N. 384 SENTENZA 8 - 21 novembre 2006

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo  penale  -  Udienza  preliminare - Modifica dell'imputazione
  mediante  contestazione di aggravante gia' risultante dagli atti di
  indagine - Obbligo del giudice di notificare all'imputato contumace
  il  relativo  verbale  di  udienza  -  Mancata previsione - Dedotta
  violazione   del  diritto  di  difesa  e  lamentata  disparita'  di
  trattamento rispetto alla fase dibattimentale - Insussistenza - Non
  fondatezza della questione.
- Cod. proc. pen., art. 423, comma 1.
- Costituzione, artt. 3 e 24, secondo comma.
(GU n.47 del 29-11-2006 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Franco BILE;
  Giudici:  Giovanni  Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,
Romano  VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Franco GALLO,
Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE,
Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 423, comma 1,
del   codice   di   procedura  penale,  promosso  con  ordinanza  del
22 dicembre   2003  dal  giudice  per  le  indagini  preliminari  del
Tribunale  di  Milano,  nel  procedimento penale a carico di K. C. ed
altri,  iscritta  al  n. 225 del registro ordinanze 2004 e pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale della Repubblica n. 14, 1ª serie speciale,
dell'anno 2004;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Cosiglio dei
ministri;
    Udito  nella  Camera  di consiglio del 25 ottobre 2006 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con  l'ordinanza  indicata  in  epigrafe il Giudice per le
indagini  preliminari  del  Tribunale  di  Milano  ha  sollevato,  in
riferimento  agli  artt. 3  e  24, secondo comma, della Costituzione,
questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 423, comma 1, del
codice  di procedura penale, nella parte in cui non prevede l'obbligo
del  giudice  dell'udienza  preliminare  di disporre la notificazione
all'imputato  contumace  del  verbale  di  udienza  che  recepisce la
modifica  dell'imputazione, mediante contestazione di una circostanza
aggravante,  operata  dal  pubblico ministero sulla base degli stessi
atti di indagine che hanno fondato l'esercizio dell'azione penale.
    Il   rimettente  premette  di  essere  investito,  quale  giudice
dell'udienza  preliminare,  del  processo penale nei confronti di tre
persone  imputate  del  reato di usura aggravata dall'approfittamento
dello stato di bisogno della persona offesa. Nel corso dell'udienza -
dopo che gli imputati, non comparsi, erano stati dichiarati contumaci
ai sensi dell'art. 420-quater cod. proc. pen. - il pubblico ministero
aveva   modificato  l'imputazione  in  base  alla  norma  denunciata,
contestando  agli  imputati medesimi l'ulteriore aggravante, prevista
dall'art. 644,  quinto  comma, numero 1, del codice penale, del fatto
commesso  nell'esercizio di un'attivita' professionale (nella specie,
quali   rappresentanti  di  una  societa'  finanziaria):  circostanza
peraltro  desumibile  dagli  atti,  e  in  particolare  dalla  stessa
denuncia   della  persona  offesa  e  dalla  documentazione  ad  essa
allegata.
    Cio'  premesso,  il  giudice  a  quo  dubita  della  legittimita'
costituzionale  dell'art. 423,  comma 1, cod. proc. pen., nei termini
dianzi  prospettati.  La  norma  impugnata  sarebbe  lesiva, in primo
luogo,  del  diritto di difesa, in quanto impedirebbe all'imputato di
esercitare  in  maniera  consapevole  -  alla  luce del mutato quadro
accusatorio  - la propria facolta' di accesso ai riti alternativi, la
cui  attivazione rimane preclusa dalla formulazione delle conclusioni
nell'udienza preliminare.
    La richiesta dei riti alternativi si configura, difatti - al lume
della  giurisprudenza  di  questa  Corte  -  come  una  modalita'  di
esercizio  del  diritto di difesa, in quanto consente all'imputato di
sottrarsi  al  rischio  dell'applicazione  di  sanzioni piu' gravi, a
seguito   della  celebrazione  del  rito  ordinario.  Le  valutazioni
dell'imputato  in  ordine  alla convenienza dell'accesso a detti riti
vengono  peraltro  a  dipendere  dalla  concreta impostazione data al
processo  dal  pubblico  ministero:  con  la  conseguenza che, quando
l'imputazione   subisce   una   variazione   sostanziale,  precludere
all'imputato  l'accesso ai riti speciali equivarrebbe a compromettere
il suo diritto di difesa.
    Non  gioverebbe  obiettare  che,  scegliendo di restare contumace
all'udienza  preliminare, l'imputato accetta il rischio di non venire
a conoscenza di una possibile modifica dell'imputazione: onde sarebbe
suo  onere, in vista di tale eventualita', rilasciare preventivamente
una  procura speciale che legittimi il proprio difensore a chiedere i
riti  alternativi  in sua assenza. Sempre in base alla giurisprudenza
di  questa Corte, difatti, se l'imputato vanta un diritto intangibile
a  partecipare  al  processo,  non  e'  invece  configurabile  un suo
simmetrico  obbligo,  salvo nei casi in cui la mancata partecipazione
ostacoli fondamentali esigenze di giudizio, relative al compimento di
atti  per  i  quali e' necessaria la presenza dell'imputato stesso: e
cio'  in  quanto  anche la scelta di non collaborare allo svolgimento
del  processo  si  traduce  in una incoercibile opzione difensiva. Di
conseguenza,  ove  l'imputato  decida  di non partecipare all'udienza
preliminare,  tale  determinazione  non  potrebbe  essere  sanzionata
annullando  l'ulteriore  suo  diritto  di  valutare l'opportunita' di
accedere ai riti alternativi alla luce della modifica dell'originaria
imputazione;  o  anche  solo  configurando  a  suo carico l'onere del
rilascio  di  una  procura speciale «preventiva» al difensore, di per
se' incompatibile con un consapevole - e dunque effettivo - esercizio
del diritto di difesa.
    Analogamente,   non   varrebbe   sostenere  che  l'imputato,  non
richiedendo  tempestivamente  i  riti alternativi, si accollerebbe il
rischio che il pubblico ministero proceda ad una modifica sostanziale
dell'imputazione  o  alla  contestazione  di  un reato concorrente. A
prescindere,  infatti,  dal  rilievo  che  questa  Corte  ha ritenuto
legittimo  gravare  l'imputato  di tale rischio solo nel caso in cui,
sulla  base  dell'imputazione  originariamente  formulata  in sede di
esercizio dell'azione penale, egli abbia deciso di non chiedere alcun
rito  alternativo  nei termini stabiliti dalla legge processuale, per
poi  vedere  modificata  l'imputazione  nel  corso  del  dibattimento
(sentenza  n. 316  del  1992  e  ordinanza  n. 213 del 1992); sarebbe
comunque   dirimente   l'obiezione   che   la  stessa  giurisprudenza
costituzionale  ha  comunque  escluso  la  possibilita' di trasferire
sull'imputato   i   rischi  dell'intempestiva  attivazione  dei  riti
alternativi,  allorche'  la contestazione suppletiva trovi fondamento
non  gia'  nelle risultanze dell'istruttoria dibattimentale, ma negli
stessi  atti  d'indagine: configurandosi, dunque, come rimedio ad una
incompletezza  originaria dell'imputazione «addebitabile» allo stesso
pubblico ministero (sentenze n. 101 del 1993 e n. 265 del 1994).
    Il  dubbio di costituzionalita' non potrebbe essere d'altra parte
superato  ritenendo,  in  via  interpretativa,  che  a  fronte  della
modifica  dell'imputazione  il giudice dell'udienza preliminare debba
concedere  un  termine  a  difesa.  Ammesso  pure,  infatti, che tale
soluzione  sia  praticabile - a dispetto della mancanza nell'art. 423
cod.  proc.  pen.  di  una  previsione  analoga  a  quella  contenuta
nell'art. 519 cod. proc. pen., riguardo alle contestazioni suppletive
operate  in  dibattimento  -  essa non risulterebbe comunque idonea a
«sanare»  il  difetto di conoscenza dell'imputato contumace; giacche'
non  escluderebbe  la  possibilita'  di  una mancata informazione del
medesimo  da  parte  del  difensore  che ha ricevuto per suo conto la
contestazione  (rimanendo irrilevante che cio' avvenga per difetto di
diligenza del difensore o per cause indipendenti dalla sua volonta).
    Ne',  ancora,  si potrebbe ricorrere - nella medesima prospettiva
del  superamento dei dubbi di costituzionalita' - ad una applicazione
analogica  dell'art. 520  cod.  proc. pen., che impone la notifica al
contumace,  per  estratto,  del  verbale  dell'udienza dibattimentale
nella  quale  si  e'  proceduto  alle  contestazioni suppletive. Tale
soluzione  sarebbe  stata,  difatti, implicitamente esclusa da questa
Corte  con l'ordinanza n. 185 del 2001, relativa ad analoga questione
di   legittimita'   costituzionale  dell'art. 423  cod.  proc.  pen.,
sollevata  in  riferimento  all'art. 3  Cost.  sul  presupposto della
disparita'  di  trattamento,  in  parte qua, tra la fase dell'udienza
preliminare e quella dibattimentale: questione che la Corte stessa ha
dichiarato  manifestamente  infondata  in  base  al  rilievo  che  la
disparita'  denunciata  non  poteva  considerarsi irrazionale, stante
l'eterogeneita'   delle   due   fasi   processuali;   negando   cosi'
implicitamente  la  configurabilita' di un «principio immanente» alla
legge  processuale,  che  imponga di informare l'imputato contumace o
assente  dei  mutamenti dell'«oggetto del contraddittorio» instaurato
nell'udienza preliminare.
    Il  giudice  rimettente  ritiene,  peraltro,  che la questione di
costituzionalita' debba essere riproposta anche sotto il profilo, ora
indicato,  della  violazione  dell'art. 3  Cost.: e cio' a fronte dei
mutamenti  della  giurisprudenza costituzionale in ordine alla natura
dell'udienza  preliminare,  intervenuti  successivamente  alla citata
ordinanza  n. 185  del  2001.  In  detta pronuncia, difatti, la Corte
aveva   ritenuto   giustificata,   per  le  contestazioni  suppletive
nell'udienza  preliminare,  una  disciplina  difforme  e  piu' snella
rispetto a quella dettata per il dibattimento, confermando il proprio
consolidato   orientamento   secondo  cui  l'udienza  preliminare  si
connoterebbe  quale  momento  fondamentalmente orientato al controllo
processuale  dell'azione  penale  esercitata  dal pubblico ministero.
Successivamente,   pero',  la  stessa  Corte  ha  riconosciuto  -  in
particolare  con le sentenze n. 224 del 2001 e n. 335 del 2002 - che,
per  effetto delle modifiche introdotte dalla legge 16 dicembre 1999,
n. 479  (Modifiche  alle  disposizioni  sul  procedimento  davanti al
tribunale  in composizione monocratica e altre modifiche al codice di
procedura  penale.  Modifiche  al  codice  penale  e  all'ordinamento
giudiziario.  Disposizioni in materia di contenzioso civile pendente,
di  indennita'  spettanti  al  giudice  di  pace e di esercizio della
professione    forense),    l'udienza   preliminare   e'   venuta   a
caratterizzarsi  sia  per la completezza del quadro probatorio di cui
il  giudice  deve  disporre,  sia  per  il  potenziamento  dei poteri
riconosciuti  alle  parti  in  materia  di prova, sia per la maggiore
pregnanza  delle  decisioni che la concludono: tanto da doversi ormai
annoverare,    ai    fini    dell'applicazione    della    disciplina
dell'incompatibilita'   del   giugdice,   tra   i  giudizi  idonei  a
pregiudicarne  altri  ulteriori  e  ad  essere  pregiudicati da altri
anteriori.   In   particolare,  argomentando  dall'ampliamento  dello
spettro  della  regola  di  giudizio  che presiede all'adozione della
sentenza  di  non luogo a procedere ex art. 425 cod. proc. pen. - ora
in grado di scaturire anche dall'applicazione della disciplina di cui
all'art. 69  cod.  pen., in tema di comparazione tra circostanze - la
Corte  ha  riconosciuto  che  tale  sentenza  presenta  attualmente i
connotati tipici delle statuizioni di merito.
    Alla   luce   di   tali   indicazioni,  peraltro,  la  disciplina
differenziata delle contestazioni suppletive nell'udienza preliminare
e  nel  dibattimento  risulterebbe  non piu' giustificabile. Infatti,
appare  ormai pacifico che nell'udienza preliminare il giudice non e'
piu'   chiamato   ad  una  mera  verifica  della  generica  idoneita'
dell'accusa  ad  essere  sostenuta  in  giudizio,  in rapporto ad una
«piattaforma  cognitiva  eventualmente  sommaria»:  sarebbe,  dunque,
giocoforza  ritenere  che anche le modalita' di esercizio dei diritti
difensivi  all'interno  dell'udienza  siano mutate; e che occorra, di
conseguenza,   ispessire  il  relativo  apparato  di  garanzie  sulla
falsariga  di  quello  proprio del giudizio di merito, in particolare
per  quanto  attiene  al  diritto  dell'imputato  contumace ad essere
informato delle contestazioni suppletive.
    Con  riferimento  al  caso oggetto del procedimento a quo, non si
comprenderebbe, cosi', perche' gli imputati - cui e' stata contestata
nell'udienza  preliminare  una nuova circostanza aggravante, peraltro
in  dipendenza  di  una  precedente  «inerzia» del pubblico ministero
nell'estrarre  dagli  atti  di  indagine l'imputazione corretta - non
possano  di  fatto  accedere, in vista del loro eventuale interesse a
neutralizzarne   le  conseguenze  negative,  ad  un  «negoziato»  con
l'organo  dell'accusa, proponendo un «patteggiamento» che presupponga
il  riconoscimento  delle  attenuanti  generiche con prevalenza sulla
suddetta  aggravante.  E,  allo  stesso  modo  - posto che il giudice
dell'udienza  preliminare,  ai  fini  dell'adozione  della  decisione
conclusiva  della  fase, e' chiamato a compiere la stessa valutazione
rimessa  al giudice del dibattimento, in punto di comparazione fra le
circostanze  del  reato  -  non  si  comprenderebbe  perche' solo nel
dibattimento  l'imputato rimasto contumace, prima di difendersi dalla
nuova  contestazione  di una circostanza aggravante, abbia diritto ad
essere informato della modifica dell'imputazione.
    La  questione  sarebbe  infine  rilevante  nel giudizio a quo, in
quanto  sollevata  prima  dell'inizio  della discussione che conclude
l'udienza   preliminare,  e  che  segna  il  momento  preclusivo  per
l'attivazione dei riti alternativi.
    2.   -  E'  intervenuto  nel  giudizio  di  costituzionalita'  il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale dello Stato, chiedendo che la questione sia
dichiarata non fondata.
    La difesa erariale rileva come l'aggravamento della contestazione
nel  corso  dell'udienza preliminare costituisca un rischio che - nel
caso  di  modifica  dell'imputazione basata su elementi gia' presenti
negli  atti  di indagine l'imputato e' in grado di valutare, anche ai
fini   della   scelta   del   rito,   nel  momento  della  fissazione
dell'udienza,  in  conseguenza  del  preventivo deposito dei predetti
atti  a  norma  dell'art. 415-bis  cod. proc. pen. Di conseguenza, si
tratterebbe  di  un  «rischio  calcolato» dall'imputato che scelga di
rimanere  contumace, consentendo altresi' lo svolgimento dell'udienza
nelle forme ordinarie.
    Il  confronto  con il dettato dell'art. 520 cod. proc. pen. - che
prevede  la  notifica  all'imputato  contumace  o assente delle nuove
contestazioni  operate  in  dibattimento  - non sarebbe d'altro canto
pertinente  al  caso  di  specie,  dato  che la predetta notifica non
sarebbe  finalizzata  all'introduzione  di  riti  alternativi, quanto
piuttosto al generale e corretto esercizio del diritto di difesa.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Il  Giudice  per  le indagini preliminari del Tribunale di
Milano dubita, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della
Costituzione,   della   legittimita'   costituzionale  dell'art. 423,
comma 1,  del  codice  di  procedura  penale,  nella parte in cui non
prevede l'obbligo del giudice dell'udienza preliminare di disporre la
notificazione  all'imputato  contumace  del  verbale  di  udienza che
recepisce la modifica dell'imputazione, mediante contestazione di una
circostanza  aggravante,  operata  dal  pubblico ministero sulla base
degli   stessi   atti  di  indagine  che  hanno  fondato  l'esercizio
dell'azione penale.
    Ad avviso del rimettente, la norma impugnata lederebbe il diritto
di   difesa  dell'imputato,  impedendogli  di  avvalersi  in  maniera
consapevole  della  propria  facolta'  di accesso ai riti alternativi
entro  il  limite  temporale  finale segnato dalla formulazione delle
conclusioni nell'udienza preliminare. La valutazione dell'imputato in
ordine  alla  convenienza  dei  predetti  riti e' difatti in funzione
della  concreta impostazione data al processo dal pubblico ministero:
con  la  conseguenza  che  non  informare  l'imputato contumace della
sopravvenuta  modifica dell'imputazione - non permettendogli cosi' di
rivedere  il  suo  apprezzamento  in  rapporto  alla  nuova  caratura
dell'accusa  -  equivarrebbe  a  compromettere  il  diritto  tutelato
dall'art. 24,  secondo  comma, Cost., del quale la richiesta dei riti
alternativi  costituisce  espressione.  Ne' gioverebbe obiettare che,
rimanendo  contumace all'udienza preliminare, l'imputato accetterebbe
il  rischio  di  non  venire  a  conoscenza di una eventuale modifica
dell'imputazione:  cosi'  che  sarebbe  suo  onere,  in vista di tale
eventualita',  rilasciare  preventivamente  una  procura speciale che
legittimi  il  difensore  a  richiedere  i  riti  alternativi  in sua
assenza.  La  scelta  dell'imputato di non presenziare al processo si
tradurrebbe   difatti   essa   stessa  in  una  incoercibile  opzione
difensiva; quest'ultima non potrebbe dunque venir «sanzionata» con la
perdita  del  diritto  di accesso ai riti alternativi alla luce della
mutata  imputazione, o anche solo configurando a carico dell'imputato
l'onere   del  rilascio  di  una  procura  speciale  «preventiva»  al
difensore,  di  per  se'  incompatibile con un consapevole - e dunque
effettivo - esercizio del diritto di difesa.
    Sarebbe  leso  altresi'  l'art. 3  Cost.,  sotto il profilo della
disparita'  di  trattamento  rispetto alla fase dibattimentale, avuto
riguardo  alla  disciplina  delle  nuove  contestazioni  all'imputato
contumace  o assente, di cui all'art. 520 cod. proc. pen.: disparita'
di   trattamento  non  piu'  giustificabile  alla  luce  dell'attuale
fisionomia  dell'udienza  preliminare,  la  quale,  per effetto delle
innovazioni  introdotte dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479, avrebbe
ormai  perduto  l'originaria  connotazione  di  semplice  momento  di
controllo  processuale  dell'azione  penale  esercitata  dal pubblico
ministero, per assumere le caratteristiche tipiche del vero e proprio
giudizio di merito.
    2. - La questione non e' fondata.
    2.1.  -  Quanto,  infatti,  alla dedotta violazione dell'art. 24,
secondo  comma,  Cost.,  non  e'  in  realta' contestabile che, nella
situazione   considerata  dal  giudice  a  quo,  l'impossibilita'  di
proporre  la  richiesta  di  rito  speciale  a  fronte  della  mutata
imputazione  in  udienza  preliminare  -  stanti  le previsioni degli
artt. 438,  comma 3,  e 446, comma 3, cod. proc. pen., in forza delle
quali  il  giudizio  abbreviato  e  il  patteggiamento debbono essere
richiesti  dall'imputato  personalmente  o  a  mezzo  di  procuratore
speciale  -  consegua ad una duplice, volontaria scelta dell'imputato
medesimo:  quella  di rimanere contumace in detta udienza e quella di
non  conferire  una procura speciale al difensore, che lo abiliti, in
via  preventiva, a presentare la richiesta di rito alternativo in sua
assenza  (cosi'  come  consentito  dall'art. 37 disp. att. cod. proc.
pen.).
    La  modifica  dell'imputazione  nell'udienza  preliminare - e, in
particolare,  la  contestazione,  nel  corso  di  essa,  di una nuova
circostanza   aggravante   -   non   e',  d'altro  canto,  un  evento
imprevedibile.  In  linea  generale,  difatti, l'udienza preliminare,
nell'architettura  del  nuovo  codice  di  rito (per questo verso non
incisa  dalla  legge  n. 479  del  1999),  si connota per una maggior
«fluidita»  dell'addebito,  il  quale  si  «cristallizza» solo con il
provvedimento  che  dispone il giudizio. Ma, soprattutto, l'evenienza
di  cui  si  discute non e' imprevedibile nella specifica ipotesi che
forma  oggetto  del  quesito: vale a dire quando il mutamento si basi
non  su nuovi dati emersi nel corso dell'udienza, ma su elementi gia'
desumibili dagli atti d'indagine. Si tratta, infatti, di elementi che
l'imputato  ha avuto modo di conoscere e di valutare - anche sotto il
profilo    della    loro    idoneita'   a   propiziare   «incrementi»
dell'imputazione  esposta  nella  richiesta  di rinvio a giudizio - a
seguito del deposito effettuato ai sensi dell'art. 415-bis cod. proc.
pen.
    Se ne deve dunque desumere che - contrariamente a quanto sostiene
il  giudice  a  quo  -  l'eventuale  preclusione  all'accesso ai riti
alternativi  non  puo'  considerarsi di per se' lesiva del diritto di
difesa,  traducendosi, nella sostanza, in un «rischio» che l'imputato
volontariamente  si assume con la duplice scelta dianzi indicata. Che
la  decisione  dell'imputato  di  non  presenziare  al processo a suo
carico   si   atteggi   essa   stessa  come  «scelta  difensiva»  non
suscettibile  di  venir  conculcata  (sentenza  n. 301 del 1994), non
esclude,  difatti,  che tale opzione implichi comunque l'accettazione
delle      eventuali      conseguenze      sfavorevoli,     derivanti
dall'impossibilita'   del   compimento   di   atti   processuali  che
presuppongono la presenza del giudicabile.
    Ne' giova alla tesi del rimettente, sotto il profilo considerato,
il  confronto  con  la  previsione dell'art. 520 cod. proc. pen. Come
osserva,  infatti,  anche  l'Avvocatura  dello Stato, la notifica del
verbale   all'imputato   contumace  o  assente,  nel  caso  di  nuova
contestazione   in  dibattimento,  non  e'  finalizzata,  in  via  di
principio,  a  consentirgli  l'accesso  ai  riti  alternativi; quanto
piuttosto  a  permettergli  l'esercizio  del  diritto  di  difesa  in
relazione  al  mutato  quadro  accusatorio,  con  la  garanzia  della
fruizione,  all'uopo, di un adeguato spazio temporale (dovendo in tal
caso  il  dibattimento essere sospeso, con la fissazione di una nuova
udienza  per  la  prosecuzione  nel  rispetto  dei  termini  indicati
dall'art. 519,  commi 2  e 3, cod. proc. pen.): e cio' in parallelo a
quanto e' previsto per l'imputato presente dal medesimo art. 519 cod.
proc.  pen.,  tramite il riconoscimento della facolta' di chiedere un
termine  a difesa. Aspetto, quest'ultimo, che resta peraltro estraneo
al  petitum del rimettente (il quale sottolinea specificamente che la
concessione  di  un  termine a difesa non varrebbe a sanare il vulnus
denunciato) e, dunque, all'odierno thema decidendum.
    Neppure puo' utilmente invocarsi, in senso contrario, la sentenza
n. 265   del   1994,   con   la  quale  questa  Corte  -  dichiarando
costituzionalmente  illegittimi,  in  parte  qua, gli artt. 516 e 517
cod. proc. pen. - ha «rimesso in termini» l'imputato per la richiesta
di  applicazione  della  pena,  nell'ipotesi  di  nuova contestazione
dibattimentale  basata  su  elementi  gia'  risultanti  dagli atti di
indagine: in particolare escludendo che, in detta ipotesi, il rischio
della  modifica  possa essere addossato all'imputato, quale frutto di
sua libera scelta.
    Nell'allegare  la  citata decisione a sostegno delle sue censure,
il rimettente non tiene, in effetti, adeguato conto della sostanziale
diversita'  della situazione da essa avuta di mira, rispetto a quella
oggetto  dell'odierno  quesito.  La  sentenza  n. 265  del 1994 aveva
riguardo,  difatti,  a  modifiche  dell'imputazione  operate  dopo la
scadenza del termine per l'accesso ai riti alternativi, quali appunto
quelle  dibattimentali.  Rispetto  a  tali  modifiche,  la contumacia
dell'imputato costituisce una variabile del tutto indifferente (tanto
che  la sentenza in parola non se ne occupa affatto): giacche', anche
presenziando al processo, l'imputato non potrebbe comunque esercitare
il  suo «diritto» al rito semplificato in rapporto alla nuova ipotesi
accusatoria,  proprio in quanto formulata allorche' il termine per la
relativa  richiesta risulta ormai spirato. Donde la ritenuta esigenza
costituzionale  di  un  intervento  correttivo, inteso ad evitare che
eventuali  inesattezze o negligenze del pubblico ministero - in punto
di  «estrazione»  dell'imputazione  corretta dagli atti di indagine -
finissero   per  sviare  irrimediabilmente  le  scelte  dell'imputato
relative al rito.
    Nell'odierno  frangente,  si  discute, al contrario, di modifiche
dell'imputazione che intervengono prima dello sbarramento processuale
ai    riti   alternativi:   modifiche   in   relazione   alle   quali
l'impossibilita'  di  accedere  ai  riti  alternativi  non e' affatto
assoluta  e  irrimediabile,  ma  dipende,  viceversa - secondo quanto
dianzi  rimarcato - da scelte processuali dell'imputato. Nella stessa
sentenza  n. 265  del 1994, del resto, questa Corte non ha mancato di
segnalare  che  il  problema  di costituzionalita' che essa intendeva
risolvere   in  tanto  veniva  a  porsi,  in  quanto  l'erroneita'  o
l'incompletezza  originaria dell'imputazione non fosse stata «sanata»
attraverso   il   «meccanismo   di   adeguamento  delle  imputazioni»
nell'udienza  preliminare,  previsto  dalla  norma dell'art. 423 cod.
proc. pen., oggi denunciata.
    Quanto,  poi,  all'ulteriore  censura  di  violazione dell'art. 3
Cost.,  si  deve  osservare che se pure e' vero che - alla luce della
piu'  recente  giurisprudenza di questa Corte - l'udienza preliminare
si  qualifica  ormai  come  «momento  di  giudizio»,  di  natura  non
meramente  processuale  (sentenze  n. 335 del 2002 e n. 224 del 2001;
ordinanze  n. 20 e n. 90 del 2004; n. 269 e n. 271 del 2003; n. 367 e
n. 490  del 2002), cio' non vale ancora, pero', ad elidere le marcate
differenze   contenutistiche   rispetto   alla  fase  dibattimentale:
rimanendone   esclusa,  di  conseguenza,  l'esigenza  di  una  totale
omologazione  delle  due  fasi, in punto di modalita' di esplicazione
del diritto di difesa.
    Se   anche,   infatti   -   in   conseguenza  segnatamente  della
novellazione   operata  dalla  legge  n. 479  del  1999  -  i  poteri
istruttori    del    giudice   dell'udienza   preliminare   risultano
significativamente  accresciuti  rispetto al passato, la «piattaforma
cognitiva»  della  sua  decisione  non  attinge pero' certamente alla
pienezza    dell'istruttoria   dibattimentale.   Soprattutto,   detta
decisione  resta  calibrata  -  in  chiave  di  «prognosi  sulla  ...
possibilita'  di  successo»  dell'accusa  «nella fase dibattimentale»
(sentenza  n. 335 del 2002) - sull'alternativa fra il proscioglimento
ed  il  rinvio  a  giudizio,  con  esclusione  della  possibilita' di
condanna. Senza considerare, poi, che la stessa sentenza di non luogo
a  procedere  e'  dotata  solo  di una limitata efficacia preclusiva,
stante  la  prevista  possibilita'  di  riapertura  delle  indagini a
seguito di nuove acquisizioni (artt. 434 e seguenti cod. proc. pen.).
    In  tale  ottica,  resta  dunque  valido il rilievo, formulato da
questa  Corte  in  relazione ad analogo quesito di costituzionalita',
per  cui  «il  mutamento  del quadro di accusa ben puo' ricevere ...,
quanto a modalita' di contestazione» - e particolarmente in relazione
al  caso  in  cui l'imputato sia rimasto, per sua scelta, contumace -
«una  disciplina difforme e piu' snella rispetto a quella dettata per
il dibattimento» (ordinanza n. 185 del 2001).
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  non fondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 423,  comma 1, del codice di procedura penale sollevata, in
riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, dal
giudice  per  le  indagini  preliminari  del  Tribunale di Milano con
l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'8 novembre 2006.
                         Il Presidente: Bile
                         Il redattore: Flick
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 21 novembre 2006.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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