N. 615 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 maggio 2006

Ordinanza   emessa   il   20   maggio   2006  (pervenuta  alla  Corte
costituzionale  il  24  novembre  2006)  dal tribunale di Perugia nel
procedimento penale a carico di Maloli Balig ed altro

Reati  e  pene  -  Circostanze  del  reato  - Concorso di circostanze
  aggravanti  e  attenuanti - Divieto di prevalenza della circostanza
  attenuante  di cui all'art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309/1990 (in
  materia di traffico e detenzione illeciti di stupefacenti) nel caso
  di  imputato  recidivo  - Violazione del principio di uguaglianza -
  Lesione del principio della funzione rieducativa della pena.
- Codice  penale,  art. 69, comma quarto, come modificato dall'art. 3
  della legge 5 dicembre 2005, n. 251.
- Costituzione, artt. 3 e 27, comma terzo.
(GU n.3 del 17-1-2007 )
                            IL TRIBUNALE

    Letti  gli  atti  del procedimento n. 10268/06 a carico di Maloli
Balig,  nato  in Marocco il 2 novembre 1976 + alias, e di Huaci Kais,
nato in Tunisia il 5 febbraio 1977 + alias, imputati del reato di cui
all'art. 73/primo  comma  d.P.R.  n. 309/1990,  per  aver in concorso
detenuto  e  ceduto  ad  un  soggetto  non identificato un involucro,
all'uopo  estratto  dalla  bocca da uno dei predetti, simile ad altri
ritagli  di  cellophane  poi  abbandonati  dai  medesimi e contenente
sostanza  stupefacente  che nel capo di imputazione si indica di tipo
non precisamente individuato;
    Atteso  che  all'imputato  Huaci  Kais  e'  stata  contestata  la
recidiva  reiterata  specifica  di cui all'art. 99/quarto comma c.p.,
cio' in relazione alle risultanze dell'accertamento AFIS che ha posto
in  luce i nomi utilizzati nel tempo dal predetto e le condanne dallo
stesso sotto altro nome riportate;
    Considerato  che  gli  imputati  hanno chiesto la definizione del
processo  con  giudizio  abbreviato  condizionato all'acquisizione di
tabulati  di  telefonate  in  entrata  e  in  uscita  dai  rispettivi
cellulari;
    Considerato  che  la  documentazione  e' stata acquisita e che il
processo puo' essere definito sulla base degli atti raccolti;
    Atteso  che,  valutate  le  modalita'  del fatto, la quantita' di
stupefacente  detenuta  e/o ceduta, pari ad un involucro ceduto ad un
ordinario  acquirente  su strada (essendo il fatto commesso in data 6
marzo   2006  e  dunque  dopo  le  modifiche  apportate  dalla  legge
n. 49/2006  il  trattamento  sanzionatorio  non e' diverso per i vari
tipi  di droga) e la concreta offensivita' della condotta, risulta in
atto  applicabile l'attenuante di cui all'art. 73/quinto comma d.P.R.
n. 309/1990,   che  prevede  una  pena  oscillante  da  anni  uno  di
reclusione  ed  euro  3.000,00  di multa ad anni sei di reclusione ed
euro  26.000,00  di multa in luogo della pena edittale oscillante tra
un  minimo  di anni sei di reclusione ed euro 26.000,00 di multa e un
massimo di anni venti di reclusione ed euro 260.000,00 di multa;
    Considerato  che  ai  sensi  dell'art. 69/quarto comma c.p., come
modificato  dall'art. 3  legge  n. 251/2005,  essendo  ravvisabile la
recidiva  reiterata,  l'attenuante  potrebbe  al piu' essere reputata
equivalente,  con la conseguenza che per il fatto dovrebbe in sede di
condanna  irrogarsi una pena minima di anni sei di reclusione ed euro
26.000,00  di multa, da ridursi solo di un terzo per la diminuente di
cui all'art. 442 c.p.p.;
    Considerato  che  il riformulato art. 69/quarto comma c.p. sembra
porsi in contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost.,

                        Osserva quanto segue

    1.  -  Il  legislatore  dispone  di  ampia discrezionalita' nella
determinazione  delle  pene,  mentre  il  giudice  deve  a  sua volta
procedere  alla  determinazione  della  pena  da irrogare in concreto
entro   i   limiti   stabiliti   e   nell'esercizio  della  sfera  di
discrezionalita' riservatagli.
    Ma tanto il legislatore quanto il giudice non possono prescindere
dalla  considerazione  delle  finalita'  della  pena, in primis della
necessaria  destinazione  della sanzione penale alla rieducazione del
condannato.
    Ed  invero, a coronamento di una lenta evoluzione interpretativa,
la  Corte  costituzionale ha rilevato nella sentenza n. 313/1990 che,
se  la  pena  non puo' non avere un contenuto afflittivo e se ad essa
ineriscono  caratteri  di  difesa  sociale e di prevenzione generale,
tuttavia   non   puo'   in  alcun  modo  pregiudicarsi  la  finalita'
rieducativa  espressamente consacrata dall'art. 27/terzo comma Cost.,
non essendo consentito strumentalizzare l'individuo per fini generali
di  politica  criminale  o  privilegiare  la soddisfazione di bisogni
collettivi di stabilita' e sicurezza.
    Secondo   la   Corte   costituzionale  in  pratica  la  finalita'
rieducativa non e' estranea alla legittimazione e alla funzione della
pena.
    La circostanza che, secondo il tenore della norma costituzionale,
la  pena debba tendere alla rieducazione sta ad indicare una qualita'
essenziale di essa nel suo contenuto ontologico, a partire dalla fase
della  previsione  fino  a  quella  della  sua  estinzione, dovendosi
correlare   al  verbo  «tendere»  la  concreta  possibilita'  di  una
divaricazione  tra  la finalita' e l'adesione ad essa del soggetto da
rieducare.
    In  pratica,  tutto  cio'  implica  che  la finalita' rieducativa
rilevi  non  solo  nella  fase  dell'esecuzione,  come  affermato  in
precedenti  e  anche  remote  sentenze della Corte costituzionale (si
consideri  ad  es.  la  sentenza n. 12/1966), ma piu' in generale, in
quanto  connaturata  alla  pena,  in ogni fase, compresa quella della
previsione  e  della  sua  irrogazione,  dovendosi  ritenere  che  il
precetto  dell'art. 27/terzo  comma  Cost. vincoli sia il legislatore
sia   il  giudice  della  cognizione,  prima  che  il  giudice  della
sorveglianza.
    Del   resto   sul   piano   della   disciplina  positiva  si  era
concretamente  stabilito  che  la  finalita'  risocializzante dovesse
essere tenuta presente dal giudice gia' in sede di sostituzione della
pena detentiva agli effetti degli artt. 53 e segg. legge n. 689/1981,
segno  evidente  di una diretta influenza, per cosi' dire ontologica,
della rieducazione e della risocializzazione.
    2.  -  Va  a  questo  punto  aggiunto  che,  pronunciandosi sulla
questione,  in  parte  diversa,  della legittimita' costituzionale di
pene  fisse,  la  Corte  costituzionale  ha piu' volte rilevato (cfr.
sentenze  n. 50/1980  e  n. 299/1992) che l'individualizzazione della
pena,  in  modo  da  tenere  conto  dell'effettiva  entita'  e  delle
specifiche   esigenze   dei  singoli  casi,  si  pone  come  naturale
attuazione  e  sviluppo  dei  principi costituzionali tanto di ordine
generale  (principio  di  uguaglianza)  quanto attinenti direttamente
alla  materia penale, tanto piu' che lo stesso principio di legalita'
della pena ex art. 25/secondo comma Cost. si inserisce in un sistema,
in  cui  si esige la differenziazione piu' che l'uniformita'. In tale
quadro,  si e' osservato che ha un ruolo centrale la discrezionalita'
giudiziale, nell'ambito dei criteri segnati dalla legge.
    L'adeguamento  della  pena  ai  casi concreti contribuisce cosi',
secondo   la  Corte  costituzionale,  a  rendere  il  piu'  possibile
personale  la  responsabilita'  penale, in ossequio a quanto previsto
dall'art. 27/primo  comma Cost., e ad assicurare una pena quanto piu'
possibile  finalizzata,  nella  prospettiva  dell'art. 27/terzo comma
Cost.
    Il  soddisfacimento  di  tali  presupposti  e  di  tali finalita'
costituisce  anche uno strumento per l'attuazione dell'uguaglianza di
fronte  alla  pena,  intesa come proporzione della pena rispetto alle
personali   responsabilita'  e  alle  esigenze  di  risposta  che  ne
conseguono.
    La  sentenza  n. 299/1992 aggiunge anche che l'individuazione del
disvalore  oggettivo dei fatti-reato tipici e quindi del loro diverso
grado di offensivita' spetta al legislatore, competendo al giudice di
valutare  la particolarita' del caso singolo onde individualizzare la
pena, stabilendo quella adeguata al caso concreto nella cornice posta
dai limiti edittali.
    3. - Orbene, pur dovendosi riconoscere che, anche nel caso in cui
sia  preclusa,  come  ora  previsto  per  i  recidivi  reiterati  dal
riformulato art. 69/quarto comma c.p., la formulazione di un giudizio
di  prevalenza  delle attenuanti sulle aggravanti, permane un residuo
margine  di  graduabilita'  della  pena, deve pur sempre esigersi che
tale  graduabilita' sia idonea ad assicurare la finalita' rieducativa
e  nel  contempo  sia  connotata  da razionalita' e proporzionalita',
intesi  quali  parametri  per  il  soddisfacimento  del  principio di
uguaglianza.
    Cosi',  venendo  al  caso  in  cui per valutazioni afferenti alla
concreta offensivita' del reato di cui all'art. 73/primo comma d.P.R.
n. 309/1990,  quest'ultimo  possa considerarsi come di lieve entita',
pare  incongruo  precludere  con  riguardo  al  recidivo reiterato la
formulazione  di  un giudizio di prevalenza dell'attenuante di cui al
comma 5 di quella norma, giacche' in tal modo, sulla base di una mera
presunzione,  svincolata  dall'apprezzamento  del  fatto  concreto  e
dall'effettiva personalita' del reo, il quale potrebbe essere gravato
da  precedenti  di  natura,  consistenza  e  indole  non omogenee, si
imporrebbe    l'irrogazione    di    un   trattamento   sanzionatorio
corrispondente  a  quello che il legislatore ha, com'e' sua facolta',
determinato invece in rapporto al disvalore-oggettivo del reato nella
sua dimensione ordinaria.
    In  questo  caso  l'impossibilita'  di  modulare la pena entro il
minimo   e   il   massimo   previsto   per  il  caso  di  concessione
dell'attenuante  di  cui  all'art. 73/quinto comma d.P.R. n. 309/1990
sembra  produrre  un risultato irrazionale, comportante una rilevante
disparita'  di  trattamento,  non  essendo giustificabile la siderale
distanza  intercorrente  tra l'irrogazione di una pena minima di anni
uno  di reclusione e multa e quella di una pena minima di anni sei di
reclusione e multa, solo per il rito ridotta ad anni quattro e multa,
derivante dalla formulazione, al piu', di un giudizio di equivalenza.
    Inoltre  poiche'  puo'  tendere ad una finalita' rieducativa solo
una   pena   che   sia  intrinsecamente  avvertibile  come  giusta  e
proporzionata  e  che  tenga  conto delle molteplici peculiarita' del
caso concreto, il limite alla formulazione del giudizio di prevalenza
appare  in  contrasto,  oltre  che  con  l'art. 3  Cost.,  anche  con
l'art. 27/terzo comma Cost.
    In   conclusione   si  appalesa  nella  specie  rilevante  e  non
manifestamente  infondata,  per  contrasto con gli artt. 3 e 27/terzo
comma    Cost.,   la   questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 69/quarto  comma  c.p.,  come  modificato dall'art. 3 legge
n. 251/2005, nella parte in cui non consente di formulare un giudizio
di  prevalenza dell'attenuante di cui all'art. 73/quinto comma d.P.R.
n. 309/1990,  nel  caso  di imputato recidivo ex art. 99/quarto comma
c.p.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23, legge n. 87/1953,
    Dichiara  rilevante  e non manifestamente infondata per contrasto
con  gli  artt. 3 e 27/terzo comma Cost. la questione di legittimita'
costituzionale   dell'art. 69/quarto   comma  c.p.,  come  modificato
dall'art. 3  legge  n. 251/2006,  nella  parte in cui non consente di
formulare   un   giudizio   di   prevalenza  dell'attenuante  di  cui
all'art. 73/quinto  comma  d.P.R.  n. 309/1990,  nel caso di imputato
recidivo ex art. 99/quarto comma c.p.
    Sospende  il  processo  e  ordina la trasmissione degli atti alla
Corte costituzionale.
    Dispone  che  l'ordinanza, di cui e' data lettura in udienza alle
parti,  sia  notificata  al  Presidente  del Consiglio dei ministri e
comunicata ai Presidenti della Camera e del Senato della Repubblica.
        Perugia, addi' 20 maggio 2006
                       Il giudice: Ricciarelli
07C0015