N. 501 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 aprile 2006

Ordinanza  emessa  il  27  aprile  2006  dal tribunale amministrativo
regionale  della  Puglia  -  Sezione di Lecce sul ricorso proposto da
Rubino Maria Rosaria contro Comune di Brindisi ed altro

Impiego  pubblico  -  Controversie  relative  al  conferimento  degli
  incarichi dirigenziali - Devoluzione al giudice ordinario, anziche'
  al  giudice  amministrativo - Violazione dei limiti contenuti nella
  legge  di  delega  - Violazione dei tradizionali criteri di riparto
  della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo,
  attesa  la  natura giuridica di interesse legittimo della posizione
  fatta  valere  in  giudizio  a  fronte  dell'ampia discrezionalita'
  esercitata   dalla   pubblica   amministrazione   con   l'atto   di
  conferimento.
- Decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, art. 63.
- Costituzione, artt. 76, 77, 103 e 113.
(GU n.46 del 22-11-2006 )
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza sul ricorso n. 2050/2005
proposto  da Rubino Maria Rosaria, rappresentata e difesa in giudizio
dall'avv.  Nicola  Massari, ed elettivamente domiciliata nello studio
di  questi  in  Lecce  alla  via  Zanardelli  n. 7  presso  lo studio
dell'avv. Vantaggiato;
    Contro  il  comune  di  Brindisi,  in  persona del sindaco legale
rappresentante  pro  tempore,  rappresentato  e  difeso  in  giudizio
dall'avv.   Francesco  Trane  e  Emanuela  Guarino  ed  elettivamente
domiciliato  in  Lecce  presso  lo  studio  dell'avv. Astuto alla via
Umberto  I n. 28; e nei confronti di Gismondi Cosima, rappresentata e
difesa   in   giudizio  dall'avv.  Lorenzo  Durano  ed  elettivamente
domiciliata presso lo studio dell'avv. G. Pellegrino alla via Augusto
Imperatore   n. 16;   per   l'annullamento,  previa  sospensione  del
provvedimento  sindacale n. 56473 del-l'8 settembre 2005 con il quale
e'  stato  conferito l'incarico di dirigente dei Servizi sociali alla
dott.ssa Cosima Gismondi e della delibera di G.C. n. 392 del 5 agosto
2005  ivi  richiamata,  con  la quale e' stata disciplinata presso il
comune  di Brindisi l'attribuzione degli incarichi dirigenziali fuori
dotazione  organica  ed  e'  stato  approvato  lo schema di contratto
individuale d'incarico dirigenziale;
    Visto il ricorso ed i relativi allegati;
    Visto  l'atto, depositato in segreteria in data 27 febbraio 2006,
contenente  motivi  aggiunti  avverso  l'art. 24  del Regolamento dei
servizi del comune di Brindisi;
    Vista  la  memoria prodotta dall'amministrazione intimata nonche'
dalla controinteressata Gismondi;
    Visti tutti gli atti di causa;
    Udito  alla  camera  di  consiglio  del  2  marzo 2006 il giudice
relatore  dott. Giulio Castriota Scanderbeg e uditi per la ricorrente
l'avv.  Massari,  l'avv.  Trane  per  il  comune di Brindisi e l'avv.
Durano per la controinteressata Gismondi;
    Ritenuto in fatto ed in diritto quanto segue.

                              F a t t o

    La  ricorrente,  gia'  affidataria  di  incarico dirigenziale nel
Settore  dei  servizi  sociali presso il comune di Brindisi, incarico
venuto  meno ai sensi dell'art. 110, comma 3 del d.lgs. n. 267/2000 a
seguito  delle  dimissioni del sindaco, lamenta col ricorso all'esame
la  illegittimita' dell'atto gravato col quale il nuovo sindaco della
citta'   di  Brindisi  ha  affidato  alla  odierna  controinteressata
Gismondi  lo stesso incarico dirigenziale gia' di appannaggio di essa
ricorrente nella decorsa consiliatura.
    Di  qui  i  motivi  di  impugnativa della ricorrente avverso tale
nuovo  atto  di investitura articolati sotto i distinti profili della
violazione  di  legge  e  dell'eccesso di potere, con la richiesta di
annullamento  degli atti gravati e di ogni statuizione conseguenziale
anche in ordine alle spese di lite.
    Si  sono  costituite le parti intimate per resistere al ricorso e
per  chiederne  il  rigetto  e,  prima ancora, per la declaratoria di
inammissibilita'  del  mezzo  per  difetto di giurisdizione di questo
giudice adito.
    All'udienza  pubblica  del  2  marzo  2006  il  ricorso  e' stato
trattenuto per la decisione.

                            D i r i t t o

    La  controversia  all'esame involge pacificamente il conferimento
di  un incarico dirigenziale in un Ente locale, giacche' questo e' il
contenuto  dell'atto  gravato  in  principalita'  di cui si chiede la
rimozione in questa sede giudiziale.
    Il   Collegio  e'  dunque  investito  in  via  prioritaria  della
questione  di  giurisdizione,  questione  sulla  quale hanno peraltro
lungamente   argomentato   le   parti  intimate  nei  propri  scritti
difensivi.
    E' noto che ai sensi dell'art. 63 del d.lgs. n. 165/2001 (recante
le  Norme  generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
pubbliche amministrazioni, riproduttivo sul punto del contenuto delle
pregresse  disposizioni  sul  riparto,  art. 68  del d.lgs. n. 29 del
1993,  come sostituito prima dall'art. 33 del d.lgs. n. 546 del 1993,
e  poi  dall'art. 29  del  d.lgs.  n. 80  del  1998 e successivamente
modificato dall'art. 18 del d.lgs. n. 387 del 1998) «sono devolute al
giudice  ordinario,  in  funzione  di  giudice  del  lavoro, tutte le
controversie  relative  ai  rapporti  di lavoro alle dipendenze delle
pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, ad eccezione di
quelle  relative  ai rapporti di lavoro di cui al comma 4, incluse le
controversie concernenti l'assunzione al lavoro, il conferimento e la
revoca    degli   incarichi   dirigenziali   e   la   responsabilita'
dirigenziale,  nonche'  quelle  concernenti  le  indennita'  di  fine
rapporto,  comunque  denominate  e  corrisposte, ancorche' vengano in
questione atti amministrativi presupposti. Quando questi ultimi siano
rilevanti  ai  fini  della  decisione,  il  giudice li disapplica, se
illegittimi.   L'impugnazione   davanti   al  giudice  amministrativo
dell'atto amministrativo rilevante nella controversia non e' causa di
sospensione del processo».
    In  base  al  chiaro  tenore  letterale della disposizione appena
richiamata  non  par  dubbio che la controversia in esame, involgente
come detto il conferimento di un incarico dirigenziale nell'ambito di
un  Ente  locale,  dovrebbe  essere attratta, in quanto pacificamente
estranea  ad  ogni  ambito  di  residuale  giurisdizione  del giudice
amministrativo, nei grandi confini della giurisdizione ordinaria, per
come tracciati dagli interventi normativi dianzi citati.
    Pertanto,  in  applicazione  del  citato  precetto  normativo sul
riparto,  questo  giudice  amministrativo, verificata l'insussistenza
dei  presupposti  per  l'applicazione  del  quarto comma del medesimo
articolo,  attesa  la  pacifica  non  ricorrenza  nella specie di una
procedura   concorsuale   (o  anche  soltanto  comparativa  tra  piu'
soggetti),  dovrebbe  in base al quadro normativo attualmente vigente
declinare  la  propria  giurisdizione  nella  presente controversia e
dichiarare conseguentemente la inammissibilita' del ricorso proposto.
    E  tuttavia a tale soluzione si oppone, a parer del Collegio, una
considerazione    di   ordine   prioritario   ed   assorbente   sulla
compatibilita' costituzionale di un tale assetto normativo in tema di
riparto  di  giurisdizione con riguardo alla materia dei conferimenti
(e delle conseguenti revoche) degli incarichi dirigenziali.
    Il  Collegio  dubita infatti della legittimita' costituzionale di
tale   ampia   devoluzione  compiuta  dal  legislatore  delegato  con
l'art. 63,  d.lgs.  n. 165/2001 in favore del giudice ordinario ed il
dubbio  attinge  la  sua  maggior consistenza proprio in relazione al
tema  del conferimento (e della revoca) degli incarichi dirigenziali,
cio'  che  rappresenta  - come detto - oggetto specifico del presente
giudizio.
    Va  premesso che il citato art. 63 e' parte del Testo unico delle
disposizioni  concernenti  lo  Statuto  degli  impiegati civili delle
amministrazioni  pubbliche (d.lgs. n. 165/2001), che e' stato emanato
- in attuazione dell'art. 1, comma 8 della legge delega n. 340 del 24
novembre  2000  -  con  finalita' di riordino delle norme regolanti i
rapporti di lavoro dei dipendenti pubblici.
    Trattandosi  di  disposizione  contenuta  in  un  testo unico con
finalita' di riordino della normativa esistente e di semplificazione,
la  stessa - come anticipato - e' pedissequamente riproduttiva di una
norma  gia'  presente  nel  sistema,  e cioe' dell'art. 68 del d.lgs.
n. 29 del 1993, come modificato dall'art. 18 del d.lgs. n. 387/1998.
    Tale premessa vale a chiarire che se e' pur vero che la questione
di  costituzionalita'  che  qui si intende portare all'attenzione del
Giudice  delle  leggi  deve  intendersi  trasferita sul dianzi citato
art. 63,   d.lgs.   n. 165/2001  (sul  meccanismo  relativo  a  detto
trasferimento  v.  in  particolare Corte cost. n. 84 del 1996, n. 454
del  1998  e n. 376 del 2000), giacche' tale disposizione riproduce e
rappresenta  l'unico  testo di legge attualmente vigente di cui viene
in  gioco  l'applicazione  alla  fattispecie  in  esame, nondimeno lo
scrutinio  delibativo di costituzionalita' proprio di questa fase non
potrebbe   prescindere   dall'esame   della   genesi   della   citata
disposizione  (con  particolare  riguardo  alle  previsioni  del gia'
citato  art. 68  del  d.lgs.  n. 29  del 1993 e s.m.i.), in quanto e'
proprio  con  tali disposizioni che sono maturate le scelte normative
in  tema di riparto di giurisdizione, scelte poi meccanicamente fatte
proprie dal legislatore del testo unico.
    Peraltro,   il  Collegio  non  ignora  che  questa  ecc.ma  Corte
costituzionale  si  e' gia' pronunciata - con ordinanza n. 149 del 25
maggio  2004  -  sulla  questione  di costituzionalita' oggetto della
presente  rimessione, dichiarando la manifesta inammissibilita' della
stessa.
    A base di quel decisum tuttavia la Corte ha addotto la carenza di
una  sufficiente  indagine  da parte del giudice a quo in ordine alla
natura  della  selezione  culminata con il contestato conferimento di
incarico  dirigenziale  che  formava  oggetto del giudizio di merito,
cosi'  concludendo  per  la  inammissibilita' del mezzo, per non aver
sostanzialmente   il  giudice  rimettente  verificato  la  necessaria
applicabilita'   alla   fattispecie   -   riguardante   un   incarico
dirigenziale    a    tempo    determinato    a    soggetto    esterno
all'amministrazione - dell'art. 68, comma 1 del d.lgs. n. 29 del 1993
e   non  piuttosto  della  previsione  del  comma  4  (relativo  alla
giurisdizione    del    giudice    amministrativo   sulle   procedure
concorsuali),   e  di  non  aver  quindi  scandagliato  ogni  opzione
interpretativa   in   ordine   al   possibile   radicarsi  della  sua
giurisdizione residuale.
    Nel  tentativo  di  mettersi  al  riparo  da  analoghi rilievi il
Collegio,  attesa  la  medesimezza  della  materia trattata (incarico
dirigenziale  ad  tempus  ad  un soggetto esterno), ritiene opportuno
svolgere al riguardo brevi considerazioni di supporto.
    Nella  fattispecie  all'esame,  come  sinteticamente  gia' detto,
l'incarico   dirigenziale  alla  controinteressata  (come  d'altronde
quello  a  suo tempo stipulato con la odierna ricorrente, poi risolto
contestualmente  all'avvicendamento  dell'organo  sindacale) e' stato
conferito  ai  sensi  del combinato disposto dell'art. 110, d.lgs. 18
agosto 2000, n. 267 e dell'art. 24 del Regolamento degli Uffici e dei
Servizi vigente nel comune di Brindisi ed approvato con deliberazione
G.C. n. 343 del 20 marzo 1998; tali disposizioni prevedono infatti la
possibilita'  per  l'Ente  locale  di  stipulare,  al  di fuori della
vigente dotazione organica, contratti per la costituzione di rapporti
di  lavoro  dirigenziale  a tempo determinato per il conseguimento di
specifici  obiettivi,  lo  svolgimento  di  funzioni  di  supporto  o
l'esercizio  di  attribuzioni  di  coordinamento  di strutture, anche
destinate  all'assorbimento di funzioni istituzionali, fermi restando
i  requisiti  richiesti, dal vigente ordinamento, per la qualifica da
assumere.
    Si  prevede  espressamente  (art. 24  cit.,  secondo  comma)  che
l'Amministrazione  procede mediante costituzione diretta e fiduciaria
del  rapporto  di  lavoro  anche  con  personale  gia'  dipendente in
possesso   dei  necessari  requisiti,  «eventualmente  preceduta,  se
ritenuto opportuno, da valutazione curriculare di tipo informale o di
altri momenti valutativi, anche di carattere esplorativo, considerati
idonei».
    Come  si  vede,  lo  strumento  finalizzato, alla costituzione di
rapporti  di  lavoro  dirigenziale  a  tempo  determinato fuori dalla
dotazione   organica   dell'Ente   e'   caratterizzato   da   estrema
flessibilita',  tanto in relazione all'ampia platea dei candidati sui
quali   puo'   cadere   la   scelta   dell'Ente  (interni  o  esterni
all'Amministrazione),  quanto  con  riguardo alle modalita' selettive
dei   soggetti   da   incaricare,   connotate  da  larghi  tratti  di
fiduciarieta' e senza alcun vincolo di selezione comparativa.
    A  fronte di tali coordinate di riferimento, la contestata scelta
operata  nello  specifico dall'Amministrazione comunale di Brindisi a
mezzo  dell'atto gravato, non sembra esorbitare dai confini delineati
dalla  normativa  di riferimento sotto il profilo della omessa previa
valutazione  comparativa  dei  requisiti curriculari di piu' soggetti
giacche',   come   detto,   tale  opzione  non  e'  contemplata  come
obbligatoria ne' nella disposizione di rango primario (art. 110 TUEL)
ne'  in  quella  di livello secondario (art. 24 Reg. cit.), in cui e'
anzi  espressa  la  scelta  dell'ampia  facoltativita'  del  criterio
selettivo  che,  pur  richiedente  in  capo al candidato requisiti di
professionalita'  corrispondenti alla natura dell'incarico conferito,
non  risulta  necessariamente  ancorato  ad  un  meccanismo - neppure
paraconcorsuale   -   di  selezione  comparativa  tra  piu'  soggetti
aspiranti.
    Non  par  dubbio  pertanto che, a fronte di tale specifico quadro
normativo  d'insieme, non potrebbe giammai radicarsi la giurisdizione
di  questo  giudice  amministrativo,  astretta  -ai  sensi del citato
quarto  comma  dell'art. 63 del d.lgs. n. 165/2001 (gia' quarto comma
dell'art. 68  del  d.lgs.  n. 29/1993 e s.m.i.) - alle sole procedure
concorsuali finalizzate all'assunzione; senza possibilita', peraltro,
per  quanto  appena  detto  in  relazione alla mera facoltativita' di
meccanismi  presupponenti la scelta comparativa tra piu' soggetti, di
predicare   l'astratta   obbligatorieta'   di   procedure   selettive
concorsuali  o  paraconcorsuali  e di radicare in via conseguenziale,
per  simmetria,  la  giurisdizione  del  giudice amministrativo sulla
controversia  insorta  in  dipendenza  della  ipotetica violazione di
quelle procedure selettive.
    Ne',  d'altra  parte,  potrebbe  addivenirsi  alla conclusione di
ipotizzare   la   eventuale   illegittimita'   costituzionale   della
disciplina  sostanziale  dei conferimenti degli incarichi a contratto
riveniente  dalle  citate  disposizioni  per  violazione della regola
costituzionale  sul  concorso (art. 97 Cost.) quale modalita' normale
d'accesso ai pubblici impieghi; e' noto, infatti, che detta modalita'
e'  stata  delineata  dal  legislatore  costituzionale soltanto quale
strumento  preferenziale  e  non esclusivo di selezione del personale
pubblico, come d'altronde si desume dalla espressa salvezza in ordine
a  diverse  opzioni  di  legge  contenuta  nella  stessa disposizione
costituzionale  nonche'  dalle  tante scelte di sistema prevedenti la
chiamata  di  soggetti  a  posti  di  pubblico impiego al di fuori di
meccanismi selettivi concorsuali o paraconcorsuali.
    Cio'  premesso,  va  pertanto  ribadito  che,  in base al diritto
vigente,  la  presente  controversia,  involgente l'affidamento di un
contratto  a  tempo determinato fuori dalla dotazione organica, esula
dalla  cognizione del giudice amministrativo, che pertanto difetta di
giurisdizione   nella   materia   dei  conferimenti  degli  incarichi
dirigenziali   (fermo   restando   che   l'accesso   alla   qualifica
dirigenziale  avviene  per  concorso  o corso-concorso ai sensi degli
artt. 28  e  segg.  del  d.lgs.  n. 165/2001, con devoluzione al G.A.
delle  relative  questioni  ai sensi dell'art. 63, comma 4 cit. e che
invece  il conferimento degli incarichi dirigenziali a chi e' gia' in
possesso  della  relativa  qualifica, costituisce un atto di gestione
del   rapporto   di  lavoro  e  rientra  di  conseguenza  nell'ambito
cognitorio  del G.O.). Ora, il Collegio deve osservare che, come gia'
anticipato,  tale  scelta  distributiva  della  giurisdizione  appare
dubbia sul piano della legittimita' costituzionale.
    Come  gia' detto, infatti, la opzione in favore dell'allargamento
della  giurisdizione  del  giudice ordinario anche alla materia degli
incarichi   dirigenziali  risulta  in  concreto  operata  dal  d.lgs.
n. 387/1998  (art. 18)  che, nel sostituire il testo dell'art. 68 del
d.lgs.  3  febbraio  1993, n. 29, ha per la prima volta espressamente
ricompreso,  nelle controversie gia' devolute al giudice ordinario in
materia di pubblico impiego, anche quelle riguardanti il conferimento
e la revoca degli incarichi dirigenziali.
    Senonche'  tale  scelta  del  legislatore delegato, in quanto non
sorretta   da  indicazioni  in  tal  senso  contenute  nelle  diverse
leggi-delega  succedutesi  nel  tempo,  appare  al Collegio del tutto
arbitraria e percio' violativa, per eccesso di delega, dell'art. 76 e
dell'art. 77 della Costituzione.
    Ed  invero,  la  legge n. 59 del 1997 (art. 11, comma 4, lett. g)
sulla  base  della quale - nel testo modificato dall'art. 1, comma 14
della  legge  16  giugno  1998,  n. 191 - e' stato adottato il d.lgs.
n. 387  del  29 ottobre  1998 (il cui art. 18 ha sostituito l'art. 68
del  d.lgs. n. 29 del 1993) contiene una generica - ancorche' ampia -
delega  al  Governo finalizzata a devolvere, entro il 30 giugno 1998,
al  giudice  ordinario  tutte le controversie relative ai rapporti di
lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni.
    Nessuna   menzione  tuttavia  si  rinviene  nel  testo  di  detta
legge-delega (neppure nella formulazione originaria, sulla base della
quale  e'  stato adottato il d.lgs. n. 80 del 1998, il cui art. 29 ha
anch'esso  sostituito  l'art. 68  del  d.lgs.  n. 29  del  1993) alla
materia   dei  conferimenti  degli  incarichi  dirigenziali,  la  cui
inclusione nel novero delle controversie da devolvere alla cognizione
del  giudice  ordinario  e'  stato quindi il frutto di una scelta del
legislatore  delegato,  non  pertinente all'ambito di esercizio della
funzione legislativa del Governo.
    Vero  e' che analoga scelta espansiva era gia' stata compiuta dal
legislatore delegato in sede di adozione del citato d.lgs. n. 80/1998
ove, pur in assenza di indicazioni in tal senso, la giurisdizione del
giudice  ordinario  era  stata  estesa  alle controversie concernenti
l'assunzione  al  lavoro  (v. il testo del richiamato art. 68, d.lgs.
n. 29/1993,  come  sostituito  dall'art. 29 del d.lgs. n. 80/1998); e
tuttavia  anche  tale  scelta, per quanto la questione deve ritenersi
ultronea  rispetto all'oggetto di questo giudizio e comunque superata
dalla  nuova  riscrittura  del  testo  dell'art. 68  cit. operata dal
ridetto  art. 18,  d.lgs. n. 387/1998 (poi riprodotto pedissequamente
nell'art. 63 del d.lgs. n. 165/2001), sembrava esporsi, ancorche' con
qualche  sfumatura  di  minor  consistenza  (su cui non e' il caso di
indulgere   oltre   attesa  la  gia'  evidenziata  irrilevanza  della
questione),  al medesimo vizio di assenza di copertura ad opera della
legge delega.
    Significativo  appare,  piuttosto,  che  la  primigenia  versione
dell'art. 68,  d.lgs. n. 29/1993, in perfetta aderenza ai principi ed
ai  criteri  direttivi contenuti nella prima delega al Governo per la
razionalizzazione  e  la  revisione  della  disciplina  del  pubblico
impiego  (legge  23  dicembre 1992, n. 421, art. 2, comma 1, lett. c)
prevedente  il  generico  affidamento  al  G.O. delle controversie di
lavoro riguardanti i pubblici dipendenti), prevedeva semplicemente la
devoluzione al giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro di
tutte   le   controversie  riguardanti  il  rapporto  di  lavoro  dei
dipendenti  delle  amministrazioni pubbliche, senza alcun riferimento
specifico  a  quelle relative al momento genetico del rapporto, quali
appunto   le   controversie   involgenti  l'assunzione  al  lavoro  o
l'affidamento  degli  incarichi  dirigenziali  a contratto. E d'altra
parte   anche  la  prima  modifica  del  citato  art. 68  del  d.lgs.
n. 29/1993   (ad   opera   dell'art. 33   del   d.lgs.   n. 546/1993)
introduceva,  in aggiunta alla generica ed ampia devoluzione di tutte
le  controversie  riguardanti  il  rapporto  di lavoro dei dipendenti
delle   amministrazioni  pubbliche,  non  poche  ipotesi  tipiche  di
controversie  da  devolvere  al giudice ordinario, non senza tuttavia
specificare che si trattava in ogni caso di controversie attinenti al
rapporto in corso.
    Ora,  proprio  partendo  da tale ultima notazione, espressione di
una   antica   fedelta'   legislativa  al  tradizionale  impianto  di
ripartizione delle controversie tra le due giurisdizioni, il Collegio
e'  persuaso  che  la  devoluzione  operata  in  favore  del  giudice
ordinario  ad  opera  di  tutte le leggi-delega dianzi richiamate non
abbia mai riguardato la fase genetica del rapporto di lavoro e cioe',
per  essere  piu'  chiari, non abbia mai avuto a suo precipuo oggetto
quelle   controversie   inerenti  quell'attivita'  (che  si  concreta
normalmente   con   l'adozione   di   atti  o  con  l'attivazione  di
procedimenti)  posta  in essere dalla pubblica amministrazione (e dai
soggetti alle stessa equiparati) prima della costituzione del vincolo
contrattuale tra le parti.
    E'  noto  infatti  che  in  tale  momento  genetico  del rapporto
d'impiego  l'Amministrazione o si autolimita e precostituisce criteri
selettivi  per  la individuazione del soggetto da assumere nei ranghi
del  personale  dipendente  (ed  in  tali  casi  la risoluzione delle
contese  e'  attribuita  al  G.A.  dall'art. 68,  comma 4, del d.lgs.
n. 29/1993   attesa   la   consistenza  delle  situazioni  giuridiche
coinvolte  e per l'intreccio di queste e delle pretese attinenti agli
atti  di  conformazione  e  gestione  organizzativa)  o  gode  di una
discrezionalita'  ancor  piu'  ampia (a fortiori, si potrebbe dire, a
seguito  della  c.d.  «privatizzazione»  del pubblico impiego e della
connessa  dotazione  di  nuovi  ed  ampi  strumenti  di flessibilita)
sicche'   sembrerebbe  fuorviante  ipotizzare  in  capo  ai  soggetti
aspiranti  all'incarico  situazioni giuridiche diverse dall'interesse
legittimo  pretensivo;  se  sono  conosciute,  infatti,  dal  G.A. le
questioni in cui l'ambito della discrezionalita' e' piu' limitato, e'
giocoforza  ritenere che l'ampiezza della discrezionalita' esercitata
nel conferimento di un incarico dirigenziale impedisce alle posizioni
giuridiche  che  si  assumano  lese  di acquisire consistenza tale da
giustificare la loro giustiziabilita' ad opera del G.O.
    Ora,  nessuno  dubita  che  il  giudice  naturale  dell'interesse
legittimo,  per  scelta costituzionale, sicuramente non irreversibile
ma  pur  sempre  allo  stato  dotata di efficacia conformativa per il
legislatore  ordinario,  resta  il  giudice  amministrativo (art. 103
Cost.);  di guisa che le controversie involgenti il momento anteriore
alla  costituzione  del  rapporto di pubblico impiego non possono che
appartenere  a  tale naturale alveo giurisdizionale di perimetrazione
costituzionale.
    Peraltro  tale  assetto tradizionale dell'impianto costituzionale
sul   riparto  di  giurisdizione  tra  giudice  ordinario  e  giudice
amministrativo  sembra  particolarmente  rafforzato  dal piu' recente
intervento in tema della Corte costituzionale (il riferimento e' alla
sentenza  n. 204  del 6 luglio 2004); come e' noto, in tale pronuncia
la  Corte, interpretando restrittivamente l'ambito delle «particolari
materie»  (art. 103  Cost.)  che possono eccezionalmente facultare la
devoluzione al G.A. della giurisdizione sui diritti soggettivi, ha di
fatto   ricacciato   la   giurisdizione   di   quest'ultimo  nel  suo
tradizionale  e  naturale ambito cognitorio, e cioe' quello in cui e'
ravvisabile  esercizio  di funzione amministrativa - nelle multiformi
modalita'  conosciute  dal diritto amministrativo moderno - ed in cui
le  posizioni  dei  privati sono pur sempre qualificabili, perdurando
l'attuale assetto, in termini di interessi legittimi.
    Cio'  detto,  va  ulteriormente  precisato che il Collegio e' ben
consapevole  degli  sviluppi  che  potrebbe  assumere, a costituzione
invariata, la legislazione ordinaria in tema di riparto di materie da
affidare  all'uno  o all'altro plesso giurisdizionale; non si ignora,
infatti,  che  mentre  la  giurisdizione  del  giudice  ordinario sui
diritti  soggettivi  e' presidiata, in termini di quasi esclusivita',
dalla  ricordata  previsione  di eccezionale devoluzione, soltanto in
particolari    materie,   di   analoga   giurisdizione   al   giudice
amministrativo  (art. 103  Cost.); quest'ultimo al contrario non gode
di  analogo  presidio  costituzionale  posto  che, pur nella generica
attribuzione  in  suo  favore  (art. 103  Cost.)  della  tutela degli
interessi legittimi, lo stesso potrebbe vedersi sottratte ampie fette
di  giurisdizione  sugli  interessi  ad  opera di scelte puntuali del
legislatore  ordinario  compiute in perfetta aderenza alle previsioni
dell'art. 113, terzo comma, Cost.
    Ma  nessuno  potrebbe  dubitare  che  siffatte  scelte, in quanto
incidenti  su  un  assetto  costituzionale  ben definito ed in quanto
implicanti   sottrazione  di  contenzioso  al  suo  giudice  naturale
(conservato   in   tale   sua   specialita'   da   tutte  le  riforme
costituzionali  fino  ad  oggi  intervenute e vieppiu' confermato dai
recenti  interventi della Corte costituzionale quale giudice deputato
alla  tutela  dei  cittadini  contro  l'illegittimo  esercizio  della
funzione   amministrativa),   devono  necessariamente  compiersi  dal
legislatore statale nella deputata sede parlamentare.
    Ora,  poiche' nella materia che ci occupa - come gia' detto - non
e'  dato al contrario riscontrare alcuna scelta in tal senso da parte
del   legislatore   delegante,   deve   ritenersi  costituzionalmente
illegittima l'attribuzione al giudice ordinario, operata motu proprio
dal legislatore delegato (art. 68, d.lgs. n. 29/1993, come sostituito
dall'art. 18, d.lgs. n. 387/1998 e come trasfuso nell'art. 63, d.lgs.
n. 165/2001),  della  giurisdizione  sulle controversie in materia di
conferimento  e revoca degli incarichi dirigenziali. Evidente infatti
risulta la violazione dei citati artt. 76 e 77 della Costituzione per
i  profili  formali  attinenti  la  carenza  di  criteri  e  principi
direttivi legittimanti la devoluzione di cui qui si dubita e, piu' in
generale,  per la carenza di un momento di ponderata scelta, ad opera
del  Parlamento  quale  Organo  sovrano deputato in via primaria alla
funzione   legislativa,  su  materie  involgenti  valori  e  principi
desumibili dalla stessa Costituzione (artt. 103 e 113 Cost.).
    Come  anticipato,  i predetti vizi di legittimita' costituzionale
che  inficiano  -  a  parer  della  Sezione  - la disposizione di cui
all'art. 68   devono   intendersi   trasferiti   all'art. 63,  d.lgs.
n. 165/2001  nel  testo  attualmente vigente ed in relazione al quale
soltanto,  per  quanto  gia' detto, deve essere sollevata nei termini
dianzi  indicati la presente questione di legittimita' costituzionale
della disposizione.
    Dalle  considerazioni  che  precedono  discende  la non manifesta
infondatezza  della  questione  di  costituzionalita'  del  precitato
art. 63,  d.lgs.  n. 165/2001,  per  contrasto  con gli artt. 76 e 77
della  Costituzione  per  violazione dei limiti contenuti nella legge
delega,  nonche'  con  gli  artt. 103  e  113  della Costituzione per
violazione dei parametri che presiedono ad un ragionevole e ponderato
riparto   di   giurisdizione   tra   giudice   ordinario   e  giudice
amministrativo.
    Da ultimo va appena osservato che la rilevanza della questione di
costituzionalita',   considerata   la  sua  immediata  incidenza  sul
meccanismo  di  riparto  della giurisdizione, puo' considerarsi nella
specie  in  re  ipsa,  posto che dall'applicazione nel caso all'esame
dell'art. 63  cit.  non  potrebbesi  prescindere e che pertanto dalla
positiva  soluzione  dell'incidente  di costituzionalita' discende la
stessa possibilita' di definire nel merito il presente giudizio.
    Di  qui  la  necessita'  di sospendere il giudizio e di rimettere
previamente  gli  atti  di causa alla Corte costituzionale perche' si
esprima  sulla  detta  questione  di  costituzionalita',  nei termini
dianzi prospettati.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Non  definitivamente  pronunciando sul ricorso in epigrafe, cosi'
provvede:
        a) solleva    questione    di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 63  del d.lgs. n. 165/2001 per contrasto con gli artt. 76 e
77  Cost.  nonche'  con  gli  artt. 103 e 113 della Costituzione, nei
sensi e limiti di cui in motivazione;
        b) sospende il giudizio in corso;
        c) ordina   che,   a  cura  della  cancelleria,  la  presente
ordinanza  venga  trasmessa alla Corte costituzionale, sia notificata
al  Presidente  del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti
della Camera dei deputati e del Senato, nonche' alle parti.
    Cosi'  deciso  in  Lecce,  nella  Camera di consiglio del 2 marzo
2006.
                      Il Presidente: Cavallari
L'estensore: Castriota Scanderbeg
06C1030