N. 558 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 luglio 2006
Ordinanza emessa il 19 luglio 2006 dalla Corte di cassazione - sezioni unite penali nel procedimento penale a carico di Pellegrino Antonio Processo penale - Riparazione per l'ingiusta detenzione - Presupposti e modalita' della decisione - Diritto alla riparazione per la durata della custodia cautelare che risulti superiore alla misura della pena inflitta - Mancata previsione - Lesione del principio di ragionevolezza - Contrasto con la legge di delega n. 81/1987 - Violazione del principio di solidarieta' e di tutela della liberta' personale. - Codice di procedura penale, art. 314. - Costituzione artt. 2, 3, 24 e 77, in relazione alla legge 16 febbraio 1987, n. 81, art. 2, comma 1, n. 100.(GU n.49 del 13-12-2006 )
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza su1 ricorso proposto da Antonio Pellegrino, nato il 14 marzo 1958 a Locri, avverso l'ordinanza pronunciata il 29 aprile 2004 dalla Corte di appello di Reggio Calabria, nonche' Ministero dell'economia, in persona del Ministro pro tempore; Visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; Udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Giovanni Silvestri; Lette le conclusioni del Procuratore generale presso questa Corte, nella persona del Sostituto dott. Vito Monetti, che ha chiesto l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata. Ritenuto in fatto Con ordinanza del 29 aprile 2004, la Corte di appello di Reggio Calabria accoglieva parzialmente la richiesta presentata, a norma dell'art. 314 c.p.p., da Pellegrino Antonio per ottenere la liquidazione di una somma a titolo di riparazione per l'ingiusta detenzione in carcere, subita dal 23 gennaio 1986 al 22 giugno 1989, e condannava il Ministero dell'economia al pagamento, in favore dei richiedente, di 80.000 euro per l'illegittima privazione della liberta' limitatamente al periodo dal 26 gennaio 1988 al 22 giugno 1989; la richiesta veniva, invece, rigettata relativamente al periodo di carcerazione sofferta dal 23 gennaio 1986 al 26 gennaio 1988. La Corte territoriale ricostruiva la vicenda processuale rilevando che: il 23 gennaio 1986 al Pellegrino era stata applicata la misura cautelare della custodia in carcere per le imputazioni di associazione per delinquere di stampo mafioso, di detenzione e porto di armi e, successivamente, di tentato omicidio, il 22 gennaio 1988 erano scaduti i termini massimi di custodia cautelare per i reati concernenti l'associazione mafiosa e le armi, ma la custodia in carcere era stata mantenuta in quanto l'imputato era stato condannato alla pena di quattordici anni di reclusione per i reati di tentato omicidio e di porto e detenzione di arma; la sentenza di appello, che aveva ridotto la pena a dieci anni e sei mesi di reclusione per i predetti reati, era stata annullata dalla Corte di cassazione e, nel giudizio di rinvio, il 23 giugno 1989 la Corte di assise di appello aveva assolto l'imputato dal reato di tentato omicidio per insufficienza di prove, mentre il processo proseguiva per le imputazioni relative al reato associativo e a quello concernente le armi; in data 17 giugno 1999 il Pellegrino era stato assolto dal reato associativo e condannato a dieci mesi di reclusione per i reati concernenti le armi; a seguito di appello dell'imputato, la Corte territoriale il 7 maggio 2001 aveva pronunciato sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione in ordine al residuo reato di porto e detenzione di armi. Tutto cio' premesso, la Corte di appello riteneva che l'indennizzo per l'ingiusta detenzione dovesse essere riconosciuto unicamente per il periodo compreso tra il 26 gennaio 1988 e il 22 giugno 1989, riguardante la custodia cautelare riferita all'imputazione di tentato omicidio, e che, per contro, relativamente al periodo dal 23 gennaio 1986 al 22 gennaio 1988 la richiesta dovesse essere respinta per la duplice ragione che la custodia cautelare risultava legittimata dalla pluralita' di imputazioni e che la declaratoria di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, pronunciata dalla Corte territoriale per i reati relativi alle armi, precludeva il riconoscimento del diritto alla riparazione, essendo questo configurabile soltanto in caso di proscioglimento in merito, secondo la previsione del primo comma dell'art. 314 del codice di rito. Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore del Pellegrino, deducendo, con riferimento al mancato riconoscimento del diritto all'equa riparazione per il periodo di custodia cautelare subita dal 23 gennaio 1986 al 26 gennaio 1988, violazione de1l'art. 606, comma 1, lettera c) ed e) c.p.p., in relazione all'art. 314 dello stesso codice e agli art. 157 e ss. c.p., sull'assunto che il provvedimento gravato era stato emesso seguendo erroneamente la tesi favorevole ad escludere la possibilita' di distinguere tra i diversi titoli detentivi allorche' la custodia cautelare sia stata applicata in una pluralita' di imputazioni e una di esse sia stata definita con sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione. Il ricorrente argomentava che nel caso di specie la dichiarazione di estinzione per prescrizione del delitto inerente alle armi era intervenuta in grado di appello dopo che l'imputato era stato condannato alla pena di dieci mesi di reclusione: di talche', poiche' la sentenza di condanna era stata impugnata dal pubblico ministero, per effetto del divieto di reformatio in pejus la pena riferibile al delitto inerente alle armi non avrebbe mai potuto superare la soglia dei dieci mesi di reclusione, onde il residuo periodo di custodia cautelare avrebbe dovuto imputarsi al delitto per il quale il Pellegrino aveva riportato pronunzia definitiva di assoluzione gia' in primo grado. Con memoria depositata il 14 novembre 2005, il ricorrente produceva copia di due sentenze di questa Corte con le quali, in situazioni identiche a quella dedotta nel presente procedimento, era stato riconosciuto il diritto alla riparazione per l'ingiusta detenzione a favore di persone che erano state coimputate nel medesimo processo svoltosi nei confronti del Pellegrino. La quarta sezione penale di questa Corte, cui il ricorso era stato assegnato, con ordinanza n. 1920 resa nella camera di consiglio del 14 novembre 2005, rimetteva il ricorso alle sezioni unite al fine di evitare contrasti di giurisprudenza e di definire i limiti dell'istituto previsto dall'art. 314 del codice di rito, anche alla luce delle decisioni della Corte costituzionale e della Corte europea dei diritti dell'uomo. Il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle sezioni unite fissando l'udienza del 30 maggio 2006 per la trattazione a norma dell'art. 611 c.p.p. Con requisitoria scritta del 17 marzo 2006, il procuratore generale presso questa Corte chiedeva l'accoglimento del ricorso, osservando che la pronuncia di annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata era giustificata dall'interpretazione adeguatrice della normativa di cui all'art. 314 del codice di rito alla luce delle precise indicazioni ricavabili dai numerosi interventi della Corte costituzionale. Considerato in diritto 1. - In relazione al contenuto della decisione impugnata e ai limiti segnati dal ricorso per cassazione, che circoscrivono la questione devoluta alla cognizione di questa Corte, occorre preliminarmente chiarire che la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione deve essere esaminata limitatamente al periodo di custodia in carcere di due anni, subita dal Pellegrino dal 23 gennaio 1986 al 22 gennaio 1988, data, quest'ultima, coincidente con la scadenza dei termini massimi della misura cautelare relativamente ai delitti di associazione di stampo mafioso e di detenzione porto illegali di armi. Va precisato, inoltre, che, a distanza di oltre undici anni, con sentenza del 17 giugno 1999 del Tribunale di Locri il Pellegrino e' stato assolto dal reato associativo ed e' stato, invece, condannato alla pena di dieci mesi di reclusione per i reati relativi alle armi: infine, con sentenza del 7 maggio 2001, la Corte di appello di Reggio Calabria ha riformato la condanna dichiarando non doversi procedere per questi ultimi reati perche' estinti per intervenuta prescrizione. Alla stregua di siffatti incontestati dati processuali e tenuto conto che per tutte le imputazioni coincidono i limiti massimi della custodia in carcere stabiliti dall'art. 303 c.p.p., il tema di indagine e di decisione sul quale le sezioni unite sono state chiamate a pronunciare consiste nello stabilire se sia o non configurabile il diritto alla riparazione nel caso in cui l'imputato, sottoposto a detenzione per piu' titoli cautelari di pari durata massima, venga assolto da un reato con una delle formule indicate nel primo comma dell'art. 314 c.p.p. e venga, invece, prosciolto dall'altro reato perche' estinto per prescrizione. 2. - Riguardo all'ipotesi di processo con piu' imputazioni definite con esito diverso, sin dall'entrata in vigore del codice di rito la giurisprudenza di legittimita' e' schierata su posizioni che, alla luce delle disposizioni contenute nei commi 1 e 4 dell'art. 314, individuano il presupposto genetico del diritto all'attribuzione di una somma di danaro a titolo di equa riparazione nel fatto che l'interessato sia stato prosciolto con una formula liberatoria di merito in relazione all'addebito o agli addebiti formulati con il provvedimento di cautela: con la conseguenza che, quando il provvedimento coercitivo si fondi su piu' contestazioni, il proscioglimento con formula non di merito anche da una sola tra queste, sempreche' autonomamente idonea a legittimare la compressione della liberta' personale, impedisce il sorgere di detto diritto, irrilevante risultando il pieno proscioglimento dalle altre imputazioni (Cass., sez. IV 17 dicembre 1992, Ronco, rv. 193229). Lungo le stesse coordinate interpretative e sempre in riferimento all'ipotesi di processo cumulativo, non solo e' stato chiarito che, per escludere il diritto all'indennita', basta la condanna per una delle imputazioni astrattamente autonome, a legittimare la compressione della liberta' personale (Cass., sez. IV, 7 ottobre 2003, Campanelli, rv. 226730), ma e' stato anche stabilito che, qualora la custodia cautelare risulti disposta per una pluralita' di contestazione in ordine alle quali tutte sia intervenuto il proscioglimento, correttamente viene esclusa la sussistenza del diritto alla riparazione se, anche per uno soltanto degli addebiti, la formula della sentenza assolutoria non riguarda il merito dell'imputazione e non ricorre il caso di indebito mantenimento della custodia stessa (Cass., sez. IV, 13 dicembre 2002, Iuliani, rv. 226l52; 9 febbraio 1996, Zaccaria, rv. 204426; 22 novembre 1994, n. 1824, Piovani). Simile orientamento non e contraddetto da quelle decisioni con le quali - in relazione ad pluralita' di imputazioni di diversa gravita' con termini di custodia cautelare di differente durata - e' stato precisato che, ai fini dell'equa riparazione, il proscioglimento da un addebito meno grave, ma pur idoneo a legittimare il titolo di custodia cautelare, con formula non di merito e, comunque, diversa da una di quelle evocate dall'art. 314, comma 1, c.p.p. (quale l'estinzione del reato per amnistia), comporta la detrazione dalla durata complessiva della detenzione cautelare del tempo, nel massimo consentito dalla legge, riferibile al meno grave addebito, sicche' il diritto all'indennizzo resta limitato al periodo residuo (Cass., sez. IV, 17 dicembre 1992, Malentacchi, rv. 194081; 17 dicembre 1992, Calia, rv. 194093; 17 dicembre 1992, Truppi, rv. 193231). Queste ultime sentenze non si discostano, a ben vedere, dalle linee interpretative seguite dall'indirizzo affermatosi in tema di processo cumulativo, dato che la differente gravita' delle imputazioni si riflette sulla diversa ampiezza dei limiti di durata previsti per i distinti titoli cautelari, sicche' l'assenza della condizione del proscioglimento nel merito preclude la liquidazione del ristoro indennitario per l'intero periodo corrispondente alla durata massima della custodia stabilita per il titolo meno grave, restringendo al residuo periodo la riparazione dipendente dal proscioglimento nel merito per l'imputazione piu' grave. 3. - Risultano, invece, divergenti dall'impianto e dallo sviluppo argomentativo dell'indirizzo sin qui illustrato due recenti decisioni pronunciate dalla quarta sezione penale, la cui peculiarita' e' costituita dal fatto che e' stata riconosciuta la riparazione a favore di coimputati nello stesso processo del Pellegrino, i quali, al pari di quest'ultimo, erano stati assolti dal reato associativo e - dopo essere stati condannati nel giudizio di primo grado per i reati relativi alle armi - erano stati prosciolti da tale imputazione per intervenuta prescrizione. Con la prima decisione, dopo avere preliminarmente riconosciuto la correttezza del principio per cui il proscioglimento con formula non di merito anche da uno solo degli addebiti contestati, autonomamente idoneo a legittimare la custodia, impedisci il sorgere del diritto alla riparazione, la quarta sezione ha annullato la decisione di rigetto della domanda di riparazione sul rilievo che il periodo di custodia cautelare riferibile ai reati concernenti le armi non poteva in nessun caso superare il limite di dieci mesi corrispondente all'entita' della reclusione inflitta con la condanna pronunciata nel giudizio di primo grado: di talche', poiche' contro tale decisione il p.m. non aveva proposto appello, al reato successivamente dichiarato prescritto era attribuibile un periodo di detenzione cautelare non superiore a dieci mesi e la maggiore durata, della custodia in carcere doveva essere riferita all'imputazione per la quale era intervenuta assoluzione nel merito (sent. c.c. 6 luglio 2005, n. 1451, Cinanni). Nella seconda pronunzia la soluzione favorevole alla configurabilita' del diritto alla riparazione rappresenta la conclusione di un itinerario motivazionale nel quale risulta precisato che «qualora risulti per il particolare svolgersi del processo, che il periodo, il tempo, delle limitazioni della liberta' non coincide per tutti i titoli-reati, nel senso che possono distinguersi, con estrema precisione, il periodo di limitazione della liberta' sofferta per il titolo-reato per il quale si e' avuto il proscioglimento per prescrizione e il periodo di limitazione della liberta' - oltre e, nel caso di specie, ben oltre, quella soglia - sofferta soltanto per il titolo-reato per il quale v'e' stato il proscioglimento nel merito, non v'e' nessuna ragione ... .. per negare l'equa riparazione per questo secondo periodo di limitazione della liberta» (sent. 6, C.c. 8 luglio 2005, n. 1467, Femia). Il baricentro dell'iter argomentativo delle due sentenze e', dunque, identificabile nell'opinione che al titolo cautelare venuto meno a seguito del proscioglimento per prescrizione non puo' essere riferito un periodo corrispondente alla durata massima prevista dalla legge processuale, ma esclusivamente il periodo di detenzione cautelare pari all'entita' della pena che sarebbe stata inflitta in caso di condanna. 4. - Le sezioni unite ritengono che le due decisioni sopra riportate non possano essere condivise, per la ragione che, pur essendo evidente la presenza, nelle rispettive motivazioni, di esigenze di giustizia sostanziale e dell'intento di limitare l'operativita' della riparazione alla peculiarita' del caso di specie senza porre in discussione i principi generali recepiti dall'elaborazione giurisprudenziale, esse conducono a risultati asimmetrici rispetto all'ambito dell'istituto configurato dall'art. 314 c.p.p., con conseguenze che finiscono per esorbitare dalla effettiva sfera precettiva delle previsioni normative del codice di rito. Il disegno tracciato dal legislatore delegato, in attuazione della disposizione di cui all'art. 2, n. 100 della legge di delega, risulta ben definito nei suoi reali termini. I primi tre commi dell'art. 314 indicano le condizioni e i presupposti che integrano il fatto costitutivo del diritto all'equa riparazione, la cui nascita e' collegata ad una pronuncia assolutoria nel merito, sempre che non sussista una situazione di dolo o di colpa grave (comma 1), o all'accertamento, con decisione irrevocabile, della mancanza delle condizioni previste dagli articoli 273 e 280 per l'applicazione della custodia in carcere (comma 2), ovvero - alle medesime condizioni di cui ai commi 1 e 2 - alla pronuncia di un provvedimento di archiviazione o di una sentenza di non luogo a procedere (comma 3). Il quarto comma stabilisce, poi, che il diritto alla riparazione e' escluso per quella parte della custodia cautelare che sia computata ai fini della determinazione della misura di una pena, secondo la regola della fungibilita' ex art. 657 c.p.p., ovvero per il periodo in cui le limitazioni conseguenti all'applicazione della custodia siano state sofferte anche in forza di altro titolo. In riferimento alla previsione della seconda parte del quarto comma, il diritto vivente, nell'ipotesi di concorrenza di una pluralita' di titoli cautelari, ammette il diritto alla riparazione alla tassativa condizione che tutte le imputazioni siano state definite con un proscioglimento nel merito o che sia stata accertata l'illegalita' della custodia cautelare a norma del secondo comma dell'art. 314, qualora per ciascuno di detti titoli l'art. 303 c.p.p. preveda pari durata massima. E la ragione giustificativa della disciplina risulta del tutto comprensibile quando si considera che, in una siffatta situazione, il periodo di detenzione cautelare e' unico ed inscindibilmente imputabile ad ognuno e a tutti i titoli custodiali (Cass., sez. IV, 9 maggio 2000, Comisso, rv. 217721), di guisa che, se questi hanno un identico limite massimo di durata, e' sufficiente la mancanza di proscioglimento nel merito per uno solo di essi perche' l'intera detenzione cautelare debba essere ad esso riferita, indipendentemente dalla misura della pena che sarebbe stata in concerto inflitta se fosse intervenuta una pronuncia di condanna. Inoltre, va sottolineato che la portata della disposizione di cui al quarto comma dell'art. 14 puo' essere compiutamente definita soltanto coordinandola con quella contenuta nel primo comma, in quanto da quest'ultima traspare inequivocamente l'intenzione del legislatore di escludere integralmente la riparazione per ingiusta detenzione in tutti i casi di proscioglimento non di merito e, a maggior ragione, di condanna, prescindendo totalmente dall'effettiva misura della pena applicabile o in concerto applicata, quand'anche questa risulti largamente inferiore al periodo di custodia cautelare effettivamente subita. Ritenere il contrario - come hanno fatto le citate sentenze Cinanni e Femia - significa, in buona sostanza, riconoscere che il diritto all'indennizzo deve essere determinato non in riferimento alla durata massima della misura custodiale, ma all'entita' della pena che sarebbe stata inflitta in caso di condanna, aprendo, cosi', un varco che dilata a dismisura l'area della riparabilita' e la estende oltre i precisi termini tassativamente fissati dalla normativa vigente. La conclusione e' avvalorata dalle implicazioni insite nel dictum delle predette due decisioni dal quale deriva che il diritto alla riparazione e' configurabile non solo in caso di proscioglimento non di merito per uno dei reati contestati, ma anche nell'ipotesi di condanna, giacche' il periodo di privazione della liberta' eccedente la misura della pena in concreto inflitta dovrebbe m ogni caso imputarsi al concorrente reato per il quale e' stata pronunciata l'assoluzione nel merito. 5. - La dirompenza delle implicazioni delle sentenze Cinanni e Femia e stata chiaramente avvertita dall'ordinanza di rimessione nella quale e' stato rilevato che «l'avere l'imputato scontato una custodia cautelare di durata maggiore alla pena inflitta, se pure possa considerarsi oggettivamente ingiusto, non vale - nel presente quadro normativo e allo stato della giurisprudenza - a ritenere «ingiusta», ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 314 c.p.p., la detenzione cautelare eccedente il limite della pena». Tuttavia, nello stesso provvedimento e' stato osservato che alle due citate decisioni «sottostanno valide ragioni sostanziali che consistono nel non ritenere conforme ad equita' l'impossibilita' di riparazione per ingiusta detenzione in presenza di una custodia cautelare ampiamente superiore a quella della pena che viene poi stabilita dal giudice». Nella prospettiva dischiusa da tale enunciazione, sono stati indicati molteplici profili che potrebbero far dubitare della compatibilita' con i principi sanciti dalla Carta costituzionale delle scelte compiute dal legislatore attraverso la normativa racchiusa nell'art. 314, comma 1 e 4, nella parte in cui esclude il diritto alla riparazione per la custodia cautelare che risulti superiore alla misura della pena inflitta, precludendo di riflesso - nell'ipotesi di piu' titoli cautelari con pari limiti di durata massima - la liquidazione dell'indennita' in ordine all'imputazione per la quale e' intervenuta assoluzione nel merito, anche se l'effettivo periodo di custodia cautelare risulti superiore alla misura della pena inflitta (o che sarebbe stata inflitta) per l'altra imputazione se il reato non fosse stato dichiarato prescritto. L'indagine relativa alla questione di legittimita' costituzionale cosi' prospettata deve essere preceduta dalla verifica della praticabilita' di un'interpretazione adeguatrice della predetta disciplina che consenta di ricostruirne la portata in sintonia con i principi della Costituzione, in modo da attribuire alla normativa, tra i plurimi significati astrattamente possibili, quello che non sia in contrasto con i valori costituzionali. L'operazione ermeneutica di adeguamento e' stata sollecitata anche dal procuratore generale presso questa Corte per sorreggere la richiesta di annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata. Il giudice delle leggi ha piu' volte precisato che «in linea di principio, le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perche' e' possibile darne interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice ritenga di darne), ma perche' e' impossibile darne interpretazioni costituzionali» (sent. n. 356 del 1966), specificando che i giudici non possono abdicare all'interpretazione adeguatrice (ord. n. 451 del 1994) e che, nell'adempimento del compito di interpretare le norme di cui devono fare applicazione, «di fronte a piu' possibili interpretazioni di un sistema normativo, essi sono tenuti a scegliere quella che risulti conforme a Costituzione» (ord. n. 121 del 1994). Le sezioni unite hanno chiarito, tuttavia, che l'interpretazione adeguatrice, pur corrispondendo ad un preciso ed ineludibile dovere del giudice, ha effettive possibilita' di esplicazione soltanto quando una disposizione abbia carattere «polisenso» e da essa sia enucleabile, senza manipolarne il contenuto, una norma compatibile con la Costituzione attraverso l'impiego dei canoni ermeneutici prescritti dagli artt. 12 e l4 delle disposizioni sulla legge in generale: di talche', nell'impossibilita' di conformare il significato della norma in termini non incostituzionali, il giudice non puo' disapplicarla, ma deve rimettere la questione di legittimita' costituzionale al vaglio della Corte costituzionale (Cass., sez. un., 31 marzo 2004, Pezzella, r.v. 227523). Nel caso sottoposto all'esame delle sezioni unite va riconosciuta l'impossibilita' di impiegare il metodo dell'interpretazione secundum constitutionem, per la ragione che gli strumenti ermeneutici dei quali e' munito il giudice non consentono di superare il limite rappresentato dall'univoco senso letterale delle disposizioni del primo e del quarto comma dell'art. 314, dal cui coordinamento risulta inequivocamente che, nell'ipotesi di pluralita' di titoli cautelari, resta senz'altro precluso il diritto alla riparazione attraverso l'attribuzione della durata della custodia cautelare, per la parte eccedente l'entita' della pena in concreto inflitta, all'imputazione per la quale e' stato pronunciato il proscioglimento con una delle formule indicate nel primo comma dello stesso art. 314. Con l'argomento di ordine letterale risultano convergenti le ragioni logiche che sorreggono la specifica strutturazione della normativa, chiaro essendo che l'esclusione della riparazione «per il periodo in cui le limitazioni conseguenti all'applicazione della custodia siano state sofferte anche in forza di altro titolo» (comma 4) costituisce una diretta conseguenza delle scelte di politica legislativa compiute con la disciplina posta dal primo comma, che postula il proscioglimento nel merito per tutte le imputazioni e preclude l'indennizzabilita' delle differenze tra la durata della custodia cautelare e la minore misura della pena inflitta. Al riguardo mette conto sottolineare che non sembra pertinente il riferimento al criterio piu' volte applicato dalla Corte costituzionale secondo cui il diritto alla riparazione si ricollega alla presenza di una oggettiva lesione della liberta' personale, comunque ingiusta alla stregua di una valutazione ex post (cfr. sent. n. 231 del 2004, n. 284 del 2003, n. 109 del 1999), atteso che in tutte le decisioni simile giudizio e' costantemente riferito al carattere dell'ingiustizia derivante dall'esito assolutorio del processo e non alla durata della detenzione cautelare che abbia superato l'entita' della pena. 6. - Sul tema dell'equa riparazione riferita alla detenzione cautelare relativa a piu' imputazioni questa Corte ha gia' ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 314, comma 4, c.p.p. che esclude il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione sofferta per piu' titoli almeno uno dei quali non ingiustamente applicato, rilevando che la tutela prevista dall'art. 24, ultimo comma, Cost. per la riparazione degli errori giudiziari, pur estensibile alla ingiusta detenzione, non e' assoluta, ma soggetta a limiti demandati al legislatore ordinario secondo criteri di ragionevolezza, rispettati dalla anzidetta disciplina: con la precisazione che ne' l'art. 5, comma 5, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali ne' l'art. 9, comma 5, del Patto internazionale per i diritti civili e politici si riferiscono alla ipotesi della riparazione per la carcerazione legittimamente subita da chi sia stato successivamente assolto (Cass., sez. IV, 24 ottobre 2000, Merati, rv. 217910). Il riesame della questione - nell'ottica particolare della maggiore durata della custodia in carcere rispetto all'entita' della pena applicata (o applicabile, come nel caso di specie) per una delle imputazioni - permette di formulare seri e argomentati dubbi sulla compatibilita' con le norme costituzionali della disciplina risultante dal combinato disposto del primo e del quarto comma dell'art. 314. Un primo profilo di possibile incostituzionalita' va individuato nella violazione degli artt. 76 e 77 della Costituzione in relazione alla non fedele attuazione della direttiva contenuta nell'art. 2, comma 1, n. 100 della legge di delega n. 81 del 16 febbraio 1987. La Corte costituzionale ha piu' volte precisato che la delega legislativa enuncia la direttiva della riparazione dell'ingiusta detenzione senza alcuna distinzione o limitazione circa il titolo della detenzione stessa o le ragioni dell'ingiustizia (sent. n. 413 del 2004, n. 231 del 2004, n. 310 del 1996). L'ampiezza del principio dettato al legislatore delegato non trova riscontro, pero', nella disciplina dei presupposti e delle condizioni previsti dal codice di rito per la nascita del diritto all'indennita' per ingiusta detenzione, risultando questo regolato in ambiti notevolmente limitativi e dovendo, in particolare, riconoscersi l'esistenza di un grave deficit di tutela nelle disposizioni dei commi 1 e 4 dell'art. 314, che indiscriminatamente escludono la riparazione nell'ipotesi in cui la pena effettivamente inflitta per uno di essi risulti inferiore alla durata della detenzione cautelare subita, pur apparendo quest'ultima, per una parte, ex post oggettivamente ingiusta. Nella stessa prospettiva dell'art. 2, comma 1, della legge delega, va rilevato che la disciplina contenuta nell'art. 314 ha disatteso la direttiva che impone di «adeguarsi alle norme delle convenzioni internazionali ratificate dall'Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale»: e, poiche' tra le fonti convenzionali internazionali spiccano l'art. 5, paragrafo 5, della Convenzione europea e l'art. 9, paragrafo 5, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, che prevedono il diritto ad un indennizzo in caso di detenzione illegale senza alcuna limitazione (Corte cost., n. 413 del 2004 cit. e n. 231 del 2004 cit.), deve riconoscersi che la disciplina del codice di procedura penale si discosta dall'enunciato principio direttivo nella parte in cui nega la riparazione del pregiudizio derivato dalla privazione della liberta' personale per un periodo superiore alla misura della pena inflitta. Nella medesima ottica dischiusa dalle norme convenzionali internazionali, nell'ordinanza di rimessione alle sezioni unite e' stato argomentatamente sollevato il quesito se possa ritenersi in linea con le previsioni della Convenzione europea la situazione, cui in sostanza e' riconducibile il caso del Pellegrino, di un soggetto che si trova a subire una detenzione preventiva di lunga durata, superiore alla stessa pena poi stabilita nei suoi confronti, in quanto giudicato a notevole distanza dal fatto commesso. Al riguardo mette conto segnalare che l'art. 5, 1/2 3 della Convenzione attribuisce ad ogni persona arrestata o detenuta «il diritto di essere giudicata in tempo congruo», sicche' la questione della legittima durata della detenzione cautelare e' strettamente connessa a quella dei ragionevoli tempi di definizione del processo (cfr. Corte eur. dir. uomo, 17 maggio 2005, Sardinas Albo contro Italia; 9 giugno 2005, Picaro contro Italia). 7. - La questione di legittimita' costituzionale dell'art. 314 risulta non manifestamente infondata anche quando venga esaminata assumendo quali parametri di riferimento gli artt. 2, 3 e 24, comma quarto, della Carta costituzionale. Dottrina e giurisprudenza concordano nel riconoscere che dallo stretto collegamento dell'art. 24, comma 2, con gli artt. 2 e 13 della Costituzione traspare che l'ordinamento ha recepito come valori primari ed essenziali la tutela del principio di solidarieta' e della liberta' personale, alla cui stregua nella nozione di errore giudiziario devono ricomprendersi tutte le ipotesi di custodia cautelare che, essendo risultate ex post obiettivamente ingiuste, rivelano l'erroneita' della misura restrittiva adottata in quanto lesiva del bene della liberta' personale. Di talche' non possono non esprimersi seri e motivati dubbi circa la rispondenza ai valori tutelati dalla Carta costituzionale della disciplina posta dall'art. 314, che subordina il diritto alla riparazione alla condizione del proscioglimento nel merito, escludendolo, invece, qualora il sacrificio della liberta' personale abbia avuto una durata che supera la misura della pena inflitta: e le perplessita' appaiono ancora piu' giustificate in riferimento a quelle situazioni nelle quali come nel caso di specie - il divario, in eccesso, della detenzione cautelare rispetto all'entita' della pena dipende dai tempi non ragionevoli impiegati per la definizione del processo. Nel quadro dei valori costituzionali e, soprattutto, del fondamento squisitamente solidaristico dell'istituto (Corte cost., n. 446 del 1997), le limitazioni del diritto all'indennizzo poste dall'art. 314 appaiono, quindi, in contrasto anche con il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., che, segnando i confini all'interno dei quali devono esplicarsi le scelte discrezionali del legislatore ordinario, rende censurabili dal giudice delle leggi le norme viziate da non coerenza e da non adeguatezza rispetto all'obiettivo avuto di mira di assicurare un'equa riparazione a restrizioni della liberta' personale obiettivamente ingiuste. Alla stregua di tutte le argomentazioni sin qui svolte, deve conclusivamente dichiararsi rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 2, 3, 24 e 77 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 314 c.p.p., nella parte in cui non prevede il diritto alla riparazione per la durata della custodia cautelare che risulti superiore alla misura della pena inflitta. A norma dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, deve dichiararsi la sospensione del procedimento e deve disporsi l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Inoltre, la cancelleria provvedera' alla notifica di copia della presente ordinanza alle parti e al Presidente del Consiglio dei ministri e alla comunicazione della stessa ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 314 c.p.p., in relazione agli artt. 2, 3, 24 e 77 della Costituzione, nella parte in cui non e' previsto il diritto alla riparazione per la custodia cautelare che risulti superiore alla misura della pena inflitta. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di rito. Cosi' deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 30 maggio 2006. Il Presidente: Gemelli 06C1114