N. 607 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 marzo 2006
Ordinanza emessa il 29 marzo 2006 (pervenuta alla Corte costituzionale il 22 novembre 2006) dalla Corte di appello di Roma nel procedimento penale a carico di Lacatus Aurel Processo penale - Appello - Modifiche normative - Possibilita' per il pubblico ministero di proporre appello contro le sentenze di proscioglimento - Preclusione - Inammissibilita' dell'appello proposto prima dell'entrata in vigore della novella - Contrasto con il principio di ragionevolezza - Violazione del principio di parita' delle parti. - Codice di procedura penale (nuovo), art. 593, sostituito dall'art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46; legge 20 febbraio 2006, n. 46, art. 10. - Costituzione, artt. 3 e 111, comma secondo.(GU n.2 del 10-1-2007 )
LA CORTE DI APPELLO Ha pronunciato la seguente ordinanza. Nel processo n. 7425/05 a carico di Lacatus Aurel, appellante il p.g. avverso la sentenza di assoluzione perche' il fatto non costituisce reato emessa dal Tribunale di Roma del 18 giugno 2005; Preso atto dell'eccezione d'incostituzionalita', proposta dal procuratore generale, dell'art. 593 c.p.p. cosi' come novellato dalla legge n. 46/2006 e dell'art. 10, comma secondo, predetta novella, per contrasto con gli art. 24, 111, 112 della Costituzione, nella parte in cui esclude l'appello del p.m. contro le sentenze di proscioglimento; Sentita la difesa dell'appellato che si e' rimessa alle decisioni della Corte; O s s e r v a Ai sensi del dettato del combinato disposto dagli artt. 1 e 10 della legge 20 febbraio 2006, n. 46, andrebbe dichiarata l'inammissibilita' dell'appello proposto dal p.g. avverso l'assoluzione in primo grado dell'imputato. Questa corte ritiene peraltro che la suindicata normativa sia sospetta di incostituzionalita' perche' contrastante col dettato degli artt. 111, secondo comma, e 3 della Costituzione. Quanto all'art. 111, secondo comma, Costituzione, il contrasto e' apprezzabile sotto un duplice profilo: da un lato in quanto la nuova normativa viene a violare il principio della parita' delle parti nel contraddittorio, sancito dalla prima parte del secondo comma, e d'altro lato in quanto viene a contrastare con l'altro principio della ragionevole durata del processo, fissato nella seconda parte del predetto comma. Non e' in questione la facolta' del legislatore di «salvaguardare», sotto il profilo appunto dell'intangibilita' del giudizio in fatto, la pronuncia assolutoria emessa dal giudice di prime cure (non essendo prevista dalla nostra Carta costituzionale l'obbligatorieta' del «doppio grado di giurisdizione»), ma appare contrastare coi principi del giusto processo (che implicano che tutte le parti possano portare avanti la loro azione con eguali mezzi) la formulazione dell'art. 593 c.p.p. novellato, che inibendo sia al p.m. che all'imputato di proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento, se viene ad incidere solo su elementi marginali e comunque non essenziali dell'azione difensiva (nei limiti nei quali l'imputato non puo' appellare avverso sentenze di prescrizione o di assoluzione nel merito con formule diverse dal fatto non sussiste o non aver commesso il fatto) condiziona invece l'esercizio dell'attivita' principale dell'organo di accusa pubblica laddove lo stesso non solo, al pari dell'imputato, non puo' piu' appellare avverso le sentenze di prescrizione o di assoluzione con formula diversa da quella da lui sollecitata, ma altresi' e' impossibilitato ad ottenere un nuovo giudizio di fatto avverso l'assoluzione nel merito, giudizio di fatto invece riconosciuto dalla difesa nell'ipotesi speculare di condanna dell'imputato. Questa Corte non condivide la tesi, sostenuta da parte della dottrina, secondo la quale il dettato del secondo comma dell'art. 111 della Carta costituzionale farebbe riferimento solo al processo di primo grado, assicurando la parita' delle parti nella formazione, in contraddittorio della prova; e cio' non soltanto in quanto anche nel giudizio d'appello e' possibile la formazione della prova, nei casi di rinnovo, totale o parziale, dell'istruzione dibattimentale, ma anche poiche' il dettato del secondo comma dell'art. 111 non autorizza siffatta interpretazione «riduttiva»; da un lato, infatti, il cennato comma parla di «ogni processo» e non soltanto del dibattimento di primo grado e d'altro lato la parita' del contraddittorio implica, concettualmente, anche la possibilita' di poter impugnare con eguali mezzi (appunto contraddicendole) le decisioni sfavorevoli alla propria parte e favorevoli all'altra. E se puo' senz'altro condividersi la tesi dottrinale secondo la quale la facolta' d'appello da parte del p.m. non costituisce esercizio dell'azione penale e, quindi, non e', in se stessa attinente al principio costituzionale dell'obbligatorieta' dell'azione penale, non puo' neanche affermarsi che, al contrario, il riconoscimento alla «sola» difesa della possibilita' di appellare pronunzie nel merito a lei sfavorevoli sia un corollario del diritto di difesa sancito dall'art. 24 della Costituzione, poiche', per quanto esposto in precedenza, la nostra Carta costituzionale non garantisce il doppio grado di giurisdizione. E' si' vero che sono compatibili con l'ordinamento costituzionale come sostenuto in pregresse pronunce della Corte costituzionale (antecedenti comunque la novella costituzionale sul «giusto processo») talune limitazioni dei poteri d'impugnazione del p.m., quali si rinvengono, in particolare, nella disciplina del rito abbreviato, ma, a parte il rilievo che detta disciplina, nella sua formulazione precedente alla novella n. 46/2006, non intaccava comunque il fondamentale potere del p.m. di appellare avverso le sentenze di proscioglimento, va osservato che siffatte limitazioni trovano una giustificazione razionale nell'esigenza di compensare, con una riduzione dei poteri d'impugnazione, il vantaggio che in detto rito alla parte pubblica derivava dalla piena utilizzabilita' degli atti d'indagine; giustificazione razionale che appare arduo individuare nel divieto generalizzato per il p.m., quale che sia il rito adottato, di appellare le sentenze di proscioglimento nel merito. Ne' alla prospettata violazione della parita' delle parti, quale sancita dall'art. 111, secondo comma, Costituzione, puo' porre rimedio la facolta', riconosciuta al p.m. dal secondo comma dell'art. 593 c.p.p. novellato, di proporre appello nelle ipotesi ex art. 603, comma 2, se la nuova prova e' decisiva; infatti, anche a prescindere da ulteriori sospetti di costituzionalita' che potrebbero muoversi, in via subordinata a tale previsione, (laddove insostanza ancora la durata dei «tempi» in cui ricercare la nuova prova all'arbitrio del giudice di primo grado nella fissazione dei termini di deposito della sentenza di primo grado e nel rispetto di essi) e' agevole replicare che trattasi di ipotesi marginale che non intacca, nella sostanza, la possibilita' del p.m. di ottenere, al pari della difesa, una nuova valutazione in fatto su una pronuncia nel merito. Sotto altro profilo l'abolizione dell'appellabilita' delle sentenze di proscioglimento nel merito da parte del p.m., lungi dal favorire la durata ragionevole del processo, ne determina un abnorme allungamento dei tempi di svolgimento in contrasto col principio costituzionale; e' di tutta evidenza, infatti, che nel diritto previgente, ove la doglianza del p.m. fosse fondata potevano essere sufficienti tre gradi di giudizio per definire il processo (sentenza d'assoluzione in primo grado, sentenza di condanna, su appello del p.m., in secondo grado, rigetto da parte della Cassazione del ricorso dell'imputato avverso la sentenza d'appello), mentre col nuovo sistema normativo saranno necessari non meno di cinque gradi di giudizio (sentenza d'assoluzione in primo grado, annullamento da parte della Cassazione sul ricorso del p.m. con rinvio al primo grado, sentenza di condanna del giudice di rinvio, conferma condanna da parte del giudice di secondo grado su appello dell'imputato, definitivo rigetto della Cassazione del ricorso proposto dall'appellante). Quanto, infine, all'art. 3 della Costituzione, appaiono contrastare col principio di ragionevolezza tutelato da detta norma sia la possibilita' ancora riconosciuta al p.m. di appellare la sentenza di condanna (che implica l'assurdo - cfr. raffronto anche con la normativa dell'art. 443 c.p.p. anche novellato - che il p.m., a fronte a esempio, di una imputazione di omicidio, possa proporre appello se l'imputato sia condannato per eccesso colposo in legittima difesa ma non possa appellare se la stessa persona sia, invece, assolta per legittima difesa) sia un'evidente discrasia apprezzabile con riferimento alla problematica dell'appellabilita' delle sentenze di proscioglimento da parte della parte civile; infatti, sempre che non si ritenga che la nuova normativa, sia pure per un errore di tecnica legislativa, non abbia precluso in radice la possibilita' della parte civile di appellare le sentenze di primo grado, sia di condanna che di proscioglimento, la violazione del principio di ragionevolezza appare comunque configurarsi nella subordinazione della possibilita' del p.m. di ottenere un nuovo giudizio in fatto avverso la sentenza di proscioglimento alla presenza e all'iniziativa, nel processo, della parte civile, dato che ai sensi dell'art. 580 c.c.p., ove la parte civile proponga appello, il ricorso in cassazione del p.m., si tramuta automaticamente in appello, con l'incongruenza che, laddove la parte pubblica e' «sola» a sostenere l'accusa, non puo' ottenere un nuovo giudizio in fatto, che puo', invece, conseguire ove sia affiancata dalla accusa privata. Alla luce delle suesposte considerazioni ritiene questa Corte non manifestamente infondata, e rilevante ai fini del presente processo, la questione di costituzionalita' del combinato disposto dagli artt. 1 e 10, legge 20 febbraio 2006, n. 46, nella parte in cui precludono al p.m. la possibilita' di appellare nel merito le sentenze di proscioglimento e, nell'ipotesi di processi d'appello gia' pendenti impongono alla Corte di appello di dichiarare l'inammissibilita' del predetto gravame.
P. Q. M. Solleva questione di costituzionalita' degli artt. 1 e 10, legge 20 febbraio 2006, n. 46, nella parte in cui inibiscono al p.m. di proporre appello avverso sentenze di proscioglimento nel merito e impongono alla Corte di appello di dichiarare l'inammissibilita' degli appelli del p.m. gia' pendenti e, per l'effetto, sospende il presente processo a carico di Lacatus Aurei sino alla decisione della Corte costituzionale cui ordina trasmettersi gli atti. Dispone altresi' notificarsi la presente ordinanza alla Presidenza del Consiglio dei ministri e la sua comunicazione ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Roma, addi' 29 novembre 2005 Il Presidente estensore: Roselli 07C0006