N. 570 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 dicembre 2005
Ordinanza del 22 dicembre 2005 (pervenuta alla Corte costituzionale il 30 ottobre 2006) emessa dal g.i.p. del tribunale di Catanzaro nel procedimento penale a carico di Pagano Nunzio Processo penale - Prove - Operazioni d'intercettazioni - Registrazioni delle conversazioni poste a base di una misura cautelare personale - Deposito o comunque messa a disposizione dell'indagato o del suo difensore nella fase successiva alla esecuzione della ordinanza cautelare - Mancata previsione - Disparita' di trattamento tra le parti - Lesione del diritto di difesa - Violazione del principio di parita' tra le parti - Lesione del diritto della persona accusata di preparare adeguatamente la sua difesa. - Codice di procedura penale, art. 268. - Costituzione, artt. 3, 24, comma secondo, e 111, commi secondo e terzo.(GU n.50 del 20-12-2006 )
IL TRIBUNALE Vista l'istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere avanzata nell'interesse di Pagano Nunzio; Vista l'eccezione di incostituzionalita' dell'art 268 c.p.p. sollevata in subordine dal difensore dello stesso indagato in relazione agli artt 24 e 11 della Costituzione «nella parte in cui non prevede il diritto alla trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni utilizzate in richiesta custodiale e nella conseguente ordinanza applicativa»; Visto il parere del p.m.; Esaminati gli atti, O s s e r v a e R i l e v a Pagano Nunzio e' attualmente sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere per i reati di cui agli artt. 416 bis e 644 c.p.p. Il coacervo indiziario posto a base della ordinanza custodiale, adottata in data 8 luglio 2005, e' rappresentato, in prevalenza, dalle risultanze di operazioni di intercettazione telefonica e ambientale, legittimamente disposte ed eseguite, risultanze desunte dalle trascrizioni delle conversazioni redatte dalla polizia giudiziaria e allegate alla richiesta cautelare. Con la istanza in esame la difesa dell'indagato, nel chiedere la revoca dalla misura in atto, contesta la fedelta' delle trascrizioni predette, deducendone l'incompletezza e la non rispondenza ai contenuti reali dei colloqui registrati. In particolare deduce che gli operatori di p.g. hanno spesso trascritto le conversazioni intrattenute dall'indagato in forma sommaria e a distanza di tempo dalla registrazione, aggiunge che in ogni caso tutte le trascrizioni integrali risultano costellate di un rilevante numero di «interruzioni» e di «incomprensibili», dietro i quali si celano parole, frasi, espressioni, domande e risposte, che il proprio assistito assume di avere pronunciato e la cui corretta decodificazione e comprensione consentirebbe di comprendere il reale significato delle conversazioni riportate nella ordinanza custodiale, privando le stesse di qualsiasi valenza indiziaria.. Ne deriva la sostanziale inaffidabilita' delle trascrizioni suddette, le quali, nonostante la apparente scorrevolezza e fluidita', non documentano in modo fedele e completo il contenuto delle conversazioni registrate ma al contrario forniscono delle stesse una interpretazione distorta, soggettiva e opinabile, incentrata esclusivamente sulle frammentarie frasi che i verbalizzanti hanno ritenuto di comprendere correttamente e di trascrivere in sequenza. Nella istanza in esame si evidenzia, altresi', che il travisamento del significato dei colloqui riportati nella ordinanza coercitiva potrebbe agevolmente emergere dall'ascolto delle medesime conversazioni e da una corretta e integrale trascrizione del contenuto delle medesime, effettuata, con l'ausilio delle necessarie apparecchiature tecniche, da parte di personale specializzato, dotato di specifiche competenze. Tuttavia - si aggiunge - che la difesa non ha avuto la possibilita' di svolgere tali attivita', in quanto si e' vista negare il diritto di accedere alle bobine contenenti le conversazioni utilizzate ai fini della emissione del titolo custodiale. Con provvedimento adottato in data 12 ottobre 2005 (e allegato alla istanza in esame) il p.m. ha infatti rigettato la richiesta di duplicazione delle bobine predette, rilevando che «il procedimento pende ancora nella fase delle indagini preliminari e che l'attivita' di intercettazione non e' stata ancora depositata» e aggiungendo che «in ogni caso, soltanto nella fase del sub procedimento che andra' a instaurarsi dinanzi al giudice competente, l'istanza poteva trovare corretta collocazione». Orbene - si afferma ancora nella mozione cautelare de qua - tale motivazione si basa su una interpretazione illegittima dell'art. 268 c.p.p. che lede il diritto di difesa dell'indagato, privandolo della possibilita' di verificare, nella fase cautelare, la affidabilita' e la fedelta' delle trascrizioni delle conversazioni, utilizzate a suo carico. In altri termini le argomentazioni sopra richiamate forniscono con il precludere all'interessato e al suo difensore la effettiva conoscenza di una delle fonti di prova poste a base della misura cautelare, fonte che pertanto, fino al momento del deposito dell'attivita' intercettiva, rimane di esclusivo dominio della pubblica accusa. Evidente e', non solo la lesione del diritto di difesa, quanto anche la irragionevole disparita' di trattamento fra parte pubblica e privata che deriva da siffatto modus procedendi. Mentre infatti il p.m. ha pieno accesso al contenuto integrale delle conversazioni utilizzate nella ordinanza custodiale (con la conseguente possibilita' di ascoltarle e di affidare a un proprio consulente la trascrizione integrale dei medesimi colloqui), la difesa invece, nonostante l'intervenuta discovery delle risultanze investigative poste a base della misura, e' costretta a fare affidamento sulla fedelta' delle sommarie trascrizioni redatte dalla pg, senza alcuna possibilita' di confutarne il contenuto o di dimostrame l'inattendibilita'. Ancora si deduce nella istanza in esame che l'interpretazione dell'art. 268 c.p.p. sostenuta dalla pubblica accusa impedisce la corretta attuazione «del principio del contraddittorio nella fase cautelare», non consentendo alla parte privata di esercitare alcun reale potere di controprova in ordine alle risultanze intercettive poste a base della misura, nonostante il venire meno, con la notificazione della ordinanza custodiale, delle originarie esigenze di segretezza e riservatezza. Sulla base di tali argomentazioni, pertanto, la difesa, nel ribadire che la ordinanza in atto e' fondata su elementi indiziari desunti da una fonte di prova inaccessibie e nei cui confronti, allo stato, non e' praticabile in concreto alcuna attivita' difensiva, postula la revoca della misura cautelare della custodia in carcere applicata all'indagato. In subordine eccepisce la incostituzionalita' dell'art. 268 c.p.p. per violazione degli artt. 24 e 11 della Costituzione «nella parte in cui non prevede il diritto alla trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni utilizzate in richiesta custodiale e nella conseguente ordinanza applicativa». Ritiene questo giudice che la questione di incostituzionalita' prospettata non sia manifestamente infondata. L'istanza in esame, nel sollecitare la revoca della misura cautelare in atto, mira sostanzialmente a ottenere il riconoscimento del diritto della difesa di accedere alle bobine contenenti le conversazioni utilizzate nel titolo custodiale nella fase successiva alla esecuzione del medesimo titolo, al fine di ascoltare le conversazioni e di ricevere copia delle registrazioni (diritto il cui esercizio viene ritenuto strumento necessario per controllare la fedelta' al contenuto reale delle conversazioni registrate delle trascrizioni sommarie e dei «brogliacci» sulla cui base l'indagato e' stato cautelato). Orbene tale diritto non e' previsto dalle norme vigenti.. Secondo le disposizioni del codice di procedura penale, l'ascolto e la trasposizione delle registrazioni su nastro magnetico sono attivita' che presuppongono il deposito di tutto i] materiale intercettivo ai sensi dei commi 4 e 5 dell'art. 268 c.p.p. In particolare il comma 6 della norma appena citata prevede con chiarezza che soltanto a seguito del deposito presso la segreteria del p.m. dei verbali, delle registrazioni e dei decreti di intercettazione, i difensori vengono avvisati della facolta' di esaminare gli atti e di ascoltare le registrazioni. Seguendo la scansione temporale fissata dall'art. 268 c.p.p., inoltre, il diritto di fare eseguire la trasposizione della registrazione su nastro magnetico viene riconosciuto a seguito della celebrazione della udienza (c.d. stralcio) finalizzata alla acquisizione delle conversazioni indicate dalle parti e alla trascrizione integrale, in forma peritale, delle registrazioni. Le regole appena esposte, nell'assetto normativo vigente, non subiscono alcuna deroga nella fase cautelare (nella ipotesi cioe' le risultanze intercettive, ancora prima del deposito di tutto il materiale relativo alle operazioni di intercettazione, vengano poste a fondamento di una ordinanza custodiale, divenendo in tal modo pubbliche). L'art 268 c.p.p. infatti non statuisce che, in tale caso, le registrazioni delle conversazioni utilizzate debbano essere depositate o comunque messe a disposizione delle parti private richiedenti a seguito della esecuzione del titolo custodiale. Intervenendo in relazione a tale questione, la suprema Corte ha chiarito che, ai fini della adozione di una misura cautelare, non e' necessario il deposito della attivita' di intercettazione, attivita' questa che rientra esclusivamente nella procedura finalizzata alle successive operazioni di stralcio eventuale e di trascrizione, da effettuarsi in contraddittorio delle parti ai fini dell'inserimento nel fascicolo del dibattimento. Tale procedura e' del tutto distinta da quella incidentale de libertate ove il deposito non rileva, essendo del tutto incompatibile con la urgenza che caratterizza le misure cautelari e potrebbe essere addirittura impossibile per la persistente attivita' di intercettazione al momento in cui quelle esigenze insorgono. Pertanto, hanno concluso i supremi Giudici «le attivita' di deposito e di allegazione delle intercettazioni sono distinte e hanno finalita' diverse con scansioni temporali non corrispondenti e con oggetti non necessariamente coincidenti, giacche' l'epoca del deposito prescinde del tutto da quella di celebrazione del procedimento cautelare con la conseguenza che, mentre il deposito riflette tutto il materiale relativo alle operazioni (decreti, verbali nastri registrati), l'allegazione ai fini cautelari puo' riguardare soltanto le trascrizioni sommarie del contenuto delle comunicazioni o finanche gli appunti raccolti durante le intercettazioni» (Cassazione penale, sez. VI 8 ottobre 1998, n. 2911). Di recente e' stato inoltre precisato che «ove sia stato autorizzato il ritardo, sino alla conclusione delle indagini preliminari, per il deposito delle trascrizioni delle registrazioni e dei relativi decreti autorizzatori il termine di cui all'art 268 comma 5 c.p.p. coincide con quello di cui all'art. 415-bis c.p.p. stesso codice, sicche' si fa luogo ad un unico deposito e l'indagato e il suo difensore possono esercitare anche le facolta' di cui all'art 268 comma 6 del codice di rito». (Cass. sez V, 11 aprile 2003 n. 22957). L'orientamento appena espresso, nell'escludere la necessita' del deposito della attivita' di intercettazione prima della emissione del titolo custodiale, appare la logica conseguenza delle statuizioni giurisprudenziali che sanciscono la idoneita' delle trascrizioni sommarie delle intercettazioni redatte dalla pg a costituire fonte dei gravi indizi di colpevolezza di cui all'art 273 c.p.p. Ed infatti e' assolutamente pacifico nella giurisprudenza di legittimita' e di merito il principio secondo cui, ai fini della emissione della misura cautelare, il g.i.p. ben puo' utilizzare le intercettazioni telefoniche anche se contenute in «brogliacci» ovvero se riportate in forma riassuntiva, pur se non trascritte, purche' siano state rispettate le norme processuali in ordine alle autorizzazioni e alle modalita' di esecuzione delle intercettazioni. Al fine di evidenziare la legittimita' di tale orientamento, i Giudici supremi hanno evidenziato che «la sanzione di inutilizzabilita' prevista dall'art. 271 c.p.p. e' riservata alle ipotesi tassativamente indicate, riguardanti l'osservanza delle disposizioni previste dagli artt. 267, 268, commi 1 e 3: tra esse quindi non rientra quella della mancata trascrizione nella fase delle indagini preliminari, trascrizione che deve invece sussistere nella fase dibattimentale ai sensi dell'art 268 comma 7» (Cass. pen., Sez VI, 3 marzo 2000, n. 1106). Sviluppando tale concetto, la Corte di cassazione ha, altresi', chiarito che quanto appena detto vale anche quando «si tratta di conversazioni svoltesi in lingua straniera il cui contenuto sia stato esplicitato attraverso una traduzione simultanea affidata a un interprete non nominato dal giudice, il quale abbia agito come semplice ausiliario del personale addetto all'ascolto, fermo restando il potere - dovere del giudice chiamato a valutare la sussistenza dei requisiti richiesti dalla suddetta norma di verificare - sulla base di ogni utile elemento messo a disposizione del p.m. o altrimenti legittimamente acquisito - la piena affidabilita' della interpretazione».(Cass. penale, sez. I, 23 gennaio 2002 n. 7406). Tirando le fila di quanto sin qui detto, puo', pertanto, affermarsi che, secondo le norme vigenti e gli orientamenti giurisprudenziali sopra richiamati: 1) il deposito delle intercettazioni poste a base di una misura cautelare personale non deve precedere ne' accompagnare l'emissione del titolo custodiale; 2) ai fini della richiesta e della adozione di una misura cautelare, cio' che rileva non e' il deposito ma la allegazione delle intercettazioni utilizzate; 3) tale allegazione non deve necessariamente avere ad oggetto le cassette e le bobine contenti le registrazioni ma puo' riguardare soltanto le trascrizioni sommarie o i brogliacci; 4) in tale caso i gravi indizi di colpevolezza vengono desunti da tali trascrizioni, con la conseguenza che le cassette e le bobine relative alle conversazioni utilizzate nella misura cautelare non vengono trasmesse al g.i.p. e, quindi, non rientrano tra gli atti utilizzati ai fini della adozione della ordinanza coercitiva; 5) ne deriva che le stesse bobine e cassette non saranno oggetto del deposito di cui all'art. 293 comma 3 c.p.p. (che ha ad oggetto la ordinanza, la richiesta e gli atti presentati con la stessa) ne' dovranno essere trasmessi al Tribunale del Riesame ai sensi dell'art. 309 comma 5 c.p.p. Cio' posto, ritiene questo giudice che la disciplina appena esposta, in quanto finalizzata alla fase di emissione del titolo custodiale, di per se' non sia lesiva del diritto di difesa ne' contrasti con altro principio costituzionale. L'urgenza che caratterizza per cosi' dire naturalmente la fase cautelare, l'incidenza di tale procedimento incidentale in una fase - quella delle indagini preliminari - in cui per definizione le investigazioni sono ancora in corso; la necessita' di non interrompere tali attivita' e di consentire anche la prosecuzione delle operazioni di intercettazione, sono tutte considerazioni che dimostrano la legittimita' e la ragionevolezza di un assetto normativo che non condiziona l'emissione di un provvedimento cautelare alla complesse operazioni di deposito e trascrizione del materiale intercettivo utilizzato nella richiesta cautelare e che reputa sufficiente a tal fine l'allegazione alla medesima richiesta anche delle sole delle trascrizioni e dei brogliacci redatti dalla polizia giudiziaria. Cio' posto, deve tuttavia precisarsi che, ad avviso della scrivente, quanto sin qui detto in ordine alla condivisibile facolta' del p.m. di limitare l'allegazione delle intercettazioni alle sole trascrizioni sommarie effettuate dalla pg non puo' essere esteso fino al punto da negare, a seguito della esecuzione della ordinanza custodiale, il diritto della difesa di' accedere alle bobine contenenti le conversazioni utilizzate a carico del proprio assistito, anche e soprattutto nella specifica ipotesi in cui quest'ultimo contesti la completezza e la rispondenza delle trascrizioni redatte dalla pg al contenuto dei colloqui da lui stesso intrattenuti. In tale caso infatti tale diritto di accesso alle registrazioni (con i connessi diritti di ascolto e di copia) rappresentano gli unici e concreti strumenti di difesa e pertanto, nonostante non siano contemplati dalle norme vigenti e in particolare dall'art. 268 c.p..p., devono essere riconosciuti, trovando la propria fonte diretta nell'art. 24, secondo comma della Costituzione. Giova al riguardo ricordare che, a seguito della esecuzione della ordinanza coercitiva, l'art. 293 c.p.p. impone una totale discovery degli elementi indiziari su cui la stessa si fonda, elementi il cui accesso deve essere liberamente consentito alla difesa. Dispone al riguardo il comma 3 della norma precitata, cosi' come novellato dalla legge 8 agosto 1995 n. 332, che «l'ordinanza cautelare deve essere depositata nella cancelleria del giudice, insieme alla richiesta del pubblico ministero e agli atti presentati con la stessa», adempimento questo che, essendo finalizzato al concreto esercizio del diritto di difesa, deve precedere inderogabilmente l'espletamento dell'interrogatorio di garanzia, a pena di nullita' del medesimo atto. La Corte costituzionale, inoltre, con la fondamentale sentenza del 24 giugno 1997 n. 192, ha dichiarato la illegittimita' costituzionale del medesimo articolo, «nella parte in cui non prevede la facolta' per il difensore di estrarre copia insieme alla ordinanza che ha disposto la misura cautelare, della richiesta del pubblico ministero e degli atti presentati con la stessa». In particolare i Giudici delle leggi hanno precisato che la ratio della modifica introdotta dalla legge n. 332 del 1995 (che ha introdotto il deposito degli atti allegati alla richiesta cautelare) e' di consentire al difensore pieno accesso agli atti depositati dal pubblico ministero, sul presupposto che dopo l'esecuzione della misura cautelare non sussistono ragioni di riservatezza tali da giustificare limitazioni del diritto di difesa; al contrario dopo l'esecuzione della misura cautelare deve essere consentito il pieno esercizio del diritto di difesa (cfr. in tal senso la sentenza n. 219 del 1994) assicurando al difensore la piu' ampia e agevole conoscenza degli elementi su cui e' fondata la richiesta dei pubblico ministero al fine di rendere attuabile una adeguata e informata assistenza all'interrogatorio della persona sottoposta alla misura cautelare ex art. 294 c.p.p., nonche' di valutare con piena cognizione di causa quali siano gli strumenti piu' idonei per tutelare la liberta' personale del proprio assistito, dalla richiesta di riesame ovvero di revoca o sostituzione della misura alla proposizione dell'appello». Orbene da tale pronuncia si ricavano in modo chiaro alcuni fondamentali principi: A seguito della esecuzione della ordinanza custodiale il difensore deve essere posto nella condizione di conoscere, nella maniera piu' e ampia e agevole tutti gli elementi posti a base della misura cautelare applicata al proprio assistito; A tal fine e' necessario garantire alla stessa parte la concreta e materiale disponibilita' degli atti posti a base del titolo cautelare in quanto soltanto un rapporto diretto e immediato con la fonte di prova consente quelle approfondite attivita' di studio, controllo e valutazione indispensabili per assicurare un effettivo esercizio del diritto di difesa. Qualsiasi disciplina limitativa e' lesiva del diritto di difesa e al tempo stesso irragionevole, atteso che le originarie esigenze di riservatezza e segretezza sono completamente superate a seguito della esecuzione della misura cautelare. Tali esigenze, in ogni caso, al pari di quella di speditezza del procedimento, sono tutte certamente sub valenti rispetto al diritto dell'indagato, colpito da misura cautelare personale, di esercitare il diritto di difendersi e di essere difeso, con la piu' ampia consapevolezza degli effettivi risultati delle indagini emersi a suo carico e in concreto utilizzati nella ordinanza coercitiva. Ebbene i principi appena richiamati possono agevolmente essere applicati al caso di specie. Ed infatti, e' vero che la pronuncia di incostituzionalita' sopra richiamata sancisce il diritto alla copia degli atti allegati alla richiesta cautelare e posti dal g.i.p. a fondamento della misura, ma e' altresi' indiscutibile che la stessa e' necessariamente fondata sul naturale presupposto che tali atti rappresentano la reale fonte degli elementi che compongono il quadro indiziario. Nel caso di trascrizioni sommarie di risultanze intercettive tale presupposto non si realizza. Infatti, secondo il pacifico e ormai consolidato orientamento della suprema Corte, in tema di intercettazioni, la reale fonte di prova e' costituita dalle cassette o bobine contenenti le registrazioni e, quindi, anche se deve ammettersi che, per condivisibili ragioni, la allegazione delle intercettazioni alla richiesta cautelare puo' essere limitata alle sole trascrizioni sommarie, tale possibilita' o facolta' non vale certamente ad attribuire a tali atti un autonomo e svincolato valore probatorio, rappresentando gli stessi una forma di documentazione delle risultanze di operazioni, la cui prova risiede appunto solo ed esclusivamente nelle bobine. Ne deriva che, se in seguito alla esecuzione della ordinanza, l'indagato, per messo del suo difensore, contesta la fedelta' e la completezza delle trascrizioni effettuate dalla p.g., a suo giudizio infedeli o mancanti di parti suscettibili di modificare sostanzialmente il significato dei colloqui captati, non puo' essere allo stesso in alcun modo negato il diritto di accedere direttamente alle registrazioni delle conversazione utilizzate, al fine di provare il proprio assunto. Soltanto in tal modo e' infatti possibile compiere accurate operazioni di ascolto, controllo e verifica ed eventualmente affidare a un esperto l'espletamento di operazioni di trascrizione. Sulla base di tali argomentazioni emerge allora chiaramente la illegittimita' costituzionale dell'art. 268 c.p.p. per violazione dell'art. 24, secondo comma della Costituzione. Tale norma infatti, dopo avere previsto il diritto di tutti di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi, sancisce che la «difesa e' un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento». E' superfluo sottolineare che la attuazione di tale principio nel procedimento penale non si esaurisce nell'assicurare la c.d. difesa tecnica, ma impone di garantire alla persona accusata di un reato un pieno contraddittorio in ordine a tutti gli elementi raccolti a suo carico. Il che' implica una integrale conoscenza di tali elementi nonche' piena disponibilita' di tutti gli strumenti idonei a confutarli. Ne deriva che, anche nella fase cautelare, a seguito della discovery delle fonti di prova e degli atti di indagine, l'indagato o l'imputato deve essere posto nelle condizioni di accedere a tutte le fonti di prova poste a fondamento delle accuse contestategli e di svolgere in relazione alle medesime risultanze una efficace e concreta difesa che consenta, senza limitazioni irragionevoli, di manifestare la propria versione dei fatti e di dimostrare le proprie asserzioni. Ne' al riguardo puo' obiettarsi che la giurisprudenza costituzionale ha piu' volte precisato che il diritto di difesa ammette modulazioni differenti in relazione alle diverse fasi del procedimento o ai riti alternativi attraverso i quali l'imputato sceglie di essere giudicato. Se cio' e' infatti indubitabilte, e' altrettanto certo che la fase successiva alla applicazione di una misura cautelare presuppone, per espressa previsione di legge, la totale rivelazione degli elementi di prova e delle fonti da cui gli stessi derivano e pertanto, deve essere strutturata in modo tale da garantire al soggetto destinatario della misura (e colpito nella liberta' personale) il pieno accesso ai medesimi elementi, al fine di potere svolgere, nella maniera piu' ampia e efficace, le proprie attivita' difensive. Ebbene, ritornando alla questione che qui occupa, e' evidente, alla luce di tali parametri, che l'art. 268 c.p.p., nel consentire al p.m. di non depositare o comunque di non mettere a disposizione dell'indagato le bobine contenenti le conversazioni riportate nella ordinanza custodiale, a seguito della esecuzione ditale ordinanza, lede in modo evidente il diritto di difesa dell'indagato in quanto irragionevolmente impedisce a quest'ultimo di accedere a una delle fonti di prova poste a fondamento del titolo e di svolgere in relazione alle stesse una effettiva e concreta difesa. E' innegabile infatti che l'unico strumento che puo' consentire di verificare la fedelta' e la completezza delle trascrizioni riportate nel titolo custodiale e' rappresentato dalla disponibilita' dello strumento fonico, che consente di attivare immediatamente quelle operazioni di ascolto e trascrizione finalizzate a fare emergere il reale significato delle conversazioni intercettate. Si ribadisce che, ad avviso di questo giudice, a volere ragionare diversamente, si finirebbe con il compromettere radicalmente l'esercizio del diritto di difesa nella fase cautelare. Se infatti l'indagato, per il tramite del suo legale, viene ad essere privato della possibilita' di verificare il reale contenuto della bobina fino al momento al deposito di tutto il materiale intercettivo (che in genere coincide con la chiusura delle indagini preliminari, momento che, a sua volta, precede di poco la data di scadenza dei termini di fase) e' del tutto evidente che nella fase propriamente cautelare, in cui e' in discussione il fondamentale diritto di liberta' dell'indagato, il diritto di difendersi si traduce, in relazione alle risultanze intercettive, in una formula priva di alcun concreto significato. Il diritto di accedere immediatamente alle bobine contenenti le conversazioni utilizzate nella ordinanza cautelare e di verificare il contenuto delle stesse anche attraverso una consulenza tecnica di parte e' quindi un logico corollario di quel «diritto di difendersi provando» che ha rappresentato la matrice ispiratoria della recente legge sulle indagini difensive. E' superfluo sottolineare che l'esercizio di tale diritto non soffre limitazioni temporali, essendo riconosciuto, ai sensi dell'art. 327 c.p.p. (come modificato dalla legge n. 379 del 2000), «in ogni stato e grado del procedimento»; anzi proprio nella fase delle indagini preliminari e soprattutto nell'ambito del procedimento incidentale de libertate che incide sul bene costituzionale della liberta' personale, tale diritto trova la sua massima e significativa estrinsecazione e non puo' subire limitazioni irragionevoli (come peraltro dimostrato dalla collocazione sistematica del titolo sesto bis sulle investigazioni difensive nel libro quinto del codice di procedura penale dedicato alle indagini preliminari). Va ancora sottolineato come l'attuale assetto normativo, non consentendo alla difesa di ricevere copia dei nastri delle conversazioni utilizzate nella ordinanza custodiale e nella disponibilita' dell'accusa, lede quel principio di parita' di armi fra accusa e difesa, garantito in ogni stato e grado del procedimento dalla direttiva n. 3 della legge delega per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale, direttiva che a sua volta trova la sua fonte ispiratrice nel principio di parita' fra accusa e difesa di cui all'art. 111 della Costituzione. Tale norma inoltre, non solo prevede che il processo si svolge nel contraddittorio fra le parti, in condizioni di parita' ma sancisce che e' compito inderogabile della legge «assicurare che la persona accusata di un reato sia nel piu' breve tempo possibile informata riservatamente della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico e disponga del tempo e delle condizioni necessarie per preparare la sua difesa». Sulla base di tali principi (definiti del «giusto processo») non puo' allora negarsi che l'indagato, colpito da misura cautelare personale, debba essere messo nelle condizioni di conoscere tutti gli elementi posti a base delle accuse contestategli e di svolgere, su un piano di parita' con l'accusa, una efficace e concreta difesa. Ne', come gia' piu' volte detto, puo' obiettarsi che nella fase cautelare e delle indagini preliminari, caratterizzate da segretezza e riservatezza, legittimante la pubblica accusa e' titolare di poteri preclusi alla parte privata in quanto cio' vale fino a quando non si proceda alla applicazione di una misura cautelare personale. In tal caso infatti si innesta nel procedimento una fase incidentale in cui si ristabilisce fra le parti una condizione di sostanziale parita' e in cui pertanto deve essere assicurata all'indagato la disponibilita' di tutti quegli strumenti difensivi che appaiono idonei al fme di contestare le accuse mossegli e di tutelare la propria liberta'. In altri termini l'intervenuta notificazione della ordinanza cautelare attribuisce all'indagato il diritto di conoscere tutti gli elementi su cui la misura cautelare si fonda. nonche', in relazione ai medesimi elementi, il diritto di difendersi e di essere difeso, ponendo in essere le stesse attivita' che sono consentite alla accusa. Ne consegue che, al pari della parte pubblica, anche il difensore deve avere la possibilita' di ascoltare le conversazioni e di ricevere copia dei nastri, onde eventualmente affidare a propri consulenti anche i compiti di trascrizione. Le argomentazioni appena sviluppate, inoltre, dimostrano come l'art. 268 c.p.p si presenta in contrasto con l'art. 3 della Costituzione in quanto irragionevolmente disciplina in modo diverso, per l'accusa e la difesa, due situazioni omogenee. Se infatti e' pacifico che, in tema di intercettazioni telefoniche e ambientali, la prova e' costituita dalla bobina e non dalla traduzione in termini grafici del colloquio captato (traduzione che puo' essere del tutto omessa anche nella fase dibattimentale, senza alcun pregiudizio del valore probatorio del mezzo intercettivo), se e' indiscutibile che, a seguito della applicazione della misura cautelare personale, le intercettazioni utilizzate sono divenute pubbliche e sono perfettamente conosciute dall'indagato, e' allora evidente che la disponibilita' delle bobine relative a tali intercettazioni, non puo' essere assicurata alla accusa e irragionevolmente negata alla difesa, nonostante entrambe tali parti versino, a seguito della esecuzione del titolo custodiale nella medesima situazione e su un piano di sostanziale parita'. In conclusione pertanto l'art. 268 c.p.p., nella parte in cui consente di non depositare o comunque di non mettere a disposizione dell'indagato e del suo difensore che ne fanno richiesta le registrazioni delle conversazioni poste a base di una misura cautelare personale, nella fase successiva alla esecuzione della ordinanza cautelare (in tal modo precludendo fino al momento del deposito del materiale intercettivo di cui ai commi 4 e 5 dell'art. 268 c.p.p. l'ascolto delle conversazioni e la possibilita' di fare eseguire la trasposizione delle registrazioni su nastro magnetico), appare costituzionalmente illegittimo in quanto viola gli artt. 3, 24, secondo comma e 111, secondo e terzo comma della Costituzione. Per completezza precisa la scrivente che i diritti sopra indicati, non solo non sono previsti dall'art. 268 c.p.p, ma non trovano alcun fondamento implicito nel sistema normativo vigente, atteso che, come gia' rilevato, nelle ipotesi un cui la richiesta e la ordinanza cautelare si fondano sulle trascrizioni sommarie, il deposito di cui all'art. 293 comma 3 c.p.p. avra' ad oggetto soltanto tali trascrizioni e non le bobine o cassette contenenti le registrazioni, materiale - questo - il cui accesso sara', come nel caso di specie, negato alla difesa, sulla base delle argomentazioni che tali bobine non rientrano tra gli atti posti a fondamento della misura e che le intercettazioni non sono state ancora depositate. La questione sollevata appare sicuramente rilevante nel presente procedimento: il coacervo indiziario posto a base delle imputazioni scritte al Pagano poggia sostanzialmente sulle trascrizioni allegate alla richiesta cautelare e ritenute affidabili. L'indagato ha chiesto la revoca della misura custodiale deducendo l'incompletezza e comunque la non corrispondenza di tali trascrizioni al contenuto reale dei colloqui intrattenuti ed evidenziando al tempo stesso l'attuale impossibilita' di provare tale assunto, accedendo ai nastri relativi alle medesime conversazioni La delibazione dell'istanza in questione richiede pertanto l'applicazione delle norma la cui illegittimita' costituzionale e' stata denunciata.
P. Q. M. Vista la legge 11 marzo 1953 n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 268 c.p.p per violazione degli artt. 3, 24, secondo comma, 111 secondo e terzo comma della Costituzione, nella parte in cui consente di non depositare o comunque di non mettere a disposiione dell'indagato e del suo difensore, che ne hanno fatto richiesta, le registrazioni delle conversazioni poste a base di una misura cautelare personale, nella fase successiva alla esecuzione della ordinanza cautelare (in tal modo precludendo l'ascolto delle medesime conversazioni e la possibilita' di fare eseguire la trasposizione delle registrazioni su nastro magnetico fmo al momento del deposito del materiale intercettivo di cui ai commi 4 e 5 dell'art. 268 c.p.p.). Manda alla cancelleria per la comunicazione della presente ordinanza al p.m, per la notificazione all'indagato, al suo difensore, al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Presidenti delle due Camere del Parlamento, oltre a quanto previsto dalla legge. Ordina trasmettersi gli atti alla Corte costituzionale in Roma. Sospende il procedimento. Catanzaro, addi' 22 dicembre 2005 Il giudice: Mellace 06C1133