N. 499 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 febbraio 2006

Ordinanza   emessa   il   24  febbraio  2006  (pervenuta  alla  Corte
costituzionale  l'11 ottobre  2006)  dal  tribunale  di  Bolzano  nel
procedimento civile promosso da P.M. ed altro

Filiazione   -   Cognome   dei   figli  naturali  -  Figlio  naturale
  riconosciuto  contemporaneamente  da entrambi i genitori - Acquisto
  automatico  del  cognome  del  padre  -  Impossibilita' di libera e
  concordata  scelta  da  parte  dei  genitori  -  Irragionevolezza -
  Lesione   del   diritto   all'identita'  personale  della  prole  -
  Discriminazione  in danno della madre - Violazione del principio di
  eguaglianza   fra   uomo   e   donna   -   Richiamo  agli  obblighi
  internazionali assunti dall'Italia.
- Codice civile, art. 262, primo comma, seconda frase.
- Costituzione,  artt.  2  e 3; Convenzione sull'eliminazione di ogni
  forma  di discriminazione nei confronti della donna, adottata a New
  York  il  18  dicembre  1979,  ratificata  con legge 14 marzo 1985,
  n. 132,  art.  16;  Raccomandazioni del Consiglio Europeo 28 aprile
  1995, n. 1271 e 18 marzo 1998, n. 1362.
(GU n.46 del 22-11-2006 )
                       IL TRIBUNALE DI BOLZANO

    Ha   emesso,   nel   procedimento   di  volontaria  giurisdizione
n. 2918/04  R.C.C.,  promosso da M. P. e R. P. nella loro qualita' di
genitori  della figlia minore C. P., entrambi giusta delega a margine
del  ricorso introduttivo rappresentati e difesi dagli avv. dott. Ivo
Tschurtschenthaler  e dott. Alexia Aichner di Brunico, nel cui studio
in Brunico hanno eletto domicilio, ricorrenti, la seguente ordinanza.
    Premesso  che  con  ricorso  ai sensi dell'art. 95 del d.P.R. del
3 novembre  2000,  n. 396  M.  P.  e  R.  P.,  nella loro qualita' di
genitori  della  comune  figlia  C.  P.  (nata  il  13 novembre 2002)
chiedevano,  che  questo  Tribunale  disponesse  il  cambiamento  del
cognome  della  figlia da «P..........» in «P..........» ed ordinasse
la corrispondente rettifica dell'atto di nascita.
    I   ricorrenti  riferivano  di  non  essere  coniugati,  di  aver
riconosciuto contestualmente la figlia esprimendo, nell'occasione, il
desiderio   che  questa  portasse  il  cognome  della  madre,  ossia,
«P..........».  Nonostante  cio'  l'Ufficiale  dello Stato Civile del
comune  di  Brunico  aveva,  sulla  base  della  denuncia  di nascita
contenente   il   contestuale  riconoscimento  della  figlia  comune,
raccolta   in   data   15 novembre   2002   dal  direttore  sanitario
dell'Ospedale  di San Candido, trascritto il cognome «P.........» nel
registro degli atti di nascita.
    Nel  corso  del  procedimento  veniva  escussa  la  teste  M. T.,
dipendente  dell'Ospedale di San Candido, che confermava il desiderio
espresso  dai  genitori  odierni  ricorrenti  di veder assegnato alla
figlia il cognome della madre «P..........».
    Ritenuto  ai  sensi dell'art. 262, comma 1, cod. civ., in caso di
riconoscimento  contemporaneo  da  parte  di  entrambi  i genitori il
figlio naturale si vede automaticamente assegnato il cognome paterno,
senza che ai genitori sia riconosciuta alcuna facolta' decisionale in
proposito.  Tale  precisa  disposizione  normativa  osta, nel caso in
esame,  all'accoglimento  della  comune  richiesta  di  modifica  del
cognome  della  minore,  con  assegnazione  a lei del nome materno al
posto di quello paterno e conseguente rettifica dell'atto di nascita.
La  decisione sulla domanda va adottata in applicazione dell'art. 262
c.c. che quindi risulta determinante, ai fini del giudizio.
    La  questione  di  costituzionalita'  della  norma, sollevata dai
procuratori dei ricorrenti, pare essere non manifestamente infondata.
    Come   le  disposizioni  sulla  trasmissione  del  cognome  nella
famiglia  legittima,  anche  la  norma ex art. 262, comma 1, c.c., si
fonda  sul principio della precedenza accordata alla trasmissione del
cognome paterno. Tale principio s'inserisce nella visione patriarcale
della  famiglia,  di  cui al codice civile del 1942 e testi normativi
precedenti.  Il  legislatore cosi' da un lato fa prevalere il cognome
paterno,  quindi  il  sesso  maschile, quale espressione della patria
potestas;  dall'altro  ha,  probabilmente nell'intento di tutelare il
figlio nato fuori dal matrimonio ma inserito in una presunta famiglia
di  fatto,  ritenuto di applicare a questa la disciplina regolante la
famiglia   legittima.   All'apparenza  il  legislatore,  in  caso  di
riconoscimento contestuale del figlio naturale ad opera di entrambi i
genitori,  partiva dal presupposto dell'esistenza di stabile rapporto
di  convivenza,  ragion  per  cui  regolamentava  la trasmissione del
cognome in modo analogo a quello valido per il caso di figlio nato da
genitori uniti in matrimonio.
    Sorgono,  sotto  diversi  aspetti,  dubbi di costituzionalita' in
riguardo  alla  preferenza  attribuita,  anche  in caso di filiazione
naturale,  alla  trasmissione  dei  cognome paterno rispetto a quello
materno.
    a) Violazione dell'art. 2 della Costituzione.
    Il   nome   costituisce  una  delle  espressioni  piu'  rilevanti
dell'identita'   personale   che   e'   tutelata   dall'art. 2  della
Costituzione  (si  veda Corte cost. n. 297/1996). Non solo identifica
la persona come individuo specifico nell'ambito della societa', ma ha
anche   la   funzione   di   rivelare  la  sua  appartenenza  ad  una
micro-formazione  sociale  qual'e' non solo la famiglia legittima, ma
anche la famiglia di fatto o anche la famiglia costituita da figlio e
un  solo  genitore,  anche in assenza di rapporto di convivenza tra i
genitori.  In  questa  accezione la trasmissione del cognome da parte
dell'uno  o  dell'altro  genitore  si  riflette  sull'identificazione
sociale   del  figlio  e  con  cio'  sul  suo  diritto  all'identita'
personale.
    Con la trasmissione del cognome paterno in caso di riconoscimento
contemporaneo  attuato  da  entrambi  i  genitori non coniugali, come
prevista    dall'art. 262,   comma   1,   c.c.,   al   figlio   viene
automaticamente  trasmessa  la  discendenza  paterna e l'attribuzione
sociale  alla  stirpe  paterna,  con  contestuale  preclusione di una
evidenziazione del collegamento con il ramo materno. Tale unilaterale
attribuzione  del  cognome  non e' ne' ragionevole ne' pare avere, in
caso  di  genitori  non  coniugati,  alcun cogente fondamento logico.
Simile  fondamento non pare possa ravvisarsi nella presunzione di una
stabile  convivenza  tra  i  genitori,  basata  sul  solo  fatto  del
contemporaneo   riconoscimento  del  figlio  naturale,  che  potrebbe
giustificare   l'applicazione,  in  via  analogica  della  disciplina
normativa  prevista  per  la  famiglia  legittima.  In primo luogo il
contestuale riconoscimento non puo' - da solo - essere valutato quale
indizio  per  ritenere  esistente la comunione di vita, quando invece
comprova  esclusivamente che entrambi i genitori accettano il bambino
e  sono  disposti  ad  assumere  le  responsabilita'  per  lo  stesso
(art. 261  c.c.).  In  secondo luogo, laddove in effetti sussista una
stabile   convivenza  more  uxorio,  proprio  tale  circostanza  puo'
rivelare  la  consapevole  volonta'  dei  conviventi  di  non vedersi
assoggettati  alle  regole  valide  per il rapporto matrimoniale. Non
pare   quindi   adeguato  insistere,  ciononostante,  sull'automatica
trasmissione del cognome paterno, tanto piu' che detta disciplina non
tutela  ulteriori  interessi  oltre  a quelli della unitarieta' della
famiglia legittima. La fattispecie considerata dall'art. 262, comma 1
c.c.  non  si  riallaccia all'esistenza di una convivenza more uxorio
tra i genitori che hanno effettuato il riconoscimento e non autorizza
neppure la relativa presunzione.
    Con  la  disciplina  esistente neppure viene tutelato l'interesse
del   figlio   alla  conservazione  o  allo  sviluppo  dell'identita'
personale, posto che in concreto potrebbe risultare assai piu' vicino
al  ceppo  materno.  Soprattutto nei casi in cui il padre non convive
con  il  figlio,  il  portare  il cognome paterno non necessariamente
risponde  meglio  ai suoi interessi - si pensi a tutte le situazioni,
in  cui  il  padre  biologico,  dopo iniziale entusiasmo e nonostante
riconoscimento,  si  sia  in  seguito defilato senza piu' minimamente
preoccuparsi  della  prole;  in simile caso non sussiste tra figlio e
ramo paterno alcun legame ne' sociale ne' affettivo, che debba essere
pubblicamente manifestato tramite l'attribuzione del cognome paterno.
    Del  pari  non  sussiste ne' principio ne' necessita', per cui la
trasmissione del nome debba essere uguale per piu' figli degli stessi
genitori non coniugati; lo stesso art. 262 c.c. permette, che in caso
di  riconoscimento  non contemporaneo il figlio assuma il cognome del
genitore  che  per  primo  li  riconosce, e che in caso di precedente
riconoscimento  da parte della madre possa, successivamente e dopo il
riconoscimento da parte del padre, assumere il cognome paterno (comma
20,  art. 262  c.c.).  La  disposizione  non richiede poi, che ove vi
siano  piu'  figli  nati  dagli stessi genitori non coniugati, questi
debbano per forza portare tutti lo stesso cognome. Potrebbe avverarsi
l'ipotesi di fratelli bilaterali con diversi cognomi, laddove uno dei
figli  sia stato riconosciuto prima dalla madre, il secondo dal padre
o  contemporaneamente da entrambi i genitori, senza che vi sia stata,
per  il primo, istanza di cambiamento del nome dopo il riconoscimento
anche da parte del padre ex art. 262 c.c., comma 2.
    Concludendo   puo'   affermarsi   che  il  diritto  all'identita'
personale  della  prole, tutelato dall'art. 2 della Costituzione, che
bene  puo'  estrinsecarsi anche nel portare il cognome materno, venga
leso  alla  trasmissione  automatica del cognome paterno nel caso del
riconoscimento  contemporaneamente  effettuato da parte di entrambi i
genitori, come prevista dall'art. 262, comma 1 c.c.
    b) Violazione dell'art. 3 della Costituzione.
    La  norma  per  cui  in  caso  di riconoscimento contemporaneo di
figlio  naturale  a  questi automaticamente sia attribuito il cognome
paterno,  pare  ledere il principio di uguaglianza tra uomo e donna a
danno  di  quest'ultima.  Viene  attribuita  la prevalenza al cognome
paterno,  senza  che  la  madre  abbia la possibilita' di trasmettere
invece  il  suo  cognome.  Da  un  lato  questa  non puo' impedire il
riconoscimento  contemporaneo  da parte del padre; dall'altro neppure
il  consenso  esplicito del padre e' idoneo per trasmettere al figlio
il cognome materno.
    La  norma  determina  pertanto una discriminazione della madre (e
quindi  della  donna  in  generale), nonostante alla stessa, anche in
caso  di  filiazione naturale, il rinvio contenuto nell'art. 261 c.c.
garantisca  gli  stessi  diritti  e doveri che spettano al padre, nei
confronti del figlio.
    Nel  contesto appare utile richiamare gli obblighi internazionali
assunti dall'Italia, posto che gli stessi, quale concrete espressioni
del  principio fondamentale di uguaglianza, possono fornire un valido
criterio interpretativo. La convenzione dell'ONU del 18 dicembre 1979
per  l'eliminazione  di  ogni  forma di discriminazione nei confronti
della  donna,  ratificata  con  legge  14 marzo 1985, n. 132, prevede
all'art. 16,  recante  «Tutela  nel matrimonio e nella famiglia», che
gli  Stati  contraenti  debbano  adottare  tutte  le misure idonee ad
eliminare la discriminazione della donna nell'ambito del matrimonio e
della  famiglia e debbano, sulla base della parita' fra uomo e donna,
altresi' garantire:
        «d) gli  stessi  diritti  e  le  stesse  responsabilita' come
genitori,  indipendentemente  dalla  situazione  matrimoniale,  nelle
questioni  che  si riferiscono ai figli in ogni caso, l'interesse dei
figli sara' la considerazione preminente;
        g) gli  stessi  diritti  personali  al  marito e alla moglie,
compresa  la  scelta  del  cognome,  di  una  professione  o  di  una
occupazione».
    Le  raccomandazioni  del  Consiglio  europeo  n. 1271  del 1995 e
n. 1362  del  1998  sanciscono  che il mancato rispetto della stretta
uguaglianza  tra  madre e padre nella trasmissione del nome contrasta
con il principio fondamentale di uguaglianza.
    Queste  fonti internazionali confermano e rafforzano il dubbio di
incostituzionalita'  dell'art. 262, comma 1, seconda frase c.c., gia'
emerso dalla lettura dell'art. 3 della Costituzione.
    c) In  conclusione,  questo  tribunale  ritiene  che la decisione
sulla  costituzionalita'  della  norma  in  oggetto  non  possa farsi
dipendere    dal    fatto    che    un'eventuale    declaratoria   di
incostituzionalita'  renderebbe  praticabili  piu'  opzioni  in punto
scelta    del   cognome   per   il   figlio   naturale   riconosciuto
contestualmente   da   padre   e  madre,  scelta  questa  rimessa  al
legislatore  che  l'avrebbe gia' compiuta accordando la preferenza al
cognome paterno. La discrezionalita' del legislatore nella scelta fra
piu'  soluzioni  astrattamente possibili e' insuscettibile di censura
solo  laddove  operi nell'ambito dei limiti posti dalla Costituzione.
Laddove  invece  siano  violati  i  limiti  costituzionali  non  pare
possibile   esimersi   dalla   declaratoria   di  incostituzionalita'
semplicemente    adducendo    che   questa   creerebbe   una   lacuna
nell'ordinamento,  colmabile  solo  dal legislatore nell'ambito della
sua  discrezionalita'; si rischierebbe di porre in sospeso il sistema
di tutela costituzionale garantita al cittadino.
                              P. Q. M.
    Dichiara  rilevante  per  la decisione del ricorso in esame e non
manifestamente  infondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 262,  comma  1,  seconda  frase,  cod.  civ.,  per sospetta
violazione  degli  artt. 2  e  3 della Costituzione, laddove la norma
invocata  dispone,  per  il  caso  di  contestuale riconoscimento del
figlio  naturale  operata  da  entrambi  i  genitori, la trasmissione
automatica  dei  cognome  paterno,  anziche'  consentire  ai genitori
libera e concordata scelta;
    Dispone   la   sospensione   del   presente   procedimento  e  la
trasmissione  degli atti alla Corte costituzionale, la notifica della
presente  ordinanza  al  Presidente  del  Consiglio  dei ministri, la
comunicazione della presente ordinanza ai Presidenti della Camera dei
deputati e del Senato della Repubblica;
    Si comunichi alle parti.
        Bolzano, addi' 24 febbraio 2006
                   Il presidente estensore: Roilo
                         LANDESGERICHT BOZEN
                     ERSTE ABTEILUNG FÜR ZIVILSACHEN
    Das Landesgericht Bozen, in Zusammensetzung der Richter:
    Dr. Elisabeth ROILO Präsident u. Berichterstatter
    Dr. Andrea PAPPALARDO Richter
    Dr. Serena ALINARI Richter
    erlässt  im  außerstreitigen  Verfahren, Aktenzeichen Nr. 2918/04
R.C.C., eingeleitet von
    M. P.
    R. P.
    in  ihrer Eigenschaft als Eltern der mindeijährigen Tochter C. P.
,  beide gemäß Vollmacht am Rande des einleitenden Rekurses vertreten
und verteidigt von den prozessbevollmächtigten Rechtsanwälten Dr. Ivo
Tschurtschenthaler  und  Dr.  Alexia  Aichner  aus  Bruneck, in deren
Studio sie ihr Zustelldomizil erwählt haben,
Rekurswerber
    folgenden
                             BESCHLUSS:
                           Vorausgeschickt
    Mit  Rekurs  im  Sinne  des  Art.  95  DPR vom 03.11.2000 Nr. 396
beantragten  M.  P.  und  R.  P.  in ihrer Eigenschaft als Eltern der
gemeinsamen  Tochter C. P. (geboren am 13.11.2002), das Landesgericht
möge  die  Änderung des Nachnamens ihrer Tochter von ,,P. " in ,,P. "
verfügen  und  die  entsprechende  Richtigstellung der Geburtsurkunde
anordnen.
    Die  Antragsteller  flihrten aus, nicht verheiratet zu sein, ihre
Tochter  gleichzeitig  anerkannt  und  dabei  den  Wunsch geäußert zu
haben,   diese   möge   den   Nachnamen   der  Mutter,  also  «P.  »,
tragen. Dennoch  habe der Standesbeamte der Gemeinde Bruneck aufgrund
der  vom  Sanitätsdirektors  des Krankenhauses Innichen aufgenommenen
Geburtsanzeige  vom 15.11.2002, welche auch die gleichzeitig erfolgte
Anerkennung  des  gemeinsamen Kindes enthielt, den Nachnamen "P." ins
Geburtenregister eingetragen.
    Im  Zuge  des Verfahrens wurde die Zeugin M. T. , Bedienstete des
Krankenhauses  Innichen,  einvernommen, welche den von den Eltern und
heutigen Antragstellern geäußerten Wunsch bestätigte, der Tochter den
Nachnamen der Mutter "P." verliehen zu sehen.
                              Erachtet
    Nach  Maßgabe  des  Art. 262 Abs. 1, 2. Satz ZGB erhält das nicht
ehelich  geborene  Kind  bei  gleichzeitiger  Anerkennung durch beide
Eltern  automatisch  den  Nachnamen  des Vaters, ohne dass den Eltern
diesbezüglich  irgend  eine  Entscheidungsmöglichkeit  zuerkannt ist.
Besagte  genau definierte Gesetzesnorm steht in gegenständlichem Fall
der Annahme des gemeinsamen Antrags auf Abänderung des Nachnamens der
Minderjährigen  entgegen, wonach ihr, bei entsprechender Berichtigung
der   Geburtsurkunde,  der  mütterliche  an  Stelle  des  väterlichen
Nachnamens  zuzuerkennen  wäre.  Die Entscheidung über den Antrag ist
also  in  Anwendung  des  Art.  262  ZGB  zu  treffen;  die  genannte
Gesetzesnorm ist somit fih das Verfahren erheblich.
    Die  vom  Prozessbevollmächtigten  der Antragsteller aufgeworfene
Frage  der Verfassungsmäßigkeit der besagten Vorschrift scheint nicht
offensichtlich unbegründet zu sein.
    Wie  die  Vorschriften über die Namensweitergabe in der ehelichen
Familie,  beruht  auch die Vorschrift des Art. 262 Abs. 1 ZGB auf dem
Prinzip  des  Vorrangs der Weitergabe des Vaternamens. Dieses Prinzip
entspricht  der  im  Zivilgesetzbuch  von  1942  und  schon  früheren
Gesetzgebungen  enthaltenen  patriarchalen  Tradition  und  Sicht der
Familie.  Der Gesetzgeber lässt somit einerseits den Vaternamen, also
das  männliche  Geschlecht  als Ausdruck der patria potestas schwerer
wiegen;   andererseits   wollte   er   wohl,  wahrscheinlich  um  das
außerehelich  geborene  aber  in  eine vermeintliche de facto Familie
eingegliederte  Kind  zu  schützen, auf dieselbe die für die legitime
Familie   geltenden   Vorschriften   anwenden. Der  Gesetzgeber  ging
anscheinend   bei   der   gleichzeitig   erfolgten   Anerkennung  des
unehelichen Kindes durch beide Eltern von einer bestehenden, stabilen
Lebensgemeinschaft  aus,  weswegen  er die Namensweitergabe analog zu
jener  regelte,  die  für  Kinder von verheirateten Eltern zum Tragen
kommt.
    Zweifel an der Verfassungskonformität des auch bei außerehelicher
Kindschaft   dem   väterlichen   vor   dem   mütterlichen   Nachnamen
zugestandenen    Vorrangs    erheben    sich    unter   verschiedenen
Gesichtspunkten.
        a) Verletzung von Art. 2 Verfassung
    Der  Name  ist einer der relevantesten Ausdrücke der persönlichen
Identität,  die als Verfassungsgrundrecht durch Art. 2 der Verfassung
geschützt  ist  (siehe Verfassungsgerichtshof Nr. 297/1996). Er dient
nicht  nur  dazu,  die Person nur als bestimmtes Rechtssubjekt in der
Gesellschaft  zu  identifizieren, sondern hat auch noch die Funktion,
ihre   Zugehörigkeit   zu   einem   mikro-gesellschaftlichen  Gebilde
öffentlich  zum  Ausdruck  zu  bringen,  wie  es  eine  eheliche oder
nichteheliche   Lebensgemeinschaft,  auch  ein  bloßes  Zusammenleben
zwischen Kind und einem Elternteil ohne bestehende Lebensgemeinschaft
zwischen  den  Eltern,  sein  kann. In  diesem  Sinne  wirkt sich die
Namensweitergabe  durch  den  einen  oder  anderen Elternteil auf die
soziale  Identifizierung  des  Kindes  und somit auf dessen Recht auf
persönliche Identität aus.
    Durch  die  von  Art.  262  Abs. 1 ZGB vorgesehene Weitergabe des
Vaternamens im Falle der gleichzeitiger Anerkennung durch beide nicht
verheiratete   Eltern   wird  dem  Kind  automatisch  die  väterliche
Abstammung   und   die  gesellschaftliche  Zuordnung  zum  Vaterstamm
vermittelt,  gleichzeitig  bleibt  ihm  die Zuordnung zum Mutterstamm
verwehrt.  Diese  einseitige  Namenszuordnung  hat,  im  Falle  nicht
verheirateter  Eltern,  keine vernünffige und schon gar keine logisch
zwingende  Grundlage.  Eine solche kann keinesfalls auf der Vermutung
beruhen,  dass  bei  gleichzeitiger Anerkennung des Kindes die Eltern
wahrscheinlich in einer stabilen eheähnlichen Gemeinschaft leben, was
allenfalls  die  analoge  Anwendung  der für die Nachkommenschaft von
verheirateten Paaren geltenden Regeln rechtfertigen könnte.
    Zum  einen kann die gleichzeitige Anerkennung in keiner Weise als
überzeugendes  Indiz  für das tatsächlich Bestehen einer eheähnlichen
Lebensgemeinschaft  gewertet  werden,  sondern  einzig und allein als
Nachweis  dafür,  dass  beide Eltern zu dem Kind stehen, es somit als
ihres anerkennen und dafür auch rechtlich Verantwortung tragen wollen
(siehe  Art.  261  ZGB).  Zum  zweiten  kann, sollte tatsächlich eine
nichteheliche  stabile  Lebensgemeinschaft  bestehen,  gerade  dieser
Umstand  dafür  bezeichnend  sein,  dass sich die Partner aus eigenem
Willen  und  in  selbstbewusster  Weise  den  für  die  Ehe geltenden
Gesetzesvorschriften  eben nicht unterwerfen wollen. Daher scheint es
unpassend,  trotzdem  -  wie  im  Falle  der  bestehenden  Ehe  - die
automatische  Weitergabe  des  Vaternamens  zu befürworten, zumal die
genannte  Regelung  kein  anderes  Interesse  schützt,  als jenes der
Bezeugung  der  Einheit  der  ehelichen Familie. Der von Art. 262, 1.
Absatz,  2.  Satz  ZGB  vorgegebene  Tatbestand  beruht nicht auf dem
Bestehen  einer  eheähnlichen  Lebensgemeinschaft  der  anerkennenden
Eltern   und  lässt  auch  nicht  notwendigerweise  auf  eine  solche
schließen.
    Durch die bestehende Regelung wird das Interesse auf Wahrung bzw.
Entwicklung  der  persönlichen  Identität  des Kindes nicht unbedingt
geschützt,  da dieses durchaus dem Mutterstamm näher stehen kann. Vor
allem  in  jenen  Fällen,  in  denen  der  Vater  nicht  mit dem Kind
zusammenlebt,  scheint  das Tragen des Vaternamens nicht vorrangig im
Interesse  des  Kindes zu sein - man denke an all die Situationen, in
denen  der biologische Vater, nach anfänglichem Überschwang und trotz
erfolgter  Anerkennung,  sich  wieder  verabschiedet  und sich um die
Nachkommenschaft  nicht kümmert, es zwischen Vaterstamm und Kind also
weder zu gesellschaftlicher noch zu gefühlsmäßiger Bindung kommt, die
durch   die  Weitergabe  des  väterlichen  Nachnamens  öffentlich  zu
bezeugen ist.
    Auch  gibt  es kein Prinzip und keine Notwendigkeit, nach dem die
Namensweitergabe  für  alle  Kinder zweier nicht verheirateter Eltern
einheitlich erfolgen müsste, weil derselbe Art. 262 ZGB erlaubt, dass
bei  nicht  gleichzeitig erfolgter Anerkennung das Kind den Nachnamen
des erstanerkennenden Elternteils annimmt, und für den Fall, dass die
Mutter  das  Kind  zuerst  anerkennt,  es  später  -  nach  erfolgter
Anerkennung  auch  durch den Vater - dessen Namen annehmen kann (Abs.
2).  Die  in  Frage  gestellte Norm verlangt auch nicht, dass mehrere
Kinder  derselben  nicht  verehelichten  Eltern  notwendigerweise den
gleichen   Nachnamen   annehmen   müssen. Es   könnte  also  durchaus
vorkommen,   dass   beidseitige  Geschwister  verschiedene  Nachnamen
tragen, beispielsweise wenn das erste Kind zuerst von der Mutter, das
zweite  zuerst  vom  Vater  oder  auch gleichzeitig von beiden Eltern
anerkannt  wird,  ohne  dass für das erste die Namensänderung ex Art.
262 ZGB, 2. Abs. beantragt wird.
    Abschließend  kann  festgehalten  werden,  dass  das durch Art. 2
Verf, geschützte Recht auf persönliche Identität des Kindes, das sich
auch  im  Tragen  des  Namens der Mutter äußern kann, von der im Art.
262,   1.  Absatz,  ZGB  vorgesehenen  automatischen  Weitergabe  des
Vaternamens   bei   gleichzeitiger  Anerkennung  durch  beide  Eltern
verletzt wird.
    b) Verletzung des Art. 3 Verfassung
    Die  Vorschrift,  wonach  bei gleichzeitiger Anerkennung dem Kind
automatisch  der Vaternamen zugeteilt wird, scheint den in Art. 3 der
Verfassung  enthaltenen Gleichheitsgrundsatzes zwischen Mann und Frau
zum Schaden letzterer zu verletzen.
    Dem  Vaternamen wird der Vorrang einräumt und die Kindsmutter hat
keine Möglichkeit, ihren Nachnamen weiterzugeben. Einerseits kann sie
nicht  die  gleichzeitige  Anerkennung  des  Kindes  durch den Vaters
verhindern;  andererseits ist selbst das ausdrückliche Einverständnis
des Vaters nicht geeignet, dem Kind den Mutternamen weiterzugeben.
    Die  Regelung läuft also auf eine Diskriminierung der Mutter (und
somit  des  weiblichen  Geschlechts)  hinaus, obwohl der Kindsmutter,
auch  im  Falle  unehelicher  Nachkommenschaft aufgrund des Verweises
nach  Art.  261  ZGB dem Kind gegenüber die gleichen Rechte zuerkannt
bzw. auferlegt sind, wie dem Vater.
    Im  Zusammenhang  scheint  ein  Hinweis  auf  die internationalen
Verpflichtungen   Italiens  angebracht;  diese  können  immerhin  als
konkrete   Ausformungen  des  Gleichheitsgrundsatzes  ein  wertvolles
Interpretationskriterium    darstellen. Das   im   Rahmen   der   UNO
abgeschlossene  Übereinkommen  vom  18. Dezember 1979 zur Beseitigung
jeder  Form  von Diskriminierung der Frau, ratifiziert mit Gesetz 14.
März  1985 Nr. 132 sieht laut Art. 16 unter dem Titel ,,Schutz in der
Ehe  und  der  Familie" vor, dass die Vertragsstaaten alle geeigneten
Maßnahmen  zur  Beseitigung  der Diskriminierung der Frau in Ehe- und
Familienfragen   zu   setzen   haben   und   auf  der  Grundlage  der
Gleichberechtigung  von  Mann  und  Frau insbesondere folgende Rechte
gewährleisten müssen:
    ,,d)  gleiche  Rechte  und Pflichten als Eltern, ungeachtet ihres
Familienstands,  in  allen  ihre Kinder betreffenden Fragen; in jedem
Fall sind die Interessen der Kinder vorrangig zu berücksichtigen;
    g) die gleichen persönlichen Rechte als Ehegatten, einschließlich
des  Rechts  auf  Wahl  des  Familiennamens,  eines  Berufs und einer
Beschäftigung;"
    Die  Empfehlungen  des Europarates Nr. 1271 von 1995 und Nr. 1362
von 1998 erklären die Missachtung der anerkannten Gleichheit zwischen
Mutter  und Vater in der Weitergabe des Familiennamens im Widerspruch
zum Gleichheitsgrundsatz.
    Diese internationalen Rechtsquellen bestätigen und verstärken die
schon  aus  Art.  3  der  Verfassung  zu  entnehmenden Zweifel an der
Verfassungsmäßigkeit des Art. 262 Abs. l, Satz 2 ZGB.
    c)  Abschließend  vertritt  dieses  Gericht die Ansicht, dass die
Entscheidung   über  die  Verfassungsmäßigkeit  der  gegenständlichen
Vorschrift  nicht  davon  abhängig gemacht werden kann, dass sich bei
einer   etwaigen   Feststellung   der  Verfassungswidrigkeit  mehrere
mögliche  Lösungen  für  die  Namenswahl  ergeben, zwischen denen der
Gesetzgeber  zu  wählen  hätte; die Wahl hätte dieser bereits mit dem
Vorzug  des  Vaternamens  getroffen. Das  Ermessen  des  Gesetzgebers
bezüglich   der   Auswahl  zwischen  verschiedenen  sich  anbietenden
Lösungen ist nur im Rahmen der gesetzten verfassungsmäßigen Schranken
unzensierbar.  Wird  aber  diese  Schranke der Verfassungskonformität
missachtet,  kann  von  der  Erklärung  der Verfassungswidrigkeit der
beanstandeten  Rechtsnorm nicht mit Berufung auf das Argument Abstand
genommen   werden,  es  entstehe  eine  Gesetzeslücke,  die  nur  vom
Gesetzgeber  in  Ausübung seines Ermessens ausgefüllt werden könnte -
auf  diese  Weise  bliebe die Wirksamkeit des Schutzes der Bürger vor
verfassungswidrigen Normen dahingestellt.
                         AUS DIESEN GRÜNDEN
                               erklärt
    das  Gericht die Frage nach der Verfassungsmäßigkeit des Art. 262
Abs.  1, 2. Satz ZGB, der im Falle der gleichzeitigen Anerkennung des
nicht  ehelich  geborenen  Kindes durch beide Eltern die automatische
Weitergabe  des  väterlichen  Nachnamens vorsieht, anstatt den Eltern
freie  und  vereinbarte  Wahlmöglichkeit  zu bieten, wegen vermuteter
Verletzung der Art. 2 und 3 Verfassung für entscheidungserheblich und
für nicht offensichtlich unbegründet, und
                               verfügt
    -   die   Aussetzung  des  gegenständlichen  Verfahrens  und  die
Ubennittlung der Prozessunterlagen an den Verfassungsgerichtshof;
    -  die  Zustellung  dieses  Beschlusses  an  den  Präsidenten des
Ministerrats;
    -   die   Mitteilung  des  Beschlusses  an  die  Präsidenten  von
Abgeordnetenkammer und Senat der Republik.
    Die Kanzlei teile diesen Beschluss den Parteien mit.
    Bozen, am 24.02.2006
          Der Präsident und Verfasser (Dr. E1isabeth Roilo)
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