N. 383 SENTENZA 8 - 21 novembre 2006

Giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.

Parlamento - Immunita' parlamentari - Giudizio civile di risarcimento
  danni  proposto  nei  confronti  di  un parlamentare in relazione a
  dichiarazioni  ritenute  oltraggiose,  diffamatorie  e calunniose -
  Deliberazione  di  insindacabilita'  della Camera di appartenenza -
  Conflitto  di  attribuzione  tra poteri dello Stato sollevato dalla
  Corte   di   appello  di  Roma  -  Mancata  indicazione,  nell'atto
  introduttivo  del  giudizio, del contenuto delle dichiarazioni rese
  extra  moenia  dal  parlamentare interessato - Inammissibilita' del
  ricorso.
- Deliberazione  della  Camera  dei  deputati 9 luglio 2003. (Doc. IV
  quater, n. 50).
- Costituzione, art. 68, primo comma.
(GU n.47 del 29-11-2006 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Franco BILE;
  Giudici:  Giovanni  Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,
Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Luigi MAZZELLA,
Gaetano  SILVESTRI,  Sabino  CASSESE,  Maria  Rita  SAULLE,  Giuseppe
TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  per  conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto  a  seguito  della  deliberazione della Camera dei deputati del
9 luglio    2003    (doc.    IV-quater,    n. 50),    relativa   alla
insindacabilita',   ai   sensi   dell'art. 68,   primo  comma,  della
Costituzione,   delle   opinioni   espresse   dall'onorevole   Silvio
Berlusconi  nei  confronti  dei  deputati  Walter  Veltroni  e Pietro
Folena,  promosso  con  ricorso  della  Corte  di  appello di Roma (I
sezione   civile),  notificato  il  6 dicembre  2004,  depositato  in
cancelleria  il  10 dicembre  2004  ed iscritto al n. 29 del registro
conflitti 2004;
    Visto l'atto di costituzione della Camera dei deputati;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  24 ottobre  2006  il  giudice
relatore Alfonso Quaranta;
    Udito l'avvocato Massimo Luciani per la Camera dei deputati.

                          Ritenuto in fatto

    1.  - La Corte di appello di Roma (I sezione civile) ha promosso,
con ricorso del 26 gennaio 2004, conflitto di attribuzione tra poteri
dello   Stato   nei   confronti   della   Camera  dei  deputati,  per
l'annullamento   della   deliberazione  (doc.  IV-quater,  n. 50)  da
quest'ultima  adottata «nella seduta dell'8 ottobre del 2003» (recte:
del 9 luglio del 2003).
    1.1.  -  L'odierna  ricorrente  premette  di essere investita del
gravame  proposto  dall'on.  Silvio  Berlusconi  avverso  la sentenza
pronunciata  dal  Tribunale  di Roma in data 27 febbraio 2001, con la
quale  l'appellante veniva condannato a risarcire, ai deputati Walter
Veltroni  e  Pietro  Folena,  i danni (da liquidarsi in separata sede
giudiziale) conseguenti ad una condotta diffamatoria, per avere l'on.
Berlusconi definito gli stessi deputati (nel corso della trasmissione
radiofonica  «Radio anch'io» del 30 novembre 1999) quali "complici" e
"in  collusione  con  alcuni magistrati, autori di un disegno teso ad
eliminare una parte politica a danno di un'altra"».
    Assume,  inoltre,  la  ricorrente  che,  nelle  more del giudizio
d'appello,  la Camera dei deputati adottava la predetta deliberazione
assembleare,  con  cui  stabiliva - «confermando la relativa proposta
della Giunta per le autorizzazioni della stessa Camera» - che i fatti
contestati  al  predetto deputato «concernono opinioni espresse da un
membro del parlamento nell'esercizio delle sue funzioni» e, pertanto,
negava  l'autorizzazione  a  procedere  nei  confronti  dello stesso,
«dovendo  ricondursi le dichiarazioni in questione al disposto di cui
all'art. 68 Cost.».
    Lamenta  la  Corte  di appello di Roma che la deliberazione sopra
citata  - la' dove ritiene che «l'attacco agli on. Veltroni e Folena»
non   sia   «avvenuto  uti  singuli,  ma  come  esponenti  di  spicco
dell'Ulivo,  attenendo  in  ogni  caso  ad  opinioni  espresse  da un
parlamentare  nell'esercizio  delle  sue funzioni ex art. 68 Cost.» -
sarebbe «lesiva delle attribuzioni del potere giudiziario», in quanto
le frasi oggetto della controversia civile devoluta al suo esame «non
possono  ritenersi  collegate alla funzione parlamentare, costituendo
apprezzamenti  personali,  con  attribuzione di fatti e comportamenti
specifici,  estremamente  gravi  e  negativi,  nonche' potenzialmente
diffamatori,   resi  peraltro  in  una  trasmissione  radiofonica  di
notevole diffusione».
    Richiama,  quindi,  la  ricorrente  i  principi  enunciati  dalla
costante  giurisprudenza  costituzionale  - alla stregua dei quali la
Corte  e'  tenuta  ad  accertare «la non arbitrarieta' della delibera
parlamentare»  (sentenza  n. 1150  del  1988), verificando «se vi sia
stato  un uso distorto ed arbitrario del potere parlamentare, tale da
vulnerare  le  attribuzioni  degli  organi  della  giurisdizione o da
interferire  nel  loro esercizio» (sentenza n. 443 del 1993, ma nello
stesso senso anche sentenza n. 289 del 1998), riconoscendo, pertanto,
«che  l'immunita'  copre  il membro del Parlamento soltanto se con le
dichiarazioni  concorre  il  contesto funzionale» (sentenza n. 11 del
2000)  -  per  concludere  che ricorrerebbero, nel caso di specie, le
«condizioni  tutte  (arbitrarieta',  illegittima  interferenza  nelle
attribuzioni  di  organi  giurisdizionali  e lesioni dei loro poteri;
mancanza  di  collegamento  con  la funzione parlamentare)», idonee a
giustificare  l'accoglimento  della  domanda  di  annullamento  della
deliberazione parlamentare.
    Su  tali  basi la Corte di appello di Roma - non senza richiamare
anche  la  piu'  recente  giurisprudenza  della  Corte  europea per i
diritti  dell'uomo  -  ha  concluso affinche' la Corte costituzionale
affermi   che   non   spetta  alla  Camera  dei  deputati  dichiarare
l'insindacabilita'   delle  opinioni  espresse  dal  parlamentare  in
questione  «secondo  quanto  deliberato  dalla  stessa  nella  seduta
dell'8 ottobre 2003» (recte: del 9 luglio 2003), e quindi «annulli la
relativa delibera».
    2.  -  Con  ordinanza  n. 360 del 2004, depositata il 25 novembre
2004, questa Corte ha dichiarato ammissibile il conflitto, riservata,
peraltro,   ogni   decisione   definitiva   -   anche   in  punto  di
ammissibilita' - all'esito del giudizio.
    L'ordinanza  di  ammissibilita', unitamente all'atto introduttivo
del  giudizio,  e'  stata  notificata  in  data  6 dicembre  2004. Il
conseguente deposito e' stato effettuato il successivo 10 dicembre.
    3.  -  Si  e'  costituita  in giudizio la Camera dei deputati, la
quale,  con  una  prima  memoria,  ha osservato che sussiste il nesso
funzionale  tra  le  opinioni manifestate extra moenia, e atti tipici
del  mandato  parlamentare, cio' che dovrebbe comportare la reiezione
della  richiesta  di annullamento della deliberazione contestata, con
la quale e' stata dichiarata la non sindacabilita' di tali opinioni.
    3.1.  -  Secondo  la resistente, «la sostanza delle affermazioni»
rese  dall'interessato  - e cioe' la denuncia di una «commistione tra
magistratura e politica», avente lo scopo di «attaccare una specifica
parte  dello  schieramento parlamentare», quello facente capo proprio
al dichiarante - evidenzierebbe come le opinioni de quibus abbiano «a
fondamento   una  valutazione  eminentemente  politica»,  circostanza
ritenuta di «decisiva importanza nel presente giudizio».
    Gia' in precedenti occasioni, difatti, il predetto deputato aveva
manifestato,  «in  sede parlamentare», l'opinione che «l'azione della
magistratura  (specialmente penale) fosse animata da intenti politici
e  dalla  volonta'  di  colpire  talune parti politiche e non altre»,
sicche'  gia'  allora  poteva  ritenersi  «presente l'intera sostanza
della dichiarazione ora in contestazione».
    Ed  invero,  nell'interpellanza n. 2/00252 del 21 ottobre 1996 e,
ancor  prima,  in quella n. 2/00748 del 14 novembre 1995 (delle quali
l'interessato  fu,  rispettivamente,  uno dei cofirmatari ed il primo
firmatario),  si  chiedeva  al  Governo  quali  iniziative intendesse
assumere,  tanto  per  assicurare  che  il  processo penale non fosse
«trasformato surrettiziamente in uno strumento di azione politica nei
confronti  di  parlamentari  e  di  movimenti  politici»,  quanto per
evitare   «ogni   interferenza  dell'azione  giudiziaria  sul  libero
svolgimento  dell'attivita'  politica  ed  elettorale». In entrambi i
casi,  dunque, l'interessato «imputava alla magistratura di agire per
fini  politici a vantaggio di alcuni e detrimento di altri, il che e'
esattamente  quanto  egli ha affermato nelle dichiarazioni rese extra
moenia».
    Ne',  d'altra parte, prosegue la Camera dei deputati, si potrebbe
obiettare  che  nel caso delle due citate interpellanze non risultano
presenti i nomi dell'on. Veltroni e dell'on. Folena.
    A   confermare,   difatti,  la  sostanziale  coincidenza  tra  il
contenuto delle interpellanze e quello delle dichiarazioni per cui e'
giudizio,   dovrebbe   bastare   il   rilievo  che  nessuno  dei  due
parlamentari  risulta  evocato uti singulus. Ed invero, il primo, «e'
stato  chiamato  in  causa  quale leader dei Democratici di sinistra»
(all'epoca  delle dichiarazioni egli ne era, infatti, il segretario),
e,  dunque,  come  «principale  responsabile  delle politiche di quel
partito  nei  settori piu' importanti e delicati della vita nazionale
(tra  i  quali  rientra  sicuramente  la questione della giustizia)»,
apparendo,  in  definitiva, quale «beneficiario ultimo» di quella che
il   dichiarante  definisce  «una  gestione  poco  equilibrata  della
giustizia». Non diversamente, il secondo parlamentare risulta evocato
«in  quanto  responsabile delle questioni della giustizia del partito
dei  Democratici  di  sinistra»,  sicche'  sarebbe  «evidente  che la
critica  a  lui  rivolta  atteneva ai contenuti della strategia di un
partito contrapposto a quello» guidato dal dichiarante.
    In  conclusione, «il riferimento nominativo» ai due deputati «non
era  altro  che il consequenziale e logico sviluppo del piu' generale
giudizio  politico  formulato in ordine alla ritenuta distorsione dei
rapporti  tra  giustizia  e  politica», volta, oltretutto, a favorire
«proprio  la  parte  politica»  al  vertice della quale i medesimi si
trovavano.   Nella  medesima  prospettiva  non  irrilevante  sarebbe,
infine,  la  circostanza che, in sede di dichiarazioni programmatiche
del     Governo     successivamente    presieduto    dall'interessato
(dichiarazioni  rese  alla Camera dei deputati il 18 giugno 2001), il
medesimo  «abbia  posto  l'accento  sull'autonomia della magistratura
come  fondamentale  principio del nostro ordinamento e come obiettivo
della futura azione della nuova compagine governativa».
    Ne'  ad  escludere la ricorrenza dell'ipotizzato nesso funzionale
potrebbe attribuirsi rilievo alla «diversita' di alcune delle singole
parole   impiegate   (negli   atti   tipici  da  una  parte  e  nelle
dichiarazioni  dall'altra)», giacche' cio' equivarrebbe a trasformare
la  verifica  sulla  «corrispondenza  sostanziale»,  tra gli uni e le
altre,   «in   un   puntiglioso  (e  inammissibile)  controllo  sulla
corrispondenza "formale" delle espressioni usate».
    3.2.-  Assume,  ancora,  la resistente Camera che, oltre a quelli
direttamente  riferibili  all'interessato,  rileverebbero - sempre ai
fini  della  dimostrazione  della  sussistenza del nesso funzionale -
numerosi  altri  atti  tipici  di  funzione,  provenienti  da diversi
appartenenti al medesimo gruppo parlamentare.
    Difatti,  attraverso  «tale  complessa  ed  articolata  attivita'
ispettiva»,   si   denunciava  «esattamente  quanto  rilevato»  nelle
dichiarazioni  qui  in  contestazione,  e cioe' che l'attivita' della
magistratura  «sarebbe  unidirezionalmente  rivolta a danneggiare una
parte  politica (in particolare: Forza Italia) e a favorirne un'altra
(in particolare Pci-Pds-DS)».
    Cio'  premesso,  la  resistente Camera dei deputati sottolinea di
non ignorare la sentenza di questa Corte n. 347 del 2004, nella quale
si  nega  che possano assumere rilevanza - ai fini della verifica del
«nesso  funzionale»  -  atti  parlamentari  posti in essere da membri
delle  Camere  diversi  dal dichiarante; cio' nondimeno la resistente
reputa  tale affermazione «meritevole di revisione», e cio' in quanto
la prerogativa prevista dall'art. 68, primo comma, della Costituzione
ha  la  funzione  di  «tutelare  le  istituzioni  rappresentative (le
Camere) e non i loro membri».
    Nel  caso  di  specie,  poi,  gli  atti  «di  funzione» risultano
provenire  da  deputati  o  senatori  appartenenti allo stesso gruppo
parlamentare del dichiarante.
    3.3.-  Infine, la Camera dei deputati sottolinea la necessita' di
pervenire   al   rigetto   del   ricorso   attraverso  un  «recupero»
dell'indirizzo  espresso  dalla  giurisprudenza costituzionale con la
sentenza n. 417 del 1999.
    Si  assume  che,  secondo tale pronuncia, sarebbe sufficiente, ai
fini  dell'applicazione  della  garanzia  della  insindacabilita', la
semplice   «inerenza  delle  opinioni  all'esercizio  delle  funzioni
parlamentari»,  evenienza ipotizzabile in presenza di un «complessivo
contesto parlamentare» nel quale tali opinioni risultino manifestate.
    Del  resto, prosegue la Camera dei deputati, anche le sentenze di
questa   Corte   n. 10   e  n. 11  del  2000  andrebbero  «rettamente
interpretate»,  giacche' tali pronunce avrebbero inteso semplicemente
escludere  che possa essere sufficiente «la ricorrenza di un contesto
genericamente  politico in cui la dichiarazione si inserisca», ovvero
l'esistenza  di  un  collegamento «con l'attivita' politica intesa in
senso lato».
    Reputa,  pertanto,  la  resistente che sia necessario distinguere
tre  diverse evenienze: «opinioni del tutto estranee alla sfera della
politica»;  «opinioni  connesse alla sfera della politica»; «opinioni
connesse  alla  politica  parlamentare»,  le  sole non sindacabili ai
sensi dell'art. 68 Cost.
    3.4.-  In  prossimita' dell'udienza di discussione, la Camera dei
deputati  ha  depositato  una  seconda  memoria, con la quale insiste
nelle conclusioni rassegnate.
    3.4.1.-  Nel  rammentare il contenuto delle dichiarazioni oggetto
del  conflitto,  la  resistente  sottolinea  come  le stesse si siano
risolte,   in   sostanza,  «nell'affermazione  che  una  parte  della
magistratura  avrebbe agito mossa da intenti squisitamente politici»,
e  cio'  «in  ragione  di  una "collusione diretta e precisa" con una
specifica parte politica».
    Tale  essendo  la  sostanza delle opinioni espresse extra moenia,
risulterebbe evidente come il riferimento al segretario politico e al
responsabile  del settore giustizia dei democratici di sinistra altro
non  sia  stato se non «l'individualizzazione-personalizzazione delle
critiche   rivolte   alla   parte   asseritamente   collusa   con  la
magistratura,  e  cioe'  i  DS»,  avendo  l'interessato semplicemente
«fatto  ricorso  ad  una  figura  retorica,  menzionando, in forma di
sineddoche, la parte (i due uomini politici), per il tutto».
    Ribadisce, inoltre, la Camera, la possibilita' di ravvisare - nel
caso  in  esame  -  l'esistenza del nesso funzionale «che sorregge la
necessaria applicabilita' delle guarentigie di cui all'art. 68, primo
comma, Cost.».
    3.4.2.-  Per  un  verso,  difatti,  si  evidenzia come proprio il
deputato  delle  cui  opinioni  si  controverte, «in numerosi atti di
funzione» (ulteriori rispetto a quelli gia' allegati dalla resistente
alla  propria  memoria  di  costituzione),  abbia «manifestato, intra
moenia, opinioni che quelle proiettate all'esterno si sono limitate a
divulgare».
    In  particolare,  nell'intervento  alla  seduta  della Camera del
17 luglio  1996,  egli ebbe a manifestare l'intendimento di sollevare
«come  grande  tema  istituzionale  la  questione  del  rapporto  tra
politica     e     magistratura»,    sottolineandone    «l'incombente
drammaticita».
    Del  pari  rilevanti,  poi,  si  paleserebbero gli interventi del
28 gennaio  e  del 28 luglio 1998, atteso che nel primo l'interessato
sostenne  l'esistenza  di un collegamento privilegiato tra il partito
democratico  della  sinistra e settori della magistratura, censurando
in  particolare  l'avvenuta  «distruzione  dei  partiti di tradizione
democratica ed occidentale da parte di alcune procure che hanno pero'
risparmiato  il  PDS  e  la  sinistra  democristiana»,  e criticando,
inoltre,  -  nel corso del secondo dei menzionati interventi - «l'uso
politico  della  giustizia,  l'uso  di  quest'ultima  a fini di lotta
politica secondo un disegno non giudiziario ma politico».
    Da  quanto  precede  dovrebbe  evincersi che gia' negli specifici
atti  di  funzione  ascrivibili al predetto parlamentare possa essere
rinvenuta «la sostanza della dichiarazione in contestazione».
    3.4.3.   Per  altro  verso,  poi,  la  Camera  resistente  allega
l'esistenza  di altri atti parlamentari, seppur riferibili a deputati
(o senatori) differenti dall'odierno interessato.
    Pur    conscia   dell'indirizzo   di   recente   espresso   dalla
giurisprudenza  costituzionale,  incline  ad  escludere  la rilevanza
delle  opinioni  manifestate  intra  moenia da altri parlamentari, la
resistente reputa che gli argomenti sui quali si fonda tale indirizzo
contraddicano  «le  premesse»  stesse degli orientamenti tradizionali
espressi dalla Corte «in materia di insindacabilita' parlamentare».
    Quanto,  poi,  agli atti di funzione anteriori alle dichiarazioni
extra moenia, se e' vero che recenti pronunce della Corte mostrano di
ritenere  che  il  tempo  intercorrente  tra i primi e le seconde non
dovrebbe  essere  eccessivamente  lungo,  e'  pur  vero che la stessa
giurisprudenza  costituzionale  non ha chiarito quale sia il criterio
per  stabilire, a priori e con certezza, «il massimo spatium temporis
ammissibile».

                       Considerato in diritto

    1.-  La  Corte di appello di Roma (I sezione civile) ha promosso,
con ricorso del 26 gennaio 2004, conflitto di attribuzione tra poteri
dello   Stato   nei   confronti   della   Camera  dei  deputati,  per
l'annullamento   della   deliberazione  (doc.  IV-quater,  n. 50)  da
quest'ultima  adottata «nella seduta dell'8 ottobre del 2003» (recte:
del 9 luglio del 2003).
    Assume, in particolare, la ricorrente - sul presupposto di essere
chiamata  a giudicare, in seconde cure, della domanda di risarcimento
danni  proposta  dagli  onorevoli Walter Veltroni e Pietro Folena nei
confronti  dell'on.  Silvio  Berlusconi, avendoli il medesimo, a loro
dire,  indicati,  nel  corso  della  trasmissione  radiofonica «Radio
anch'io»  del  30 novembre  1999, «quali complici e in collusione con
alcuni  magistrati,  autori di un disegno teso ad eliminare una parte
politica  a  danno  di  un'altra»  -  l'illegittimita' della predetta
deliberazione.  Con  la  stessa,  difatti,  l'assemblea parlamentare,
qualificando  «i  fatti  oggetto del (...) procedimento», devoluto al
suo  esame,  alla  stregua  di  «opinioni  espresse  da un membro del
Parlamento  nell'esercizio  delle sue funzioni», ha ritenuto di dover
ricondurre   le   dichiarazioni  in  questione  al  disposto  di  cui
all'art. 68 Cost.
    2.- Il ricorso e' inammissibile.
    2.1.-  La  Corte di appello di Roma ha omesso nel suo ricorso per
conflitto   di   riferire   compiutamente,   soprattutto   nella  sua
oggettivita',  il contenuto delle dichiarazioni rese extra moenia dal
parlamentare  interessato,  giacche'  si e' limitata - peraltro nella
sola premessa «in fatto» dell'atto dal quale trae origine il presente
giudizio  -  a  riferire la prospettazione degli appellati, secondo i
quali   il  dichiarante  li  avrebbe  qualificati,  nel  corso  della
suindicata trasmissione radiofonica, nel modo innanzi precisato.
    Dopo  avere specificato, dunque, la pretesa avanzata dagli attori
nel  giudizio  civile  e  la  relativa  causa petendi da loro posta a
fondamento   della  domanda  risarcitoria,  la  ricorrente  autorita'
giudiziaria si e' astenuta dall'effettuare una analitica ricognizione
dell'esatto    ed    obiettivo    contenuto    delle    dichiarazioni
extraparlamentari rese dall'interessato. Nella motivazione in diritto
dell'atto   di  promovimento  del  conflitto,  la  Corte  di  appello
ricorrente   si  e'  solo  genericamente  riferita  -  senza  affatto
specificarle   come   sarebbe   stato   necessario  -  alle  opinioni
manifestate   dal   parlamentare,   alle  sue  «espressioni  ritenute
diffamatorie» dagli appellati, alle «frasi pronunciate» dal medesimo,
peraltro insistendo sulle loro conseguenze, considerate «estremamente
gravi e nocive» per la reputazione degli stessi attori.
    Non  vi  e',  quindi,  alcun  elemento  che consenta di stabilire
l'effettiva  portata  delle  dichiarazioni  de  quibus,  genericita',
questa,    cui   simmetricamente   corrisponde   l'evasivita'   della
descrizione  anche  del contenuto della delibera di insindacabilita',
adottata  dall'assemblea  parlamentare  il  9 luglio  2003,  indicata
erroneamente nei suoi stessi estremi identificativi.
    La  Corte  rimettente  in sostanza non e' andata oltre il rilievo
secondo  cui,  ad  avviso  della  Camera dei deputati, l'attacco agli
onorevoli  Veltroni  e  Folena  non sarebbe avvenuto uti singuli, «ma
come  esponenti di spicco dell'Ulivo»; sicche' la ricorrente, neppure
nell'esporre le ragioni che renderebbero illegittima la deliberazione
suddetta, ha provveduto ad individuare con esattezza le dichiarazioni
rese  dall'interessato  nel  corso della trasmissione radiofonica del
30 novembre 1999.
    2.2.-  Ne  consegue  che  - come affermato da questa Corte in una
fattispecie analoga (si trattava, allora, di dichiarazioni rese da un
parlamentare nel corso di una trasmissione televisiva) - le descritte
carenze    dell'atto    introduttivo    del    giudizio    comportano
l'inammissibilita'  del  ricorso  per  conflitto di attribuzione, dal
momento  che non consentono di cogliere, in modo esaustivo, l'oggetto
del contendere (sentenza n. 79 del 2005).
    Cio'   in   quanto,   stante   il   principio   della  necessaria
autosufficienza  che  deve  caratterizzare  l'atto  introduttivo  del
giudizio  innanzi  a  questa  Corte,  l'assenza  nel  ricorso  di una
«compiuta  esposizione  dei  fatti,  non  solo  perche'  non  vengono
riportate  le  frasi  pronunciate  dal deputato (...) nel corso della
trasmissione»  -  frasi  che,  in  ogni  caso,  «assumono  importanza
fondamentale   ai   fini   dell'accertamento   dell'eventuale   nesso
funzionale  con atti parlamentari tipici» -, «ma soprattutto perche',
in  luogo  delle  parole  pronunciate  nel  corso della trasmissione,
vengono   espresse   valutazioni   circa   l'incidenza  lesiva  delle
dichiarazioni  del deputato» - come, appunto, anche nel caso in esame
-  si  traduce  inevitabilmente  «a  norma degli artt. 37 della legge
11 marzo  1953,  n. 87  e  26  delle  norme integrative per i giudizi
davanti   alla   Corte  costituzionale,  nel  difetto  del  requisito
essenziale  del  ricorso, che deve conseguentemente essere dichiarato
inammissibile» (cosi' la citata sentenza n. 79 del 2005).
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  inammissibile il ricorso per conflitto tra poteri dello
Stato  proposto  dalla  Corte  di appello di Roma nei confronti della
Camera dei deputati, con l'atto indicato in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'8 novembre 2006.
                         Il Presidente: Bile
                       Il redattore: Quaranta
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 21 novembre 2006.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
06C1037