N. 533 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 maggio 2006
Ordinanza emessa il 10 maggio 2006 dalla Commissione tributaria provinciale di Bari nel procedimento tributario vertente tra Mandeco s.c.a.r. contro Regione Puglia Imposte e tasse - Sanzioni amministrative tributarie - Sanzioni relative al rapporto fiscale proprio di societa' o enti con personalita' giuridica - Riferibilita' esclusivamente alla persona giuridica - Previsione applicabile alle violazioni non ancora contestate o per le quali la sanzione non sia stata ancora irrogata alla data (26 marzo 2003) di entrata in vigore del decreto-legge n. 269/2003 - Conseguente retroattivo spostamento della responsabilita' per violazioni pregresse dalla persona fisica autrice alla persona giuridica beneficiaria - Lesione dei principi di ragionevolezza e di certezza dell'ordinamento - Violazione del principio di irretroattivita' della legge tributaria e delle sanzioni tributarie - Contrasto con il principio dell'affidamento del cittadino e della prevedibilita' dell'imposizione di prestazioni patrimoniali - Assenza dei presupposti per l'esercizio della decretazione d'urgenza. - Decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito nella legge 24 novembre 2003, n. 326, art. 7, comma 2. - Costituzione, artt. 3, 23, 25 e 77.(GU n.48 del 6-12-2006 )
LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE Ha emesso la seguente, ordinanza, sul ricorso n. 2896/2005 depositato il 6 giugno 2005 avverso Atto di contestazione n. 20/1124/F smalt. rifiuti 2000; Contro Regione Puglia difeso da: Romano Avv. Michelangelo c/o Uffici regionali viale Unita' d'Italia n. 24/C - 70100 Bari proposto dal ricorrente: Mandeco-soc. cons. a r.l. via G. Casalino n. 103 - 70019 Triggiano (Ba) difeso da: Damascelli avv. Antonio via Putignani n. 210 - 70100 Bari e da: Perchinunno avv. Mariapia via Putignani n. 210 - 70100 Bari. La commissione esaminato il ricorso n. 2896/05 R.G.R. prodotto in data 6 giugno 2005 da Mandeco soc. cons. a r.l., con sede legale in Triggiano (Bari) alla via Casalino n. 103, in persona del suo l. r. pro tempore, signor Longone Angelo, avverso: a) atto di contestazione prot. n. 20/1382/F del 25 maggio 2004 per omesso versamento del tributo speciale per deposito in discarica ex art. 3, comma 24 legge n. 549/1995 e art. 1 legge regionale n. 5/1997 relativo al 2° e 3° trimestre anno 2000 e successivo: b) atto irrogazione sanzioni pecuniarie, interessi legali e spese di notifica prot. n. 20/1124/F del 25 marzo 2005 per omesso nonche' per ritardato versamento predetto tributo speciale per deposito in discarica di cui al primo e quarto trimestre stesso anno 2000, per un totale di complessivi Euro 1.428.228,34; esaminato l'atto datato 18 ottobre 2005 con cui l'ente impositore (Regione Puglia) si costituiva nel presente giudizio contestando le eccezioni avversarie quanto al presunto difetto di motivazione dell'atto impugnato, di incostituzionalita' dei punti 2-3-4 dell'avverso prefato ricorso e conseguente opposizione alla richiesta di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e di sospensione degli atti impugnati, concludendo per il rigetto del ricorso e vittoria delle spese di lite; - esaminata la memoria aggiuntiva di parte ricorrente depositata in Segreteria in data 16 novembre 2005 ed acquisita agli atti del presente giudizio; - esaminata la documentazione versata in atti e sciolta la riserva di cui al verbale di udienza del 3 aprile 2006: O s s e r v a Fatto: in data 25 maggio 2004 e 25 marzo 2005 l'Ente Regione Puglia - Assessorato bilancio finanze ragioneria - in plico raccomandato ed a mezzo servizio postale notificava al legale rappresentante della odierna ricorrente i prefati due distinti atti impositivi, sub a) e b) e per la causale di cui in premessa, chiedendo il pagamento di complessivi Euro 1.428.228,34 oltre le spese di lite. A tanto insorgeva parte ricorrente eccependo e deducendo: 1) difetto di motivazione di entrambi i prefati atti impugnati; 2) - contrasto dell'art. 7, comma 2 - decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito nella legge 24 novembre 2003, n. 326, con gli artt. 25-23-41 e 42 della Costituzione nonche' con il principio di irragionevolezza in riferimento all'art. 3 detta Costituzione. Eccepiva e deduceva, inoltre, parte ricorrente l'illegittimita' costituzionale del citato art. 7 anche in relazione all'art. 77 della Costituzione e piu' precisamente rilevava che se e' vero, come e' vero, che: «Le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di societa' o enti con personalita' giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica.» (art. 7, comma 1 citato d.l.) e' altrettanto vero che: «Le disposizioni del comma 1 si applicano alle violazioni non ancora contestate o per le quali la sanzione non sia stata irrogata alla data di entrata in vigore del presente decreto.» (art. 7, comma 2 citato d.l. pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 229/2 ottobre 2003). Orbene, parte ricorrente, nel caso in esame, contesta la legittimita' di efficacia retroattiva della disposizione ex art. 7, comma 2 del d.l. n. 269/2003 all'anno della commessa violazione (anno 2000), epoca in cui la responsabilita' aveva carattere individuale in quanto riferita all'agente materiale. Consegue, allora, che l'applicazione retroattiva della sanzione, per fatti risalenti ad una situazione temporale caratterizzata diversamente dai principi di individualita' ed esclusivita', e' in netto contrasto con l'art. 25, comma 2 della Costituzione che cosi' recita: «Nessuno puo' essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso». Quindi, la indubbia natura penalistica del d.lgs. n. 472/1997 ha reso il sistema sanzionatorio amministrativo perfettamente compatibile ed integrato con l'art. 25 della Costituzione con la naturale ovvia conseguenza che ogni diversa successiva costruzione non puo' che porsi in contrasto con la citata norma costituzionale nella misura in cui deroga al principio della irretroattivita' della legge ivi prevista. Altresi', la previsione di retroattivita' della sanzione, come nel caso in esame, a carico di enti per fatti anteriori all'entrata in vigore del citato art. 7 (Gazzetta Ufficiale n. 229 del 2 ottobre 2003) contrasterebbe, a dire di parte ricorrente, anche con gli articoli 23-41 e 42 Cost. in quanto la previsione dell'art. 23, secondo cui nessuna prestazione patrimoniale puo' essere imposta se non per legge, si riflette nel principio dell'affidamento e della prevedibilita' costituzionalmente protetti, in modo che la legge che imponga una prestazione patrimoniale debba precedere nel tempo i suoi effetti nonche' i riflessi della disciplina nella sfera patrimoniale del contribuente. Alla retroattivita' della legge concorrerebbero due limiti e precisamente: a) uno di carattere soggettivo: consistente nel diritto quesito nel senso che la nuova disciplina non potra' incidere negativamente su i diritti gia' acquisiti al pattiniomo del contribuente avendo questi pianificato il proprio programma sicche' la modificazione della disciplina normativa che produca nuovi oneri frusterebbe la sua autonomia decisionale e l'affidamento verso la P.A.; b) uno di carattere oggettivo: consistente nell'esaurimento del fatto compiuto nel senso che la nuova norma, qualora avesse efficacia retroattiva, non potrebbe estendere la sua efficacia a fattispecie gia' definite e concluse (Cass. 21 giugno 1993 n. 6864). Non solo, ma la questione di incostituzionalita' come sollevata si manifesterebbe ugualmente rilevante anche se la retroattivita' censurata avesse natura non autentica in relazione ad una situazione non ancora conclusasi nel senso che il termine quinquennale per l'irrogazione della sanzione era ancora in corso anche nel caso in cui si volesse collegare il giudizio di definitivita' non gia' alla fattispecie commissiva od omissiva che ha dato origine alla violazione bensi' al rapporto d'imposta nascente con la violazione ed esauritesi con la contestazione entro la data di scadenza del termine quinquennale. La mancata tutela dell'affidamento, poi, confliggerebbe, sempre a dire di parte ricorrente, con gli artt. 41 e 42 Cost., non potendosi ritenere l'iniziativa economica e la proprieta' privata beni di secondo ordine rispetto alla liberta' personale. Infine, la disposizione ex art. 7, comma 2 citato sarebbe in contrasto col principio di ragionevolezza in quanto essa vincola la sanzione a carico dell'ente con riguardo alle violazioni non ancora contestate o per le quali la sanzione non sia stata ancora irrogata alla data di entrata in vigore (26 novembre 2003) della citata legge n. 326/2003 di modifica del d.l. n. 269/2003. La norma, pertanto, pone un discrimine temporale riconducibile a sua volta a fatto discrezionale dell'ente creditore, nel caso in esame la Regione Puglia, non vincolato nel tempo se non all'osservanza del termine finale di decadenza ex art. 20, commi 1 del d.lgs. n. 472/1997 che cosi' recita: «L'atto di contestazione di cui all'art. 16, ovvero l'atto di irrogazione, devono essere notificati, a pena di decadenza entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello...». Consegue, allora, che l'imputazione della sanzione a carico dell'ente, come nel caso che ci occupa, dipende esclusivamente non gia' da un presupposto giuridico predeterminato o specificatamente individuato, ne' da un fatto collocato in un determinato ambito temporale, bensi' dall'iniziativa, che puo' essere o non tempestiva e, dunque, arbitraria, dell'ente creditore. Con derivata disparita' di trattamento anche di ricaduta sulla pianificazione fiscale, di cui e' cenno sopra, a seconda che alla data di entrata in vigore (26 novembre 2003) della legge n.326/2003, quella iniziativa (riconducibile alla volonta' del funzionario), sia stata posta in essere. E' come dire, a mo' di esempio, che a fronte di due societa' all'interno delle quali siano state commesse violazioni risalenti nel tempo e, comunque, nell'arco temporale del quinquennio non ancora scaduto all'entrata in vigore della citata legge, possono aversi due differenti situazioni o trattamenti di regime sanzionatorio a seconda della celerita' messa in opera da parte dell'impiegato o dell'addetto dell'ufficio dell'ente creditore. Ed in proposito parte ricorrente insiste e rileva come il principio della ragionevolezza e' affiancato, nel pensiero della Corte costituzionale (vedi: sent. 155/90 - 380/1990 - 187/1981), da quello di certezza del diritto, cardine della convivenza sociale nonche' della tutela dell'affidamento assicurando a situazioni uguali identiche disciplina e trattamento e, viceversa, a situazioni differenti un trattamento differente (Corte cost. sent. n. 3/57 - n. 28/57 - n. 53/58 e n. 80/69). Pertanto, nella previsione dell'art. 7, comma 2 del piu' volte citato d.l. n. 269/2003, come convertito in legge, la distinzione tra sanzioni a carico della societa' e sanzioni a carico della persona fisica, in funzione dell'iniziativa spontanea avviata o meno dall'ente creditore, poggerebbe su criteri assolutamente arbitrari e, dunque, irragionevoli. Concludeva, dunque, parte ricorrente, chiedendo l'accoglimento del ricorso come proposto e rimessione degli atti alla cancelleria della Corte costituzionale previa dichiarazione di non manifesta infondatezza di incostituzionalita' dell'art. 7, comma 2 del d.l. n.269/2003 convertito in legge n. 326/2003 (in vigore dal 26 novembre 2003) relativamente ai punti nn. 2 e 3 di cui al ricorso perche' in contrasto con gli artt. 3-23-25-41-42 e 77 della Costituzione e dello stesso citato art. 7 relativamente al punto n. 4 del ricorso in contrasto con l'art. 77 della Costituzione. Diritto: preliminarmente va subito detto che il difetto di motivazione degli atti impugnati come eccepito da parte ricorrente non appare sussistere in quanto l'Ente impositore ha con assoluta chiarezza evidenziato in detti atti l'iter logico-giuridico su cui ha fondato la pretesa fiscale consentendo, senza ombra di dubbio, al contribuente il corretto, pronto e pieno esercizio del proprio diritto di difesa. Rispetto al merito, invece, questo Giudicante ritiene assorbente la decisione in ordine alla dedotta incostituzionalita' della novella legislativa che, relativamente all'epoca dei fatti, individua nell'ente persona giuridica, non piu' nel singolo autore materiale dell'illecito ovvero nell'amministratore quale persona fisica, il responsabile del pagamento del tributo. Ebbene, partendo dall'esame di quanto dispone il predetto citato art. 7, commi 1 e 2, secondo cui le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di societa' o entri con personalita' giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica con esclusione, quindi, delle societa' di persone e delle persone fisiche (comma 1), subito dopo (comma 2 e' detto che «Le disposizioni del comma 1 si applicano alle violazioni non ancora contestate o per le quali la sanzione non sia stata irrogata alla data di entrata in vigore del presente decreto» (in vigore dal 26 novembre 2003 rispetto all'anno 2000 epoca cui si riferisce il preteso tributo speciale per deposito in discarica), parte ricorrente evidenzia la palese illegittimita' di detto articolo perche' confligge con gli artt. 25-23-41-42 e 77 Cost. nonche' con l'art. 3 Cost. A parere di questo Giudicante la questione come sollevata da parte ricorrente in ordine alla dedotta non manifesta infondatezza costituzionale e' rilevante nel caso in esame non essendo per vero percorribili interpretazioni adeguatrici della norma che conducano alla soluzione della medesima questione in modo conforme al dettato della Costituzione e tanto sia sotto la individuazione del termine (quinquennale) sia sotto il profilo dell'an. In altri termini, non sembra a questo Giudicante plausibile assegnare alla norma in esame una interpretazione che eviti l'applicazione della disciplina normativa in via retroattiva ovvero l'applicazione della sanzione alla odierna ricorrente per violazioni contestate con riferimento alla annualita' 2000 quindi precedente l'entrata in vigore (26 novembre 2003) del d.l. n. 269/2003 come conv. in legge n. 326/2003. Ecco perche' la sollevata questione di incostituzionalita' del citato art. 7 commi 1 e 2 appare fondatamente rilevante in quanto la sua applicazione in via retroattiva colpirebbe la persona giuridica in violazione delle norme assunte a parametro. Ritiene, pertanto, questo Giudicante, che nel merito la questione di incostituzionalita', come sollevata da parte ricorrente, e' ammissibile e non manifestamente infondata e cosi' pure fondato e' il principio della ragionevolezza ex art. 3 Cost., in uno alla certezza del diritto, cui contrasta la disposizione dell'art. 7, comma 2 in quanto introduce la disciplina retroattiva della responsabilita' sanzionatoria in capo alla societa' in violazione di quanto, invece, prevede l'ordinamento tributario in tema di irretroattivita' della legge tributaria dovendosi assicurare a situazioni identiche uguali disciplina e trattamento-mentre a situazioni differenti un trattamento differente. Inoltre, va pure detto come nella giurisprudenza della Corte costituzionale il divieto di retroattivita' della legge, pur costituendo valore di civilta' giuridica e principio generale dell'ordinamento giuridico, non e' stato elevato a dignita' costituzionale (Corte cost. sent. n. 229/1999), fatta eccezione della previsione relativa alla legge penale contenuta nell'art. 25 Cost. Tuttavia, la stessa giurisprudenza della Corte (Sent. n. 416/1999) subordina la emanazione di leggi retroattive, fuori della materia penale, alla condizione che la retroattivita' trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non si ponga in contrasto con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti. In conclusione, la retroattivita' della responsabilita' dell'ente a fatti pregressi all'entrata in vigore del d.l. n. 269/2003 conv. nella legge n.326/2003 viola l'art. 25 della Costituzione atteso lo stampo penalistico della disciplina sanzionatoria amministrativa del d.lgs. n. 472/1997 su cui ha inciso il richiamato art. 7, senza, peraltro, mutarne la natura. Sussiste, ancora, come gia' avanti precisato, il contrasto dell'art. 7, comma 2 del d.l. n.269/2003 conv. nella legge n.326/2003 con l'art. 23 e 77 Cost.: a) in quanto (art. 23 Cost.) nessuna prestazione patrimoniale puo' essere imposta se non in base alla legge, questa non intesa come legge che abbia la efficacia della retroattivita' bensi' per il principio dell'affidamento e della prevedibilita' costituzionalmente protetti. La legge che imponga una prestazione patrimoniale deve precedere nel tempo i suoi effetti nonche' i riflessi della disciplina nella sfera patrimoniale del contribuente; b) in quanto la norma denunciata e' stata introdotta nell'ordinamento con lo strumento del decreto legge sia pure convertito, come nel caso in esame, verosimilmente per una scelta politica, capovolgendo i criteri di imputazione della sanzione amministrativa spostandoli dalla figura soggettiva dell'autore della violazione in favore del beneficiario della stessa violazione. Pertanto, alla luce di tutto quanto fin qui esposto e precisato, questo Giudicante ritiene fondato il ricorso in ordine alla questione assorbente, rispetto al merito, della manifesta non infondatezza di tutte le eccezioni di incostituzionalita' come sollevate da parte ricorrente con il proprio prefato ricorso.
P. Q. M. Dichiara non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 2 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269 convertito nella legge n. 326 del 24 novembre 2003 per contrasto con gli articoli 3-25-23-77 della Costituzione. Sospende il presente giudizio n. 2896/2005 R.G.R. e rimette gli atti alla Corte costituzionale mandando alla segreteria per gli adempimenti di legge. Bari, addi' 3 aprile 2006 Il Presidente: Campanile Il relatore: Monterisi 06C1080