza  di  ciascun  organo ad esso appartenente ad esprimerne in
via  definitiva  la  volonta'  -  detto  Tribunale  deve considerarsi
senz'altro abilitato a proporre quel conflitto di attribuzione che il
giudice  penale,  sull'assunto  della  correttezza  della delibera di
insindacabilita', aveva viceversa ritenuto di non dover sollevare.
    2.2.  -  Ne'  ha  pregio l'eccezione di inammissibilita' avanzata
dalla difesa del Senato sul rilievo delle presunte incongruenze che -
avuto  riguardo  alla  vigente  disciplina dell'esercizio dell'azione
civile   nel   processo   penale   -   conseguirebbero  all'eventuale
accoglimento del ricorso.
    L'eccezione   poggia   sulla   premessa   -  indimostrata  -  che
l'annullamento  della delibera di insindacabilita' comporterebbe, sul
versante  penale,  l'applicabilita' dell'art. 345 cod. proc. pen., in
forza  del  quale  la  sentenza  di  proscioglimento o di non luogo a
procedere  per  difetto di una condizione di procedibilita', anche se
non  piu' soggetta ad impugnazione, non impedisce, ove sopravvenga la
condizione di procedibilita' mancante, l'esercizio dell'azione penale
per il medesimo fatto e contro la medesima persona.
    A prescindere da ogni rilievo circa l'effettiva validita' di tale
premessa  - la quale, riportando la delibera di insindacabilita' alla
materia delle condizioni di procedibilita', la equipara, in sostanza,
al  diniego  di  una  autorizzazione  a procedere; mentre l'immunita'
prevista  dall'art. 68,  primo  comma,  Cost.  ha natura sostanziale,
tanto  da precludere la possibilita' di far valere la responsabilita'
del  parlamentare  in  ogni  sede  giurisdizionale,  anche diversa da
quella   penale  (sentenza  n. 265  del  1997)  -  e'  assorbente  la
considerazione  che  le  conseguenze  che  potrebbero  derivare,  «in
seconda  battuta»,  dall'accoglimento  del  conflitto,  sul piano dei
rapporti  tra  azione  civile  ed  azione  penale,  restano del tutto
irrilevanti ai fini dell'ammissibilita' del conflitto medesimo.
    Rilevato,  infatti,  che  il  Tribunale ricorrente ha non solo il
potere  (per  quanto in precedenza osservato), ma anche - e con tutta
evidenza  - il concreto interesse a sollevare il conflitto, in quanto
certamente  influente  sugli  esiti  del  giudizio  che e' chiamato a
celebrare,  il  ricorso  deve  ritenersi  eo ipso ammissibile: e cio'
indipendentemente  dagli  ipotetici  sviluppi  processuali  ventilati
dalla  difesa  del  Senato con riferimento al supposto «recupero», da
parte  del  danneggiato,  della  facolta'  di  scelta fra l'esercizio
dell'azione   risarcitoria   nella   sede   sua  propria  o  mediante
costituzione di parte civile nel processo penale.
    2.3.  -  Quanto, poi, all'ulteriore eccezione di inammissibilita'
formulata  dalla  difesa  del  Senato  in correlazione alla pregressa
sentenza  di  proscioglimento del giudice penale, la sua infondatezza
e'  insita  in  quanto dianzi osservato riguardo alla carenza di ogni
effetto preclusivo di detta pronuncia nel giudizio civile.
    Diversamente  da  quanto  ipotizza  la  difesa,  il  conflitto di
attribuzione  sollevato  dal  Tribunale  di  Milano  non  puo' essere
considerato  un  «giudizio  di secondo grado» sulla correttezza della
valutazione  sottesa  alla  delibera di insindacabilita' - rispetto a
quello   gia'   formulato  dal  giudice  penale  -  inammissibilmente
demandato  ad un organo (il giudice civile di primo grado) diverso da
quello  che,  in  base  alle  ordinarie  regole processuali, dovrebbe
essere   a  cio'  competente  (il  giudice  penale  di  appello).  Al
contrario,  si  tratta  semplicemente  di prender atto che il giudice
civile,  adito con l'azione di risarcimento del danno, e' abilitato a
formulare  ex  novo  ed  in  piena  autonomia  -  per la ragione gia'
indicata - il giudizio precedentemente espresso dal giudice penale.
    2.4.  -  Parimenti  infondata,  infine,  e'  l'altra eccezione di
inammissibilita'  del  Senato,  basata  sull'assunto  che  il giudice
ricorrente non avrebbe sufficientemente esplicitato le ragioni per le
quali la pronuncia del giudice penale non gli impedirebbe di adottare
una soluzione opposta.
    Il  Tribunale  ricorrente ha infatti puntualmente indicato sia la
ragione  per  la  quale  la  decisione  del  giudice  penale non puo'
considerarsi  per  lui  vincolante;  sia  i  motivi  per i quali tale
decisione  non  sarebbe  condivisibile,  avuto  riguardo segnatamente
all'assenza del «nesso funzionale».
    3. - Nel merito, il ricorso e' fondato.
    3.1. - Alla luce della ormai consolidata giurisprudenza di questa
Corte,  la  prerogativa  dell'art. 68,  primo  comma, Cost. non copre
tutte  le  opinioni espresse dal parlamentare nello svolgimento della
sua attivita' politica, ma solo quelle legate da nesso funzionale con
le attivita' svolte nella qualita' di membro di una delle due Camere:
nesso  funzionale  che,  nel caso di dichiarazioni rese extra moenia,
presuppone   che  queste  ultime  possano  essere  identificate  come
espressione     dell'esercizio     di     attivita'     parlamentari.
Indipendentemente   dall'eventuale   contenuto   diffamatorio   delle
dichiarazioni  stesse,  il compito di questa Corte e' quindi limitato
alla verifica se esse, ancorche' rese fuori della sede istituzionale,
siano   collegate   ad   attivita'   proprie   del  parlamentare:  se
costituiscano,   cioe',   espressione   della   sua   funzione  o  ne
rappresentino  il  momento  di divulgazione all'esterno (ex plurimis,
sentenze  n. 317 del 2006; n. 28, n. 164, n. 176, n. 196 e n. 235 del
2005; n. 52 del 2002; n. 10 e n. 11 del 2000).
    Affinche'  detto scrutinio possa avere esito positivo, occorre il
concorso di un duplice requisito: un legame temporale fra l'attivita'
parlamentare  e  l'attivita'  esterna,  di modo che questa assuma una
finalita'  divulgativa  della prima; e una sostanziale corrispondenza
di  significato  tra  opinioni  espresse  nell'esercizio  di funzioni
parlamentari  e  atti  esterni,  non essendo sufficienti ne' una mera
comunanza  di  argomenti,  ne' un mero contesto politico cui le prime
possano  riferirsi  (sentenze  n. 317  e  258  del 2006; nonche', con
riferimento all'omologa prerogativa prevista a favore dei consiglieri
regionali  dall'art. 122  Cost., sentenza n. 221 del 2006). Comunanza
di  argomenti  e  «contesto politico» non valgono, difatti, in se', a
connotare  le  dichiarazioni  esterne come espressive della funzione,
ove   esse  -  non  costituendo  la  sostanziale  riproduzione  delle
specifiche opinioni manifestate dal parlamentare nell'esercizio delle
proprie  attribuzioni  -  siano  non  gia'  il riflesso del peculiare
contributo  che ciascun deputato e ciascun senatore apporta alla vita
parlamentare, mediante le proprie opinioni e i propri voti (come tale
coperto,    a    garanzia    delle    prerogative    delle    Camere,
dall'insindacabilita);  bensi'  una ulteriore e diversa articolazione
di  siffatto  contributo, elaborata ed offerta alla pubblica opinione
nell'esercizio  della libera manifestazione del pensiero assicurata a
tutti dall'art. 21 Cost. (sentenze n. 317 del 2006; n. 51 del 2002).
    3.2.  -  Nel  caso  in  esame, fra le interrogazioni parlamentari
presentate dal senatore De Corato sul tema della gestione dei rifiuti
nella  citta'  di Milano, sono senz'altro prive di rilievo quelle del
6,  11  e  18 maggio  2000 - di cui e' menzione nella relazione della
Giunta delle elezioni e delle immunita' parlamentari che ha preceduto
la  delibera  di  insindacabilita',  ma  che  non  risultano  neppure
prodotte  dalla  difesa  del Senato nel presente giudizio - in quanto
posteriori, addirittura di quasi due anni e mezzo, alle dichiarazioni
extra  moenia  delle  quali  si discute (sentenze n. 260 e n. 317 del
2006).
    Riguardo   all'unica  interrogazione  parlamentare  astrattamente
rilevante, in quanto anteriore alle dichiarazioni stesse - quella del
2 ottobre  1996,  sulla  quale, in effetti, soprattutto si fondano la
relazione della Giunta e la difesa giudiziale del Senato - il profilo
della  contestualita'  e  del  legame temporale - da valutare, per un
verso,  con  riferimento  al  margine temporale di un anno fra essa e
l'intervista;  e,  per  un  altro verso, con riferimento al permanere
d'attualita'  del  dibattito  parlamentare  sul tema dei rifiuti - e'
assorbito,   comunque,  dalla  mancanza  dell'altro  requisito  della
sostanziale identita' di contenuto.
    Nell'interrogazione   diretta   al   Ministro  dell'ambiente,  il
parlamentare  denunciava,  in  termini del tutto generici, l'asserita
«incapacita»  del  sindaco  Formentini  e del Ganapini - quest'ultimo
nella  duplice  veste  di  assessore  all'ambiente  e  di  presidente
dell'Azienda  municipalizzata  per  i  servizi ambientali (AMSA) - «a
gestire  ...  in maniera funzionale» l'emergenza rifiuti verificatasi
nella  citta'  di  Milano: incapacita' che sarebbe emersa «in maniera
inequivocabile»   dalle  indagini  svolte  dall'apposita  Commissione
d'inchiesta  istituita  dal  comune,  la cui relazione conclusiva era
stata  trasmessa,  con gli atti relativi, per decisione quasi unanime
della  Commissione stessa, alla Procura della Repubblica di Milano ed
alla Procura regionale della Corte dei conti.
    Nelle  dichiarazioni  affidate  alla  stampa,  per  converso,  il
senatore  non  si  e'  limitato  soltanto  ad attribuire alla «giunta
Formentini-Ganapini»  un  piu'  definito  -  ma pur sempre generico -
metodo  di  condotta  («il  conferimento  dell'umido in discariche di
mezza  Italia»),  allegando a conferma di tale addebito le risultanze
dei  lavori  della  Commissione  comunale d'inchiesta («tutto cio' e'
agli   atti   della  Commissione  d'inchiesta  del  comune»);  ma  ha
addebitato,   altresi',   al  Ganapini  la  commissione  di  illeciti
specifici  e  puntualmente  localizzati  al  di  fuori del territorio
milanese  -  e,  cioe',  il conferimento di «tonnellate di rifiuti di
Milano»  nelle discariche del Comune di Lanciano, in violazione delle
leggi  regionali  abruzzesi - evocando, a comprova dell'affermazione,
l'«avviso  di  garanzia»  in  assunto emesso nei suoi confronti dalla
Procura della Repubblica presso la Pretura di quel Comune.
    Posto,  quindi,  che nel caso di pluralita' di dichiarazioni rese
in un unico contesto e' ben possibile individuare espressioni che, in
quanto   provviste   di   autonomo  significato,  sono  separatamente
valutabili  ai  fini  della  verifica  della  sussistenza  del  nesso
funzionale  (sentenza  n. 246 del 2004), deve concludersi che, almeno
per  la  parte  da  ultimo  evidenziata,  le dichiarazioni rese extra
moenia  risultano prive di riscontro nell'atto parlamentare tipico: e
cio'  a  prescindere  da ogni valutazione - che non spetta alla Corte
operare   -   circa   il   carattere   realmente  diffamatorio  delle
dichiarazioni stesse (sentenza n. 10 del 2000).
    Ne' e' possibile d'altra parte ritenere - contrariamente a quanto
sostenuto  dal  Senato  - che si sia di fronte a mere «circostanze di
contorno»   rispetto   alle   opinioni   gia'  espresse  in  sede  di
interrogazione, tali da non alterare la sostanziale corrispondenza di
significato  tra  questa e le dichiarazioni affidate alla stampa. Una
ipotesi  di  tal fatta e' stata per vero ravvisata da questa Corte in
situazioni  nelle  quali  -  a  fronte della deduzione di un identico
fatto  -  le  dichiarazioni  esterne  si limitavano a dar conto di un
qualche   elemento,   aggiuntivo   rispetto  a  quelli  rappresentati
nell'atto tipico, che poteva valere a confermarne l'esistenza (quale,
ad  esempio,  l'avvenuta  presentazione  di una denuncia, da parte di
terzi,  per  i medesimi illeciti gia' specificamente censurati in una
interrogazione   parlamentare:   sentenza   n. 320  del  2000);  o  a
puntualizzarne  aspetti accessori (sentenza n. 321 del 2000). Il caso
in esame e' diverso: nella specie si passa da un generico addebito di
incapacita'  ed inefficienza nello svolgimento di funzioni pubbliche,
sia  pur  con  possibili  riflessi  in  termini  di  rilevanza penale
(evocati  dal  riferimento  all'invio  degli  atti  della Commissione
comunale  d'inchiesta  alla  Procura  della  Repubblica  di  Milano),
all'attribuzione  di puntuali comportamenti criminosi, collegati alle
predette  funzioni,  oggetto  di  asserita indagine da parte di altro
ufficio giudiziario.
    3.3.  - Sotto diverso profilo, poi, neppure e' possibile accedere
alla ulteriore tesi sviluppata dal Senato nella memoria illustrativa,
stando  alla  quale  il  contenuto  dell'interrogazione  parlamentare
andrebbe  ricostruito  alla  luce  di un'analitica lettura degli atti
della  Commissione  comunale  d'inchiesta  in  essa  richiamati,  che
assumerebbero  rilievo  ai  fini della verifica della sussistenza del
nesso funzionale.
    Il  limite  della  guarentigia  di  cui all'art. 68, primo comma,
Cost.,  per  quanto  attiene alle dichiarazioni rese extra moenia, e'
rappresentato,   difatti,   dal   carattere  «riproduttivo»  -  nella
sostanza,  ancorche' non nel lessico - di tali dichiarazioni rispetto
ai   contenuti  propri  dell'atto  parlamentare,  in  connessione  al
carattere di pubblicita' dell'attivita' parlamentare: si ripete cioe'
all'esterno,  divulgandolo,  quanto  si e' affermato intra moenia. In
quest'ottica,  se  l'affermazione  fatta  nella  sede parlamentare e'
consistita  nella  mera  deduzione  dell'esistenza  di  una inchiesta
amministrativa   conclusasi  con  un  certo  giudizio  -  senza  che,
peraltro,  dalle  risultanze  di  tale  inchiesta vengano estrapolati
episodi  specifici,  sia  pure  in  termini  di sintesi, ponendoli in
evidenza  nell'atto  di  sindacato  ispettivo  -  e'  unicamente tale
affermazione che puo' essere «riprodotta» all'esterno con la garanzia
dell'insindacabilita' ex art. 68, primo comma, Cost.
    Deve  escludersi,  in  altre  parole,  che  il generico richiamo,
effettuato  nel corso di un'interrogazione parlamentare, ad una certa
fonte  informativa  -  tanto  piu'  quando  questa  assuma  carattere
articolato e complesso, come nel caso del riferimento agli atti d'una
commissione  amministrativa  d'inchiesta - valga a creare eo ipso una
sorta di «contenitore» da cui attingere la «copertura», in termini di
insindacabilita', per tutte le dichiarazioni extra moenia che trovino
corrispondenza soltanto nel contenuto di tali atti.
    Inoltre,  nel caso di specie, neppure integrando l'interrogazione
parlamentare  con  gli  atti  della  Commissione comunale d'inchiesta
sarebbe  possibile ravvisare il requisito della sostanziale identita'
contenutistica  con  la  successiva intervista. Infatti, la relazione
della  Commissione,  prodotta  in  giudizio dal Senato, appare intesa
essenzialmente  a  censurare una gestione eccessivamente «disinvolta»
sul  piano  amministrativo-contabile,  in  rapporto alla scelta delle
controparti  e  all'esecuzione  dei rapporti contrattuali; non gia' a
formulare specifici addebiti di violazione della normativa ambientale
sui rifiuti (e, in particolare, delle leggi della Regione Abruzzo): e
cio'   altresi'   per   quanto   concerne  l'affermazione,  posta  in
particolare  evidenza  nella  memoria  del  Senato,  secondo  cui «il
ricorso  a  ditte  esterne  all'AMSA  si e' dimostrato ingiustificato
perche'  non  ci  si  e'  curati di verificare se le imprese potevano
effettuare   i   conferimenti».   Anche   tale   affermazione  appare
finalizzata  a  denunciare  l'inefficienza  della  gestione,  come si
desume   dall'asserzione  immediatamente  successiva  («Amsa  non  ha
ritenuto  di  agire  direttamente  ancorche' l'avesse potuto fare sia
procurandosi  i  macchinari»,  sia ottenendo «spazi nelle discariche,
spazi  che  in  effetti  ha poi dovuto procurarsi per fronteggiare le
inefficienze dei contraenti»).
    In   simile   situazione,  tra  le  opinioni  espresse  nell'atto
parlamentare   tipico  e  le  dichiarazioni  rese  alla  stampa  puo'
ravvisarsi,  dunque,  solo  una  comunanza  di  argomento, ma non una
sostanziale    identita'    contenutistica:   con   conseguente   non
configurabilita'  -  anche  sotto  tale ulteriore profilo - del nesso
funzionale.
    Giova  soggiungere,  per  altro  verso,  che  nessun rilievo puo'
avere,  ai  fini dell'operativita' della garanzia di cui all'art. 68,
primo  comma,  Cost.,  la  circostanza  - sulla quale pure insiste la
difesa   del  Senato  -  che  gli  atti  della  Commissione  comunale
d'inchiesta  abbiano  avuto una piu' o meno vasta eco negli organi di
informazione  e,  conseguentemente,  nella  pubblica opinione: e cio'
perche'  detta  garanzia non e' collegata alla notorieta' o rilevanza
pubblica dei fatti, la quale puo' venire semmai in rilievo al diverso
fine   della  eventuale  configurabilita'  del  diritto  di  cronaca,
indipendente,  peraltro,  dalla  qualita'  di  parlamentare di chi lo
esercita.
    3.4.  -  Quanto,  poi,  agli  ulteriori atti parlamentari evocati
dalla  difesa del Senato - le risultanze dei lavori della Commissione
bicamerale  d'inchiesta  «sul  ciclo  dei  rifiuti  e sulle attivita'
illecite  ad esso connesse», ex legge n. 97 del 1997: lavori ai quali
non  si  deduce  peraltro che il senatore De Corato abbia in concreto
partecipato  - non e' necessario vagliare in questa sede la validita'
della tesi secondo cui alla divulgazione dei resoconti di commissioni
parlamentari  d'inchiesta  -  in  quanto  atti ufficiali, costituenti
«patrimonio  comune»  di tutti i membri del Parlamento e della stessa
pubblica   opinione   -   non   sarebbe  estensibile  il  consolidato
orientamento  di  questa  Corte  circa  l'irrilevanza,  ai fini della
verifica  del  nesso  funzionale, degli atti compiuti da parlamentari
diversi   dall'autore   delle  dichiarazioni  esterne  (ex  plurimis,
sentenze  n. 249,  n. 260  e n. 317 del 2006; n. 146 del 2005; n. 347
del 2004).
    Non  possono  venire comunque in considerazione i resoconti delle
sedute  del  18 febbraio  1998 e del 27 gennaio 1999, e tanto meno la
relazione   finale   della  Commissione  discussa  nella  seduta  del
25 ottobre  2000,  trattandosi  di atti successivi alle dichiarazioni
che hanno originato il conflitto; mentre riguardo all'unico resoconto
antecedente  -  quello  dello  seduta  del 18 novembre 1997 - risulta
dirimente  il rilievo della palese non sovrapponibilita' dei relativi
contenuti a quelli dell'intervista.
    Per  la  parte che interessa, infatti, il resoconto in parola da'
atto dell'avvenuta audizione, ad opera della Commissione d'inchiesta,
del  sostituto  procuratore  della  Repubblica  presso  la Pretura di
Pescara,  dott.  Pasquale Fimiani: audizione nel corso della quale il
magistrato aveva fornito notizie relative ad una indagine, denominata
«Gambero», «svolta nel recente passato riguardo ad attivita' illecite
legate  ... allo smaltimento dei rifiuti in alcune aree della Regione
Abruzzo»,  riferendo, altresi', dell'esistenza di «un patto di azione
contra  legem fra alcune imprese di smaltimento ed un certo numero di
imprenditori  delle  regioni  centrali e settentrionali produttori di
rifiuti».  Nessuno specifico riferimento viene fatto, per contro, ne'
al  collegamento tra le attivita' illecite in questione e la gestione
dell'emergenza  rifiuti  nella citta' di Milano da parte degli organi
comunali a cio' preposti, ne' tanto meno alla persona del Ganapini.
    4.  - Deve quindi concludersi che il Senato della Repubblica, nel
deliberare  l'insindacabilita'  delle dichiarazioni di cui si tratta,
ha  violato  l'art. 68,  primo  comma, Cost. e ha leso in tal modo le
attribuzioni dell'autorita' giudiziaria ricorrente.
    La  deliberazione  di  insindacabilita'  deve  essere,  pertanto,
annullata.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  che  non spettava al Senato della Repubblica deliberare
che  le  dichiarazioni  rese dal senatore Riccardo De Corato, oggetto
del  giudizio  civile  pendente  davanti  al  Tribunale  di Milano, I
sezione  civile,  costituiscono  opinioni  espresse  da un membro del
Parlamento  nell'esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell'art. 68,
primo comma, della Costituzione;
    Annulla,  di  conseguenza,  la  deliberazione di insindacabilita'
adottata dal Senato della Repubblica nella seduta del 31 gennaio 2001
(documento IV-quater, n. 58).
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 6 novembre 2006.
                         Il Presidente: Bile
                         Il redattore: Flick
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 14 novembre 2006.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
06C1009