N. 499 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 febbraio 2006
Ordinanza emessa il 24 febbraio 2006 (pervenuta alla Corte costituzionale l'11 ottobre 2006) dal tribunale di Bolzano nel procedimento civile promosso da P.M. ed altro Filiazione - Cognome dei figli naturali - Figlio naturale riconosciuto contemporaneamente da entrambi i genitori - Acquisto automatico del cognome del padre - Impossibilita' di libera e concordata scelta da parte dei genitori - Irragionevolezza - Lesione del diritto all'identita' personale della prole - Discriminazione in danno della madre - Violazione del principio di eguaglianza fra uomo e donna - Richiamo agli obblighi internazionali assunti dall'Italia. - Codice civile, art. 262, primo comma, seconda frase. - Costituzione, artt. 2 e 3; Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, adottata a New York il 18 dicembre 1979, ratificata con legge 14 marzo 1985, n. 132, art. 16; Raccomandazioni del Consiglio Europeo 28 aprile 1995, n. 1271 e 18 marzo 1998, n. 1362.(GU n.46 del 22-11-2006 )
IL TRIBUNALE DI BOLZANO Ha emesso, nel procedimento di volontaria giurisdizione n. 2918/04 R.C.C., promosso da M. P. e R. P. nella loro qualita' di genitori della figlia minore C. P., entrambi giusta delega a margine del ricorso introduttivo rappresentati e difesi dagli avv. dott. Ivo Tschurtschenthaler e dott. Alexia Aichner di Brunico, nel cui studio in Brunico hanno eletto domicilio, ricorrenti, la seguente ordinanza. Premesso che con ricorso ai sensi dell'art. 95 del d.P.R. del 3 novembre 2000, n. 396 M. P. e R. P., nella loro qualita' di genitori della comune figlia C. P. (nata il 13 novembre 2002) chiedevano, che questo Tribunale disponesse il cambiamento del cognome della figlia da «P..........» in «P..........» ed ordinasse la corrispondente rettifica dell'atto di nascita. I ricorrenti riferivano di non essere coniugati, di aver riconosciuto contestualmente la figlia esprimendo, nell'occasione, il desiderio che questa portasse il cognome della madre, ossia, «P..........». Nonostante cio' l'Ufficiale dello Stato Civile del comune di Brunico aveva, sulla base della denuncia di nascita contenente il contestuale riconoscimento della figlia comune, raccolta in data 15 novembre 2002 dal direttore sanitario dell'Ospedale di San Candido, trascritto il cognome «P.........» nel registro degli atti di nascita. Nel corso del procedimento veniva escussa la teste M. T., dipendente dell'Ospedale di San Candido, che confermava il desiderio espresso dai genitori odierni ricorrenti di veder assegnato alla figlia il cognome della madre «P..........». Ritenuto ai sensi dell'art. 262, comma 1, cod. civ., in caso di riconoscimento contemporaneo da parte di entrambi i genitori il figlio naturale si vede automaticamente assegnato il cognome paterno, senza che ai genitori sia riconosciuta alcuna facolta' decisionale in proposito. Tale precisa disposizione normativa osta, nel caso in esame, all'accoglimento della comune richiesta di modifica del cognome della minore, con assegnazione a lei del nome materno al posto di quello paterno e conseguente rettifica dell'atto di nascita. La decisione sulla domanda va adottata in applicazione dell'art. 262 c.c. che quindi risulta determinante, ai fini del giudizio. La questione di costituzionalita' della norma, sollevata dai procuratori dei ricorrenti, pare essere non manifestamente infondata. Come le disposizioni sulla trasmissione del cognome nella famiglia legittima, anche la norma ex art. 262, comma 1, c.c., si fonda sul principio della precedenza accordata alla trasmissione del cognome paterno. Tale principio s'inserisce nella visione patriarcale della famiglia, di cui al codice civile del 1942 e testi normativi precedenti. Il legislatore cosi' da un lato fa prevalere il cognome paterno, quindi il sesso maschile, quale espressione della patria potestas; dall'altro ha, probabilmente nell'intento di tutelare il figlio nato fuori dal matrimonio ma inserito in una presunta famiglia di fatto, ritenuto di applicare a questa la disciplina regolante la famiglia legittima. All'apparenza il legislatore, in caso di riconoscimento contestuale del figlio naturale ad opera di entrambi i genitori, partiva dal presupposto dell'esistenza di stabile rapporto di convivenza, ragion per cui regolamentava la trasmissione del cognome in modo analogo a quello valido per il caso di figlio nato da genitori uniti in matrimonio. Sorgono, sotto diversi aspetti, dubbi di costituzionalita' in riguardo alla preferenza attribuita, anche in caso di filiazione naturale, alla trasmissione dei cognome paterno rispetto a quello materno. a) Violazione dell'art. 2 della Costituzione. Il nome costituisce una delle espressioni piu' rilevanti dell'identita' personale che e' tutelata dall'art. 2 della Costituzione (si veda Corte cost. n. 297/1996). Non solo identifica la persona come individuo specifico nell'ambito della societa', ma ha anche la funzione di rivelare la sua appartenenza ad una micro-formazione sociale qual'e' non solo la famiglia legittima, ma anche la famiglia di fatto o anche la famiglia costituita da figlio e un solo genitore, anche in assenza di rapporto di convivenza tra i genitori. In questa accezione la trasmissione del cognome da parte dell'uno o dell'altro genitore si riflette sull'identificazione sociale del figlio e con cio' sul suo diritto all'identita' personale. Con la trasmissione del cognome paterno in caso di riconoscimento contemporaneo attuato da entrambi i genitori non coniugali, come prevista dall'art. 262, comma 1, c.c., al figlio viene automaticamente trasmessa la discendenza paterna e l'attribuzione sociale alla stirpe paterna, con contestuale preclusione di una evidenziazione del collegamento con il ramo materno. Tale unilaterale attribuzione del cognome non e' ne' ragionevole ne' pare avere, in caso di genitori non coniugati, alcun cogente fondamento logico. Simile fondamento non pare possa ravvisarsi nella presunzione di una stabile convivenza tra i genitori, basata sul solo fatto del contemporaneo riconoscimento del figlio naturale, che potrebbe giustificare l'applicazione, in via analogica della disciplina normativa prevista per la famiglia legittima. In primo luogo il contestuale riconoscimento non puo' - da solo - essere valutato quale indizio per ritenere esistente la comunione di vita, quando invece comprova esclusivamente che entrambi i genitori accettano il bambino e sono disposti ad assumere le responsabilita' per lo stesso (art. 261 c.c.). In secondo luogo, laddove in effetti sussista una stabile convivenza more uxorio, proprio tale circostanza puo' rivelare la consapevole volonta' dei conviventi di non vedersi assoggettati alle regole valide per il rapporto matrimoniale. Non pare quindi adeguato insistere, ciononostante, sull'automatica trasmissione del cognome paterno, tanto piu' che detta disciplina non tutela ulteriori interessi oltre a quelli della unitarieta' della famiglia legittima. La fattispecie considerata dall'art. 262, comma 1 c.c. non si riallaccia all'esistenza di una convivenza more uxorio tra i genitori che hanno effettuato il riconoscimento e non autorizza neppure la relativa presunzione. Con la disciplina esistente neppure viene tutelato l'interesse del figlio alla conservazione o allo sviluppo dell'identita' personale, posto che in concreto potrebbe risultare assai piu' vicino al ceppo materno. Soprattutto nei casi in cui il padre non convive con il figlio, il portare il cognome paterno non necessariamente risponde meglio ai suoi interessi - si pensi a tutte le situazioni, in cui il padre biologico, dopo iniziale entusiasmo e nonostante riconoscimento, si sia in seguito defilato senza piu' minimamente preoccuparsi della prole; in simile caso non sussiste tra figlio e ramo paterno alcun legame ne' sociale ne' affettivo, che debba essere pubblicamente manifestato tramite l'attribuzione del cognome paterno. Del pari non sussiste ne' principio ne' necessita', per cui la trasmissione del nome debba essere uguale per piu' figli degli stessi genitori non coniugati; lo stesso art. 262 c.c. permette, che in caso di riconoscimento non contemporaneo il figlio assuma il cognome del genitore che per primo li riconosce, e che in caso di precedente riconoscimento da parte della madre possa, successivamente e dopo il riconoscimento da parte del padre, assumere il cognome paterno (comma 20, art. 262 c.c.). La disposizione non richiede poi, che ove vi siano piu' figli nati dagli stessi genitori non coniugati, questi debbano per forza portare tutti lo stesso cognome. Potrebbe avverarsi l'ipotesi di fratelli bilaterali con diversi cognomi, laddove uno dei figli sia stato riconosciuto prima dalla madre, il secondo dal padre o contemporaneamente da entrambi i genitori, senza che vi sia stata, per il primo, istanza di cambiamento del nome dopo il riconoscimento anche da parte del padre ex art. 262 c.c., comma 2. Concludendo puo' affermarsi che il diritto all'identita' personale della prole, tutelato dall'art. 2 della Costituzione, che bene puo' estrinsecarsi anche nel portare il cognome materno, venga leso alla trasmissione automatica del cognome paterno nel caso del riconoscimento contemporaneamente effettuato da parte di entrambi i genitori, come prevista dall'art. 262, comma 1 c.c. b) Violazione dell'art. 3 della Costituzione. La norma per cui in caso di riconoscimento contemporaneo di figlio naturale a questi automaticamente sia attribuito il cognome paterno, pare ledere il principio di uguaglianza tra uomo e donna a danno di quest'ultima. Viene attribuita la prevalenza al cognome paterno, senza che la madre abbia la possibilita' di trasmettere invece il suo cognome. Da un lato questa non puo' impedire il riconoscimento contemporaneo da parte del padre; dall'altro neppure il consenso esplicito del padre e' idoneo per trasmettere al figlio il cognome materno. La norma determina pertanto una discriminazione della madre (e quindi della donna in generale), nonostante alla stessa, anche in caso di filiazione naturale, il rinvio contenuto nell'art. 261 c.c. garantisca gli stessi diritti e doveri che spettano al padre, nei confronti del figlio. Nel contesto appare utile richiamare gli obblighi internazionali assunti dall'Italia, posto che gli stessi, quale concrete espressioni del principio fondamentale di uguaglianza, possono fornire un valido criterio interpretativo. La convenzione dell'ONU del 18 dicembre 1979 per l'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, ratificata con legge 14 marzo 1985, n. 132, prevede all'art. 16, recante «Tutela nel matrimonio e nella famiglia», che gli Stati contraenti debbano adottare tutte le misure idonee ad eliminare la discriminazione della donna nell'ambito del matrimonio e della famiglia e debbano, sulla base della parita' fra uomo e donna, altresi' garantire: «d) gli stessi diritti e le stesse responsabilita' come genitori, indipendentemente dalla situazione matrimoniale, nelle questioni che si riferiscono ai figli in ogni caso, l'interesse dei figli sara' la considerazione preminente; g) gli stessi diritti personali al marito e alla moglie, compresa la scelta del cognome, di una professione o di una occupazione». Le raccomandazioni del Consiglio europeo n. 1271 del 1995 e n. 1362 del 1998 sanciscono che il mancato rispetto della stretta uguaglianza tra madre e padre nella trasmissione del nome contrasta con il principio fondamentale di uguaglianza. Queste fonti internazionali confermano e rafforzano il dubbio di incostituzionalita' dell'art. 262, comma 1, seconda frase c.c., gia' emerso dalla lettura dell'art. 3 della Costituzione. c) In conclusione, questo tribunale ritiene che la decisione sulla costituzionalita' della norma in oggetto non possa farsi dipendere dal fatto che un'eventuale declaratoria di incostituzionalita' renderebbe praticabili piu' opzioni in punto scelta del cognome per il figlio naturale riconosciuto contestualmente da padre e madre, scelta questa rimessa al legislatore che l'avrebbe gia' compiuta accordando la preferenza al cognome paterno. La discrezionalita' del legislatore nella scelta fra piu' soluzioni astrattamente possibili e' insuscettibile di censura solo laddove operi nell'ambito dei limiti posti dalla Costituzione. Laddove invece siano violati i limiti costituzionali non pare possibile esimersi dalla declaratoria di incostituzionalita' semplicemente adducendo che questa creerebbe una lacuna nell'ordinamento, colmabile solo dal legislatore nell'ambito della sua discrezionalita'; si rischierebbe di porre in sospeso il sistema di tutela costituzionale garantita al cittadino.
P. Q. M. Dichiara rilevante per la decisione del ricorso in esame e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 262, comma 1, seconda frase, cod. civ., per sospetta violazione degli artt. 2 e 3 della Costituzione, laddove la norma invocata dispone, per il caso di contestuale riconoscimento del figlio naturale operata da entrambi i genitori, la trasmissione automatica dei cognome paterno, anziche' consentire ai genitori libera e concordata scelta; Dispone la sospensione del presente procedimento e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, la notifica della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri, la comunicazione della presente ordinanza ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica; Si comunichi alle parti. Bolzano, addi' 24 febbraio 2006 Il presidente estensore: Roilo LANDESGERICHT BOZEN ERSTE ABTEILUNG FÜR ZIVILSACHEN Das Landesgericht Bozen, in Zusammensetzung der Richter: Dr. Elisabeth ROILO Präsident u. Berichterstatter Dr. Andrea PAPPALARDO Richter Dr. Serena ALINARI Richter erlässt im außerstreitigen Verfahren, Aktenzeichen Nr. 2918/04 R.C.C., eingeleitet von M. P. R. P. in ihrer Eigenschaft als Eltern der mindeijährigen Tochter C. P. , beide gemäß Vollmacht am Rande des einleitenden Rekurses vertreten und verteidigt von den prozessbevollmächtigten Rechtsanwälten Dr. Ivo Tschurtschenthaler und Dr. Alexia Aichner aus Bruneck, in deren Studio sie ihr Zustelldomizil erwählt haben, Rekurswerber folgenden BESCHLUSS: Vorausgeschickt Mit Rekurs im Sinne des Art. 95 DPR vom 03.11.2000 Nr. 396 beantragten M. P. und R. P. in ihrer Eigenschaft als Eltern der gemeinsamen Tochter C. P. (geboren am 13.11.2002), das Landesgericht möge die Änderung des Nachnamens ihrer Tochter von ,,P. " in ,,P. " verfügen und die entsprechende Richtigstellung der Geburtsurkunde anordnen. Die Antragsteller flihrten aus, nicht verheiratet zu sein, ihre Tochter gleichzeitig anerkannt und dabei den Wunsch geäußert zu haben, diese möge den Nachnamen der Mutter, also «P. », tragen. Dennoch habe der Standesbeamte der Gemeinde Bruneck aufgrund der vom Sanitätsdirektors des Krankenhauses Innichen aufgenommenen Geburtsanzeige vom 15.11.2002, welche auch die gleichzeitig erfolgte Anerkennung des gemeinsamen Kindes enthielt, den Nachnamen "P." ins Geburtenregister eingetragen. Im Zuge des Verfahrens wurde die Zeugin M. T. , Bedienstete des Krankenhauses Innichen, einvernommen, welche den von den Eltern und heutigen Antragstellern geäußerten Wunsch bestätigte, der Tochter den Nachnamen der Mutter "P." verliehen zu sehen. Erachtet Nach Maßgabe des Art. 262 Abs. 1, 2. Satz ZGB erhält das nicht ehelich geborene Kind bei gleichzeitiger Anerkennung durch beide Eltern automatisch den Nachnamen des Vaters, ohne dass den Eltern diesbezüglich irgend eine Entscheidungsmöglichkeit zuerkannt ist. Besagte genau definierte Gesetzesnorm steht in gegenständlichem Fall der Annahme des gemeinsamen Antrags auf Abänderung des Nachnamens der Minderjährigen entgegen, wonach ihr, bei entsprechender Berichtigung der Geburtsurkunde, der mütterliche an Stelle des väterlichen Nachnamens zuzuerkennen wäre. Die Entscheidung über den Antrag ist also in Anwendung des Art. 262 ZGB zu treffen; die genannte Gesetzesnorm ist somit fih das Verfahren erheblich. Die vom Prozessbevollmächtigten der Antragsteller aufgeworfene Frage der Verfassungsmäßigkeit der besagten Vorschrift scheint nicht offensichtlich unbegründet zu sein. Wie die Vorschriften über die Namensweitergabe in der ehelichen Familie, beruht auch die Vorschrift des Art. 262 Abs. 1 ZGB auf dem Prinzip des Vorrangs der Weitergabe des Vaternamens. Dieses Prinzip entspricht der im Zivilgesetzbuch von 1942 und schon früheren Gesetzgebungen enthaltenen patriarchalen Tradition und Sicht der Familie. Der Gesetzgeber lässt somit einerseits den Vaternamen, also das männliche Geschlecht als Ausdruck der patria potestas schwerer wiegen; andererseits wollte er wohl, wahrscheinlich um das außerehelich geborene aber in eine vermeintliche de facto Familie eingegliederte Kind zu schützen, auf dieselbe die für die legitime Familie geltenden Vorschriften anwenden. Der Gesetzgeber ging anscheinend bei der gleichzeitig erfolgten Anerkennung des unehelichen Kindes durch beide Eltern von einer bestehenden, stabilen Lebensgemeinschaft aus, weswegen er die Namensweitergabe analog zu jener regelte, die für Kinder von verheirateten Eltern zum Tragen kommt. Zweifel an der Verfassungskonformität des auch bei außerehelicher Kindschaft dem väterlichen vor dem mütterlichen Nachnamen zugestandenen Vorrangs erheben sich unter verschiedenen Gesichtspunkten. a) Verletzung von Art. 2 Verfassung Der Name ist einer der relevantesten Ausdrücke der persönlichen Identität, die als Verfassungsgrundrecht durch Art. 2 der Verfassung geschützt ist (siehe Verfassungsgerichtshof Nr. 297/1996). Er dient nicht nur dazu, die Person nur als bestimmtes Rechtssubjekt in der Gesellschaft zu identifizieren, sondern hat auch noch die Funktion, ihre Zugehörigkeit zu einem mikro-gesellschaftlichen Gebilde öffentlich zum Ausdruck zu bringen, wie es eine eheliche oder nichteheliche Lebensgemeinschaft, auch ein bloßes Zusammenleben zwischen Kind und einem Elternteil ohne bestehende Lebensgemeinschaft zwischen den Eltern, sein kann. In diesem Sinne wirkt sich die Namensweitergabe durch den einen oder anderen Elternteil auf die soziale Identifizierung des Kindes und somit auf dessen Recht auf persönliche Identität aus. Durch die von Art. 262 Abs. 1 ZGB vorgesehene Weitergabe des Vaternamens im Falle der gleichzeitiger Anerkennung durch beide nicht verheiratete Eltern wird dem Kind automatisch die väterliche Abstammung und die gesellschaftliche Zuordnung zum Vaterstamm vermittelt, gleichzeitig bleibt ihm die Zuordnung zum Mutterstamm verwehrt. Diese einseitige Namenszuordnung hat, im Falle nicht verheirateter Eltern, keine vernünffige und schon gar keine logisch zwingende Grundlage. Eine solche kann keinesfalls auf der Vermutung beruhen, dass bei gleichzeitiger Anerkennung des Kindes die Eltern wahrscheinlich in einer stabilen eheähnlichen Gemeinschaft leben, was allenfalls die analoge Anwendung der für die Nachkommenschaft von verheirateten Paaren geltenden Regeln rechtfertigen könnte. Zum einen kann die gleichzeitige Anerkennung in keiner Weise als überzeugendes Indiz für das tatsächlich Bestehen einer eheähnlichen Lebensgemeinschaft gewertet werden, sondern einzig und allein als Nachweis dafür, dass beide Eltern zu dem Kind stehen, es somit als ihres anerkennen und dafür auch rechtlich Verantwortung tragen wollen (siehe Art. 261 ZGB). Zum zweiten kann, sollte tatsächlich eine nichteheliche stabile Lebensgemeinschaft bestehen, gerade dieser Umstand dafür bezeichnend sein, dass sich die Partner aus eigenem Willen und in selbstbewusster Weise den für die Ehe geltenden Gesetzesvorschriften eben nicht unterwerfen wollen. Daher scheint es unpassend, trotzdem - wie im Falle der bestehenden Ehe - die automatische Weitergabe des Vaternamens zu befürworten, zumal die genannte Regelung kein anderes Interesse schützt, als jenes der Bezeugung der Einheit der ehelichen Familie. Der von Art. 262, 1. Absatz, 2. Satz ZGB vorgegebene Tatbestand beruht nicht auf dem Bestehen einer eheähnlichen Lebensgemeinschaft der anerkennenden Eltern und lässt auch nicht notwendigerweise auf eine solche schließen. Durch die bestehende Regelung wird das Interesse auf Wahrung bzw. Entwicklung der persönlichen Identität des Kindes nicht unbedingt geschützt, da dieses durchaus dem Mutterstamm näher stehen kann. Vor allem in jenen Fällen, in denen der Vater nicht mit dem Kind zusammenlebt, scheint das Tragen des Vaternamens nicht vorrangig im Interesse des Kindes zu sein - man denke an all die Situationen, in denen der biologische Vater, nach anfänglichem Überschwang und trotz erfolgter Anerkennung, sich wieder verabschiedet und sich um die Nachkommenschaft nicht kümmert, es zwischen Vaterstamm und Kind also weder zu gesellschaftlicher noch zu gefühlsmäßiger Bindung kommt, die durch die Weitergabe des väterlichen Nachnamens öffentlich zu bezeugen ist. Auch gibt es kein Prinzip und keine Notwendigkeit, nach dem die Namensweitergabe für alle Kinder zweier nicht verheirateter Eltern einheitlich erfolgen müsste, weil derselbe Art. 262 ZGB erlaubt, dass bei nicht gleichzeitig erfolgter Anerkennung das Kind den Nachnamen des erstanerkennenden Elternteils annimmt, und für den Fall, dass die Mutter das Kind zuerst anerkennt, es später - nach erfolgter Anerkennung auch durch den Vater - dessen Namen annehmen kann (Abs. 2). Die in Frage gestellte Norm verlangt auch nicht, dass mehrere Kinder derselben nicht verehelichten Eltern notwendigerweise den gleichen Nachnamen annehmen müssen. Es könnte also durchaus vorkommen, dass beidseitige Geschwister verschiedene Nachnamen tragen, beispielsweise wenn das erste Kind zuerst von der Mutter, das zweite zuerst vom Vater oder auch gleichzeitig von beiden Eltern anerkannt wird, ohne dass für das erste die Namensänderung ex Art. 262 ZGB, 2. Abs. beantragt wird. Abschließend kann festgehalten werden, dass das durch Art. 2 Verf, geschützte Recht auf persönliche Identität des Kindes, das sich auch im Tragen des Namens der Mutter äußern kann, von der im Art. 262, 1. Absatz, ZGB vorgesehenen automatischen Weitergabe des Vaternamens bei gleichzeitiger Anerkennung durch beide Eltern verletzt wird. b) Verletzung des Art. 3 Verfassung Die Vorschrift, wonach bei gleichzeitiger Anerkennung dem Kind automatisch der Vaternamen zugeteilt wird, scheint den in Art. 3 der Verfassung enthaltenen Gleichheitsgrundsatzes zwischen Mann und Frau zum Schaden letzterer zu verletzen. Dem Vaternamen wird der Vorrang einräumt und die Kindsmutter hat keine Möglichkeit, ihren Nachnamen weiterzugeben. Einerseits kann sie nicht die gleichzeitige Anerkennung des Kindes durch den Vaters verhindern; andererseits ist selbst das ausdrückliche Einverständnis des Vaters nicht geeignet, dem Kind den Mutternamen weiterzugeben. Die Regelung läuft also auf eine Diskriminierung der Mutter (und somit des weiblichen Geschlechts) hinaus, obwohl der Kindsmutter, auch im Falle unehelicher Nachkommenschaft aufgrund des Verweises nach Art. 261 ZGB dem Kind gegenüber die gleichen Rechte zuerkannt bzw. auferlegt sind, wie dem Vater. Im Zusammenhang scheint ein Hinweis auf die internationalen Verpflichtungen Italiens angebracht; diese können immerhin als konkrete Ausformungen des Gleichheitsgrundsatzes ein wertvolles Interpretationskriterium darstellen. Das im Rahmen der UNO abgeschlossene Übereinkommen vom 18. Dezember 1979 zur Beseitigung jeder Form von Diskriminierung der Frau, ratifiziert mit Gesetz 14. März 1985 Nr. 132 sieht laut Art. 16 unter dem Titel ,,Schutz in der Ehe und der Familie" vor, dass die Vertragsstaaten alle geeigneten Maßnahmen zur Beseitigung der Diskriminierung der Frau in Ehe- und Familienfragen zu setzen haben und auf der Grundlage der Gleichberechtigung von Mann und Frau insbesondere folgende Rechte gewährleisten müssen: ,,d) gleiche Rechte und Pflichten als Eltern, ungeachtet ihres Familienstands, in allen ihre Kinder betreffenden Fragen; in jedem Fall sind die Interessen der Kinder vorrangig zu berücksichtigen; g) die gleichen persönlichen Rechte als Ehegatten, einschließlich des Rechts auf Wahl des Familiennamens, eines Berufs und einer Beschäftigung;" Die Empfehlungen des Europarates Nr. 1271 von 1995 und Nr. 1362 von 1998 erklären die Missachtung der anerkannten Gleichheit zwischen Mutter und Vater in der Weitergabe des Familiennamens im Widerspruch zum Gleichheitsgrundsatz. Diese internationalen Rechtsquellen bestätigen und verstärken die schon aus Art. 3 der Verfassung zu entnehmenden Zweifel an der Verfassungsmäßigkeit des Art. 262 Abs. l, Satz 2 ZGB. c) Abschließend vertritt dieses Gericht die Ansicht, dass die Entscheidung über die Verfassungsmäßigkeit der gegenständlichen Vorschrift nicht davon abhängig gemacht werden kann, dass sich bei einer etwaigen Feststellung der Verfassungswidrigkeit mehrere mögliche Lösungen für die Namenswahl ergeben, zwischen denen der Gesetzgeber zu wählen hätte; die Wahl hätte dieser bereits mit dem Vorzug des Vaternamens getroffen. Das Ermessen des Gesetzgebers bezüglich der Auswahl zwischen verschiedenen sich anbietenden Lösungen ist nur im Rahmen der gesetzten verfassungsmäßigen Schranken unzensierbar. Wird aber diese Schranke der Verfassungskonformität missachtet, kann von der Erklärung der Verfassungswidrigkeit der beanstandeten Rechtsnorm nicht mit Berufung auf das Argument Abstand genommen werden, es entstehe eine Gesetzeslücke, die nur vom Gesetzgeber in Ausübung seines Ermessens ausgefüllt werden könnte - auf diese Weise bliebe die Wirksamkeit des Schutzes der Bürger vor verfassungswidrigen Normen dahingestellt. AUS DIESEN GRÜNDEN erklärt das Gericht die Frage nach der Verfassungsmäßigkeit des Art. 262 Abs. 1, 2. Satz ZGB, der im Falle der gleichzeitigen Anerkennung des nicht ehelich geborenen Kindes durch beide Eltern die automatische Weitergabe des väterlichen Nachnamens vorsieht, anstatt den Eltern freie und vereinbarte Wahlmöglichkeit zu bieten, wegen vermuteter Verletzung der Art. 2 und 3 Verfassung für entscheidungserheblich und für nicht offensichtlich unbegründet, und verfügt - die Aussetzung des gegenständlichen Verfahrens und die Ubennittlung der Prozessunterlagen an den Verfassungsgerichtshof; - die Zustellung dieses Beschlusses an den Präsidenten des Ministerrats; - die Mitteilung des Beschlusses an die Präsidenten von Abgeordnetenkammer und Senat der Republik. Die Kanzlei teile diesen Beschluss den Parteien mit. Bozen, am 24.02.2006 Der Präsident und Verfasser (Dr. E1isabeth Roilo) 06C1028