N. 559 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 giugno 2006

Ordinanza  emessa  il  23 giugno  2006  dal tribunale di Cagliari nel
procedimento penale a carico di Cotza Lazzaro

Reati  e  pene  -  Circostanze  del  reato  - Concorso di circostanze
  aggravanti  e  attenuanti - Divieto di prevalenza delle circostanze
  attenuanti  sulle  circostanze  inerenti alla persona del colpevole
  nel  caso  previsto dall'art. 99, quarto comma, cod. pen. (recidiva
  reiterata)  -  Contrasto  con  il  principio  di  ragionevolezza  -
  Violazione del principio d'uguaglianza - Contrasto con il principio
  di  offensivita'  -  Lesione  dei  principi  di  personalita' della
  responsabilita' penale e della funzione rieducativa della pena.
- Codice  penale, art. 69, comma 4, come modificato dall'art. 3 della
  legge 5 dicembre 2005, n. 251.
- Costituzione,  artt. 3,  25,  comma  secondo,  e  27, commi primo e
  terzo.
(GU n.49 del 13-12-2006 )
                            IL TRIBUNALE

    Ha   emesso  la  seguente  ordinanza  di  rimessione  alla  Corte
costituzionale  ai  sensi  dell'art.  23,  legge 11 marzo 1953, n. 87
pronunciata alla pubblica udienza del 23 giugno 2006 nel procedimento
iscritto  al  n. 1334/06  R.G.  Trib.  nei confronti di Cotza Lazzaro
imputato: in concorso con Serpi Roberto giudicato separatamente.
    Cotza:  a) del  delitto di cui agli artt. 81 cpv. cod. pen. e 73,
commi 1 e 1-bis d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (T.U.L.Stup.), perche',
senza  l'autorizzazione  di  cui  all'art. 17  e  fuori delle ipotesi
previste  dall'art. 75  della stessa legge, con piu' azioni esecutive
di  un  medesimo  disegno  criminoso  illecitamente  cedeva  sostanze
stupefacenti del tipo cocaina e marijuana sostanze di cui alla tab. I
prevista dall'art. 14 della legge medesima, per la somma di euro 140,
nonche' deteneva grammi 2,4 di cocaina (suddivisa in 11 confezioni di
cellophane  termosaldate) e gr. 4,9 di marijuana destinate ad uso non
esclusivamente personale.
    Accertato in Cagliari il 19 giugno 2006.
    Cotza e Serpi: b) del delitto di cui agli artt. 110, 337 c.p. per
avere,   in  concorso  fra  loro,  usato  violenza  consistita  nello
scagliarsi  contro il m.llo Ronsivalle Diego colpendolo con le mani e
con  una  spranga  di ferro, per opporsi agli ufficiali ed agenti dei
Carabinieri  della Compagnia di Cagliari - N.O.R. che, nell'esercizio
delle  loro  funzioni  stavano  compiendo  un  atto  del loro ufficio
(intervento a seguito della commissione del reato di cui al capo a).
    c)  del delitto di cui agli artt. 110, 582, 585 c.p. in relazione
dell'art. 576  n. 1  c.p.  per  avere in concorso fra loro, cagionato
lesioni  personali  a  Ronsivalle Diego con le modalita' descritte al
capo  che  precede;  lesione  dalla  quale  e'  derivata una malattia
consistita  in  contusioni  abrase  multiple,  giudicata guaribile in
dieci giorni.
    Commessi in Cagliari il 19 giugno 2006.
    Con  la  recidiva  reiterata  specifica  ed infraquinquennale per
entrambi.
    Con  decreto  del  20 giugno  2006 la Procura della Repubblica di
Cagliari  disponeva  che  Cotza Lazzaro e Serpi Roberto, arrestati il
giorno  precedente,  fossero  presentati al Tribunale in composizione
monocratica  per  la convalida dell'arresto e il contestuale giudizio
accusandoli dei delitti sopra indicati.
    Disposto  il  giudizio  direttissimo  a  seguito  della convalida
dell'arresto,  Serpi Roberto faceva domanda di applicazione pena - la
sua  posizione  veniva  pertanto  separata  -  mentre il processo nei
confronti  del  Cotza  proseguiva  nelle  forme  del  rito abbreviato
condizionato  alla produzione di documentazione fotografica ritraente
l'abitazione  dell'imputato  sia  negli  ambienti  interni  che vista
dall'esterno dell'edificio. All'esito il pubblico ministero domandava
la  condanna  dell'imputato alla pena di 6 anni di reclusione ed euro
24.000  di  multa, mentre il difensore ne chiedeva l'assoluzione o in
subordine  la condanna al minimo della pena, con applicazione, quanto
al  capo  a),  dell'attenuante  del fatto di lieve entita' prevalente
rispetto alla aggravante della recidiva.
    Come  emerge  dall'esame  degli  atti contenuti nel fascicolo del
pubblico  ministero,  i  Carabinieri  del  Nucleo  radiomobile  della
Compagnia  di  Cagliari  nella  serata  del  20 giugno  2006 si erano
appostati  in  prossimita'  del portone d'ingresso della palazzina di
via  Serucci n. 5, nell'ambito di un servizio mirato alla prevenzione
del  traffico  degli  stupefacenti, osservando un continuo via vai di
persone  che  entravano  ed  uscivano dall'edificio. Uno dei militari
quindi - si trattava del m.llo Ronsivalle - era salito lungo le scale
ed  aveva constatato che le persone si recavano presso l'appartamento
di  un  giovane, poi identificato per Cotza Lazzaro: quando bussavano
alla porta, il Cotza apriva e cedeva loro della sostanza racchiusa in
confezioni termosaldate per la somma di 20 euro ciascuna.
    Constatati  i fatti, il m.llo Ronsivalle si qualificava e tentava
di  bloccare  il  Cotza  che  pero' reagiva aggredendolo fisicamente,
aiutato  in cio' da altri cinque ragazzi che si trovavano li'. Uno di
questi  in particolare colpiva l'operante con una spranga consentendo
al  Cotza  di  chiudersi  dentro  casa.  Pochi  minuti  dopo il m.llo
Ronsivalle  veniva  raggiunto  dal  collega  Dessi' che gli diceva di
avere  visto il Cotza mentre gettava dal balcone di casa un bicchiere
di plastica che era gia' stato recuperato: conteneva 11 confezioni di
cocaina   per  il  peso  complessivo  di  2,4  grammi,  un  involucro
contenente  4,9  grammi  di  marijuana,  140  euro  e  11  ritagli di
cellophane circolari (con l'app. Dessi' aveva operato il mar.ca. Tufo
Enrico).   In   seguito   i   militari   erano  riusciti  ad  entrare
nell'abitazione  del Cotza e ad arrestarlo insieme a Serpi Enrico, il
giovane  che  aveva  colpito  il m.llo Ronsivalle con la spranga, che
veniva bloccato all'uscita del palazzo.
    Alla  luce degli elementi che si sono esposti, l'accusa mossa dal
pubblico ministero nei confronti dell'imputato e' risultata fondata.
    L'attivita'  di spaccio di sostanze stupefacenti e' stata oggetto
di  osservazione  diretta  da  parte  dei Carabinieri, e che il Cotza
detenesse   altra   droga  al  fine  di  cederla  e'  dimostrato  dal
rinvenimento del bicchiere di carta contenente il corpo del reato. Ha
sostenuto  il  difensore che i verbalizzanti non siano attendibili in
primo  luogo perche' se il m.llo Ronsivalle si fosse presentato sulle
scale della palazzina o sul pianerottolo, il Cotza avrebbe certamente
interrotto  qualsiasi  attivita' illecita, e poi perche' l'app. Dessi
ed  il  m.llo  Tufo  non  potevano  avere visto l'imputato gettare il
bicchiere  dal  balcone  -  in  realta' una sorta di veranda ricavata
dalla  chiusura  abusiva  di  un  balcone,  come  si  vede nelle foto
prodotte  dal difensore - perche' questo si affaccia su di un cortile
condominiale  e  non sulla strada pubblica ove era ferma l'automobile
dei  militari.  Le osservazioni non possono tuttavia essere condivise
dato  che il m.llo Ronsivalle era evidentemente in abiti di copertura
(ed  infatti quando ha deciso di intervenire si e' qualificato) e che
i  colleghi  ben  possono  essersi  spostati  in  direzione del retro
dell'appartamento  del  Cotza  proprio al fine di impedirne la fuga o
comunque  di  tenere  sotto  controllo  l'area dell'intervento. E del
resto,  se il Cotza non fosse stato intento in attivita' illecita non
si  vede  per  quale  ragione avrebbe dovuto aggredire fisicamente il
m.llo Ronsivalle e darsi alla fuga.
    Il  fatto  integra  reato  di cui all'art. 73, comma 1 T.U. Stup.
(superfluo  nella presente sede l'esame dei reati di cui ai capi b) e
c)  dell'imputazione),  cosi' come novellato dal d.l. n. 272/2005 che
punisce  con la pena della reclusione da sei a 20 anni e con la multa
da  26.000  a  260.000  euro  chiunque  cede  sostanze stupefacenti o
psicotrope  di  cui  alla  tabella  I  dell'art. 14,  fra le quali la
cocaina e la marijuana, senza l'autorizzazione di cui all'art. 17.
    Il fatto appare altresi' attenuato ai sensi dell'art. 73, comma 5
T.U.  Stup. secondo il quale la pena e' da uno a sei anni «quando per
le  modalita'  o  circostanze  dell'azione, ovvero per la quantita' o
qualita'  delle sostanze, i fatti di cui al presente articolo sono di
lieve entita». Si osserva al riguardo come oggetto della cessione sia
stata  una quantita' modesta di sostanza stupefacente che ha prodotto
all'imputato  un  guadagno  parimenti modesto, con la conseguenza che
nel  bilanciamento delle circostanze l'attenuante di cui all'art. 73,
comma  5,  d.P.R.  n. 309/1990  sarebbe giudicata prevalente rispetto
alla  aggravante  della  recidiva  reiterata,  se  non  che  una tale
operazione  e'  oggi impedita dal disposto dell'art. 69, comma 4 c.p.
cosi'  come sostituito dall'art. 3, legge 5 dicembre 2005, n. 251 per
il  quale le regole del giudizio di bilanciamento «si applicano anche
alle  circostanze inerenti alla persona del colpevole, esclusi i casi
previsti  dall'art. 99,  quarto comma, nonche' degli artt. 111 e 112,
primo  comma,  n. 4)  per  cui  vi  e'  divieto  di  prevalenza delle
circostanze  attenuanti  sulle  ritenute circostanze aggravanti, ed a
qualsiasi altra circostanza per la quale la legge stabilisca una pena
di   specie  diversa  o  determini  la  misura  della  pena  in  modo
indipendente da quella ordinaria del reato».
    La  disposizione trova applicazione nel caso di specie poiche' il
reato  oggetto  del  presente  procedimento e' stato commesso in data
successiva  a  quella  di  entrata  in  vigore  della  novella con la
conseguenza   che   non   puo'  applicarsi  il  principio  della  non
retroattivita'  della  legge penale sfavorevole, poiche' il principio
di  legalita'  impone  che  il  reato  e  le conseguenze penali siano
previsti  dalla legge al momento della commissione del fatto e non al
momento della commissione del precedente reato che fonda la recidiva.
    Ad  opinione del giudicante la norma in oggetto presenta dubbi di
legittimita' costituzionale per violazione degli artt. 3, 25, secondo
comma e 27, commi secondo e terzo Cost. che giustificano l'intervento
chiarificatore della Corte costituzionale.
    Come  piu'  volte  indicato  dalla Corte, il potere attribuito al
giudice   dall'art. 132   c.p.   di   determinare  la  pena  in  modo
discrezionale  sulla  base  dei  parametri forniti dall'art. 133 c.p.
costituisce   attuazione  e  sviluppo  dei  principi  costituzionali,
poiche'  «l'adeguamento delle risposte punitive ai casi concreti - in
termini   di   uguaglianza  e/o  differenziazione  di  trattamento  -
contribuisce  da  un lato a rendere quanto piu' possibile "personale"
la  responsabilita'  penale  nella  prospettiva segnata dall'art. 27,
primo  comma; e nello stesso tempo e' strumento per la determinazione
della  pena  quanto  piu'  possibile  "finalizzata" nella prospettiva
dell'art. 27,  terzo comma Cost. Il principio di uguaglianza trova in
tal  modo  dei  concreti  punti  di riferimento in materia penale nei
presupposti  e  nei  fini  (e  nel collegamento degli uni agli altri)
espressamente    assegnati    alla    pena   nello   stesso   sistema
Costituzionale. L'uguaglianza di fronte alla pena viene a significare
in  definitiva  proporzione  della  pena  rispetto  alle  "personali"
responsabilita'  e  alle  esigenze  di  risposta  che  ne conseguono,
svolgendo  una funzione che e' essenzialmente di giustizia e anche di
tutela delle posizioni individuali e di limite alla potesta' punitiva
statale» (C. cost., sent. n. 50 del 1980 e n. 299 del 1992).
    Altre  pronunce  mettono  in  rilevo  il carattere polifunzionale
della  pena  -  da  un  lato  quello di prevenzione generale e difesa
sociale,  con  connessi  caratteri  di  attivita'  e  retributivita',
dall'altro  quelle di prevenzione speciale e rieducazione in funzione
dell'obiettivo della risocializzazione del reo, precisando che fra le
finalita'  indicate non e' possibile stabilire a priori una gerarchia
statica  cosi'  che  il legislatore, nei limiti della ragionevolezza,
puo' fare tendenzialmente prevalere di volta in volta l'una o l'altra
finalita'  della pena a patto pero' che nessuna ne risulti obliterata
(C. cost., sent. n. 306 del 1993).
    Secondo  l'art. 133  c.p.  la pena giusta deve essere determinata
combinando  in  maniera  sintetica  ma  razionale, ossia motivata, il
giudizio  in  ordine  alla  gravita'  del  reato  - scomposto nei tre
diversi  parametri  delle circostanze dell'azione, della gravita' del
danno  o del pericolo cagionato alla persona offesa e dell'intensita'
dell'elemento   soggettivo  -  e  alla  capacita'  a  delinquere  del
colpevole   da   desumere,  fra  l'altro,  dai  precedenti  penali  e
giudiziari.   Quest'ultimo   criterio,   quello   della  capacita'  a
delinquere,  viene  spesso  letto  come espressione della ispirazione
specialpreventiva  della  pena,  ossia  proiettato  nel  futuro quale
indice  della  pericolosita'  sociale espressa dall'autore del reato:
tanto maggiore  e'  il rischio di recidiva, tanto la pena deve essere
elevata  perche' si possa sperare nella resipiscenza del reo. Secondo
altro  orientamento  invece  anche  il  parametro  della  capacita' a
delinquere  andrebbe ancorato al momento del fatto e rappresenterebbe
nulla  altro  che un aspetto del giudizio relativo alla colpevolezza,
con funzione quindi retributiva.
    In  ogni  caso, anche privilegiando l'aspetto specialpreventivo e
rieducativo  della pena, la Corte con le sentenze sopra menzionate ha
con chiarezza indicato come tali funzioni non possano prescindere, ed
anzi   presuppongano,   l'applicazione  di  una  pena  giusta,  ossia
proporzionata   alla   complessiva   gravita'  della  responsabilita'
dell'autore.
    Si  aggiunga  che  nel  contesto  dell'art. 133,  comma  2 c.p. -
diversamente  dai  parametri  relativi  ai motivi a delinquere e alla
condotta  tenuta  prima  e dopo il reato - l'indice rappresentato dai
precedenti  penali e dalla complessiva condotta di vita dell'imputato
e'  del  tutto  indipendente  dalla  valutazione  del  fatto,  con la
conseguenza  che  tanto  maggiore  e'  la  rilevanza accordata a quel
profilo rispetto a quello relativo alla gravita' oggettiva del reato,
tanto  piu'  la  sanzione, a causa dell'efficacia determinante svolta
dal «tipo d'autore», acquista caratteri di esemplarita' incompatibili
non  solo  col  principio  della finalita' rieducativa della pena, ma
anche col principio di offensivita' di cui all'art. 25, secondo comma
Cost.
    Anche il giudizio relativo alla comparazione delle circostanze di
cui  all'art. 69  c.p.  attiene alla valutazione del fatto delittuoso
nel  suo complesso e deve essere condotto alla stregua dei criteri di
cui  all'art. 133 c.p., ossia attraverso la valutazione discrezionale
degli  elementi  che  emergono  dal  caso concreto, dando conto delle
ragioni per le quali uno o piu' di essi riveste carattere decisivo.
    La discrezionalita' del giudice deve evidentemente mantenersi nei
limiti  fissati  dal  legislatore che individua le cornici edittali e
complessivamente i confini della discrezionalita' esplicabile in sede
di  determinazione  della  pena  secondo gli orientamenti di politica
criminale  che ritiene di adottare, sempre che tali scelte rispettino
il  limite  della  ragionevolezza  ossia  non  creino  disparita'  di
trattamento prive di giustificazione razionale, poiche' diversamente,
a rimanere leso sarebbe il principio di uguaglianza di cui all'art. 3
della  Costituzione  e  di  riflesso,  per quanto detto, il principio
della  personalita'  della  responsabilita'  penale  e della funzione
rieducativa della pena.
    Il  disposto  dell'art. 69,  comma  4, c.p. nella parte in cui fa
divieto  di  ritenere  la prevalenza delle attenuanti concorrenti con
l'aggravante  della  recidiva  reiterata,  non pare rispettare questo
limite.
    Con  l'inserimento  del  divieto  il legislatore ha evidentemente
voluto irrigidire il trattamento sanzionatorio del recidivo reiterato
impedendo che elementi di segno contrario potessero travolgere, sotto
il  profilo  della  determinazione  della  gravita' complessiva della
responsabilita'   penale,   l'indice   negativo  rappresentato  dalla
reiterazione  del reato, introducendo in capo al suo autore una sorta
di  presunzione  legale  di  pericolosita'  sociale  o quanto meno di
spiccata tendenza a delinquere.
    Il  dubbio circa la razionalita' di una tale previsione emerge in
primo   luogo  dalla  considerazione  del  carattere  perpetuo  della
recidiva,   che   si   configura   (salvo  quella  infraquinquennale)
indipendentemente  dal  lasso  di  tempo  decorso  dall'ultimo  reato
commesso  di modo che l'indicata presunzione di pericolosita' produce
effetto  anche  in  casi  in  cui,  per  il  carattere  risalente dei
precedenti, non abbia in concreto giustificazione.
    Inoltre   il   divieto   di  subvalenza  della  recidiva  di  cui
all'art. 99, comma 4 c.p. si applica in maniera indistinta a tutte le
attenuanti, sia quelle soggettive che quelle oggettive, sia quelle ad
effetto comune che quelle ad effetto speciale. Sotto il primo profilo
si  rileva come l'assenza di omogeneita' fra gli elementi considerati
nel  giudizio  di  bilanciamento  privi di razionalita' il divieto di
prevalenza delle attenuanti: se il senso della disposizione e' quello
di  rendere  indefettibile la valutazione della recidiva nel giudizio
relativo    alla   personalita'   dell'imputato,   troverebbe   forse
giustificazione  il  divieto di prevalenza delle attenuanti che hanno
fondamento  nella  valutazione  della  tendenza a delinquere del reo,
mentre  appare  illogico  con  riferimento ad attenuanti di carattere
oggettivo    che    prescindono   totalmente   dalla   considerazione
dell'autore,  concentrando  il  giudizio  di  minor  disvalore penale
esclusivamente nel fatto.
    Sotto  il  secondo  profilo  si  osserva  come  le circostanze ad
effetto   speciale,  per  quanto  qui  interessa  quelle  attenuanti,
sottendano  spesso  una  valutazione del tutto diversa della gravita'
del fatto e quindi del bisogno sociale di repressione.
    Nel  caso  di  specie,  l'elemento  attenuante e' considerato dal
legislatore  tanto  importante  da  indurre alla determinazione della
pena  in  modo  indipendente da quella ordinaria del reato. Mentre la
produzione,  il  traffico  e la detenzione di sostanze stupefacenti e
psicotrope  sono  puniti ai sensi dell'art. 73, cosi' come modificato
dall'art. 4-bis, d.l. n. 272/2005, con la reclusione da 6 a 20 anni e
la  multa  da  26.  000  a 260.000 euro, il ricorrere dell'attenuante
della lieve entita' del fatto prevista dal comma 5, riduce la pena in
modo  drastico - la reclusione va da 1 a 6 anni e la multa da 3.000 a
26.000  euro - e da cio' si evince come il legislatore abbia valutato
in  maniera  assai  differente  il disvalore penale della condotta. E
difatti  vi  e'  una  siderale  distanza  fra  gli episodi di piccolo
spaccio,  spesso  commessi da persone tossicodipendenti che in cambio
dell'attivita' illecita ricevono dal fornitore la sostanza necessaria
al  loro consumo, e gli episodi di vero e proprio traffico che stanno
a  monte  della  distribuzione  minuta,  volti a rifornire il mercato
degli  stupefacenti  e  a procurare ai protagonisti ingenti guadagni,
spesso  implicanti attivita' di copertura e riciclaggio del danaro di
provenienza illecita.
    L'elisione degli effetti prodotti dall'attenuante in parola sulla
determinazione  della  pena  per  effetto dei limiti al bilanciamento
della recidiva reiterata obbligherebbe questo giudice ad applicare al
Cotza,  per  la  detenzione  e  cessione  di una quantita' modesta di
sostanza  stupefacente  con  le  modalita'  tipiche dello spacciatore
minuto,  la  stessa  pena prevista per il trafficante, ossia una pena
iniqua   perche'   non   proporzionata   alla   gravita'   della  sua
responsabilita' penale.
    Per questi motivi il tribunale ritiene che debba essere sollevata
questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 69, comma 4 c.p.
cosi'  come  novellato  dall'art. 3, legge n. 251 del 5 dicembre 2005
per violazione degli artt. 3, 25, 27 Cost.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'   costituzionale   dell'art. 69,  comma  4,  c.p.,  come
modificato  dall'art. 3  della  legge  5 dicembre 2005, n. 251, nella
parte  in  cui  pone  il  divieto  di  prevalenza  delle  circostanze
attenuanti   sulle   circostanze   aggravanti   nel   caso   previsto
dall'art. 99,  comma  4, c.p. per contrasto con gli art. 3, 25, commi
primo e terzo, Cost.
    Dispone  la  trasmissione  degli atti alla Corte costituzionale e
sospende il giudizio in corso.
    Ordina  che  a  cura  della cancelleria la presente ordinanza sia
comunicata  al  Presidente del Consiglio dei ministri e ai Presidenti
delle due Camere del Parlamento.
        Cagliari, addi' 23 giugno 2006
                        Il giudice: Malavasi
06C1115