N. 557 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 giugno 2006
Ordinanza emessa il 29 giugno 2006 dalla Corte di appello di Palermo nel procedimento civile promosso da Giunta Antonina ed altre contro comune di Leonforte ed altro Espropriazione per pubblica utilita' - Occupazioni appropriative intervenute anteriormente al 30 settembre 1996 - Criteri di liquidazione del danno in misura ridotta rispetto al valore venale degli immobili - Applicabilita' ai procedimenti in corso - Violazione dei principi del giusto processo - Lesione degli obblighi internazionali derivanti dalla CEDU. - Decreto legge 11 luglio 1992, n. 333, art. 5-bis, comma 7-bis, convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, aggiunto dall'art. 3, comma 65, della legge 23 dicembre 1996, n. 662. - Costituzione, artt. 111 e 117.(GU n.49 del 13-12-2006 )
LA CORTE DI APPELLO Riunita in Camera di consiglio ha pronunciato la seguente ordinanza. Nella causa civile iscritta al n. 1045 dell'anno 2004 del Reg. Gen. Aff. Cam. Cons. di questa Corte di appello, proposto da Giunta Antonina + 2 appellanti in riassunzione contro comune Leonforte, IACP Enna, appellati in riassunzione; la Corte, esaminati gli atti; Rileva in fatto Con sentenza in data 23 ottobre 1993, il Tribunale di Nicosia tigettava la domanda con la quale le germane Antonina, Nunzia e Serafina Giunta, allegando che la loro area edificabile, interessata da un procedimento espropriativo per la costruzione di 21 alloggi popolari, era stata irreversibilmente trasformata, senza che venisse emesso, nei termini previsti dalla dichiarazione di pubblica utilita', il provvedimento di espropriazione, avevano chiesto la condanna, in solido, dello IACP di Enna e del comune di Leonforte alla restituzione del fondo abusivamente occupato o, nell'impossibilita' di tale restituzione, al pagamento del relativo valore venale, oltre alla mancata fruttificazione, alla rivalutazione e dagli interessi. Osservavano i primi giudici che il decreto ablativo era stato, tempestivamente, emesso il 3 maggio 1986, nel corso del periodo di occupazione temporanea, e che il mancato rispetto dei termini contenuti nella delibera di approvazione del progetto, equivalente a dichiarazione di pubblica utilita', costituiva una mera violazione di legge e non era rilevante. Tale decisione, impugnata dalla Giunta, veniva confermata dalla Corte di appello di Caltanissetta, che, con sentenza in data 7 aprile 2000, riteneva che il termine di cinque anni, fissato nella dichiarazione di pubblica utilita', era stato rispettato, tenuto conto che i lavori erano stati completati in quel lasso di tempo, e gli altri termini avevano, solo, natura ordinatoria. Con sentenza del 12 giugno - 11 novembre 2003, la suprema Corte, adita dalle sorelle Giunta, ha cassato la decisione d'appello, con rinvio a questa Corte, ribadendo il principio secondo il quale l'inosservanza di entrambi i termini finali di cui all'art. 13, legge n. 2359/1865 comporta la decadenza della dichiarazione di p.u. Con citazione del 1° giugno 2004, Antonina, Nunzia e Serafina Giunta hanno riassunto il processo innanzi a questa Corte, insistendo nelle domande restitutorie e risarcitorie formulate con la citazione introduttiva del giudizio. Si sono costituiti sia lo IACP che il comune di Leonforte, negando, ciascuno la rispettiva legittimazione passiva, ed il primo, anche, la legittimazione delle appellanti e chiedendo, entrambi, applicarsi il d.P.R. n. 327/2001. Acquisita la documentazione attestante l'ammontare del reddito dominicale del fondo irreversibilmente trasformato, la causa e' stata posta in deliberazione all'udienza collegiale del 26 maggio 2006. Osserva in diritto In base al principio di diritto, stabilito nella sentenza che ha disposto il rinvio, il decreto di espropriazione dell'immobile in contestazione, che e' stato emesso il 3 maggio 1986, dopo la scadenza dei termini di cui all'art. 13, legge n. 2359/1865, intervenuta l'8 marzo 1984 (dies a quo data della delibera dell'8 marzo 1979, di approvazione del progetto), e' affetto da originaria illegittimita' e va disapplicato. Poiche', com'e' incontroverso, gli alloggi sono stati realizzati prima della predetta data, la fattispecie in esame integra un'ipotesi di c.d. occupazione acquisitiva: l'attivita' di manipolazione della realta' fisica e' intervenuta durante il periodo di occupazione ed in costanza di una valida dichiarazione di pubblica utilita', sicche', alla data dell'8 marzo 1984, di scadenza dei termini di cui all'art. 13, legge n. 2359/1865, si e' avuto l'acquisto, a titolo originario, del bene alla mano pubblica, ed e' sorto il credito, risarcitorio, in testa alle sorelle Giunta. Escluso, pertanto, che possa disporsi la restituzione dell'immobile chiesta in principalita', va, quindi, osservato che la fattispecie in esame e' regolata dall'art. 5-bis, comma 7-bis, legge n. 359/1992, introdotto con l'art. 3, comma 65, legge n. 662/1996 (recepito dall'art. 37, comma 1, T.U. n. 327/2001, e richiamato dalla disposizione transitoria di cui al successivo art. 55), che si applica ai procedimenti in corso non definiti con sentenza passata in giudicato, ed in base al quale il risarcimento, dovuto in ipotesi di occupazione acquisitiva di suoli edificatori, e' pari alla semisomma tra valore venale del bene stesso e del reddito dominicale rivalutato, aumentato del 10%. Tanto premesso, va rilevato che la predetta disposizione ha, piu' volte, superato il vaglio di legittimita' costituzionale (sentenze n. 148/1999, 396/1999 e 24/2000, ed ordinanze nn. 251/2000 e 158/2002), avendo la Corte cost. rigettato i dubbi d'incostituzionalita' sollevati con riferimento agli artt. 3, 10, 24, 28, 42, 53, 71, 72, 97 e 113 Cost., sul rilievo che la regola dell'integralita' del risarcimento non ha copertura costituzionale, che la norma si giustifica con riferimento al carattere temporaneo dei suoi effetti, che la riduzione del ristoro e' ragionevole, in considerazione dei contrapposti interessi in gioco, che la disposta applicazione del nuovo, e riduttivo, regime ai giudizi pendenti non confligge con specifici canoni costituzionali, e primo tra essi con quello della ragionevolezza, «non potendo costituire limite invalicabile della discrezionalita' legislativa l'aspettativa dei titolari delle aree occupate a vedersi liquidato il danno secondo un criterio piu' favorevole di quello ragionevolmente adottato dal legislatore nell'attuale momento storico (...); cio' in special modo quando si tratti di normativa diretta a sostituire una discip1ina incostituzionale ed a regolare i rapporti pregressi». Si ravvisano, pero', dubbi di costituzionalita' della disposizione in esame con riferimento all'art. 111 Cost., nel testo introdotto con legge cost. 23 novembre 1999, n. 2, che sancisce il principio secondo il quale la giurisdizione si attua mediante «il giusto processo» che deve consentire il contraddittorio delle parti in regime di parita', deve esser diretto da un giudice terzo ed imparziale e deve avere una ragionevole durata (art. 111, primo e secondo comma, Cost.) Il contenuto del primo precetto, oltre ad esprimere la necessita' che le parti possano disporre di analoghi poteri nel determinare la decisione, implica, pure, ad avviso della Corte, la necessita' che il potere legislativo non introduca nuove disposizioni dirette, specificamente, ad influire sull'esito di una categoria di giudizi in corso, in cui e' parte un amministrazione pubblica. Tale esegesi e' mutuata, e trova, al contempo, la propria autorevole conferma, dall'interpretazione, data dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, dell'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, che disciplina, appunto, il diritto ad un processo equo ed al quale la disposizione costituzionale, all'evidenza, e' ispirata. In particolare, la Corte di Strasburgo, pur non escludendo che, in materia civile, una nuova normativa possa avere efficacia retroattiva, ha riconosciuto legittima l'applicilita' dello jus superveniens in presenza di gravi motivi d'interesse generale, ravvisando, in ogni altro caso, la violazione del principio di legalita' e dell'art. 6 1/2 1 della Convenzione, per il mutamento delle regole «in corsa» (sentenza Scordino 29 luglio 2004). Deve aggiungersi che la Corte europea ha rilevato, tra l'altro, che il criterio risarcitorio di cui all'art. 5-bis, comma 7-bis, in esame non e' conforme al principio del rispetto del diritto di proprieta', di cui all'art. 1, prot. 1 add. alla Convenzione, per essere la sua fonte costituita da un fatto illecito e non da legittimi obiettivi di pubblica utilita' (sentenza Scordino cit., nonche' sentt. Binotti Colazzo e Serrao del 13 ottobre 2005, Sciarrotta del 12 gennaio 2006, S.A.S. del 23 febbraio 2006). Va, poi, escluso, che l'art. 5-bis, comma 7-bis, legge n. 359/1992 possa essere disapplicato, direttamente, da parte di questa Corte, perche' contrario ai precetti della Convenzione, tenuto conto che, come diffusamente esposto dalla suprema Corte, con l'ordinanza in data 22 marzo - 20 maggio 2006, con la quale e' stata sollevata analoga q.l.c. ed alla quale si presta adesione, il giudice nazionale e' obbligato ad applicare le leggi dello Stato, salve le ipotesi di abrogazione e di dichiarazione d'illegittimita' costituzionale; che un vincolo all'interpretazione conformativa alle decisioni della Corte europea da parte del giudice nazionale e' ravvisabile ove la norma nazionale costituisca esatta riproduzione delle norme convenzionali o la stessa sia di chiara interpretazione, evenienza che non e' ravvisabile nella specie; che infine, non e' codificato nell'ordinamento il principio secondo il quale, in ipotesi di contrasto con la Convenzione, il diritto interno va disapplicato, al pari di quanto avviene nella diversa ipotesi di contrasto, col diritto comunitario. L'art. 5-bis, comma 7-bis, legge n. 359/1992 sembra violare, insomma, il principio costituzionale del giusto processo, quale sopra delineato, ed, inoltre, l'art. 117 Cost. che impone, nell'esercizio della potesta' legislativa esercitata dallo Stato (oltre che dalle Regioni), il rispetto degli obblighi internazionali, rispetto che e' insussistente, dato il contrasto, piu' volte affermato dalla Corte di Strasburgo, tra la riduttiva disciplina risarcitoria, di cui alla norma impugnata, ed i principi della Convenzione Quanto alla valutazione della rilevanza delle questioni, nel presente giudizio, ed in aggiunta a quanto si e', sopra esposto, in ordine alla necessita' di emettere statuizione risarcitoria (per esser la proprieta' stata acquisita l'8 marzo 1984, alla mano pubblica, in virtu' di occupazione acquisitiva per un fondo edificatorio), e rilevato, inoltre, che sono presenti in giudizio i giusti contraddittori (le sorelle Giunta erano, senz'altro, proprietarie, quanto meno «pro quota», della part. 247, F. 28, mentre sono stati convenuti i due soggetti che la hanno irreversibilmente trasformata), va osservato che, alla data del 12 aprile 1984, in cui e' stata notificata la citazione introduttiva del presente giudizio, le odierne appellanti potevano aspirare, in base alla giurisprudenza di cui alla sentenza Cass. S.U. n. 1464/1983, al risarcimento pieno, ex art 39, legge n. 2359/1865, pari al valore venale del loro fondo, mentre, per effetto dell'entrata in vigore (oltre dodici anni dopo) dell'art. 3, comma 65, della legge n. 662/1996, che ha introdotto il comma 7-bis all'art. 5-bis, legge n. 359/1992, il risarcimento risulta abbattuto di circa il 50%. Devono, pertanto, dichiararsi rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 5-bis, comma 7-bis, legge n. 359/1992 nella parte in cui, disponendo che le nuove regole di determinazione del risarcimento ivi previste, si applicano ai giudizi pendenti: sembra contrastare con il principio del giusto processo di cui all'art. 111, primo e secondo comma, Cost., quale sopra interpretato, anche alla luce dell'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, secondo cui le parti devono stare in posizione di parita' davanti al giudice, posizione che risulta lesa dall'intromissione del potere legislativo nell'amministrazione della giustizia, al fine d'influenzare la decisione della lite; sembra contrastare con l'art. 117, primo comma, Cost. quale sopra interpretato, anche alla luce dell'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, che impone allo Stato di osservare, nell'esercizio della potesta' legislativa, i vincoli derivanti dai trattati internazionali.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 Cost. e 23, legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevanti e non manifestamente infondate, nei sensi sopra esposti, le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 65, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, che ha introdotto il comma 7-bis all'art. 5-bis della legge n. 359/1992, per contrasto con l'art. 111 Cost. e con l'art. 117 Cost; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio; Dispone, inoltre, che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri, ed alle parti, nonche' comunicata al Presidente della Camera dei deputati ed al Presidente del Senato della Repubblica. Palermo, addi' 9 giugno 2006 Il Presidente: Laurino 06C1113