N. 452 SENTENZA 13 - 28 dicembre 2006

Giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.

Conflitto  di  attribuzione  tra  poteri  dello  Stato  - Ricorso del
  Tribunale  di  Venezia  nei  confronti  della Camera dei deputati -
  Eccepita  inammissibilita'  del  conflitto per mancata attestazione
  della   conformita'  all'originale  della  copia  notificata  della
  ordinanza   della   Corte  costituzionale,  di  ammissibilita'  del
  conflitto - Reiezione.
- Deliberazione  della Camera dei deputati dell'11 gennaio 2000 (doc.
  IV-quater, n. 96).
Conflitto  di  attribuzione  tra  poteri  dello  Stato  - Ricorso del
  Tribunale  di  Venezia  nei  confronti  della Camera dei deputati -
  Eccepita inammissibilita' del conflitto per mancata identificazione
  dell'organo giudiziario ricorrente - Reiezione.
- Deliberazione  della Camera dei deputati dell'11 gennaio 2000 (doc.
  IV-quater, n. 96).
Conflitto  di  attribuzione  tra  poteri  dello  Stato  - Ricorso del
  Tribunale  di  Venezia  nei  confronti  della Camera dei deputati -
  Eccepita  inammissibilita'  del  conflitto  per incertezza circa la
  natura  dell'atto  introduttivo  -  Sussistenza  dei  requisiti  di
  sostanza per un valido ricorso - Reiezione.
- Deliberazione  della Camera dei deputati dell'11 gennaio 2000 (doc.
  IV-quater, n. 96).
Conflitto  di  attribuzione  tra  poteri  dello  Stato  - Ricorso del
  Tribunale  di  Venezia  nei  confronti  della Camera dei deputati -
  Eccepita  inammissibilita'  del conflitto per omessa indicazione di
  uno specifico petitum e della pretesa fatta valere - Reiezione.
- Deliberazione  della Camera dei deputati dell'11 gennaio 2000 (doc.
  IV-quater, n. 96).
Conflitto  di  attribuzione  tra  poteri  dello  Stato  - Ricorso del
  Tribunale  di  Venezia  nei  confronti  della Camera dei deputati -
  Eccepita   inammissibilita'   del   conflitto   per   insufficiente
  descrizione   delle   opinioni   del   parlamentare,   oggetto  del
  procedimento  penale  a  suo carico per vilipendio alla bandiera, e
  per omessa indicazione delle ragioni del conflitto - Reiezione.
- Deliberazione  della Camera dei deputati dell'11 gennaio 2000 (doc.
  IV-quater, n. 96).
Conflitto  di  attribuzione  tra  poteri  dello  Stato  - Ricorso del
  Tribunale  di  Venezia  nei  confronti  della Camera dei deputati -
  Eccepita   sopravvenuta  inammissibilita'  o  improcedibilita'  del
  conflitto   a   seguito   della  sostituzione  della  norma  penale
  concernente  il  delitto di vilipendio alla bandiera, contestato al
  parlamentare,  con  conseguente necessita' di nuova valutazione, da
  parte  dell'autorita' giudiziaria, della sussistenza dell'interesse
  al ricorso - Reiezione.
- Deliberazione  della Camera dei deputati dell'11 gennaio 2000 (doc.
  IV-quater, n. 96).
Conflitto  di  attribuzione  tra  poteri  dello  Stato  - Ricorso del
  Tribunale di Venezia nei confronti della Camera dei deputati - Atto
  introduttivo   -   Ordinanza   anziche'   ricorso  -  Eccezione  di
  irricevibilita' - Sussistenza dei requisiti di sostanza del ricorso
  - Lamentata violazione del principio della «parita' delle armi» per
  la  mancata  produzione  del  prescritto  numero di copie dell'atto
  introduttivo  -  Insussistenza  di  pregiudizi per la controparte -
  Reiezione dell'eccezione.
- Deliberazione  della Camera dei deputati dell'11 gennaio 2000 (doc.
  IV-quater, n. 96).
- Norme  integrative per i giudizi dinanzi alla Corte costituzionale,
  art. 6.
Parlamento - Immunita' parlamentari - Procedimento penale a carico di
  un  parlamentare  per  il  reato  di vilipendio alla bandiera ed ai
  colori nazionali - Deliberazione di insindacabilita' da parte della
  Camera  dei  deputati  -  Conflitto  di  attribuzione  proposto dal
  Tribunale  di  Venezia  -  Esclusione  del  nesso funzionale tra le
  dichiarazioni    e   la   funzione   parlamentare   -   Irrilevanza
  dell'attivita'  di  altri  parlamentari  appartenenti  al  medesimo
  gruppo  -  Non  spettanza  alla  Camera dei deputati della potesta'
  contestata - Annullamento della delibera di insindacabilita'.
- Deliberazione  della Camera dei deputati dell'11 gennaio 2000 (doc.
  IV-quater, n. 96).
- Costituzione, art. 68, primo comma.
(GU n.1 del 3-1-2007 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Franco BILE;
  Giudici:  Giovanni  Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,
Romano   VACCARELLA,  Paolo  MADDALENA,  Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso
QUARANTA,  Franco  GALLO,  Luigi  MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino
CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  per  conflitto  di  attribuzione sorto a seguito della
deliberazione  dell'11 gennaio  2000  (Doc.  IV-quater,  n. 96) della
Camera   dei   deputati   relativa  alla  insindacabilita'  ai  sensi
dell'articolo 68,  primo  comma,  della  Costituzione, delle opinioni
espresse  dall'onorevole  Umberto  Bossi  imputato in un procedimento
penale  per  reato  di vilipendio alla bandiera, promosso con ricorso
del  Tribunale di Venezia, notificato il 6 agosto 2003, depositato in
cancelleria  il  25 agosto  2003  ed  iscritto  al n. 32 del registro
conflitti 2003, fase di merito.
    Visto l'atto di costituzione della Camera dei deputati;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  21 novembre  2006  il giudice
relatore Ugo De Siervo;
    Udito l'avvocato Massimo Luciani per la Camera dei deputati.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con  ordinanza  del  2 marzo  2002,  pervenuta  alla Corte
costituzionale il 2 luglio 2002, il Tribunale di Venezia, nell'ambito
del procedimento penale instaurato nei confronti del deputato Umberto
Bossi,  in  relazione  al reato di cui agli artt. 81, secondo comma e
292,  primo  e terzo comma, del codice penale, ha sollevato conflitto
di  attribuzione  tra  i  poteri  dello  Stato  avverso  la delibera,
adottata  in  data  11 gennaio  2000,  (Doc. IV-quater, n. 96) con la
quale la Camera dei deputati ha dichiarato che i fatti per i quali e'
in  corso  il  suddetto  procedimento  penale  costituiscono opinioni
espresse  dal  deputato  nell'esercizio  delle  sue  funzioni a norma
dell'art. 68, primo comma, della Costituzione.
    In  punto  di  fatto, il Tribunale riferisce che e' contestato al
deputato  Bossi il reato di vilipendio alla bandiera, perche', mentre
si  trovava  a  Venezia  il 14 settembre 1997, avrebbe rivolto ad una
persona,  che  teneva  esposta alla finestra la bandiera italiana, la
seguente   frase:   «Il   tricolore  lo  metta  al  cesso,  signora»,
aggiungendo  inoltre:  «Ho  ordinato  un  camion  di  carta  igienica
tricolore  personalmente, visto che e' un magistrato che dice che non
posso  avere la carta igienica tricolore». Il ricorrente rileva come,
con  deliberazione in data 11 gennaio 2000, la Camera dei deputati ha
affermato  che  le  suddette  dichiarazioni devono ritenersi espresse
nell'esercizio  delle  funzioni parlamentari, dal momento che esse si
inquadrerebbero nell'ambito dell'azione politica contro l'unitarieta'
dello  Stato  e  contro  i  simboli  che lo rappresentano, svolta dal
deputato Bossi e dal partito di cui egli e' segretario nazionale.
    Ad  avviso del Tribunale ricorrente, tale delibera sarebbe lesiva
delle   attribuzioni   costituzionali   dell'autorita'   giudiziaria,
risultando   manifesta  l'estraneita'  della  condotta  del  suddetto
deputato  all'esercizio  delle  funzioni  parlamentari.  Da  cio'  la
richiesta  che  la  Corte  dichiari  la non spettanza alla Camera dei
deputati  della  valutazione  contenuta nella delibera impugnata e il
suo  «annullamento,  se  del  caso,  per  incompetenza  e dichiarando
conseguentemente   il   potere  dello  Stato  al  quale  spettano  le
attribuzioni  in  contestazione». Al riguardo, il ricorrente sostiene
che   la   deliberazione   della   Camera  esorbiterebbe  dall'ambito
dell'art. 68  Cost.  e  violerebbe gli artt. 101, secondo comma, 102,
primo  comma  -  titolarita'  della funzione giurisdizionale da parte
della   magistratura  -,  3  -  per  disparita'  di  trattamento  tra
parlamentare  e  cittadino  -  e 24, primo comma, della Costituzione,
«per   impossibilita'   della  parte  lesa  di  fruire  della  tutela
giurisdizionale».
    Per  il  ricorrente,  le  dichiarazioni  rese  al  di  fuori  del
Parlamento da un membro delle Camere sarebbero coperte dalla garanzia
di  cui  all'art. 68,  primo  comma, Cost., ove siano sostanzialmente
riproduttive  di  opinioni  espresse  in  sede  parlamentare,  mentre
esulerebbero   dall'ambito  di  detta  prerogativa  le  opinioni  che
presentino  una semplice comunanza di argomento con quanto dichiarato
in  sede parlamentare, come si sarebbe verificato nel caso di specie,
poiche'   le   dichiarazioni   del   deputato  Bossi  non  potrebbero
considerarsi  riproduttive  all'esterno  di  sue  dichiarazioni rese,
mediante  atti  tipici  della  funzione parlamentare, all'interno del
Parlamento.  Infine,  secondo il Tribunale, le espressioni utilizzate
dal  deputato  Bossi avrebbero valenza «oggettivamente ingiuriosa» e,
pertanto, non potrebbero ritenersi «consentite e giustificate».
    2.  -  Il conflitto e' stato dichiarato ammissibile con ordinanza
di questa Corte n. 272 del 2003, depositata il 22 luglio 2003.
    3.   -  Il  Tribunale  di  Venezia  ha  provveduto  a  notificare
l'ordinanza  ed  il  ricorso introduttivo alla Camera dei deputati il
6 agosto 2003, e ha poi depositato tali atti in data 25 agosto 2003.
    4.  -  Si  e'  costituita  in giudizio, con memoria depositata il
22 agosto  2003, la Camera dei deputati, eccependo l'inammissibilita'
del  ricorso,  in  subordine  la  sua  irricevibilita' e, nel merito,
l'infondatezza  dello  stesso,  con  conseguente riconoscimento della
spettanza  alla  Camera  del  potere di dichiarare l'insindacabilita'
delle opinioni espresse dal deputato Bossi.
    5.   -   La  difesa  della  Camera,  dopo  essersi  riservata  di
identificare  compiutamente  tutte  le ragioni di irricevibilita', di
inammissibilita'  e  di improcedibilita' dello stesso «solo dopo aver
esaminato   gli  atti  e  i  documenti  depositati  dal  ricorrente»,
eccepisce  innanzitutto  l'inammissibilita'  del  conflitto per vizio
della notificazione.
    Le  copie  dell'ordinanza  con  cui  la  Corte  costituzionale ha
dichiarato ammissibile il conflitto e dell'ordinanza del Tribunale di
Venezia  con  cui  il  medesimo  e'  stato sollevato, notificate alla
Camera  dei  deputati, non recherebbero l'attestazione di conformita'
all'originale   da   parte  della  Cancelleria  della  Corte,  bensi'
«un'irrituale  attestazione di conformita' da parte della Cancelleria
dello   stesso  ricorrente».  Tale  circostanza  comprometterebbe  la
certezza  legale  sulla  effettiva  conformita' degli atti notificati
agli  originali,  con conseguente «radicale vizio» nell'instaurazione
del  contraddittorio, che non sarebbe sanato dalla costituzione della
resistente.
    Altra   ragione  di  inammissibilita'  sarebbe  costituita  dalla
impossibilita'   di  identificare  il  ricorrente,  dal  momento  che
l'ordinanza  con  cui e' stato sollevato il conflitto non conterrebbe
alcuna  indicazione  dell'ufficio  giudiziario  di  provenienza.  Non
sarebbe  sufficiente la specificazione del luogo in cui e' stata resa
la  pronuncia,  ne' l'individuazione della persona fisica del giudice
che  l'ha  sottoscritta,  mancando  l'indicazione  delle funzioni del
medesimo   e  l'ufficio  di  appartenenza.  Ne'  tale  individuazione
potrebbe  avvenire  attraverso i timbri apposti sull'atto (che recano
la  dicitura  «Tribunale  di  Venezia»). A tale mancanza non potrebbe
supplire  neppure  l'informazione contenuta nell'ordinanza n. 272 del
2003 con cui la Corte ha dichiarato ammissibile il conflitto.
    Il ricorso sarebbe, comunque, inammissibile a causa dell'assoluta
incertezza  nella  qualificazione  dell'atto  introduttivo, definito,
dallo stesso Tribunale, ora come «ordinanza» che contiene il ricorso,
ora come ricorso.
    In  ogni  caso,  l'atto  in  parola sarebbe privo dei contenuti e
della   sostanza   del  ricorso.  In  particolare,  mancherebbe  «uno
specifico   petitum»,  poiche'  l'autorita'  giudiziaria  si  sarebbe
limitata   a   ordinare   la   trasmissione  degli  atti  alla  Corte
costituzionale,   senza   espressamente   chiedere  di  annullare  la
deliberazione di insindacabilita'.
    Inoltre, poiche' il Tribunale chiede alla Corte di dichiarare che
non  spetta  alla Camera di effettuare la valutazione contenuta nella
deliberazione  impugnata e di annullare «se del caso» detta delibera,
esso  avrebbe  rimesso alla Corte la valutazione dell'opportunita' di
tale  annullamento, non assolvendo l'onere gravante sul ricorrente di
esprimere inequivocabilmente la pretesa che intende far valere.
    Ancora,   secondo  la  resistente,  l'atto  introduttivo  sarebbe
inammissibile,   in   quanto  non  conterrebbe  ne'  una  sufficiente
descrizione  delle  opinioni  espresse  extra  moenia  dal  deputato,
tant'e'  che il ricorrente rinvierebbe, a tal fine, ad atti allegati,
ne' «alcuna indicazione delle "ragioni del conflitto"».
    La  difesa  della  Camera  dei deputati aggiunge che le anzidette
cause   di  inammissibilita'  del  conflitto  non  potrebbero  essere
superate  nemmeno  facendo  leva  su  un  criterio «sostanzialistico»
nell'esame  dell'atto introduttivo; criterio, che - secondo la difesa
della  resistente  -  sarebbe  stato  seguito  da  questa Corte nella
sentenza n. 421 del 2002.
    6.  -  In  subordine,  la resistente ritiene che il ricorso debba
essere  dichiarato  irricevibile.  Al  riguardo,  pur ricordando come
questa   Corte  abbia  «con  numerose,  recenti  pronunce»  rigettato
analoghe  eccezioni,  insiste  nel proporre l'eccezione relativa alla
infungibilita'  del  ricorso  e  dell'ordinanza,  sottolineando  come
l'utilizzazione   della   forma   dell'ordinanza   comporterebbe   la
violazione  del  principio  della parita' delle armi tra le parti del
giudizio.  In particolare, la difesa della resistente rileva come, in
tal  modo, l'autorita' giudiziaria eluderebbe il disposto dell'art. 6
delle    norme   integrative   per   giudizi   davanti   alla   Corte
costituzionale, il quale, al comma 1, obbliga la parte a depositare i
propri  documenti in tante copie quanti sono i componenti della Corte
e  le  parti  e,  al  comma 2,  prevede  che il cancelliere non possa
ricevere  gli  atti  e  i  documenti  che  non  siano  corredati  del
necessario numero di copie.
    7.  - In ulteriore subordine, la difesa della Camera dei deputati
sostiene che, nel merito, il ricorso debba essere rigettato.
    Al  riguardo,  la  resistente  ricorda  come  la «questione della
bandiera  italiana  sia stata oggetto di ripetuta attenzione da parte
dei  parlamentari della Lega Nord, che hanno costantemente avversato,
anche  con  durezza,  le  norme  sulla  sua  esposizione  e sulla sua
celebrazione». A conferma di cio', viene riportato il contenuto delle
dichiarazioni  rese,  nel  corso  dei  lavori parlamentari, da alcuni
senatori leghisti. Ad avviso della difesa della Camera, inoltre, «gli
aspri  toni  usati  dall'on.  Bossi»  erano  gia'  rinvenibili  negli
emendamenti  presentati  da  taluni  parlamentari della Lega Nord sia
alla  Camera  che  al  Senato  «in  ordine  a  quella che sarebbe poi
divenuta la legge n. 22 del 1998», «significativi della disistima nei
confronti della bandiera nazionale».
    Attraverso  tali  atti tipici della funzione parlamentare sarebbe
stata,  dunque,  manifestata la stessa opinione espressa extra moenia
dal  deputato  Bossi. Inoltre, la difesa della Camera sottolinea come
la  questione  della  bandiera  sia  connessa  inestricabilmente  con
l'iniziativa  parlamentare  della  Lega Nord per l'indipendenza della
Padania,  estrinsecatasi  nella  presentazione  di alcune proposte di
legge nonche' in interrogazioni parlamentari.
    Ai fini della esclusione della garanzia di cui all'art. 68 Cost.,
sarebbe   ininfluente  la  circostanza  che  gli  autori  degli  atti
parlamentari   tipici   non   coinciderebbero   con   l'autore  delle
dichiarazioni    extra    moenia,    dal   momento   che   la   ratio
dell'insindacabilita'  risiederebbe  nell'esigenza  di  garantire  la
funzione  parlamentare  contro le interferenze di un altro potere, e,
dunque,  di  tutelare  le  istituzioni  rappresentative  e non i loro
membri, con la conseguenza che la «paternita» delle dichiarazioni non
avrebbe alcuna rilevanza ai fini della sussistenza della garanzia.
    Le  dichiarazioni  rese  dal  deputato Bossi sarebbero, pertanto,
assistite  dalla  prerogativa  dell'insindacabilita', dal momento che
riprodurrebbero  all'esterno  opinioni gia' rese in atti tipici della
funzione.  Il  fatto  che esse siano state manifestate extra anziche'
intra  moenia  sarebbe  «meramente  accidentale»,  dal momento che il
discrimine  tra  cio'  che  deve  e cio' che non puo' essere tutelato
andrebbe ravvisato «nella oggettiva connessione delle opinioni con il
"complessivo  contesto  parlamentare",  e  cioe'  con i contenuti (di
volta in volta modificantisi) della "politica parlamentare"».
    Al   riguardo,   la   difesa  della  Camera  aggiunge  di  essere
consapevole che questa Corte, con le sentenze n. 10 e n. 11 del 2000,
e'  pervenuta  a  soluzioni diverse da quelle prospettate; nondimeno,
«si  auspica  che  l'indirizzo  giurisprudenziale  piu'  recente  sia
oggetto [...] di un ripensamento».
    Infine,  la  Camera  contesta l'affermazione, contenuta nell'atto
introduttivo  del conflitto, secondo cui le espressioni impiegate dal
deputato  Bossi  costituirebbero meri insulti. Si fa notare come, nel
caso  di  specie, non si tratti di insulti, bensi', «tutt'al piu», di
vilipendio.   Inoltre,   secondo  la  resistente,  la  giurisprudenza
costituzionale  citata  dalla  Corte  di appello (sentenza n. 137 del
2001)    non    conterrebbe   «affermazioni   drastiche   in   ordine
all'esclusione delle espressioni insultanti dal novero delle opinioni
guarentigiate dall'art. 68, primo comma, della Costituzione».
    8.  - In prossimita' dell'udienza pubblica la difesa della Camera
dei  deputati  ha  depositato  una  memoria,  nella  quale  ribadisce
puntualmente  tutte  le  eccezioni  di inammissibilita' del conflitto
gia' sollevate nell'atto di costituzione in giudizio.
    La  difesa  della  Camera  eccepisce,  inoltre, che l'emanazione,
nelle  more  del  procedimento,  della  legge 24 febbraio 2006, n. 85
(Modifiche  al codice penale in materia di reati di opinione), che ha
sostituito  l'art. 292  cod.  pen.,  renderebbe  necessaria una nuova
valutazione,  da  parte dell'autorita' giudiziaria, della sussistenza
dell'interesse  al  ricorso. In particolare, la legge richiamata, nel
richiedere  che  il  vilipendio avvenga «con espressioni ingiuriose»,
imporrebbe  al  Tribunale  di  procedere ad una «nuova qualificazione
della  fattispecie  concreta  in  ragione  della  mutata  fattispecie
astratta».   Pertanto   il  ricorso  sarebbe  «inammissibile,  ovvero
improcedibile  per  sopravvenuto  difetto dell'apprezzamento (e della
motivazione) dell'interesse a ricorrere».
    Quanto  al merito, la resistente da' atto che questa Corte, nella
sentenza  n. 249  del 2006 avente ad oggetto una fattispecie analoga,
ha  affermato  che  l'uso  del  turpiloquio  non puo' essere ritenuto
esercizio  delle  funzioni  parlamentari,  e tuttavia contesta che la
Corte, nel giudizio per conflitto di attribuzione, possa esaminare il
merito  delle  opinioni  espresse da un parlamentare, «attesa la nota
irrilevanza  dell'offensivita'  delle  opinioni  manifestate» ai fini
dell'applicazione della prerogativa dell'art. 68, primo comma, Cost.
    Contesta,   inoltre,  l'affermazione,  contenuta  nella  medesima
pronuncia, dell'irrilevanza degli atti compiuti da altri parlamentari
(ed anche appartenenti al medesimo gruppo parlamentare) ai fini della
configurabilita' del nesso funzionale.

                       Considerato in diritto

    1.   -   Il  Tribunale  di  Venezia  ha  sollevato  conflitto  di
attribuzione tra i poteri dello Stato in relazione alla deliberazione
adottata  dalla Camera dei deputati nella seduta dell'11 gennaio 2000
(Doc.  IV-quater,  n. 96), mediante la quale l'Assemblea ha approvato
la  proposta  della  Giunta  per  le  autorizzazioni  a  procedere di
dichiarare che i fatti per i quali e' in corso il procedimento penale
a  carico  del  deputato  Umberto  Bossi, imputato del reato previsto
dagli  artt. 81,  secondo comma e 292 primo e terzo comma, del codice
penale  concernono  opinioni espresse da un componente del Parlamento
nell'esercizio  delle  sue  funzioni,  ai  sensi  dell'art. 68, primo
comma, della Costituzione.
    2. - Preliminarmente, deve essere confermata l'ammissibilita' del
conflitto,  come  gia'  ritenuto da questa Corte con ordinanza n. 272
del 2003.
    Infondate,  infatti, sono le molteplici eccezioni sollevate dalla
difesa della Camera.
    Anzitutto,  viene  eccepita  l'inammissibilita'  del  conflitto a
causa   di   un   asserito   vizio   della  notificazione.  Le  copie
dell'ordinanza  con  cui  questa  Corte  ha dichiarato ammissibile il
conflitto  e  dell'ordinanza del Tribunale di Venezia con cui esso e'
stato   sollevato,   notificate   alla   Camera   dei  deputati,  non
recherebbero  l'attestazione  di  conformita'  all'originale da parte
della  Cancelleria  della Corte, bensi' «un'irrituale attestazione di
conformita' da parte della Cancelleria dello stesso ricorrente».
    Effettivamente,  la copia dell'ordinanza n. 272 del 2003, con cui
la  Corte  ha  dichiarato  ammissibile  il conflitto, notificata alla
Camera  dei deputati, risulta priva della attestazione di conformita'
all'originale   ad  opera  della  Cancelleria  della  Corte.  Nessuna
rilevanza,  pertanto,  puo' riconoscersi alla attestazione effettuata
dalla  Cancelleria del Tribunale di Venezia circa la conformita' alla
decisione  della  Corte delle copie di questa da essa notificate, non
disponendo tale ufficio dell'originale dell'ordinanza.
    Peraltro,  la  certezza in ordine alla corrispondenza della copia
notificata  all'originale non risulta pregiudicata da tale omissione,
ben potendo essere agevolmente conseguita attraverso il confronto con
il  testo  della  decisione di questa Corte pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale,  tanto  piu'  che  tale  pubblicazione e' avvenuta in data
30 luglio  2003,  e  cioe'  anteriormente  alla notifica da parte del
Tribunale  di  Venezia  dell'ordinanza  alla  Camera,  effettuata  il
6 agosto 2003.
    Di  conseguenza  non puo' configurarsi alcuna lesione del diritto
di difesa, ne' la stessa parte resistente ha lamentato alcun concreto
pregiudizio.
    La   difesa   della   Camera   dei  deputati  ha,  poi,  eccepito
l'inammissibilita'  del  conflitto  a  causa  della impossibilita' di
identificare  il  ricorrente,  dal momento che l'ordinanza con cui e'
stato  sollevato il conflitto non conterrebbe sufficienti indicazioni
dell'ufficio   giudiziario  di  provenienza,  posto  che  mancherebbe
l'indicazione  delle  funzioni  del  giudice  che l'ha sottoscritta e
l'ufficio di appartenenza.
    Anche tale eccezione deve essere respinta. Al contrario di quanto
asserito  dalla  resistente,  infatti,  l'ordinanza  con cui e' stato
proposto  il  conflitto  non  solo  specifica il luogo in cui essa e'
stata  pronunciata  e  individua personalmente il magistrato che l'ha
emessa,  ma  contiene  su ciascuna pagina dell'atto, nonche' in calce
allo   stesso,  timbri  che  recano  espressa  menzione  dell'ufficio
ricorrente  (Tribunale  di  Venezia). Pertanto, l'omessa intestazione
dell'ordinanza non preclude l'identificazione del giudice ricorrente,
la quale emerge con sufficiente certezza dal contesto dell'atto.
    La  difesa  della  Camera dei deputati eccepisce, inoltre, che il
ricorso   sarebbe   comunque   inammissibile  a  causa  dell'assoluta
incertezza  nella qualificazione dell'atto introduttivo, definito dal
ricorrente  ora  come  «ordinanza»  che contiene il ricorso, ora come
«ricorso».
    Questa  Corte,  peraltro,  ha  piu' volte affermato l'irrilevanza
della  forma  dell'atto  introduttivo,  allorche' esso, al di la' del
nomen  iuris, comunque possieda i requisiti di sostanza necessari per
un  valido  ricorso  (si  vedano, ex plurimis, le sentenze n. 314 del
2006, n. 193 del 2005 e n. 298 del 2004).
    Del  pari  infondate  sono le eccezioni della resistente relative
alla asserita mancanza, nell'atto introduttivo del conflitto, di «uno
specifico   petitum»   e   al  mancato  assolvimento,  da  parte  del
ricorrente,  dell'onere di esprimere inequivocabilmente la pretesa da
far  valere, avendo il Tribunale rimesso alla Corte la valutazione di
opportunita' dell'annullamento dell'atto impugnato.
    La  consolidata  giurisprudenza  di  questa Corte afferma che, ai
fini   della   corretta  formulazione  del  petitum,  e'  sufficiente
«qualsiasi  espressione  idonea a palesare, in modo univoco e chiaro,
la  volonta' del ricorrente di richiedere la decisione della Corte su
un  determinato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato» (si
vedano,  ex  plurimis,  le sentenze n. 249 del 2006; n. 164, n. 146 e
n. 28  del  2005).  Nel  caso  del presente giudizio, il Tribunale di
Venezia  giustifica  la  proposizione  del  conflitto,  in quanto «la
Camera  avrebbe  sostanzialmente  esorbitato  dai limiti di esercizio
della  potesta'  parlamentare  prevista  dall'art. 68,  primo  comma,
Cost.»  e  chiede  alla  Corte  «una  pronuncia  che  dichiari la non
spettanza  alla Camera dei deputati della valutazione contenuta nella
delibera   impugnata   dell'11 gennaio   2000,  con  conseguente  suo
annullamento,   se   del   caso,   per   incompetenza  e  dichiarando
conseguentemente   il   potere  dello  Stato  al  quale  spettano  le
attribuzioni  contestate». La volonta' del ricorrente, dunque, appare
manifestata in modo inequivoco, avendo egli espressamente richiesto a
questa  Corte  la  dichiarazione  di  «non spettanza» alla Camera del
potere   in  contestazione,  nonche'  l'annullamento  della  delibera
parlamentare.
    La  difesa della Camera eccepisce, ancora, l'inammissibilita' del
presente  conflitto  in  ragione  della  asserita  mancanza nell'atto
introduttivo  di  una sufficiente descrizione delle opinioni espresse
extra  moenia  dal deputato, tant'e' che il ricorrente rinvierebbe, a
tal  fine,  ad  atti  allegati  all'ordinanza  che,  in  realta', non
sarebbero  mai  stati  depositati.  Inoltre,  l'atto  non conterrebbe
«alcuna indicazione delle "ragioni del conflitto"».
    Al contrario, la descrizione delle opinioni espresse extra moenia
dal  deputato  appare sufficiente alla loro compiuta identificazione,
dal  momento  che il loro contenuto e' stato testualmente riprodotto.
Riferisce,  infatti,  il  Tribunale  che  la  condotta contestata nel
capo di imputazione concerne le dichiarazioni che il deputato, mentre
si  trovava  a  Venezia  il 14 settembre 1997, avrebbe rivolto ad una
persona,  che  teneva  esposta  alla  finestra  la bandiera italiana,
pronunciando  la  seguente  frase:  «Il  tricolore lo metta al cesso,
signora»,  e  aggiungendo  inoltre:  «Ho  ordinato un camion di carta
igienica tricolore personalmente, visto che e' un magistrato che dice
che non posso avere la carta igienica tricolore».
    E' dunque irrilevante, ai fini dell'ammissibilita' del conflitto,
che  il Tribunale, nell'atto introduttivo, abbia fatto riferimento ad
atti allegati, successivamente non depositati.
    Al tempo stesso, non vi e' dubbio che il ricorrente abbia esposto
anche  le  ragioni  di  diritto del conflitto: il Tribunale, infatti,
dopo aver richiamato la giurisprudenza di questa Corte in materia, ha
ampiamente     contestato     la    valutazione    dei    presupposti
dell'insindacabilita' operata dalla Camera, affermando in particolare
che    la   deliberazione   contestata   «esorbiterebbe   dall'ambito
dell'art. 68, primo comma, Cost., con conseguente violazione (art. 26
legge  11 marzo  1953,  n. 87)  degli  artt. 101, secondo comma, 102,
primo  comma  -  titolarita'  della funzione giurisdizionale da parte
della   magistratura   -  3  -  per  disparita'  di  trattamento  tra
parlamentare e cittadino -, e 24, primo comma, Cost. - impossibilita'
per la parte lesa di fruire della tutela giurisdizionale - ».
    Del  pari  infondata  e'  l'eccezione  sollevata dalla resistente
nella  memoria  depositata  in  prossimita'  dell'udienza, secondo la
quale  il  ricorso  sarebbe  comunque divenuto «inammissibile, ovvero
improcedibile  per  sopravvenuto  difetto dell'apprezzamento (e della
motivazione)  dell'interesse  a ricorrere», a causa dell'approvazione
della  legge  24 febbraio  2006, n. 85 (Modifiche al codice penale in
materia  di  reati  di  opinione),  che ha - tra l'altro - sostituito
l'art. 292  cod.  pen.  Ad  avviso  della  resistente,  si renderebbe
necessaria   una   nuova   valutazione,   da   parte   dell'autorita'
giudiziaria, della sussistenza dell'interesse al ricorso, nonche', in
relazione  alla  nuova  previsione  legislativa,  che  il  vilipendio
avvenga  «con  espressioni  ingiuriose», che si proceda ad una «nuova
qualificazione  della  fattispecie  concreta  in ragione della mutata
fattispecie astratta».
    Le  modifiche apportate alla figura di reato appaiono irrilevanti
ai  fini  della  perdurante sussistenza dell'interesse al ricorso per
conflitto  di  attribuzione.  D'altra  parte, la valutazione circa la
riconducibilita' della condotta del soggetto agente nell'ambito della
fattispecie  incriminatrice  e'  possibile  solo in quanto il giudice
possa   valutare   le   dichiarazioni  effettuate  dal  parlamentare,
possibilita'  che  la deliberazione della Camera - che riconduce tali
affermazioni nell'ambito dell'art. 68, primo comma, Cost. - preclude.
    3.  -  La difesa della Camera ha eccepito anche l'irricevibilita'
dell'atto  introduttivo,  dal  momento che esso rivestirebbe la forma
dell'ordinanza;  cio' comporterebbe la violazione del principio della
parita'  delle  armi tra le parti del giudizio: in tal modo, infatti,
l'autorita'  giudiziaria  eluderebbe  il  disposto  dell'art. 6 delle
norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, il
quale obbliga la parte a depositare i propri documenti in tante copie
quanti sono i componenti della Corte e le parti, prevedendo anche che
il  cancelliere  non  possa  ricevere  gli atti e i documenti che non
siano corredati del necessario numero di copie.
    L'eccezione e' infondata.
    La  giurisprudenza di questa Corte - come in precedenza ricordato
-  non  solo  ha piu' volte affermato che non ha rilievo il fatto che
l'atto  introduttivo  abbia,  anziche'  la  forma  del ricorso quella
dell'ordinanza,  ove essa abbia i requisiti sostanziali necessari per
un  valido  ricorso,  ma  anche che, di conseguenza, cio' non implica
l'inosservanza  delle  prescrizioni  di  cui  all'art. 6  delle norme
integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. Inoltre,
il  principio di «parita' delle armi», la cui violazione e' lamentata
a causa dell'adozione della forma dell'ordinanza, «e' certamente male
invocato   quando   si  sostiene  che  la  difesa  della  Camera,  se
ricorrente,  si  sobbarca  all'onere  di  produrre numerose copie del
ricorso  laddove  l'autorita'  giudiziaria,  quando e' ricorrente, si
sottrae  a tale «difficolta' materiale». La par condicio non ha nulla
a  che  vedere  con  una fattispecie che richiederebbe, nell'auspicio
della  difesa  della  Camera,  una  applicazione (non tanto rigorosa,
quanto)  rigidamente  letterale  dell'art. 6  citato  da  parte della
Cancelleria della Corte nel sanzionare una irregolarita' formale, pur
non idonea a pregiudicare in qualsiasi modo la controparte» (sentenza
n. 193  del  2005;  di  recente  si  veda pure la sentenza n. 249 del
2006).
    4. - Nel merito il ricorso e' fondato.
    Le  espressioni  in questione sono state pronunciate dal deputato
mentre  si  recava  a tenere un comizio, rivolgendosi ad un cittadino
che  aveva esposto alla finestra della propria abitazione la bandiera
italiana. Esse non trovano alcuna corrispondenza sostanziale con atti
parlamentari  svolti  dal  medesimo  deputato, come evidenziato dalla
stessa  difesa  della  Camera,  che  richiama solo atti ed iniziative
parlamentari  posti in essere da altri deputati della Lega Nord (ed a
nessuno  dei  quali  risulta  aver  preso  parte  di  persona in sede
parlamentare il deputato Bossi), relativamente all'uso della bandiera
della Repubblica.
    Peraltro,  ai fini della riconducibilita' delle dichiarazioni per
cui  pende  il  procedimento  penale  nell'ambito dell'art. 68, primo
comma,  Cost.,  appaiono  irrilevanti  le  attivita'  svolte da altri
parlamentari,  sia  pure appartenenti al medesimo gruppo, come questa
Corte  ha  anche di recente ribadito in una pronuncia relativa ad una
fattispecie   del   tutto  analoga  a  quella  oggetto  del  presente
conflitto.  In particolare, questa Corte ha affermato che la verifica
del nesso funzionale tra dichiarazioni rese extra moenia ed attivita'
tipicamente  parlamentari,  nonche'  il  controllo  sulla sostanziale
corrispondenza  tra  le  prime e le seconde, devono essere effettuati
con  riferimento  alla  stessa  persona, mentre «sono irrilevanti gli
atti  di altri parlamentari», poiche', se «e' vero che le guarentigie
previste  dall'art. 68  Cost.  sono  poste a tutela delle istituzioni
parlamentari  nel  loro  complesso  e  non  si risolvono in privilegi
personali  dei  deputati  e  dei senatori», tuttavia da cio' non puo'
trarsi  la  conseguenza  che  «esista  una  tale  fungibilita'  tra i
parlamentari   iscritti   allo  stesso  gruppo  da  produrre  effetti
giuridici  sostanziali  nel campo della loro responsabilita' civile e
penale  per le opinioni espresse al di fuori delle Camere: l'art. 68,
primo  comma,  Cost.  non  configura una sorta di insindacabilita' di
gruppo,  per cui un atto o intervento parlamentare di un appartenente
ad  un gruppo fornirebbe copertura costituzionale per tutti gli altri
iscritti  al gruppo medesimo» (sentenza n. 249 del 2006; nello stesso
senso,  si  vedano  anche  le  sentenze  n. 146 del 2005 e n. 347 del
2004).
    In  altre  parole,  l'insindacabilita'  di  cui  al  primo  comma
dell'art. 68   Cost.   e'   finalizzata   a  garantire  l'istituzione
parlamentare,  ma si riferisce all'attivita' svolta personalmente dai
singoli parlamentari.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  che non spettava alla Camera dei deputati affermare che
le  dichiarazioni  rese  dal  deputato  Umberto  Bossi,  oggetto  del
procedimento  penale  davanti  al Tribunale di Venezia, costituiscono
opinioni  espresse  da  un membro del Parlamento nell'esercizio delle
sue funzioni, ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione;
    Annulla,  di  conseguenza,  la  deliberazione di insindacabilita'
adottata  dalla Camera dei deputati nella seduta dell'11 gennaio 2000
(Doc. IV-quater, n. 96).
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 2006.
                         Il Presidente: Bile
                       Il redattore: De Siervo
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 28 dicembre 2006.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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