N. 570 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 dicembre 2005

Ordinanza  del  22 dicembre 2005 (pervenuta alla Corte costituzionale
il  30 ottobre 2006) emessa dal g.i.p. del tribunale di Catanzaro nel
procedimento penale a carico di Pagano Nunzio

Processo   penale   -   Prove   -   Operazioni   d'intercettazioni  -
  Registrazioni  delle  conversazioni  poste  a  base  di  una misura
  cautelare  personale  -  Deposito  o  comunque messa a disposizione
  dell'indagato  o  del  suo  difensore  nella  fase  successiva alla
  esecuzione   della  ordinanza  cautelare  -  Mancata  previsione  -
  Disparita'  di  trattamento  tra  le parti - Lesione del diritto di
  difesa - Violazione del principio di parita' tra le parti - Lesione
  del  diritto  della  persona accusata di preparare adeguatamente la
  sua difesa.
- Codice di procedura penale, art. 268.
- Costituzione,  artt. 3,  24,  comma secondo, e 111, commi secondo e
  terzo.
(GU n.50 del 20-12-2006 )
                            IL TRIBUNALE

    Vista  l'istanza  di revoca o sostituzione della misura cautelare
della custodia in carcere avanzata nell'interesse di Pagano Nunzio;
    Vista  l'eccezione  di  incostituzionalita'  dell'art  268 c.p.p.
sollevata  in  subordine  dal  difensore  dello  stesso  indagato  in
relazione  agli  artt  24 e 11 della Costituzione «nella parte in cui
non  prevede  il diritto alla trasposizione su nastro magnetico delle
registrazioni  utilizzate in richiesta custodiale e nella conseguente
ordinanza applicativa»;
    Visto il parere del p.m.;
    Esaminati gli atti,

                     O s s e r v a e R i l e v a
    Pagano  Nunzio  e'  attualmente  sottoposto alla misura cautelare
della custodia in carcere per i reati di cui agli artt. 416 bis e 644
c.p.p.
    Il  coacervo  indiziario posto a base della ordinanza custodiale,
adottata  in  data  8  luglio  2005, e' rappresentato, in prevalenza,
dalle  risultanze  di  operazioni  di  intercettazione  telefonica  e
ambientale,  legittimamente  disposte ed eseguite, risultanze desunte
dalle   trascrizioni   delle   conversazioni  redatte  dalla  polizia
giudiziaria e allegate alla richiesta cautelare.
    Con  la istanza in esame la difesa dell'indagato, nel chiedere la
revoca  dalla misura in atto, contesta la fedelta' delle trascrizioni
predette,   deducendone  l'incompletezza  e  la  non  rispondenza  ai
contenuti reali dei colloqui registrati.
    In  particolare  deduce  che  gli  operatori di p.g. hanno spesso
trascritto  le  conversazioni  intrattenute  dall'indagato  in  forma
sommaria  e  a distanza di tempo dalla registrazione, aggiunge che in
ogni  caso tutte le trascrizioni integrali risultano costellate di un
rilevante  numero  di «interruzioni» e di «incomprensibili», dietro i
quali  si  celano parole, frasi, espressioni, domande e risposte, che
il  proprio  assistito  assume di avere pronunciato e la cui corretta
decodificazione  e comprensione consentirebbe di comprendere il reale
significato delle conversazioni riportate nella ordinanza custodiale,
privando le stesse di qualsiasi valenza indiziaria..
    Ne  deriva  la  sostanziale  inaffidabilita'  delle  trascrizioni
suddette,   le   quali,   nonostante  la  apparente  scorrevolezza  e
fluidita',  non  documentano  in  modo fedele e completo il contenuto
delle  conversazioni  registrate  ma  al  contrario  forniscono delle
stesse   una   interpretazione   distorta,  soggettiva  e  opinabile,
incentrata    esclusivamente   sulle   frammentarie   frasi   che   i
verbalizzanti  hanno  ritenuto  di  comprendere  correttamente  e  di
trascrivere in sequenza.
    Nella   istanza   in   esame   si  evidenzia,  altresi',  che  il
travisamento  del  significato dei colloqui riportati nella ordinanza
coercitiva  potrebbe agevolmente emergere dall'ascolto delle medesime
conversazioni   e  da  una  corretta  e  integrale  trascrizione  del
contenuto  delle medesime, effettuata, con l'ausilio delle necessarie
apparecchiature tecniche, da parte di personale specializzato, dotato
di specifiche competenze.
    Tuttavia  -  si  aggiunge  -  che  la  difesa  non  ha  avuto  la
possibilita' di svolgere tali attivita', in quanto si e' vista negare
il  diritto  di  accedere  alle  bobine  contenenti  le conversazioni
utilizzate ai fini della emissione del titolo custodiale.
    Con  provvedimento  adottato  in data 12 ottobre 2005 (e allegato
alla  istanza  in esame) il p.m. ha infatti rigettato la richiesta di
duplicazione  delle  bobine  predette, rilevando che «il procedimento
pende  ancora nella fase delle indagini preliminari e che l'attivita'
di  intercettazione non e' stata ancora depositata» e aggiungendo che
«in  ogni caso, soltanto nella fase del sub procedimento che andra' a
instaurarsi  dinanzi  al giudice competente, l'istanza poteva trovare
corretta collocazione».
    Orbene  - si afferma ancora nella mozione cautelare de qua - tale
motivazione  si basa su una interpretazione illegittima dell'art. 268
c.p.p.  che lede il diritto di difesa dell'indagato, privandolo della
possibilita'  di verificare, nella fase cautelare, la affidabilita' e
la  fedelta' delle trascrizioni delle conversazioni, utilizzate a suo
carico.
    In  altri  termini  le argomentazioni sopra richiamate forniscono
con  il  precludere  all'interessato  e al suo difensore la effettiva
conoscenza  di  una  delle  fonti  di prova poste a base della misura
cautelare,   fonte   che  pertanto,  fino  al  momento  del  deposito
dell'attivita'   intercettiva,  rimane  di  esclusivo  dominio  della
pubblica accusa.
    Evidente  e',  non  solo la lesione del diritto di difesa, quanto
anche la irragionevole disparita' di trattamento fra parte pubblica e
privata che deriva da siffatto modus procedendi.
    Mentre  infatti  il  p.m. ha pieno accesso al contenuto integrale
delle  conversazioni  utilizzate  nella  ordinanza custodiale (con la
conseguente  possibilita'  di  ascoltarle  e di affidare a un proprio
consulente  la  trascrizione  integrale  dei  medesimi  colloqui), la
difesa  invece,  nonostante  l'intervenuta discovery delle risultanze
investigative  poste  a  base  della  misura,  e'  costretta  a  fare
affidamento  sulla fedelta' delle sommarie trascrizioni redatte dalla
pg,  senza  alcuna  possibilita'  di  confutarne  il  contenuto  o di
dimostrame l'inattendibilita'.
    Ancora  si  deduce  nella  istanza in esame che l'interpretazione
dell'art.  268  c.p.p.  sostenuta  dalla pubblica accusa impedisce la
corretta  attuazione  «del  principio  del contraddittorio nella fase
cautelare»,  non  consentendo  alla parte privata di esercitare alcun
reale  potere  di  controprova in ordine alle risultanze intercettive
poste  a  base  della  misura,  nonostante  il  venire  meno,  con la
notificazione  della  ordinanza custodiale, delle originarie esigenze
di segretezza e riservatezza.
    Sulla  base  di  tali  argomentazioni,  pertanto,  la difesa, nel
ribadire  che  la  ordinanza in atto e' fondata su elementi indiziari
desunti  da una fonte di prova inaccessibie e nei cui confronti, allo
stato,  non  e'  praticabile  in concreto alcuna attivita' difensiva,
postula  la  revoca  della misura cautelare della custodia in carcere
applicata all'indagato.
    In  subordine  eccepisce  la  incostituzionalita'  dell'art.  268
c.p.p.  per  violazione degli artt. 24 e 11 della Costituzione «nella
parte  in  cui  non  prevede  il diritto alla trasposizione su nastro
magnetico  delle  registrazioni  utilizzate in richiesta custodiale e
nella conseguente ordinanza applicativa».
    Ritiene  questo  giudice  che la questione di incostituzionalita'
prospettata non sia manifestamente infondata.
    L'istanza  in  esame,  nel  sollecitare  la  revoca  della misura
cautelare  in atto, mira sostanzialmente a ottenere il riconoscimento
del  diritto  della  difesa  di  accedere  alle  bobine contenenti le
conversazioni  utilizzate nel titolo custodiale nella fase successiva
alla  esecuzione  del  medesimo  titolo,  al  fine  di  ascoltare  le
conversazioni e di ricevere copia delle registrazioni (diritto il cui
esercizio  viene  ritenuto  strumento  necessario  per controllare la
fedelta'  al  contenuto  reale  delle  conversazioni registrate delle
trascrizioni sommarie e dei «brogliacci» sulla cui base l'indagato e'
stato  cautelato).  Orbene  tale  diritto non e' previsto dalle norme
vigenti..
    Secondo le disposizioni del codice di procedura penale, l'ascolto
e  la  trasposizione  delle  registrazioni  su  nastro magnetico sono
attivita'  che  presuppongono  il  deposito  di  tutto  i]  materiale
intercettivo ai sensi dei commi 4 e 5 dell'art. 268 c.p.p.
    In  particolare  il comma 6 della norma appena citata prevede con
chiarezza  che  soltanto  a seguito del deposito presso la segreteria
del   p.m.   dei  verbali,  delle  registrazioni  e  dei  decreti  di
intercettazione,  i  difensori  vengono  avvisati  della  facolta' di
esaminare gli atti e di ascoltare le registrazioni.
    Seguendo  la  scansione  temporale  fissata dall'art. 268 c.p.p.,
inoltre,   il   diritto  di  fare  eseguire  la  trasposizione  della
registrazione  su nastro magnetico viene riconosciuto a seguito della
celebrazione   della   udienza   (c.d.   stralcio)  finalizzata  alla
acquisizione   delle   conversazioni  indicate  dalle  parti  e  alla
trascrizione integrale, in forma peritale, delle registrazioni.
    Le  regole  appena  esposte,  nell'assetto normativo vigente, non
subiscono  alcuna deroga nella fase cautelare (nella ipotesi cioe' le
risultanze  intercettive,  ancora  prima  del  deposito  di  tutto il
materiale  relativo alle operazioni di intercettazione, vengano poste
a  fondamento  di  una  ordinanza  custodiale,  divenendo in tal modo
pubbliche).
    L'art  268  c.p.p.  infatti  non  statuisce che, in tale caso, le
registrazioni   delle   conversazioni   utilizzate   debbano   essere
depositate  o  comunque  messe  a  disposizione  delle  parti private
richiedenti a seguito della esecuzione del titolo custodiale.
    Intervenendo  in  relazione a tale questione, la suprema Corte ha
chiarito  che, ai fini della adozione di una misura cautelare, non e'
necessario  il deposito della attivita' di intercettazione, attivita'
questa  che  rientra  esclusivamente nella procedura finalizzata alle
successive  operazioni  di  stralcio  eventuale e di trascrizione, da
effettuarsi  in  contraddittorio delle parti ai fini dell'inserimento
nel  fascicolo del dibattimento. Tale procedura e' del tutto distinta
da  quella  incidentale  de  libertate  ove  il  deposito non rileva,
essendo  del  tutto  incompatibile con la urgenza che caratterizza le
misure  cautelari  e  potrebbe  essere addirittura impossibile per la
persistente  attivita'  di  intercettazione  al momento in cui quelle
esigenze insorgono.
    Pertanto,  hanno  concluso  i  supremi  Giudici  «le attivita' di
deposito e di allegazione delle intercettazioni sono distinte e hanno
finalita'  diverse  con  scansioni temporali non corrispondenti e con
oggetti   non   necessariamente  coincidenti,  giacche'  l'epoca  del
deposito   prescinde   del   tutto  da  quella  di  celebrazione  del
procedimento  cautelare  con  la  conseguenza che, mentre il deposito
riflette  tutto  il  materiale  relativo  alle  operazioni  (decreti,
verbali  nastri  registrati),  l'allegazione  ai  fini cautelari puo'
riguardare  soltanto  le  trascrizioni  sommarie  del contenuto delle
comunicazioni   o   finanche   gli   appunti   raccolti   durante  le
intercettazioni»   (Cassazione   penale,  sez.  VI  8  ottobre  1998,
n. 2911).
    Di  recente  e'  stato  inoltre  precisato  che  «ove  sia  stato
autorizzato   il   ritardo,  sino  alla  conclusione  delle  indagini
preliminari, per il deposito delle trascrizioni delle registrazioni e
dei  relativi  decreti  autorizzatori  il  termine di cui all'art 268
comma  5  c.p.p.  coincide  con quello di cui all'art. 415-bis c.p.p.
stesso  codice, sicche' si fa luogo ad un unico deposito e l'indagato
e  il  suo  difensore  possono  esercitare  anche  le facolta' di cui
all'art 268 comma 6 del codice di rito». (Cass. sez V, 11 aprile 2003
n. 22957).
    L'orientamento  appena espresso, nell'escludere la necessita' del
deposito della attivita' di intercettazione prima della emissione del
titolo  custodiale,  appare  la  logica conseguenza delle statuizioni
giurisprudenziali  che  sanciscono  la  idoneita'  delle trascrizioni
sommarie  delle  intercettazioni  redatte dalla pg a costituire fonte
dei gravi indizi di colpevolezza di cui all'art 273 c.p.p.
    Ed  infatti  e'  assolutamente  pacifico  nella giurisprudenza di
legittimita'  e  di  merito  il  principio secondo cui, ai fini della
emissione  della  misura  cautelare, il g.i.p. ben puo' utilizzare le
intercettazioni telefoniche anche se contenute in «brogliacci» ovvero
se  riportate  in  forma  riassuntiva, pur se non trascritte, purche'
siano   state   rispettate   le  norme  processuali  in  ordine  alle
autorizzazioni e alle modalita' di esecuzione delle intercettazioni.
    Al  fine  di  evidenziare la legittimita' di tale orientamento, i
Giudici    supremi    hanno   evidenziato   che   «la   sanzione   di
inutilizzabilita'  prevista  dall'art.  271  c.p.p. e' riservata alle
ipotesi   tassativamente  indicate,  riguardanti  l'osservanza  delle
disposizioni  previste  dagli  artt.  267, 268, commi 1 e 3: tra esse
quindi non rientra quella della mancata trascrizione nella fase delle
indagini  preliminari,  trascrizione che deve invece sussistere nella
fase  dibattimentale  ai sensi dell'art 268 comma 7» (Cass. pen., Sez
VI, 3 marzo 2000, n. 1106).
    Sviluppando  tale  concetto, la Corte di cassazione ha, altresi',
chiarito  che  quanto  appena  detto  vale anche quando «si tratta di
conversazioni svoltesi in lingua straniera il cui contenuto sia stato
esplicitato  attraverso  una  traduzione  simultanea  affidata  a  un
interprete  non  nominato  dal  giudice,  il  quale  abbia agito come
semplice ausiliario del personale addetto all'ascolto, fermo restando
il potere - dovere del giudice chiamato a valutare la sussistenza dei
requisiti  richiesti  dalla suddetta norma di verificare - sulla base
di  ogni  utile  elemento  messo a disposizione del p.m. o altrimenti
legittimamente    acquisito    -   la   piena   affidabilita'   della
interpretazione».(Cass. penale, sez. I, 23 gennaio 2002 n. 7406).
    Tirando  le  fila  di  quanto  sin  qui  detto,  puo',  pertanto,
affermarsi   che,   secondo  le  norme  vigenti  e  gli  orientamenti
giurisprudenziali sopra richiamati:
        1) il  deposito  delle  intercettazioni  poste  a base di una
misura  cautelare  personale  non  deve  precedere  ne'  accompagnare
l'emissione del titolo custodiale;
        2) ai  fini  della  richiesta  e della adozione di una misura
cautelare, cio' che rileva non e' il deposito ma la allegazione delle
intercettazioni utilizzate;
        3) tale allegazione non deve necessariamente avere ad oggetto
le  cassette e le bobine contenti le registrazioni ma puo' riguardare
soltanto le trascrizioni sommarie o i brogliacci;
        4) in  tale  caso  i  gravi  indizi  di  colpevolezza vengono
desunti da tali trascrizioni, con la conseguenza che le cassette e le
bobine  relative alle conversazioni utilizzate nella misura cautelare
non vengono trasmesse al g.i.p. e, quindi, non rientrano tra gli atti
utilizzati ai fini della adozione della ordinanza coercitiva;
        5) ne  deriva  che  le  stesse  bobine e cassette non saranno
oggetto  del  deposito  di cui all'art. 293 comma 3 c.p.p. (che ha ad
oggetto  la  ordinanza,  la  richiesta  e  gli atti presentati con la
stessa)  ne'  dovranno  essere  trasmessi al Tribunale del Riesame ai
sensi dell'art. 309 comma 5 c.p.p.
    Cio'  posto,  ritiene  questo  giudice  che  la disciplina appena
esposta,  in  quanto  finalizzata  alla  fase di emissione del titolo
custodiale,  di  per  se'  non  sia  lesiva del diritto di difesa ne'
contrasti con altro principio costituzionale.
    L'urgenza  che  caratterizza  per cosi' dire naturalmente la fase
cautelare, l'incidenza di tale procedimento incidentale in una fase -
quella  delle  indagini  preliminari  -  in  cui  per  definizione le
investigazioni   sono   ancora   in   corso;  la  necessita'  di  non
interrompere  tali  attivita'  e  di consentire anche la prosecuzione
delle  operazioni  di  intercettazione, sono tutte considerazioni che
dimostrano   la  legittimita'  e  la  ragionevolezza  di  un  assetto
normativo   che   non  condiziona  l'emissione  di  un  provvedimento
cautelare  alla  complesse  operazioni di deposito e trascrizione del
materiale  intercettivo  utilizzato  nella  richiesta cautelare e che
reputa  sufficiente  a tal fine l'allegazione alla medesima richiesta
anche  delle  sole  delle trascrizioni e dei brogliacci redatti dalla
polizia giudiziaria.
    Cio'  posto,  deve  tuttavia  precisarsi  che,  ad  avviso  della
scrivente, quanto sin qui detto in ordine alla condivisibile facolta'
del  p.m.  di  limitare l'allegazione delle intercettazioni alle sole
trascrizioni sommarie effettuate dalla pg non puo' essere esteso fino
al  punto  da  negare,  a  seguito  della  esecuzione della ordinanza
custodiale,   il  diritto  della  difesa  di'  accedere  alle  bobine
contenenti   le   conversazioni   utilizzate  a  carico  del  proprio
assistito,  anche  e  soprattutto  nella  specifica  ipotesi  in  cui
quest'ultimo   contesti   la   completezza  e  la  rispondenza  delle
trascrizioni redatte dalla pg al contenuto dei colloqui da lui stesso
intrattenuti.
    In  tale  caso infatti tale diritto di accesso alle registrazioni
(con  i  connessi  diritti  di  ascolto e di copia) rappresentano gli
unici e concreti strumenti di difesa e pertanto, nonostante non siano
contemplati  dalle  norme  vigenti  e  in  particolare  dall'art. 268
c.p..p.,  devono  essere  riconosciuti,  trovando  la  propria  fonte
diretta nell'art. 24, secondo comma della Costituzione.
    Giova al riguardo ricordare che, a seguito della esecuzione della
ordinanza  coercitiva,  l'art. 293 c.p.p. impone una totale discovery
degli  elementi  indiziari su cui la stessa si fonda, elementi il cui
accesso deve essere liberamente consentito alla difesa.
    Dispone  al riguardo il comma 3 della norma precitata, cosi' come
novellato   dalla  legge  8  agosto  1995  n. 332,  che  «l'ordinanza
cautelare  deve  essere  depositata  nella  cancelleria  del giudice,
insieme  alla richiesta del pubblico ministero e agli atti presentati
con  la  stessa»,  adempimento  questo  che,  essendo  finalizzato al
concreto   esercizio   del   diritto   di   difesa,   deve  precedere
inderogabilmente  l'espletamento  dell'interrogatorio  di garanzia, a
pena di nullita' del medesimo atto. La Corte costituzionale, inoltre,
con la fondamentale sentenza del 24 giugno 1997 n. 192, ha dichiarato
la  illegittimita' costituzionale del medesimo articolo, «nella parte
in  cui  non  prevede  la facolta' per il difensore di estrarre copia
insieme  alla  ordinanza  che  ha disposto la misura cautelare, della
richiesta  del  pubblico  ministero  e  degli  atti presentati con la
stessa».
    In particolare i Giudici delle leggi hanno precisato che la ratio
della  modifica  introdotta  dalla  legge  n. 332  del  1995  (che ha
introdotto  il deposito degli atti allegati alla richiesta cautelare)
e'  di consentire al difensore pieno accesso agli atti depositati dal
pubblico  ministero,  sul  presupposto  che  dopo  l'esecuzione della
misura  cautelare  non  sussistono  ragioni  di  riservatezza tali da
giustificare  limitazioni  del  diritto  di difesa; al contrario dopo
l'esecuzione  della  misura cautelare deve essere consentito il pieno
esercizio del diritto di difesa (cfr. in tal senso la sentenza n. 219
del 1994) assicurando al difensore la piu' ampia e agevole conoscenza
degli  elementi su cui e' fondata la richiesta dei pubblico ministero
al  fine  di  rendere  attuabile  una adeguata e informata assistenza
all'interrogatorio  della persona sottoposta alla misura cautelare ex
art.  294  c.p.p.,  nonche' di valutare con piena cognizione di causa
quali  siano  gli  strumenti  piu'  idonei  per  tutelare la liberta'
personale del proprio assistito, dalla richiesta di riesame ovvero di
revoca o sostituzione della misura alla proposizione dell'appello».
    Orbene  da  tale  pronuncia  si  ricavano  in  modo chiaro alcuni
fondamentali principi:
        A  seguito  della  esecuzione  della  ordinanza custodiale il
difensore  deve  essere  posto  nella  condizione di conoscere, nella
maniera  piu' e ampia e agevole tutti gli elementi posti a base della
misura cautelare applicata al proprio assistito;
        A  tal  fine  e'  necessario  garantire  alla stessa parte la
concreta  e  materiale  disponibilita'  degli  atti  posti a base del
titolo  cautelare  in quanto soltanto un rapporto diretto e immediato
con  la  fonte  di  prova  consente  quelle approfondite attivita' di
studio,  controllo  e  valutazione  indispensabili  per assicurare un
effettivo esercizio del diritto di difesa.
        Qualsiasi  disciplina  limitativa  e'  lesiva  del diritto di
difesa  e  al  tempo  stesso  irragionevole, atteso che le originarie
esigenze  di  riservatezza e segretezza sono completamente superate a
seguito  della  esecuzione  della misura cautelare. Tali esigenze, in
ogni  caso,  al  pari  di quella di speditezza del procedimento, sono
tutte  certamente  sub  valenti  rispetto  al  diritto dell'indagato,
colpito  da  misura  cautelare personale, di esercitare il diritto di
difendersi e di essere difeso, con la piu' ampia consapevolezza degli
effettivi  risultati delle indagini emersi a suo carico e in concreto
utilizzati nella ordinanza coercitiva.
    Ebbene  i  principi  appena richiamati possono agevolmente essere
applicati al caso di specie.
    Ed infatti, e' vero che la pronuncia di incostituzionalita' sopra
richiamata  sancisce  il  diritto alla copia degli atti allegati alla
richiesta  cautelare e posti dal g.i.p. a fondamento della misura, ma
e'  altresi'  indiscutibile  che la stessa e' necessariamente fondata
sul  naturale  presupposto che tali atti rappresentano la reale fonte
degli elementi che compongono il quadro indiziario.
    Nel caso di trascrizioni sommarie di risultanze intercettive tale
presupposto non si realizza.
    Infatti,  secondo  il  pacifico  e ormai consolidato orientamento
della  suprema  Corte,  in tema di intercettazioni, la reale fonte di
prova   e'   costituita   dalle   cassette  o  bobine  contenenti  le
registrazioni   e,   quindi,   anche  se  deve  ammettersi  che,  per
condivisibili  ragioni,  la  allegazione  delle  intercettazioni alla
richiesta  cautelare  puo'  essere  limitata  alle  sole trascrizioni
sommarie,  tale  possibilita'  o  facolta'  non  vale  certamente  ad
attribuire  a  tali  atti un autonomo e svincolato valore probatorio,
rappresentando   gli   stessi   una  forma  di  documentazione  delle
risultanze  di  operazioni,  la  cui  prova  risiede  appunto solo ed
esclusivamente nelle bobine.
    Ne  deriva  che,  se  in seguito alla esecuzione della ordinanza,
l'indagato,  per  messo  del suo difensore, contesta la fedelta' e la
completezza  delle trascrizioni effettuate dalla p.g., a suo giudizio
infedeli   o   mancanti   di   parti   suscettibili   di   modificare
sostanzialmente  il significato dei colloqui captati, non puo' essere
allo  stesso in alcun modo negato il diritto di accedere direttamente
alle registrazioni delle conversazione utilizzate, al fine di provare
il proprio assunto.
    Soltanto  in  tal  modo  e'  infatti  possibile compiere accurate
operazioni di ascolto, controllo e verifica ed eventualmente affidare
a un esperto l'espletamento di operazioni di trascrizione.
    Sulla  base  di  tali argomentazioni emerge allora chiaramente la
illegittimita'  costituzionale  dell'art.  268  c.p.p. per violazione
dell'art. 24, secondo comma della Costituzione.
    Tale  norma  infatti,  dopo avere previsto il diritto di tutti di
agire  in  giudizio  per  la  tutela  dei  propri diritti e interessi
legittimi,  sancisce che la «difesa e' un diritto inviolabile in ogni
stato e grado del procedimento».
    E' superfluo sottolineare che la attuazione di tale principio nel
procedimento  penale  non si esaurisce nell'assicurare la c.d. difesa
tecnica,  ma impone di garantire alla persona accusata di un reato un
pieno  contraddittorio  in ordine a tutti gli elementi raccolti a suo
carico.  Il  che'  implica  una integrale conoscenza di tali elementi
nonche'   piena  disponibilita'  di  tutti  gli  strumenti  idonei  a
confutarli.
    Ne  deriva  che,  anche  nella  fase  cautelare,  a seguito della
discovery delle fonti di prova e degli atti di indagine, l'indagato o
l'imputato  deve essere posto nelle condizioni di accedere a tutte le
fonti  di  prova  poste  a fondamento delle accuse contestategli e di
svolgere  in  relazione  alle  medesime  risultanze  una  efficace  e
concreta  difesa  che  consenta,  senza limitazioni irragionevoli, di
manifestare  la propria versione dei fatti e di dimostrare le proprie
asserzioni.
    Ne'   al   riguardo   puo'   obiettarsi   che  la  giurisprudenza
costituzionale  ha  piu'  volte  precisato  che  il diritto di difesa
ammette  modulazioni  differenti  in  relazione alle diverse fasi del
procedimento  o  ai  riti  alternativi  attraverso i quali l'imputato
sceglie di essere giudicato.
    Se  cio'  e'  infatti  indubitabilte, e' altrettanto certo che la
fase successiva alla applicazione di una misura cautelare presuppone,
per  espressa  previsione  di  legge,  la  totale  rivelazione  degli
elementi  di  prova  e  delle  fonti  da  cui  gli  stessi derivano e
pertanto,  deve  essere  strutturata  in  modo  tale  da garantire al
soggetto   destinatario   della  misura  (e  colpito  nella  liberta'
personale)  il  pieno accesso ai medesimi elementi, al fine di potere
svolgere,  nella  maniera piu' ampia e efficace, le proprie attivita'
difensive.
    Ebbene,  ritornando  alla  questione che qui occupa, e' evidente,
alla luce di tali parametri, che l'art. 268 c.p.p., nel consentire al
p.m.  di  non  depositare  o  comunque  di non mettere a disposizione
dell'indagato  le  bobine contenenti le conversazioni riportate nella
ordinanza  custodiale,  a  seguito della esecuzione ditale ordinanza,
lede  in  modo  evidente il diritto di difesa dell'indagato in quanto
irragionevolmente  impedisce  a  quest'ultimo di accedere a una delle
fonti  di  prova  poste  a  fondamento  del  titolo  e di svolgere in
relazione alle stesse una effettiva e concreta difesa.
    E'  innegabile  infatti che l'unico strumento che puo' consentire
di  verificare  la  fedelta'  e  la  completezza  delle  trascrizioni
riportate nel titolo custodiale e' rappresentato dalla disponibilita'
dello  strumento  fonico,  che  consente  di  attivare immediatamente
quelle  operazioni  di  ascolto  e  trascrizione  finalizzate  a fare
emergere il reale significato delle conversazioni intercettate.
    Si ribadisce che, ad avviso di questo giudice, a volere ragionare
diversamente,   si   finirebbe   con  il  compromettere  radicalmente
l'esercizio del diritto di difesa nella fase cautelare.
    Se  infatti  l'indagato,  per il tramite del suo legale, viene ad
essere  privato  della  possibilita' di verificare il reale contenuto
della  bobina  fino  al  momento  al  deposito  di tutto il materiale
intercettivo  (che  in genere coincide con la chiusura delle indagini
preliminari,  momento  che,  a  sua volta, precede di poco la data di
scadenza  dei  termini  di fase) e' del tutto evidente che nella fase
propriamente  cautelare,  in  cui  e'  in discussione il fondamentale
diritto  di  liberta'  dell'indagato,  il  diritto  di  difendersi si
traduce,  in  relazione  alle risultanze intercettive, in una formula
priva di alcun concreto significato.
    Il  diritto  di accedere immediatamente alle bobine contenenti le
conversazioni utilizzate nella ordinanza cautelare e di verificare il
contenuto  delle  stesse  anche  attraverso una consulenza tecnica di
parte  e'  quindi un logico corollario di quel «diritto di difendersi
provando»  che  ha rappresentato la matrice ispiratoria della recente
legge sulle indagini difensive.
    E'  superfluo  sottolineare  che  l'esercizio di tale diritto non
soffre   limitazioni   temporali,   essendo  riconosciuto,  ai  sensi
dell'art.  327  c.p.p. (come modificato dalla legge n. 379 del 2000),
«in  ogni  stato  e  grado del procedimento»; anzi proprio nella fase
delle indagini preliminari e soprattutto nell'ambito del procedimento
incidentale  de  libertate  che  incide sul bene costituzionale della
liberta' personale, tale diritto trova la sua massima e significativa
estrinsecazione  e  non  puo'  subire limitazioni irragionevoli (come
peraltro  dimostrato  dalla collocazione sistematica del titolo sesto
bis  sulle  investigazioni  difensive  nel libro quinto del codice di
procedura penale dedicato alle indagini preliminari).
    Va  ancora  sottolineato  come  l'attuale  assetto normativo, non
consentendo   alla   difesa   di  ricevere  copia  dei  nastri  delle
conversazioni   utilizzate   nella   ordinanza   custodiale  e  nella
disponibilita'  dell'accusa,  lede  quel principio di parita' di armi
fra accusa e difesa, garantito in ogni stato e grado del procedimento
dalla  direttiva  n. 3  della legge delega per l'emanazione del nuovo
codice  di  procedura  penale, direttiva che a sua volta trova la sua
fonte ispiratrice nel principio di parita' fra accusa e difesa di cui
all'art. 111 della Costituzione.
    Tale  norma  inoltre,  non solo prevede che il processo si svolge
nel  contraddittorio  fra  le  parti,  in  condizioni  di  parita' ma
sancisce  che  e' compito inderogabile della legge «assicurare che la
persona  accusata  di  un  reato  sia  nel piu' breve tempo possibile
informata  riservatamente  della  natura  e  dei  motivi  dell'accusa
elevata  a  suo  carico  e  disponga  del  tempo  e  delle condizioni
necessarie per preparare la sua difesa».
    Sulla  base di tali principi (definiti del «giusto processo») non
puo'  allora  negarsi  che  l'indagato,  colpito  da misura cautelare
personale, debba essere messo nelle condizioni di conoscere tutti gli
elementi posti a base delle accuse contestategli e di svolgere, su un
piano di parita' con l'accusa, una efficace e concreta difesa.
    Ne',  come  gia' piu' volte detto, puo' obiettarsi che nella fase
cautelare  e delle indagini preliminari, caratterizzate da segretezza
e riservatezza, legittimante la pubblica accusa e' titolare di poteri
preclusi  alla parte privata in quanto cio' vale fino a quando non si
proceda alla applicazione di una misura cautelare personale.
    In  tal  caso  infatti  si  innesta  nel  procedimento  una  fase
incidentale  in  cui  si  ristabilisce fra le parti una condizione di
sostanziale   parita'  e  in  cui  pertanto  deve  essere  assicurata
all'indagato  la  disponibilita'  di tutti quegli strumenti difensivi
che  appaiono  idonei  al  fme  di contestare le accuse mossegli e di
tutelare la propria liberta'.
    In  altri  termini  l'intervenuta  notificazione  della ordinanza
cautelare  attribuisce all'indagato il diritto di conoscere tutti gli
elementi  su  cui la misura cautelare si fonda. nonche', in relazione
ai  medesimi  elementi,  il diritto di difendersi e di essere difeso,
ponendo  in  essere  le  stesse  attivita'  che  sono consentite alla
accusa.
    Ne consegue che, al pari della parte pubblica, anche il difensore
deve  avere  la  possibilita'  di  ascoltare  le  conversazioni  e di
ricevere  copia  dei  nastri,  onde  eventualmente  affidare a propri
consulenti anche i compiti di trascrizione.
    Le  argomentazioni  appena  sviluppate,  inoltre, dimostrano come
l'art.  268  c.p.p  si  presenta  in  contrasto  con  l'art.  3 della
Costituzione  in quanto irragionevolmente disciplina in modo diverso,
per l'accusa e la difesa, due situazioni omogenee.
    Se   infatti   e'   pacifico  che,  in  tema  di  intercettazioni
telefoniche  e  ambientali, la prova e' costituita dalla bobina e non
dalla traduzione in termini grafici del colloquio captato (traduzione
che  puo'  essere  del  tutto omessa anche nella fase dibattimentale,
senza   alcun   pregiudizio   del   valore   probatorio   del   mezzo
intercettivo),  se e' indiscutibile che, a seguito della applicazione
della  misura cautelare personale, le intercettazioni utilizzate sono
divenute  pubbliche e sono perfettamente conosciute dall'indagato, e'
allora  evidente  che  la disponibilita' delle bobine relative a tali
intercettazioni,   non   puo'   essere   assicurata   alla  accusa  e
irragionevolmente  negata alla difesa, nonostante entrambe tali parti
versino,  a  seguito  della  esecuzione  del  titolo custodiale nella
medesima situazione e su un piano di sostanziale parita'.
    In  conclusione  pertanto  l'art.  268 c.p.p., nella parte in cui
consente  di  non depositare o comunque di non mettere a disposizione
dell'indagato   e  del  suo  difensore  che  ne  fanno  richiesta  le
registrazioni   delle  conversazioni  poste  a  base  di  una  misura
cautelare  personale,  nella  fase  successiva  alla esecuzione della
ordinanza  cautelare  (in  tal  modo  precludendo fino al momento del
deposito  del  materiale intercettivo di cui ai commi 4 e 5 dell'art.
268  c.p.p.  l'ascolto  delle conversazioni e la possibilita' di fare
eseguire  la  trasposizione delle registrazioni su nastro magnetico),
appare  costituzionalmente  illegittimo  in quanto viola gli artt. 3,
24, secondo comma e 111, secondo e terzo comma della Costituzione.
    Per   completezza  precisa  la  scrivente  che  i  diritti  sopra
indicati,  non  solo  non  sono  previsti dall'art. 268 c.p.p, ma non
trovano  alcun  fondamento  implicito  nel sistema normativo vigente,
atteso  che,  come gia' rilevato, nelle ipotesi un cui la richiesta e
la  ordinanza  cautelare  si  fondano sulle trascrizioni sommarie, il
deposito di cui all'art. 293 comma 3 c.p.p. avra' ad oggetto soltanto
tali   trascrizioni   e  non  le  bobine  o  cassette  contenenti  le
registrazioni,  materiale  -  questo - il cui accesso sara', come nel
caso  di  specie, negato alla difesa, sulla base delle argomentazioni
che  tali  bobine non rientrano tra gli atti posti a fondamento della
misura e che le intercettazioni non sono state ancora depositate.
    La  questione sollevata appare sicuramente rilevante nel presente
procedimento:  il  coacervo indiziario posto a base delle imputazioni
scritte  al Pagano poggia sostanzialmente sulle trascrizioni allegate
alla richiesta cautelare e ritenute affidabili. L'indagato ha chiesto
la   revoca  della  misura  custodiale  deducendo  l'incompletezza  e
comunque  la  non  corrispondenza  di  tali trascrizioni al contenuto
reale  dei  colloqui  intrattenuti  ed  evidenziando  al tempo stesso
l'attuale impossibilita' di provare tale assunto, accedendo ai nastri
relativi alle medesime conversazioni
    La   delibazione  dell'istanza  in  questione  richiede  pertanto
l'applicazione  delle  norma  la cui illegittimita' costituzionale e'
stata denunciata.
                              P. Q. M.
    Vista la legge 11 marzo 1953 n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale dell'art. 268 c.p.p per violazione degli
artt.  3,  24,  secondo  comma,  111  secondo  e  terzo  comma  della
Costituzione,  nella  parte  in  cui  consente  di  non  depositare o
comunque  di  non  mettere  a  disposiione  dell'indagato  e  del suo
difensore,  che  ne  hanno  fatto  richiesta,  le registrazioni delle
conversazioni  poste  a base di una misura cautelare personale, nella
fase  successiva  alla  esecuzione  della ordinanza cautelare (in tal
modo   precludendo   l'ascolto  delle  medesime  conversazioni  e  la
possibilita' di fare eseguire la trasposizione delle registrazioni su
nastro   magnetico   fmo   al  momento  del  deposito  del  materiale
intercettivo di cui ai commi 4 e 5 dell'art. 268 c.p.p.).
    Manda  alla  cancelleria  per  la  comunicazione  della  presente
ordinanza   al   p.m,  per  la  notificazione  all'indagato,  al  suo
difensore,  al  Presidente del Consiglio dei ministri e ai Presidenti
delle due Camere del Parlamento, oltre a quanto previsto dalla legge.
    Ordina trasmettersi gli atti alla Corte costituzionale in Roma.
    Sospende il procedimento.
        Catanzaro, addi' 22 dicembre 2005
                         Il giudice: Mellace
06C1133