N. 535 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 maggio 2006
Ordinanza emessa il 24 maggio 2006 dal tribunale amministrativo regionale della Sicilia - Palermo sul ricorso proposto da Puccio Diego contro Montepaschi Serit S.p.A. - Servizio riscossione tributi - ed altri Imposte e tasse - Riscossione delle imposte - Controversie in materia di fermo tributario di veicoli - Attribuzione, secondo la giurisprudenza delle SS.UU. della Corte di Cassazione, costituente «diritto vivente», al giudice ordinario - Irragionevole deroga al principio dell'attribuzione al giudice amministrativo delle controversie relative agli interessi legittimi - Incidenza sul diritto di difesa e sul principio di tutela giurisdizionale. - Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, art. 86. - Costituzione, artt. 3, 24, 103 e 113.(GU n.48 del 6-12-2006 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 958/2006, sezione III, proposto da Puccio Diego, rappresentato e difeso dall'avv. Marcello Madonia, presso il cui studio, in Palermo, via Notarbartolo n. 15/b, e' elettivamente domiciliato; Contro la S.p.A. Montepaschi Serit - Servizio riscossione tributi (concessione n. 296 Palermo), in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio; l'Agenzia delle Entrate di Palermo, Direzione Generale, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio; e nei confronti del Ministero dell'economia e delle finanze, in persona del Ministro; legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio; per l'annullamento, previa sospensiva della nota (n. preavviso 29620060000489563/000) emessa dal concessionario del servizio riscossione tributi Montepaschi Serit S.p.A. di Palermo (n. 296), avente ad oggetto il preavviso di fermo di beni mobili registrati ex art. 86 d.P.R. n. 602/1973. Visto il ricorso con i relativi allegati; Letti ed esaminati gli scritti difensivi ed i documenti prodotti dalla parte ricorrente; Visti gli atti tutti di causa; Relatore il referendario Giovanni Tulumello; Uditi, all'udienza camerale del 24 maggio 2006, i procuratori delle parti come da verbale; Ritenuto in fatto e considerato in diritto: F a t t o e d i r i t t o 1. - Svolgimento del processo. Con ricorso notificato il 14 aprile 2006, e depositato il successivo 4 maggio, il sig. Diego Puccio ha impugnato la nota indicata in epigrafe, deducendone l'illegittimita'. Osserva in particolare il ricorrente che con la nota impugnata l'amministrazione intimata, per mezzo del suo concessionario (pure intimato), ingiunge il pagamento di un credito erariale entro un breve termine, pena l'applicazione della procedura di fermo amministrativo di un bene mobile registrato di proprieta' del predetto ricorrente. Nel ricorso si lamentano le seguenti censure: 1) «Violazione dell'art. 97 Cost. - Violazione e falsa applicazione dell'art. 86, d.P.R. 602/1973»; 2) «Eccesso di potere per difetto di motivazione»; 3) «Eccesso di potere per violazione dei principi di idoneita' e non contrarieta' ai precetti di logica». Il ricorrente ha inoltre proposto una domanda cautelare di sospensione degli effetti del provvedimento impugnato. All'udienza camerale del 24 maggio 2006 e' stata esaminata la predetta domanda cautelare. In sede di deliberazione dell'esistenza dei presupposti processuali, osserva il Collegio che appare pregiudiziale la verifica della giurisdizione del giudice amministrativo. 2. - L'individuazione della disposizione oggetto della questione di legittimita' costituzionale. Nessuna disposizione regola espressamente l'indicato profilo di giurisdizione, nel senso che non e' dato rinvenire enunciati normativi che individuino la giurisdizione competente a conoscere le liti relative all'applicazione dell'art. 86 del d.P.R. n. 602 del 1973, nel testo attualmente vigente 1). Conseguentemente, la norma che, interpretata nel senso della qualificazione del potere da essa previsto come riconducibile alla fattispecie processualcivilistica - di diritto comune - dell'esecuzione forzata, determina l'individuazione della giurisdizione (secondo l'ordinaria regola di riparto), e' tratta proprio dal citato art. 86. In relazione all'esercizio di detto potere, non sembra sussistere la giurisdizione del giudice tributario, sia perche' l'art. 2 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, esclude da tale ambito «gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento e, ove previsto, dell' avviso di cui all'art. 50, d.P.R. n. 602 del 1973» (Consiglio di Stato, sez. VI, ordinanza 13 aprile 2006, n. 2032); sia perche' il fermo dei beni mobili registrati non compare nell'elencazione degli atti tipici di cui all'art. 19 del citato d.lgs. 546/1992. Ne consegue che la questione va risolta alla stregua dell'alternativa fra giurisdizione del giudice amministrativo e giurisdizione del giudice ordinario. Non dettando il d.P.R. n. 602 del 1973 alcuna norma sulla giurisdizione, e non potendosi applicare analogicamente la norma - derogatoria dell'ordinario criterio di riparto, nella misura in cui attribuisce al giudice ordinario poteri di annullamento dell'atto amministrativo di cui all'art. 214 del d.lgs. n. 285 del 1992 (che in relazione alla specifica fattispecie di fermo amministrativo del veicolo previsto dal codice della strada attribuisce la cognizione delle relative liti al giudice ordinario), la questione va risolta alla stregua del tradizionale criterio di riparto: nel senso che la norma di diritto sostanziale, regolante l'istituto (il citato art. 86) va interpretata allo scopo di ricavare la natura giuridica dell'atto che impone il fermo amministrativo, nonche' - e conseguentemente - la natura giuridica delle sottostanti situazioni giuridiche soggettive. In argomento, e' intervenuta la sentenza delle ss.uu. della Corte di cassazione, 31 gennaio 2006, n. 2053, che pone a fondamento della soluzione adottata in favore della giurisdizione dell'a.g.o. la duplice considerazione secondo la quale: a) secondo il criterio di riparto della giurisdizione basato sulla natura delle situazioni giuridiche soggettive azionate, volto a definire i confini fra la giurisdizione dell'a.g.o. e la giurisdizione generale di legittimita' del giudice amministrativo, non vi sarebbe questione di una dialettica fra potere e interesse, o tra autorita' e liberta', in quanto «Il fermo amministrativo e' atto funzionale all'espropriazione forzata e, quindi, mezzo di realizzazione del credito (...)»; b) ove si ipotizzasse una ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, connessa al servizio pubblico di riscossione dei tributi erariali, dovrebbe rilevarsi che «il concessionario non esercita alcun potere di supremazia in materia di pubblici servizi che, alla luce della pronuncia della Corte costituzionale n. 204/2004, giustifichi questa forma di giurisdizione amministrativa». Secondo il diritto vivente, dunque, ricavabile dall'orientamento del giudice del riparto, il giudice amministrativo sarebbe sfornito di giurisdizione in merito all'esame di domande concernenti la legittimita' delle procedure di fermo amministrativo (e, conseguentemente, delle connesse domande di cautela processuale). Tuttavia, ritiene il collegio che i dubbi di legittimita' costituzionale, recentemente manifestati anche dal Consiglio di Stato in merito alla richiamata disciplina del riparto di giurisdizione concernente le procedure di fermo amministrativo, siano non manifestamente infondati, e siano rilevanti nella decisione della controversia in esame, per i motivi che si stanno per esporre. L'oggetto della questione di legittimita' costituzionale e', secondo quanto riferito, l'art. 86 del d.P.R. n. 602/1973: il riferimento, nella richiamata sentenza delle Sezioni Unite n. 2053/2006, all'art. 57 del citato d.P.R., attiene infatti unicamente al profilo dell'individuazione del rito una volta individuata la giurisdizione competente a conoscere della tutela («si deve realizzare davanti al giudice ordinario con le forme consentite dal citato d.P.R. n. 602 del 1973, vigente art. 57, dell'opposizione all'esecuzione o agli atti esecutivi»), ma non costituisce argomento - nel ragionamento della Corte di cassazione - per l'individuazione, a monte, della regola di riparto, che e' incentrata sulla natura dello strumento previsto dall'art. 86. 3. - Profili processuali e rilevanza della questione di legittimita' costituzionale. In relazione al descritto svolgimento del processo, vanno svolte alcune brevi considerazioni quanto alla rilevanza nel presente giudizio della questione di legittimita' costituzionale, sopra sommariamente esposta nei suoi termini generali, nonche' in relazione alla possibilita' di sollevare tale questione con riferimento ad una norma risultante dal diritto vivente. 3.1. - Quanto al primo profilo, osserva il collegio che l'individuazione della norma attributiva del potere giurisdizionale e' pregiudiziale rispetto ad ogni altra delibazione: tale norma, della cui legittimita' costituzionale il collegio ha motivo di dubitare, allo stato preclude le successive scansioni processuali, finanche sul piano cautelare. Il collegio non ignora l'orientamento giurisprudenziale che consente, senza consumare il potere giurisdizionale e senza fare diretta applicazione della norma censurata, di decidere provvisoriamente sulla cautela, nelle more del giudizio di legittimita' costituzionale, assumendo la sovrapponibilita' fra il fumus boni iusir della domanda cautelare e i profili di non manifesta infondatezza della questione sollevata. Tuttavia, nel caso in esame, il giudizio di legittimita' costituzionale non refluisce - in ipotesi di accoglimento della questione - sulla fondatezza del merito della pretesa (cautelare), ma sul riconoscimento, o meno, del potere del giudice di decidere la lite (e, in essa, l'incidente cautelare). Conseguentemente, allo stato appare preclusa al collegio ogni valutazione del fumus boni iuris e del periculum in mora, finanche in chiave prognostica rispetto all'esito del giudizio di costituzionalita', in quanto la norma censurata non regola tali profili, ma quello - ancor piu' pregiudiziale - del riparto della giurisdizione. Il collegio potra' esaminare la domanda cautelare se la questione sara' dichiarata fondata; in caso contrario, la domanda stessa non potra' essere esaminata nel merito per il pregiudiziale profilo del difetto del giurisdizione del giudice adito. Dalla decisione della questione di costituzionalita' dipende dunque l'alternativa fra la pronuncia di un provvedimento che entra nel merito della pretesa (cautelare), nel senso del suo rigetto o del suo accoglimento, ed un provvedimento che invece si arresta ad una pronuncia sul rito (ordinanza che non concede la cautela per motivi attinenti la giurisdizione, ovvero sentenza in forma semplificata che direttamente declina la giurisdizione). Gli eventi sopravvenuti che, nelle more del giudizio di legittimita' costituzionale dovessero incidere, in fatto, sui presupposti della domanda in esame (e in particolare sul profilo della irreparabilita' del pregiudizio), non incidono, per costante orientamento della giurisprudenza costituzionale, sulla rilevanza della questione, siccome attualmente ritenuta, nei termini anzidetti. 3.2. - Quanto alla possibilita' di sollevare questioni di legittimita' costituzionale in relazione al c.d. diritto vivente, sono noti al collegio gli ambiti ed i limiti che la giurisprudenza costituzionale ha individuato con riferimento al sindacato di legittimita' costituzionale di norme cosi' individuate (sentenza n. 58 del 1995; sentenza n. 386 del 1999; ordinanza n. 19 del 2003 sentenza n. 229 del 2003; sentenza n. 91 del 2004; ordinanze n. 419 e n. 420 del 2005), anche in relazione alla piu' volte affermata estraneita' dell'attivita' di interpretazione delle leggi ordinarie dai compiti della Corte costituzionale (ordinanza n. 436 del 1996; ordinanza n. 92 del 2004; ordinanza n. 142 del 2004; ordinanza n. 290 del 2004; ordinanza n. 305 del 2004), nonche' all'obbligo di interpretazione adeguatrice gravante sul giudice comune (sentenza n. 202 del 1999; ordinanza n. 20 del 2001; ordinanza n. 215 del 2004; ordinanza n. 235 del 2004). Il collegio, tuttavia, non puo' fare a meno di osservare che, nel caso di specie, la norma censurata e' stata oggetto, in giurisprudenza, di contrastanti interpretazioni, nel senso dell'attribuzione della cognizione delle liti sul fermo amministrativo al giudice ordinario, ovvero al giudice amministrativo (a conferma della problematica qualificazione dell'istituto). Tale dialettica interpretativa si e' tuttavia - doverosamente - arrestata a seguito della recente presa di posizione del giudice del riparto (Cass., ss.uu., sentenza 31 gennaio 2006, n. 2053). L'esegesi della disposizione censurata, nel senso che le liti relative all'applicazione dell'art. 86 d.P.R. n. 602/1973, in quanto relative alla tutela di diritti soggettivi, devono essere conosciute dal giudice ordinario, ha prodotto una norma che non si presta ad una interpretazione (adeguatrice) difforme: provenendo essa non da un qualsiasi giudice, ma dal giudice del riparto, non e' dato al Collegio esplorare soluzioni interpretative - per l'appunto, adeguatrici - alternative a quella censurata, se non esorbitando dai propri poteri. In relazione alle questioni di giurisdizione, infatti, lo spazio riconosciuto al giudice per praticare interpretazioni difformi, pur in un sistema giudiziario non improntato al vincolo del precedente, appare assai esiguo, se non del tutto precluso, in ragione della disciplina della verifica della giurisdizione (caratterizzata, fra l'altro, dalla possibilita' di impugnare con ricorso per cassazione le decisioni del giudice amministrativo per motivi attinenti la giurisdizione). La situazione e' dunque estremamente affine a quella del dubbio di legittimita' costituzionale sollevato nel giudizio di rinvio, con riguardo al principio di diritto enunciato nella fase rescindente del giudizio di cassazione (su cui Corte costituzionale, sentenza n. 30 del 1990; sentenza n. 130 del 1993; sentenza n. 257 del 1994). Questo vincolo risulta oggi peraltro accresciuto a seguito della disciplina contenuta nell'art. 374, comma 3, cod. proc. civ. (nel testo risultante dalla modifica apportata dall'art. 8 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40), per effetto della quale non e' consentito neppure alle sezioni semplici della Corte di cassazione - cui il ricorso puo' essere assegnato per questioni di giurisdizione su cui esista gia' un orientamento delle sezioni unite - di «non condividere» tale orientamento del giudice del riparto, dovendosi necessariamente, in tale evenienza, sottoporre nuovamente la questione alle sezioni unite, unico organo legittimato ad operare mutamenti di giurisprudenza in materia di riparto della giurisdizione. Da tale disciplina si ricava un ulteriore argomento, a fortori, che preclude a questo collegio di praticare una interpretazione della norma censurata in senso difforme a quello ritenuto - peraltro, di recente - dalle sezioni unite. 4. - La natura giuridica dell'atto di fermo amministrativo. Preliminarmente va rilevato che l'atto impugnato nel presente giudizio e' stato emesso ai sensi dell'art. 86 del d.P.R. n. 602 del 1973. Si tratta di una disposizione che assegna all'amministrazione creditrice la possibilita' di sottoporre a procedura di fermo amministrativo i beni mobili registrati di proprieta' del debitore. Secondo il giudice del riparto (Cass., ss.uu., sentenza 31 gennaio 2006, n. 2053), le controversie relative alla esecuzione di dette procedure spettano alla giurisdizione dell'autorita' giudiziaria ordinaria. Ad avviso del collegio, la norma espressa dal diritto vivente si pone in contrasto con alcuni parametri costituzionali (gli artt. 24, 103 e 113 della Costituzione, sui quali si tornera' in seguito). Propedeutica alla esposizione dei profili di non manifesta infondatezza di tali dubbi di legittimita' costituzionale appare la ricognizione della natura giuridica dell'istituto in questione, e la conseguente qualificazione delle posizioni soggettive delle parti nel relativo rapporto, onde scrutinare alla luce di tale qualificazione la censurata regola di riparto alla luce degli evocati parametri costituzionali (dovendosi correlare la legittimita' costituzionale della norma sul riparto alla natura delle situazioni giuridiche soggettive interessate, in relazione alla idoneita' dei poteri cognitori del giudice individuato come competente a fornire una adeguata tutela - conforme ai parametri suddetti - a tali posizioni). Va anzitutto chiarito, quanto alla rilevanza della questione, che l'atto impugnato nel presente giudizio, pur recando l'autoqualificazione di «preavviso di fermo», ha tuttavia contenuto ed effetti direttamente lesivi della posizione soggettiva della parte ricorrente, sotto il profilo che qui rileva, in quanto esso collega al mero decorso di un termine (peraltro, brevissimo: venti giorni) senza che intervenga il richiesto pagamento, l'avvio delle procedure esecutive sul bene mobile dell'odierno ricorrente, gia' individuato con l'atto qui impugnato. Ne consegue che, ove non ottenga il richiesto provvedimento cautelare di sospensione degli effetti dell'atto impugnato, l'odierno ricorrente perderebbe il potere di godere e di disporre del bene mobile registrato individuato nel richiamato atto, per il solo fatto del perdurare dell'inadempimento del debito tributario. Sulla base di queste considerazioni, e avuto riguardo agli effetti dell'atto impugnato, il collegio ritiene che lo stesso possa essere oggetto diretto di sindacato in relazione alla proposta domanda cautelare, indipendentemente dalla sua autoqualificazione, con riferimento alla sua attuale capacita' lesiva della posizione giuridica del ricorrente. Diversamente, occorrerebbe ricondurre l'effetto lesivo (e rinviare sia la valutazione di impugnabilita', che quella di astratta irreparabilita' del pregiudizio) al successivo atto della fattispecie (l'imposizione del fermo): questo pero' non e' un atto suscettibile di tempestiva tutela cautelare, che consenta di sospenderne gli effetti prima della sua esecuzione, ma consta esso stesso di una attivita' esecutiva sul bene del debitore ricorrente, onde la lesivita' che giustifica l'interesse a ricorrere, e che in sede cautelare consente di ritenere astrattamente ipotizzabile l'elemento del periculum in mora, e' gia' pienamente rinvenibile nell'atto impugnato nel presente giudizio. 4.1. - La posizione espressa di recente dalla VI Sezione del Consiglio di Stato. Sul punto e' recentemente intervenuta la citata ordinanza del Consiglio di Stato, sez. VI, 13 aprile 2006, n. 2032, che ha affermato, con argomenti che appaiono al Collegio difficilmente contestabili, la natura provvedimentale dell'atto che limita il potere di godimento e di disposizione del bene mobile registrato del debitore della pubblica amministrazione nella procedura di espropriazione forzata esattoriale ex art. 86 cit. (nel che si concreta l'effetto giuridico del c.d. fermo amministrativo). Gli argomenti esposti a sostegno di questa tesi possono essere riassunti nei termini seguenti: l'istituto del fermo amministrativo ex art. 86 d.P.R. n. 602/1973 si colloca all'interno della procedura di espropriazione forzata esattoriale, che ha connotati disciplinari e sistematici profondamente diversi rispetto all'espropriazione forzata disciplinata dal codice di rito civile a tutela dei crediti sorti negli ordinari rapporti creditori di natura privatistica: in particolare, mentre ai privati e' precluso aggredire il patrimonio del debitore per soddisfare le proprie ragioni creditorie (in chiave conservativa od esecutiva) senza ricorrere all'intervento del giudice, la procedura in esame, secondo la citata ordinanza, appare «connotata da molteplici profili di autotutela pubblica esecutiva, che sono il residuo di antichi privilegi del creditore, conservati solo allo Stato in ragione delle peculiarita' del credito tributario»; sotto il profilo degli effetti, il provvedimento di fermo amministrativo si configura come un provvedimento ablatorio, e segnatamente come una requisizione, che produce gli effetti di un sequestro conservativo, operato in assenza dell'intervento di un giudice, e in virtu' di un atto unilaterale del concessionario: la natura formalmente privatistica di quest'ultimo non e' di ostacolo alla qualificazione in termini pubblicistici dei poteri esercitati, dovendo ricondursi tale fattispecie al fenomeno dell'esercizio privato di pubbliche funzioni (in argomento si tenga presente che accanto alle requisizioni in proprieta' il diritto amministrativo conosce la categoria delle requisizioni in uso); la qualificazione in termini provvedimentali dell'atto in questione risulta dal dato letterale utilizzato dall'art. 86 del d.P.R. n. 602/1973, nel testo attualmente vigente: il legislatore qualifica di regola come «provvedimento» gli atti della pubblica amministrazione che costituiscono esercizio di un potere autoritativo; detta qualificazione appare poi confermata dal dato sistematico: se si fosse in presenza di un atto di una procedura espropriativa assimilabile a quella processualcivilistica, privo di natura autoritativa e dell'effetto di modificazione unilaterale dell'altrui sfera giuridica, l'adempimento del debito dovrebbe comportare il venir meno degli effetti del fermo, e dovrebbe comportare la cancellazione della iscrizione del fermo nei registri mobiliari; invece la disciplina regolamentare dell'istituto in esame (art. 6, d.m. 7 settembre 1998, n. 503, applicabile alla sopravvenuta normativa primaria - modificativa del citato art. 86 d.P.R. 602/1973 - in forza della norma di interpretazione autentica contenuta nell'art. 3, comma 41, del d.l. 30 settembre 2005, n. 203, convertito dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248) richiede un provvedimento qualificabile come revoca, in assenza del quale il debitore (tardivamente) adempiente non ha titolo per cancellare l'iscrizione del fermo nel Pubblico registro automobilistico: l'esigenza di rimozione, mediante revoca per sopravvenienza (art. 21-quinquies, legge n. 241 del 1990), si giustifica proprio in ragione della natura provvedimentale dell'atto che applica il fermo, i cui effetti possono essere rimossi soltanto da un altro (contrario) provvedimento; l'attuale disciplina dell'istituto, risultante dalla modifica dell'art. 86 d.P.R. n. 602/1973 operata dalla novella del 2001 (d.lgs. 27 aprile 2001, n. 193), in un'ottica di semplificazione non richiede piu', come condizione legittimante l'avvio della procedura di fermo amministrativo, l'inizio infruttuoso del procedimento di esecuzione forzata: il fatto che oggi il fermo sia svincolato dall'avvio del processo esecutivo costituisce, secondo l'ordinanza di rimessione in esame, un «indizio del suo carattere di misura di autotutela conservativa del patrimonio del debitore». 4.2. - La non riconducibilita' del fermo amministrativo alla categoria dell'autotutela civilistica del diritto di credito. Il Collegio condivide le superiori argomentazioni, alle quali si riporta. Possono essere inoltre individuati ulteriori argomenti per sostenere la tesi della natura provvedimentale dell'atto impugnato nel presente giudizio. Come si e' accennato, in tanto si puo' ritenere conforme agli evocati parametri costituzionali la norma censurata, in quanto si ricostruisca - come hanno fatto le sezioni unite - in termini paritetici il rapporto giuridico fra il soggetto che subisce il fermo amministrativo e il soggetto che invece lo impone. Il diritto comune consente al creditore di aggredire, con funzione conservativa, il patrimonio del debitore che costituisce la garanzia del credito ex art. 2740 cod. civ. In altre parole, anche in diritto civile, pur a fronte dell'affermazione del generale divieto di autotutela (quale portato della repressione delle forme primitive di giustizia privata), nondimeno si riconosce l'esistenza di alcuni Istituti riconducibili alla nozione di autotutela (conservativa od esecutiva) del diritto di credito. Occorre pertanto domandarsi se, seguendo il ragionamento del giudice del riparto, il fermo amministrativo in esame costituisca una forma di autotutela che possa essere ricondotta alle facolta' che il sistema riconosce nell'ambito di un ordinario rapporto creditorio, piuttosto che all'esercizio di poteri autoritativi, implicanti una posizione di supremazia del creditore (o del suo concessionario) che agisce. L'istituto che viene in considerazione - nell'ambito dei rimedi cc.dd. cautelativi - e' il diritto di ritenzione, che - sia esso di fonte legale, o convenzionale - ha in comune con il fermo amministrativo l'effetto di privare il proprietario-debitore del potere di disporre e di godere delle cosa (che pero' nel diritto di ritenzione preesiste all'iniziativa del creditore, che gia' la detiene), e la finalita' di operare una pressione sulla volonta' del debitore, affinche' adempia il debito, al di fuori di ogni collegamento con l'esecuzione (tanto che se viene sottoposto ad esecuzione forzata il bene soggetto a ritenzione, il creditore non puo' vantare un titolo di preferenza al momento della distribuzione del ricavato). Si ritiene pero' comunemente che in tanto la legge consente una simile possibilita' di farsi giustizia da se' nell'ambito dei rapporti fra privati, in quanto sussista una particolare (e qualificata) connessione del titolo creditorio con la cosa oggetto del diritto di ritenzione (ius cum re iniunctum): cosi' nel caso del diritto di ritenzione previsto a vantaggio del possessore di buona fede dall'art. 1152 cod. civ. finche' non gli siano corrisposte le indennita' dovute; del coerede che conferisce un immobile in natura, sino all'effettivo rimborso delle somme che gli sono dovute per spese e miglioramenti (art. 748, ultimo comma, cod. civ.); dell'usufruttario, per i rimborsi che gli sono dovuti nelle fattispecie di cui agli artt. 1009 e 1010 cod. civ. (art. 1011 cod. civ.); del compratore nella vendita con patto di riscatto, fino al pagamento da parte del venditore di quanto dovuto a seguito dell'esercizio del diritto di riscatto (art. 1502, secondo comma, cod. civ.). In tutte queste fattispecie (e negli altri casi previsti dal codice civile, con la sola eccezione dell'ipotesi disciplinata dall'art. 2794), la misura di autotutela ha ad oggetto non un qualsiasi bene del debitore, ma il bene costituente oggetto del rapporto giuridico da cui e' scaturito il diritto di credito. Nel caso del fermo amministrativo ex art. 86 del d.P.R. n. 602 del 1973 questa - fondamentale - connessione difetta del tutto: l'amministrazione creditrice aggredisce un bene mobile del debitore che non ha nulla a che vedere con le ragioni della pretesa creditoria (a differenza dell'ipotesi prevista dall'art. 214 del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285), sol perche' ritiene di indurlo in tal modo, mediante le incisive limitazioni in tal modo arrecate al diritto di proprieta' e alla liberta' di circolazione, a preferire l'adempimento del debito (che, in quanto indefettibilmente connotato come male minore rispetto alla perdita del potere di godere e di disporre del bene, dimostra come l'istituto in esame sia incentrato sulla strutturale violazione del principio di proporzionalita', atteso che in tanto tale pressione psicologica puo' rivelarsi efficace, in quanto si privi il debitore di un bene di valore sensibilmente superiore al debito inadempiuto). Un simile privilegio, non ricorrente nelle - comunque eccezionali - ipotesi di autotutela privata del credito, si giustifica solo in ragione della natura pubblica del soggetto creditore e nella connessa posizione di supremazia, e conferma la natura autoritativa del relativo potere (altrimenti neppure configurabile), che e' in grado di sottrarre al proprietario di un bene i piu' significativi contenuti del diritto dominicale, con effetti limitativi anche sulla liberta' di circolazione (trattandosi di autoveicoli e motoveicoli), al di fuori di una connessione qualificata con il credito azionato. Diversamente argomentando, del resto, e ritenendo - con le Sezioni Unite - che in fondo l'istituto in esame e' un ordinario «mezzo di realizzazione del credito», si legittimerebbe sul piano teorico e su quello costituzionale la possibilita' di introdurre, anche nella disciplina dei rapporti fra soggetti privati, mezzi di autotutela conservativa ed esecutiva del credito, non limitati ai beni oggetto dello specifico rapporto, senza necessita' di intervento del giudice: il che, a tacer d'altro, priverebbe della sua funzione, e della sua stessa ragion d'essere, il processo esecutivo, o quanto meno lo relegherebbe in una prospettiva del tutto residuale. Posto che anche in un rapporto paritario possono, a certe condizioni, ammettersi ipotesi di autotutela del credito, l'elemento discretivo non puo' che esser dato dalla natura dell'interesse: se tale attributo assiste la pretesa del creditore pubblico semplicemente in quanto creditore, vuol dire che con la previsione dell'autotutela la legge protegge l'interesse creditorio in quanto tale (perche' strutturalmente e funzionalmente qualificato, nei suoi rapporti con il bene, dalla peculiarita' della fattispecie), e non l'interesse pubblico portato dall'amministrazione creditrice e dalle ragioni del credito. Un significativo segnale in tal senso si rinviene proprio nella giurisprudenza costituzionale: in relazione all'ipotesi prevista dalla legge di contabilita' dello Stato che costituisce l'archetipo della disciplina del fermo amministrativo (art. 69 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440), la Corte costituzionale, nella sentenza n. 67 del 1972, ha affermato trattarsi di una misura cautelare, espressione del potere di autotutela della p.a. Affermo' in quell'occasione la Corte: «Va ricordato al riguardo che il fermo costituisce misura di autotutela della Amministrazione statale, avente lo scopo di assicurare la realizzazione dei fini cui e' rivolto l'iter amministrativo procedimentale, necessariamente complesso e disciplinato da norme inderogabili e preordinate ad assicurare la regolarita' contabile e la realizzazione delle entrate dello Stato, quali vengono definite nell'art. 219 r.d. 23 maggio 1924, n. 827 (Regolamento per l'amministrazione del patrimonio e per la contabilita' generale dello Stato). E' evidente, quindi, che la norma in esame non configura un irrazionale privilegio, ma uno strumento necessario alla protezione del pubblico interesse connesso alle esigenze finanziarie dello Stato. E se e' vero che l'autotutela, nella generalita' delle sue applicazioni, e' connaturata all'attivita' della pubblica amministrazione nei rapporti di diritto pubblico, non deve escludersi, in considerazione di quanto teste' accennato, che speciali norme di legge ne consentano l'esercizio anche in rapporti di diritto privato, cui la pubblica amministrazione partecipi per i fini che le sono propri». La superiore affermazione della Corte costituzionale e' oltretutto relativa ad un istituto la cui disciplina ha una portata lesiva della sfera giuridica del privato, e dei suoi beni di primario rilievo costituzionale, assai piu' ridotta rispetto alla fattispecie in esame, dal momento che gli effetti della disciplina in quella occasione censurata si limitano ad una facolta' per l'amministrazione di sospendere in via interinale il pagamento. Solo riconoscendo la natura pubblicistica degli interessi tutelati, e la corrispondente natura autoritativa del potere esercitato, la Corte costituzionale ha, nella richiamata sentenza n. 67 del 1972, potuto rigettare la censura di disparita' di trattamento, per asserita irrazionalita' del privilegio accordato indiscriminatamente ai crediti della p.a., dal momento che, cosi' interpretata, la norma non configura un irrazionale privilegio ma uno strumento necessario alla protezione del pubblico interesse connesso alle esigenze finanziarie dello Stato. In argomento la stessa Corte di cassazione, sez. V civile, nella sentenza n. 4567/2004, ha affermato che, come «precisato dalle sezioni unite di questa Corte, nella decisione n. 1733/02 resa inter partes, che la facolta' di disporre il c.d. fermo amministrativo delle somme dovute e' attribuita alla pubblica amministrazione per la tutela di interessi della collettivita' ed in base ad una valutazione della predominanza di esigenze erariali sul diritto soggettivo del creditore, ne, il diritto di adire il giudice per conseguire la tutela delle proprie situazioni soggettive, compresse e vanificate (anche se incontestate ed incontestabili) quale che sia la consistenza della pretesa creditoria della p.a. da una insindacabile determinazione di quest'ultima in quanto il diritto di adire il giudice non e' influenzato, ne' formalmente ne' sostanzialmente, dalla norma atteso che il provvedimento di fermo puo' sempre essere impugnato innanzi al giudice». Deve pertanto concludersi, sul punto, nel senso che il fermo amministrativo in esame e' uno strumento di autotutela della pubblica amministrazione, posto in essere mediante atti aventi natura provvedimentale, non essendo possibile rinvenire ne' nel diritto processuale civile, ne' nel diritto privato (comune o speciale), istituti che, nell'ambito dei rapporti iure privatorum, consentano ad una delle parti di aggredire il patrimonio della controparte, senza l'intervento di un giudice, con le caratteristiche disciplinari proprie del fermo di beni mobili registrati. 5. - I parametri costituzionali violati. Date le superiori premesse sulla natura dell'atto impugnato, la questione in esame si incentra sui poteri di cognizione del giudice, funzionali ad assicurare un pieno ed efficace diritto di difesa al debitore sottoposto alla procedura di fermo amministrativo: come ha osservato gia' negli anni ottanta del secolo scorso autorevole dottrina, il giudice amministrativo, a fronte di un limitato accesso al fatto (oggi, peraltro, non piu' tale), esercita un controllo di legittimita' molto piu' penetrante di quello esercitato dai giudici ordinari. Secondo la disciplina introdotta dall'art. 2 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E) (legge abolitrice del contenzioso amministrativo), il giudice ordinario conosce della tutela dei diritti soggettivi, pubblici o privati. La tutela giurisdizionale dell'interesse legittimo («interesse d'individui o di enti morali giuridici») e' invece affidata al giudice amministrativo, dall'art. 24 della legge 31 marzo 1889, n. 5992 [istitutiva della IV sezione Consiglio di Stato: si veda ora l'art. 26 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 (Approvazione del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato)]. Tale disciplina, pur essendo sopravvissuta al mutamento del quadro costituzionale di riferimento, e pur continuando a rappresentare un fondamentale momento di sintesi nei rapporti fra amministrazione e giurisdizione, non costituisce tuttavia «una regola di valore costituzionale, che il legislatore ordinario sarebbe tenuto ad osservare in ogni caso» (Corte costituzionale, sentenza n. 275 del 2001): con la conseguenza che «resta rimesso alla scelta discrezionale del legislatore ordinario - suscettibile di modificazioni in relazione ad una valutazione delle esigenze della giustizia e ad un diverso assetto dei rapporti sostanziali - il conferimento ad un giudice, sia ordinario, sia amministrativo, del potere di conoscere ed eventualmente annullare un atto della pubblica amministrazione o di incidere sui rapporti sottostanti, secondo le diverse tipologie di intervento giurisdizionale previste» (Corte cost., n. 275/2001, cit.; sui rapporti fra il sistema normativo introdotto dalla legge abolitrice del contenzioso amministrativo e l'attuale disciplina costituzionale della giustizia amministrativa, si vedano altresi' le sentenze della Corte cost. n. 32/1970, e n. 161/1971). Una ipotesi in tal senso e' data, come si e' accennato, dalla disciplina di una specifica tipologia di fermo amministrativo (quella prevista dal codice della strada), in relazione alla quale il legislatore, nell'attribuire al giudice ordinario la cognizione delle relative liti, lo ha pero' dotato di poteri costituitivi sull'atto amministrativo impositivo del fermo. Da questa disciplina di carattere speciale possono ricavarsi due indicazioni: a) laddove il legislatore, derogando allo schema - non costituzionalizzato, ma rispondente ad una precisa ratio legis collegata alla diversita' del sindacato - introdotto dalla legge abolitrice del contenzioso amministrativo, intenda devolvere al giudice ordinario la cognizione sulla legittimita' dell'esercizio del potere autoritativo, deve espressamente stabilirlo con una disposizione che comunque garantisca una efficace tutela - prevista dalla Costituzione - dell'interesse legittimo che fronteggia tale potere: altrimenti, la tutela, per Costituzione, non puo' che essere data dal giudice che invece e' dotato dei necessari poteri di cognizione e di decisione (e in tal senso la disciplina costituzionale della giustizia amministrativa deve orientare l'interpretazione della fattispecie, secondo il tradizionale criterio di riparto legato alla causa petendi, in difetto di una espressa previsione di giurisdizione esclusiva); b) laddove il legislatore ha inteso attribuire al giudice ordinario la cognizione di liti sull'applicazione del fermo amministrativo, derogando al criterio di riparto fondato sulla natura della situazione giuridica soggettiva, lo ha fatto espressamente. L'affermazione sub a), del resto, e' conforme ai piu' recenti sviluppi della giurisprudenza costituzionale sulla tutela degli interessi legittimi. La sentenza n. 204 del 2004, in particolare, pur resa con riferimento alla disciplina di un'ipotesi di giurisdizione esclusiva, nel ripercorrere l'evoluzione storica del sistema italiano di giustizia amministrativa ha chiaramente individuato nel giudice amministrativo il giudice naturale del potere: il giudice che, ai sensi degli artt. 24 e 103 della Costituzione, e' in grado di fornire una tutela adeguata ed efficace all'interesse legittimo, mediante la tutela costitutiva e quella risarcitoria. La sentenza n. 191 del 2006, confermando l'impostazione della citata sentenza n. 204 del 2004, ha precisato poi che il giudice naturale della legittimita' dell'esercizio della funzione pubblica e' il giudice amministrativo, competente a giudicare della pretesa sostanziale (onde la proposizione della - sola - azione risarcitoria non altera, dal punto di vista dell'art. 24 Cost., i parametri costituzionali del sistema di riparto). Le indicazioni ricavabili dalle disposizioni costituzionali di cui agli artt. 3, 24, 103 e 113, anche alla luce della giurisprudenza da ultimo citata, sono dunque nel senso della necessarieta' dell'apprezzamento, ove la legge non disponga altrimenti, dell'esercizio del potere amministrativo da parte del giudice dell'amministrazione (in ragione della peculiarita' del relativo sindacato), a tutela dell'interesse legittimo che fronteggia l'esercizio del potere. La diversita' strutturale delle ferme di tutela assicurate dai due ordini giurisdizionali, rimarcata dalla piu' autorevole dottrina, consegue del resto alla presa d'atto della diversa natura delle situazioni giuridiche soggettive: sicche' se la cognizione del giudice ordinario assicura una tutela efficace con riferimento a rapporti paritetici, nei quali l'atto amministrativo non si impone autoritativamente, viceversa laddove l'atto costituisca esercizio di potere autoritativo, capace di conculcare la posizione soggettiva del privato, la tutela costituzionale dell'interesse legittimo impone, in linea generale, e salvo espresse e ragionevoli eccezioni, la cognizione del giudice amministrativo. Del resto, se e' vero - come ha ribadito la citata sentenza n. 204 del 2004 (punto 3 del «considerato in diritto») - che la Costituzione repubblicana non ha cristallizzato il sistema di riparto elaborato a seguito dell'istituzione della giurisdizione amministrativa, consentendo al legislatore di derogare allo schema secondo cui il giudice amministrativo conosce degli interessi legittimi e il giudice ordinario dei diritti soggettivi, tuttavia autorevole dottrina opportunamente osserva come la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sui diritti ha ricevuto un espresso riconoscimento costituzionale che, invece, non assiste l'opposta ipotesi di cognizione degli interessi legittimi da parte del giudice ordinario. Non e' stato dunque costituzionalizzato il criterio di riparto fondato sul petitum sostanziale: ma e' stato costituzionalizzato il principio della effettivita' della tutela giurisdizionale degli interessi legittimi (art. 24 Cost.), «la cui tutela l'art. 103 riserva al giudice amministrativo» (Corte cost., sentenza n. 204/2004), senza alcuna limitazione sotto il profilo del sindacato (art. 113 Cost.). D'altra parte, a fronte di un criterio di riparto in se' non costituzionalizzato, ma ragionevole (in quando rispondente ad una precisa logica fondata sul ruolo e sulla funzione dei due ordini giurisdizionali, a fronte della diversa natura delle situazioni giuridiche soggettive dedotte), una opposta scelta del legislatore, implicita nella disposizione ed esplicitata dal diritto vivente, sarebbe certamente irragionevole (con conseguente violazione dell'art. 3 Cost.), nella parte in cui, di fronte all'attribuzione normativa di un potere autoritativo, assegna il sindacato sull'esercizio di quel potere al giudice dei diritti, come se gli effetti riguardassero un rapporto paritario. Sotto un diverso profilo, l'interpretazione dell'art. 86 del d.P.R. n. 602 del 1973, che attribuisce al giudice ordinario la cognizione delle controversie inerenti la legittimita' del fermo amministrativo e la tutela delle situazioni soggettive del debitore esecutato, appare in contrasto con gli articoli 24, 103 e 113 della Costituzione. Va qui precisato che mentre nelle vicende che hanno condotto alle segnalate sentenze n. 204/2004 e n. 191/2006 venivano in considerazione delle disposizioni di legge attributive (al giudice amministrativo) di giurisdizione esclusiva su diritti in materie ritenute esorbitanti dalla previsione di cui all'art. 103 Cost., invece nel caso in esame, difettando una simile previsione legislativa, l'interpretazione della natura dell'istituto, funzionale alla creazione della regola di riparto, in tanto puo' dirsi conforme ai segnalati parametri, in quanto tenga conto delle indicazioni costituzionali (art. 103 Cost.) circa l'individuazione - a garanzia della effettivita' del diritto di difesa dell'interesse legittimo (artt. 24 e 113 Cost.) - del giudice naturale dell'esercizio della funzione pubblica. In altre parole, nelle sentenze n. 204/2004 e 191/2006 la Corte costituzionale ha sindacato la legittimita' di norme sul riparto contenute in disposizioni relative ad altrettante ipotesi di giurisdizione esclusiva (come tali, derogatorie rispetto al criterio della causa petendi); nel caso in esame, il sindacato che si sollecita ha ad oggetto una norma sul riparto, applicativa del predetto criterio, ricavata interpretativamente dal diritto vivente sulla base non di una disposizione espressa, ma della disciplina sostanziale del relativo istituto. Se, come la Corte costituzionale ha ritenuto a proposito della vicenda della giurisdizione esclusiva, la giurisdizione del giudice amministrativo sui diritti e' l'eccezione, cio' implica evidentemente che, in base agli stessi parametri, quella sugli interessi legittimi sia la regola (costituzionale). In altre parole: non e' in discussione la possibilita' che il legislatore nel rispetto di limiti speculari a quelli indicati dalle sentenze n. 204/2004 e n. 191/2006 della Corte costituzionale - introduca una espressa previsione di giurisdizione del giudice ordinario sugli atti di esercizio del potere amministrativo in materia di fermo amministrativo (cosa che del resto ha fatto, nella ricordata disciplina del fermo amministrativo previsto dal codice della strada). Cio' che appare contrario ai segnalati parametri e' la possibilita' di ottenere lo stesso risultato in via surrettizia, mediante la qualificazione di un mezzo di autotutela amministrativa come strumento di diritto comune, e la conseguente individuazione di una regola di riparto, relativa non alla giurisdizione esclusiva ma a quella generale di legittimita', viziata ab origine dal condizionamento che la ridetta qualificazione opera sulla individuazione della causa petendi. Il segnalato deficit di tutela non concerne, infine, solo il tipo di azioni proponibili davanti al giudice ordinario, ed i (limiti dei) poteri decisori di quest'ultimo, ma anche - come gia' accennato - il tipo di sindacato sull'atto che impone il fermo (art. 113 Cost.). Nel presente giudizio sono state sollevate specifiche censure sul difetto di motivazione del provvedimento impugnato, quanto all'adozione della misura di autotutela conservativa in relazione all'entita' del credito tributario, nonche' sulla connessa violazione del principio di proporzionalita' dell'azione amministrativa (con particolare riferimento al profilo di necessarieta' della misura ablatoria). Ove si ritenesse l'istituto in esame un semplice mezzo di tutela della garanzia patrimoniale offerto dal diritto comune, per farne discendere (come fanno le sezioni unite) la regola dell'attribuzione delle relative controversie all'a.g.o., simili profili del sindacato giurisdizionale, tipici dei provvedimenti amministrativi, resterebbero esclusi (altri essendo i parametri di legittimita' rilevanti nel giudizio di opposizione all'esecuzione o agli atti esecutivi), pur a fronte della rilevata natura autoritativa del potere esercitato, e comunque della posizione non paritaria, ma di supremazia, che la pubblica amministrazione (come ricordato dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 67 del 1972) riveste nel rapporto. In conclusione, va quindi rilevato che appare non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 86 del d.P.R. n. 602 del 1973, nella parte in cui risulta interpretato - secondo il diritto vivente - nel senso di attribuire al giudice ordinario la giurisdizione sulle controversie in materia di fermo tributario di veicoli da esso previsto, sul presupposto della natura non autoritativa del potere esercitato, per violazione degli artt. 24, 103 e 113 della Costituzione. 1) d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602. Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito. Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 16 ottobre 1973, n. 268, S.O. n. 2. Capo III - Disposizioni particolari in materia di espropriazione di beni mobili registrati art. 86. Fermo di beni mobili registrati. «1. - Decorso inutilmente il termine di cui all'art. 50, comma 1, il concessionario puo' disporre il fermo dei beni mobili del debitore o dei coobligati iscritti in pubblici registri, dandone notizia alla direzione regionale delle entrate ed alla regione di residenza. 2. - Il fermo si esegue mediante iscrizione del provvedimento che lo dispone nei registri mobiliari a cura del concessionario, che ne da altresi' comunicazione al soggetto nei confronti del quale si procede. 3. - Chiunque circola con veicoli, autoscafi o aeromobili sottoposti al fermo e' soggetto alla sanzione prevista dall'articolo 214, comma 8, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285. 4. - Con decreto del Ministro delle finanze, di concerto con i Ministri dell'interno e dei lavori pubblici, sono stabiliti le modalita', i termini e le procedure per l'attuazione di quanto previsto nel presente articolo».
P. Q. M. Visti gli artt. 134 Cost.; 1, legge cost. 9 febbraio 1948, n. 1, 23, legge 11 marzo 1953, n. 87: dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 86 dei d.P.R. n. 602 del 1973, in relazione agli artt. 3, 24, 103 e 113 della Costituzione, nella parte in cui risulta interpretato, secondo il diritto vivente, nel senso di attribuire al giudice ordinario la giurisdizione sulle controversie in materia di fermo tributario di veicoli da esso previsto, sul presupposto della natura non autoritativa del potere esercitato; dispone la sospensione del presente giudizio; ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; ordina che a cura della segreteria della sezione la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Cosi' deciso in Palermo, nella Camera di consiglio del 24 maggio 2006. Il Presidente: Adamo L'estensore: Tulumello 06C1082