N. 531 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 aprile 2006
Ordinanza emessa il 19 aprile 2006 (pervenuta alla Corte costituzionale il 25 ottobre 2006) dalla Corte di appello di Roma nel procedimento penale a carico di Graldi Paolo ed altro Processo penale - Appello - Modifiche normative - Inappellabilita' delle sentenze di non luogo a procedere da parte del pubblico ministero - Inammissibilita' dell'appello proposto prima dell'entrata in vigore della novella - Contrasto con il principio di ragionevole durata e speditezza del processo - Violazione del principio di ragionevolezza. - Legge 20 febbraio 2006, n. 46, artt. 4 [sostitutivo dell'art. 428 cod. proc. pen.] e 11 [recte: 10]. - Costituzione, artt. 3, 111 e 112.(GU n.48 del 6-12-2006 )
LA CORTE DI APPELLO Ha pronunciato la seguente ordinanza sull'eccezione di illegittimita' costituzionale proposta dal p.g. con riguardo agli artt. 4 e 11 della legge 22 febbraio 2006, n. 46, in riferimento agli artt. 3, 111 e 112 della Costituzione, nel procedimento promosso nei confronti di Graldi Paolo, nato a Bologna il 27 maggio 1942, domiciliato c/o «Il Messaggero» in Roma, via del Tritone n. 152, difeso dagli avvocati Paola Severino Di Benedetto e Maurizio Bellacosa, con studio in Roma, via Ciro Menotti n. 4; Papillo Emiliano, nato a Frosinone il 2 maggio 1975, domiciliato in Morolo, via Portella n. 16, difeso dall'avv. Giampiero Vellucci, con studio in Frosinone, via Marcello Mastroianni n. 351; imputati: Panillo Emiliano: A) del reato p. e p. dagli artt. 595, comma 3 c.p. e 13, legge n. 47/1948 perche' redigeva articolo apparso sul quotidiano «Il Messaggero», pagina di Frosinone, che si richiama integralmente, in cui insinuava che lo sciopero e l'occupazione dell'azienda N.A.I. avvenuta a novembre 2001, era il frutto di un accordo tra azienda e sindacato per non pagare i dipendenti, e criticava il sindacato affermando che aveva assunto posizioni ambigue, cosi' offendendo la reputazione del sindacato Fisascat CISL - Roma, 24 dicembre 2001; Graldi Paolo: B) del reato p. e p. dall'art. 57 c.p. in relazione all'art. 595 c.p. perche' in qualita' di direttore responsabile del Messaggero ometteva di esercitare sul contenuto dell'articolo di cui al capo A) il doveroso controllo, e cosi' non impediva che si commettesse il reato di diffamazione di cui al capo A) - Roma, 24 dicembre 2001. F a t t o e d i r i t t o Con sentenza emessa il 23 novembre 2004, depositata contestualmente, il g.u.p. presso il Tribunale di Roma dichiarava non luogo a procedere nei confronti dei due imputati, in ordine alle imputazioni loro ascritte, per essere l'azione penale improcedibile in mancanza della proposizione di valida querela. Rilevava il g.u.p. che in atti non risultavano provati in capo a Santigli Luciano i poteri di rappresentanza del sindacato, posto che l'autocertificazione della qualita' di segretario generale dello stesso sindacato non poteva ritenersi idonea, mancando invece la prova dell'autorizzazione conferita al Santigli, nella sua qualita', da parte dei componenti del sindacato (che e' un ente di fatto, ossia un'associazione non riconosciuta), ovvero da apposite regole statutarie, alla specifica presentazione della querela a tutela dell'onorabilita' del sindacato medesimo. La sentenza del g.u.p. veniva impugnata dal p.m. per i seguenti motivi: A) Errata applicazione dell'art. 120 c.p. e dell'art. 337, comma 3 c.p.p., dal momento che tale ultimo articolo, come la suprema Corte aveva ritenuto piu' volte, non commina alcuna nullita' alla mancata compiuta indicazione della fonte dei poteri di rappresentanza, e nel caso di specie l'onere di indicare (e non di provare) la fonte dei poteri era stato assolto dalla mera enunciazione della qualita' di rappresentante del sindacato da parte del Santigli; B) Negli enti di fatto, come ancora la suprema Corte aveva affermato piu' volte, la legittimazione a proporre la querela spetta ai legali rappresentanti ex se, senza che occorra apposita autorizzazione da parte dei soci, e senza che occorra apposita norma statutaria. Il p.m. chiedeva, pertanto, che venisse disposto il rinvio a giudizio di Graldi Paolo e Papillo Emiliano per rispondere dei reati come loro rispettivamente ascritti. In pendenza dell'appello, in data 9 marzo 2006 e' entrata in vigore la legge n. 46/2006, che dispone all'art. 11 che venga dichiarata l'inammissibilita' dell'appello proposto dal p.m. prima dell'entrata in vigore di essa legge. All'ufficio del p.m. e' data (art. 4) la facolta' di proporre ricorso per cassazione contro la sentenza di non luogo a procedere. Ritiene la Corte che l'eccezione di incostituzionalita' sollevata dal p.g., e richiamata in epigrafe, non sia manifestamente infondata nei termini qui di seguito esposti. E invero l'inappellabilita', anche per i procedimenti in corso, delle sentenze di non luogo a procedere, come previsto dal combinato disposto degli artt. 4 e 11 della legge n. 46/2006 contrasta: con il principio della ragionevole durata e speditezza del procedimento (sancito dall'art. 111 Cost.) in quanto potra' verificarsi una regressione dello stesso alla fase dell'udienza preliminare - a seguito di annullamento della Corte di cassazione - con una inevitabile dilatazione dei tempi di definizione del processo, anche per l'inevitabile aggravio di lavoro che ne derivera' soprattutto per la medesima Corte di cassazione data l'estensione della sua competenza sul merito; con il principio della ragionevolezza (desunto dall'art. 3 della Cost.), perche' la riforma non appare giustificata ne' da esigenze connesse alla corretta amministrazione della giustizia, ne' da concreti, benefici effetti giuridici, e vanifica, inoltre, gli appelli gia' proposti, mentre il giudizio di secondo grado di merito garantiva un opportuno controllo da parte del giudice collegiale sui possibili errori, anche di fatto, delle sentenze, numericamente prevalenti, del giudice monocratico. Non ritiene invece la Corte ravvisabile un contrasto con il principio dell'esercizio obbligatorio dell'azione penale (ex art. 112 Cost.) che, secondo il p.g., considerato questo nella sua interezza, si esplicherebbe nel corso di entrambi i gradi di giurisdizione di merito mentre la legge n. 46/2006 lo viene a eludere senza valida giustificazione, posto che la Corte costituzionale ha piu' volte ribadito che «il potere di impugnazione del p.m. non costituisce una estrinsecazione dei poteri inerenti all'esercizio dell'azione penale» (vedesi ordinanze numeri 247 del 2002 e 165 del 2003). Conclusivamente la rilevanza, nel caso di specie, della questione di legittimita' sollevata - che non appare manifestamente infondata nei termini sopra indicati - deriva dalla circostanza che in applicazione della nuova normativa, la Corte di appello dovrebbe senz'altro dichiarare, con ordinanza non impugnabile, l'inammissibilita' dell'appello proposto dal p.m. contro la sentenza di non luogo a procedere pronunciata dal g.u.p., mentre, ove la Corte costituzionale ritenesse fondata tale questione, verrebbe ripristinata la situazione precedente e cioe' la pendenza dell'appello del p.m. nel processo in esame.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 4 e 11 della legge 20 febbraio 2006, n. 46, in riferimento agli artt. 3, 111 della Costituzione; Sospende il presente procedimento; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale a cura della cancelleria che provvedera' parimenti alla notifica della presente ordinanza agli imputati, al p.m., alle parti civili, nonche' a comunicarla al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Roma, addi' 13 aprile 2006 Il Presidente: Fiorioli Il consigliere estensore: Miceli 06C1078