N. 492 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 marzo 2006

Ordinanza   emessa   il   14   marzo   2006   (pervenuta  alla  Corte
costituzionale  l'11  ottobre  2006)  dal  tribunale  di Grosseto nel
procedimento penale a carico di Lai Franco ed altri

Reati e pene - Prescrizione - Reati di competenza del giudice di pace
  -  Reati puniti con la sola pena pecuniaria Termine di prescrizione
  di  tre anni - Mancata previsione - Irragionevolezza per il diverso
  trattamento  riservato  a  reati  piu'  gravi  (che  godono di tale
  termine di prescrizione).
- Codice  penale,  art. 157, comma primo, come sostituito dall'art. 6
  della legge 5 dicembre 2005, n. 251.
- Costituzione, art. 3.
(GU n.46 del 22-11-2006 )
                            IL TRIBUNALE

    Nel  procedimento penale iscritto al numero di cui in epigrafe, a
carico  di  Lai  Franco,  Bettaccini  Eleonora,  Bezzini  Francesco e
Urracci  Giacinto in ordine ai reati di cui agli artt. 110 e 612 c.p.
tutti,  ed  all'art. 594  c.p.  il  solo  Lai, sentite le parti, alla
pubblica  udienza  del  14 marzo 2006, ha dato lettura della seguente
ordinanza.
    E'  rilevante  e  non  manifestamente  infondata  la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 157,  comma primo, c.p., come
sostituito  dall'art. 6,  legge 5 dicembre 2005, n. 251, in relazione
all'art. 3  della Costituzione, nella parte in cui prevede il termine
minimo  di  prescrizione  di anni sei per i delitti e di anni quattro
per  le  contravvenzioni,  anziche'  di  anni  tre, anche per i reati
puniti  con  la  sola  pena pecuniaria attribuiti alla competenza del
giudice  di  pace ai sensi dell'art. 4, commi primo e secondo, d.lgs.
28 agosto 2000, n. 274.
    1) Esposizione dei fatti e rilevanza.
    Gli  imputati  sono  stati  citati  dinanzi  a  questo  tribunale
competente per rispondere tutti in concorso fra loro del reato di cui
all'art. 612, comma primo, c.p. per aver pronunciato nei confronti di
Leone Pietro Antonio una frase minacciosa ed il solo Lai del reato di
cui  all'art. 594 c.p. per aver offeso l'onore ed il decoro di Givone
Lega Elisa, proferendo nei suoi confronti la parola «fallita».
    I  delitti  contestati rientrano tra quelli indicati dall'art. 4,
comma  primo,  lett. a),  d.lgs.  cit., ma la competenza appartiene a
questo  tribunale  in  composizione  monocratica  trattandosi difatti
commessi  anteriormente  al  2 gennaio  2002  (v.  art. 64, comma 1).
Tuttavia,  debbono  essere applicate le sanzioni previste per i reati
di  competenza  del  giudice di pace, stante il combinato disposto di
cui agli artt. 63 e 64, comma secondo, d.lgs. cit.
    In  particolare,  poiche' il reato ex art. 612 c.p. e' punito con
la  sola  pena  della  multa e quello di cui all'art. 594 c.p. con la
pena  alternativa  della  reclusione sino a sei mesi o della multa e'
applicabile  la  sola  pena  della  multa  (nella  misura  originaria
rispetto  al  primo  delitto, da euro 258 a 2.582 per l'altro reato),
secondo  quanto previsto rispettivamente dall'art. 52, comma primo, e
comma secondo, lett. a), primo periodo, d.lgs. cit.
    Gli  imputati  sono  stati  citati  a  giudizio dal p.m. solo per
l'udienza   odierna,  per  cui,  non  essendo  mai  stato  aperto  il
dibattimento,  sono  applicabili  le  nuove  disposizioni per effetto
delle  quali  i  termini  di  prescrizione  risultino  piu' brevi (v.
art. 10, comma terzo, legge n. 251 del 2005).
    In  punto  di  rilevanza,  si  osserva  che  l'accoglimento della
questione  di  legittimita'  costituzionale  -  nei  termini  di  cui
appresso  -  comporterebbe  la prescrizione triennale dei delitti per
cui si procede, con la conseguenza che dovrebbe essere immediatamente
pronunciata  la  sentenza di non doversi procedere per estinzione dei
reati ai sensi dell'art. 129 c.p.p. (il termine massimo di tre anni e
nove  mesi  e',  infatti,  ampiamente maturato), non risultando dagli
atti   l'evidenza   della   prova  giustificativa  di  una  pronuncia
assolutoria  piu'  favorevole.  Diversamente,  sulla  base del regime
normativo  vigente,  la  prescrizione  non  risulta  maturata ne' con
riferimento  al  termine  di sei anni di cui al nuovo art. 157, comma
primo,   c.p.,  ne'  con  riferimento  al  regime  normativo  vigente
all'epoca della commissione dei fatti (16 dicembre 2000) in quanto la
prescrizione  quinquennale  (art. 157,  comma  primo,  n. 4) e' stata
interrotta  con  il  decreto  di  citazione a giudizio del 5 dicembre
2005,  mentre  il  termine massimo di sette anni e mezzo (identico in
relazione ad entrambe le discipline) non e' ancora scaduto.
    Di  qui  la  rilevanza  della questione fondata sui motivi che si
vanno ad indicare.
    2) Non manifesta infondatezza.
    L'art. 157, comma quinto, c.p., come sostituito dall'art. 6 legge
n. 251/2005, prevede la prescrizione triennale quando per il reato la
legge  stabilisce  pene  diverse  da  quella  detentiva  e  da quella
pecuniaria.
    I primi commentatori hanno subito evidenziato i problemi relativi
all'esatta delimitazione del campo applicativo della norma.
    Preso  atto  del  silenzio  dei  lavori  parlamentari  sul punto,
l'attenzione  e' stata accentrata sui reati di competenza del giudice
di  pace,  in  relazione alle sanzioni della permanenza domiciliare e
del   lavoro   di   pubblica  utilita'  (v.  artt. 52  e  ss.  d.lgs.
n. 274/2000).
    Tali  sanzioni,  in effetti, sono diverse dalle pene ordinarie di
natura  detentiva  e  pecuniaria,  per  cui  e'  ravvisabile  l'unico
presupposto  applicativo  contemplato  dalla  disposizione  di cui al
nuovo art. 157, comma quinto, c.p., rappresentato per l'appunto dalla
punibilita'  del  reato per cui si procede con pene diverse da quelle
tipiche.
    Vi  e',  in  realta', chi ha obiettato che la disposizione de qua
non  puo'  trovare  applicazione  in ordine alle pene applicabili dal
giudice  di  pace stante il disposto di cui all'art. 58, comma primo,
d.lgs.  cit.,  in cui si stabilisce che per ogni effetto giuridico le
pene  dell'obbligo di permanenza domiciliare e del lavoro di pubblica
utilita'   si   considerano   come   pena   detentiva   della  specie
corrispondente a quella della pena originaria.
    Tale obiezione, pero', non appare condivisibile.
    La   norma   di   cui   all'art. 58,  infatti,  prevede  soltanto
un'assimiliazione quanto agli effetti giuridici, finendo pero' in tal
modo  per rimarcare, anziche' per negare, la diversa natura giuridica
delle  pene  applicabili  dal giudice di pace rispetto alle ordinarie
pene detentive.
    Il  legislatore  del  2005,  emulando quello del 1981 (v. art. 57
legge  n. 689/1981), ha dettato una norma di chiusura del sistema con
l'intento  di  colmare  i  vuoti normativi che possono insorgere ogni
qualvolta si debba fare applicazione di una disciplina dettata per le
sole  pene ordinarie (e non anche specificatamente per quelle diverse
applicabili nei reati di competenza del giudice di pace). In effetti,
il  sistema  giuridico  penale  e'  costruito  attorno  alle sanzioni
ordinarie  (di  natura pecuniaria e detentiva) per cui ogni qualvolta
viene  prevista  una  sanzione  diversa  da  quella tipica si pongono
problemi  di coordinamento con i diversi istituti giuridici, e di qui
l'esigenza  di  un criterio generale e suppletivo volto a risolvere i
molteplici    profili   interpretaivi   che   possono   porsi.   Tale
disposizione,  pero',  ha natura generale e suppletiva, nel senso che
e'  applicabile  tutte  le  volte  in  cui per un determinato effetto
giuridico  non  sia  ravvisabile  una  disciplina  specifica  dettata
proprio in relazione alle pene diverse da quelle ordinarie.
    Pertanto,   la   stessa   disposizione  non  elimina  affatto  la
diversita' tra la sanzione atipica e quella detentiva ordinaria.
    D'altra  parte,  quest'ultima conclusione trova sostegno anche in
alcune  disposizioni  della  stessa disciplina che regola il processo
dinanzi  al  giudice di pace. Cosi', l'art. 56 d.lgs. cit. esclude la
configurabilita'  del  reato  di evasione ex art. 385 c.p. in caso di
violazione  delle  medesime  pene atipiche, a dimostrazione del fatto
che  non  vi  e'  una equiparazione di esse ad ogni effetto giuridico
alla pena detentiva.
    Analogamente, la non sospendibilita' ai sensi dell'art. 60 d.lgs.
cit.  deve  giustificarsi  anche  in relazione alla diversita' tra le
pene  c.d.  paradentive  e  quelle  detentive  ordinarie,  posto che,
diversamente,   cioe'  laddove  si  volesse  ravvisare  una  perfetta
equiparazione  tra  di  esse,  si  prospetterebbe  probabilmente  una
questione di legittimita' costituzionale della normativa speciale.
    Si  puo' allora concludere che l'art. 58 d.lgs. cit. non consente
di  affermare  che le pene atipiche in questione sono pene detentive,
trattandosi  invece  di  pene  diverse  da  quelle  ordinarie, con la
conseguenza  che  la stessa disposizione non e' di per se' d'ostacolo
alla  applicabilita'  del nuovo art. 157, comma quinto, c.p. ai reati
di competenza del giudice di pace.
    Ed  allora,  tornando  alle  considerazioni  di partenza, si deve
affermare  piu'  in  generale  che  la  previsione di cui all'art. 58
comporta  l'equiparazione,  quanto agli effetti giuridici, della pena
della  permanenza  domiciliare  e  di  quella  del lavoro di pubblica
utilita'  alla  pena detentiva, fatta eccezione per i casi in cui sia
ravvisabile  una  specifica  norma che disciplini in modo autonomo la
pena diversa in relazione ad un determinato effetto giuridico.
    Cosi',  correttamente  la  suprema  Corte,  prima dell'entrata in
vigore   della  legge  n. 251/2005,  ha  affermato  con  orientamento
consolidato che ai fini della determinazione del tempo necessario per
la  prescrizione  dei reati attribuiti alla cognizione del giudice di
pace,  puniti  con  la  pena  pecuniaria  o,  in  alternativa, con le
sanzioni  c.d. paradetentive, si doveva aver riguardo alla disciplina
delle  pene  detentive  ordinarie in virtu' della disposizione di cui
all'art. 58  d.lgs.  cit.  (v.,  per  tutte,  Cass.  pen.,  sez.  IV,
22 aprile 2004, n. 18640).
    Tale  orientamento,  pero', non puo' piu' essere invocato dopo la
novella  legislativa  in  esame,  in  quanto la norma di cui al nuovo
art. 157,  comma quinto, quanto agli effetti della determinazione del
tempo  necessario a prescrivere, assume i connotati di norma speciale
prevalente  rispetto  alla  disposizione  generale di cui all'art. 58
d.lgs. cit.
    Sotto  altro  profilo  e  sempre ai fini della individuazione del
campo applicativo della disposizione in esame, e' opportuno osservare
che  le  pene  diverse  in  questione,  a  differenza  delle sanzioni
sostitutive previste dalla legge n. 689/1981, non sono applicabili in
via  discrezionale alternativamente alla pena detentiva ordinaria, in
quanto   quest'ultima  pena  non  e'  mai  applicabile  ai  reati  di
competenza  del giudice di pace. La mancanza di tale discrezionalita'
porta quindi a considerare le pene diverse come pene dirette.
    A favore della tesi che qui si sostiene milita anche un argomento
di natura logica, in quanto si deve ritenere che il legislatore abbia
voluto prevedere un termine di prescrizione piu' breve per i reati di
competenza  del  giudice  di  pace, non solo in relazione alla minore
gravita'  degli  stessi, ma anche in considerazione della durata piu'
breve  delle  indagini  preliminari  riguardo a tali procedimenti (v.
art. 16  d.lgs.  cit.).  Secondo una certa ricostruzione, infatti, la
ratio  della  disciplina  della  prescrizione dei reati risponde alla
finalita'   sostanziale   costituita  dalla  durata  ragionevole  del
processo  penale (v. Cass. pen, sez. I, n. 1 72803/1986), di modo che
appare  conforme  a logica ritenere che il legislatore del 2005 abbia
voluto  stabilire  un termine di prescrizione piu' breve in ordine ai
reati  assoggettati  ad  una  disciplina procedimentale piu' celere e
snella,  qual  e' quella riservata ai reati di competenza del giudice
di pace.
    Infine,  puo'  essere addotto un ulteriore argomento poggiante su
una  regola ermeneutica di conservazione della disposizione di legge,
secondo  cui  la  norma giuridica deve interpretarsi nel senso in cui
possa  avere qualche applicazione, anziche' in quello secondo cui non
ne   avrebbe   alcuna.   Ebbene,   coloro   che   sostengono  la  non
applicabilita'  della  disposizione  di cui al comma quinto del nuovo
art. 157  c.p.  ai  reati  di  competenza  del  giudice  di pace sono
costretti  a  riconoscere che la stessa norma non risulta applicabile
ad   altre   fattispecie   penali,   per   cui   appare   preferibile
l'interpretazione che le riconosce un suo ambito applicativo.
    Sotto   altro   profilo,  c'e'  chi  ha  osservato,  argomentando
principalmente  dal  dato  letterale,  che la norma de qua si applica
nelle  ipotesi  in  cui  il reato risulti punibile esclusivamente con
pene  diverse  e  non  anche  nei  casi  in  cui  la pena diversa sia
applicabile in via alternativa rispetto a quella pecuniaria. Muovendo
da  tale  premessa, si e' quindi osservato che la stessa disposizione
non  potrebbe  comunque  trovare  applicazione  in ordine ai reati di
competenza  del  giudice  di  pace  in quanto, relativamente a questi
ultimi,  le  pene  diverse  non  sarebbero  mai  previste  come  pene
principali  esclusive,  bensi'  sempre  come  alternative  alla  pena
pecuniaria,   con   la   conseguenza  che  il  termine  necessario  a
prescrivere  dovrebbe comunque determinarsi con riferimento al regime
previsto per le pene pecuniarie (nuovo art. 157, comma primo).
    Quest'ultima  osservazione non e' condivisibile perche' poggia su
un  assunto  erroneo,  in  quanto non tiene conto dell'art. 52, comma
terzo,  d.lgs.  cit.,  che prevede che nei casi di recidiva reiterata
infraquinquennale   si   deve  applicare  la  pena  della  permanenza
domiciliare o quella del lavoro di pubblica utilita', salvo che siano
ritenute prevalenti o equivalenti le circostanze attenuanti.
    Relativamente  a quest'ultimo inciso, si sottolinea come il nuovo
art. 157  c.p.  stabilisce  che  il tempo necessario a prescrivere si
determina  senza  tener  conto  delle  circostanze attenuanti e delle
aggravanti,  fatta  eccezione  per  le  aggravanti  per  cui la legge
stabilisce  una  pena  di  specie  diversa  da quella ordinaria e per
quelle ad effetto speciale, nel qual caso si tiene conto dell'aumento
massimo  di  pena  previsto  (comma  secondo). Inoltre, il successivo
terzo  comma  stabilisce  che non si deve tener conto del giudizio di
comparazione ex art. 69 c.p.
    Cio'  significa  che  in  caso  di  contestazione  della recidiva
reiterata  infraquinquennale  in ordine ad un reato di competenza del
giudice  di pace, diverso da quelli di cui al comma primo ed al comma
secondo, lett. a), primo periodo, dell'art. 52 (stante il disposto di
cui  al  comma quarto), il tempo necessario a prescrivere deve essere
determinato  con  esclusivo  riferimento  alle  pene principali della
permanenza domiciliare o del lavoro di pubblica utilita'. Infatti, da
un  lato  deve  tenersi conto del trattamento sanzionatorio riservato
alla    ipotesi    di    contestazione   della   recidiva   reiterata
infraquinquennale  in  quanto si tratta di circostanza aggravante per
cui  viene  prevista  una  pena  diversa  da  quella ordinaria (nuovo
art. 157,  comma secondo) e, dall'altro, non puo' tenersi conto della
prevalenza  o  della equivalenza con le attenuanti (stante il divieto
di  cui  al  comma  terzo),  con  la  conseguenza  che, ai fini della
determinazione  del  tempo  necessario  a  prescrivere,  si deve aver
riguardo, in questi casi, solo alle pene diverse, anche nella ipotesi
in  cui  il  giudice,  in  sede di decisione, ritenga di risolvere la
comparazione  con  le  attenuanti con un giudizio di equivalenza o di
prevalenza di queste ultime.
    Risulta,  pertanto,  confutata  l'affermazione secondo cui non vi
sarebbe  un  caso  in cui la prescrizione dei reati di competenza del
giudice  di  pace  deve  essere determinata con riferimento esclusivo
alle pene diverse da quelle ordinarie.
    Ed  allora,  e  con cio' si entra nel vivo della questione di non
manifesta  infondatezza,  appare  dimostrato  che per le ipotesi piu'
gravi  di competenza del giudice di pace, in cui sia stata contestata
la  recidiva reiterata infraquinquennale, il tempo di prescrizione e'
pari a tre anni ai sensi del nuovo art. 157, comma quinto.
    Pertanto,  la fattispecie di cui all'art. 52, comma terzo, d.lgs.
cit.,  puo'  certamente  costituire  il  termine  di  paragone  a cui
ancorare  il  giudizio  di  ragionevolezza ex art. 3 Costituzione, in
quanto  all'ipotesi  piu'  grave di competenza del giudice di pace e'
riservato  un  trattamento normativo persino piu' favorevole rispetto
alle  ipotesi  meno  gravi  punite  con  la sola pena pecuniaria, con
evidente violazione del principio di uguaglianza.
    Nel presente giudizio, infatti, essendo stati contestati il reato
di  cui all'art. 612, comma primo, c.p. punito con la sola pena della
multa  ed  il reato di cui all'art. 594 c.p., punito alternativamente
con  la  pena della reclusione sino a sei mesi o della multa, risulta
applicabile   solo   la  pena  pecuniaria,  secondo  quanto  previsto
rispettivamente dall'art. 52, comma primo, e comma secondo, lett. a),
primo  periodo,  d.lgs.  cit.  Di  conseguenza, il tempo necessario a
prescrivere   va  individuato  con  riferimento  a  quanto  stabilito
dall'art. 157, comma primo, c.p. stante l'inequivoco tenore letterale
dell'inciso  finale  di  quest'ultima norma, per cui - trattandosi di
delitti - il termine minimo e' fissato in sei anni.
    Al   fine  di  evidenziare  tale  macroscopica  incongruenza,  e'
sufficiente  osservare  che  i  reati oggetto di questo giudizio sono
soggetti  alla  prescrizione minima di sei anni, mentre qualora fosse
stata  contestata  la  recidiva reiterata infraquinquennale in ordine
alla  ipotesi  piu' grave di cui al terzo comma dell'art. 594 c.p. il
termine  necessario  a  prescrivere  sarebbe  stato  pari ad anni tre
(stante  il  combinato  disposto di cui agli artt. 52, comma secondo,
lett. a),  secondo  periodo,  e  comma  terzo,  d.lgs.  cit., e nuovo
art. 157, commi secondo, terzo e quinto, c.p.).
    3. - Inammissibilita' di una interpretazione adeguatrice.
    Vi   e'   anche  chi  ha  osservato  che  -  una  volta  ritenuta
l'applicabilita'  del nuovo art. 157, comma quinto, alle pene diverse
previste   per   i   reati  di  competenza  del  giudice  di  pace  -
l'incongruenza normativa risultante dal diverso trattamento riservato
ai   reati  puniti  con  la  sola  pena  pecuniaria  dovrebbe  essere
neutralizzata       attraverso      un'interpretazione      analogica
costituzionalmente  orientata, nel senso che il regime normativo piu'
favorevole  dovrebbe  essere esteso a tutti i reati di competenza del
giudice di pace ivi compresi (a maggior ragione) quelle puniti con la
sola pena pecuniaria.
    La tesi, pero', non appare condivisibile.
    Non  si  ignora,  infatti,  che il divieto ex art. 14 preleggi e'
ritenuto  operativo  solo nei casi di intepretazione in malam partem,
ma  l'ostacolo,  nella  fattispecie  in  esame, non e' costituito dal
divieto  suddetto,  bensi' dalla previsione di cui all'art. 12, comma
secondo,  delle preleggi che subordina il ricorso all'interpretazione
analogica  ai  casi  in cui il giudizio non possa essere deciso sulla
base  di  una  precisa  disposizione.  Ebbene,  come  gia'  rilevato,
l'inciso  finale  del  comma primo del nuovo art. 157 c.p. non lascia
spazio  per  un'interpretazione  diversa, posto che il legislatore ha
stabilito  in  maniera inequivoca che nei casi di reati puniti con la
sola  pena pecuniaria il termine minimo di prescrizione e' di quattro
anni  se  si  tratta di contravvenzioni e di sei anni se si tratta di
delitti, senza fare alcuna eccezione in ordine ai reati di competenza
del  giudice  di  pace.  L'univoco  tenore  letterale della norma non
consente  una  diversa  interpretazione  adeguatrice, secondo il noto
brocardo in claris non fit interpretatio.
    Va  da  se', pero', che l'attuale regime normativo e' palesemente
affetto  da  irragionevolezza,  in  quanto  i  reati  meno  gravi  di
competenza  del  giudice  di  pace puniti con la sola pena pecuniaria
restano  sempre  soggetti  al termine di prescrizione di cui al comma
primo  dell'art. 157 c.p. (quattro anni se contravvensioni e sei anni
se  delitti)  anche  quando  siano  commessi  dai  recidivi reiterati
infraquinquennali,  stante  il  disposto  di  cui  all'art. 52, comma
quarto,  mentre i piu' gravi reati di cui all'art. 52, comma secondo,
lett. a),  secondo  periodo, lett. b) e c), se e' stata contestata la
recidiva reiterata infraquinquennale, sono soggetti alla prescrizione
triennale  stante  il  combinato disposto di cui agli artt. 52, comma
terzo,  d.lgs. cit., e nuovo art. 157, commi secondo, terzo e quinto,
c.p.
    Pertanto,  nella  impossibilita'  di  una diversa interpretazione
costituzionalmente  orientata,  la  questione  va  rimessa al giudice
delle leggi.
                              P. Q. M.
    Visti gli artt. 134 Cost., 23 e segg. legge n. 87 del 1953;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 157,  comma primo, c.p., come
sostituito  dall'art. 6  legge  5 dicembre 2005, n. 251, in relazione
all'art. 3  della Costituzione, nella parte in cui prevede il termine
minimo  di  prescrizione  di anni sei per i delitti e di anni quattro
per  le  contravvenzioni,  anziche'  di  anni  tre, anche per i reati
puniti  con  la  sola  pena pecuniaria attribuiti alla competenza del
giudice  di  pace ai sensi dell'art. 4, commi primo e secondo, d.lgs.
28 agosto 2000, n. 274;
    Sospende il giudizio in corso e dispone la immediata trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale;
    Ordina  che  la presente ordinanza, a cura della cancelleria, sia
notificata  al  Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai
Presidenti delle due Camere.
        Grosseto, addi' 14 marzo 2006
                       Il giudice: Compagnucci
06C1021