N. 857 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 marzo 2007
Ordinanza del 13 marzo 2007 emessa dal Tribunale di Siracusa - Sezione distaccata di Augusta nel procedimento penale a carico di Metthsinna Arahhige Jerad Fansis Fernando ed altro Processo penale - Istruzione dibattimentale - Dichiarazioni alle quali il difensore aveva il diritto di assistere assunte dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria su delega - Inutilizzabilita' nei confronti di altri senza il loro consenso, salvo che ricorrano i presupposti di cui all'art. 500, comma 4, cod. proc. pen. - Mancata previsione - Lesione del diritto di difesa - Violazione del principio del contraddittorio nella formazione della prova. - Codice di procedura penale, art. 503, comma 5. - Costituzione, artt. 24, comma secondo, e 111, comma quarto. Processo penale - Istruzione dibattimentale - Dichiarazioni rese a norma degli artt. 294, 299, comma 3-ter, 391 e 422 cod. proc. pen. - Inutilizzabilita' nei confronti di altri senza il loro consenso, salvo che ricorrano i presupposti di cui all'art. 500, comma 4, cod. proc. pen. - Mancata previsione - Lesione del diritto di difesa - Violazione del principio del contraddittorio nella formazione della prova. - Codice di procedura penale, art. 503, comma 6. - Costituzione, artt. 24, comma secondo, e 111, comma quarto.(GU n.5 del 30-1-2008 )
IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale nel processo penale a carico di Metthsinna Arahhige Jerad + 1 (art. 1, legge cost. 9 febbraio 1948, n. 1 e 23, legge 11 marzo 1953, n. 87). Premesso Nel presente processo penale Metthsinna Arahhige Jerad Fansis Fernando e Liyauruga Nelson Santha sono imputati del reato previsto e punito dagli art. 110 c.p. e 12, commi 1 e 3, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, perche', in concorso tra loro, e con Ratnawira Patabandiga Jayawan (per il quale si e' proceduto separatamente), quali membri dell'equipaggio che ha condotto fino alle coste italiane la motobarca denominata «Janaki», compivano attivita' dirette a favorire l'ingresso clandestino nel territorio dello Stato di n. 118 persone di nazionalita' srilankese, passeggeri della suddetta imbarcazione. All'udienza del 5 luglio 2005, su richiesta del pubblico ministero, sono stati acquisiti il verbale di interrogatorio reso dall'imputato Metthsinna Arahhige Jerad all'udienza di convalida dell'arresto davanti al G.i.p. presso il Tribunale di Siracusa in data 25 febbraio 2002, il verbale di interrogatorio reso dall'imputato Metthsinna Arahhige Jerad alla Procura della Repubblica di Siracusa in data 22 febbraio 2002 ed il verbale di interrogatorio delegato reso dall'imputato Metthsinna Arahhige Jerad alla Squadra Mobile della Questura di Catania in data 6 marzo 2002 ai sensi dell'art. 503, comma 5, c.p.p. in quanto utilizzati per le contestazioni e difformi dalle dichiarazioni rese dall'imputato Metthsinna Arahhige Jerad nel corso dell'esame dibattimentale. La difesa si e' opposta. All'odierna udienza, dichiarati utilizzabili ai fini della decisione gli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento, ad esito della istruzione dibattimentale, le parti formulavano le rispettive conclusioni cosi' come in epigrafe riportate ed il giudice, dopo essersi ritirato in camera di consiglio per decidere, pronunciava la presente ordinanza. Osserva L'imputato Metthsinna Arahhige Jerad, esaminato all'udienza del 5 luglio 2005 e con l'assistenza di un interprete all'udienza del 30 giugno 2006, ha fornito una versione dei fatti diversa da quella offerta in sede di interrogatorio davanti al g.i.p., al p.m. e alla p.g. delegata. Ha invero negato la sua responsabilita' ed ha dichiarato che il coimputato Liyauruga Nelson Santha lo aveva aiutato a portare la barca, precisando che era stato lui a chiedere aiuto a Liyauruga Nelson Santha perche' era stanco. Sentito in sede di interrogatorio di garanzia davanti al G.i.p. presso il Tribunale di Siracusa in data 25 febbraio 2002, l'imputato Metthsinna Arahhige Jerad aveva, invece, ammesso i fatti che gli venivano contestati ed aveva riconosciuto Liyauruga Nelson Santha come concorrente nel reato. Sentito in sede di interrogatorio davanti al p.m., l'imputato Metthsinna aveva riconosciuto nella fotografia n. 6 la persona di nome Santha che lo aveva aiutato nella conduzione dell'imbarcazione. Sentito in sede di interrogatorio delegato dalla Squadra Mobile della Questura di Catania in data 6 marzo 2002, l'imputato Metthsinna Arahhige Jerad aveva, poi, precisato che il comando dell'imbarcazione gli era stato affidato dal suo connazionale e amico d'infanzia Lalith, il quale gli aveva promesso la somma di 11 lex equivalenti a circa 20.000 euro, di cui gli aveva dato come anticipo un lex e gli aveva detto che sulla barca avrebbe trovato due persone di nome Santha e Jayawan che lo avrebbero collaborato. In effetti al momento della partenza aveva trovato a bordo le persone indicate dal Lalith che lo avevano collaborato per tutta la durata del viaggio. Le dichiarazioni rese dall'imputato Metthsinna Arahhige Jerad in sede di interrogatorio davanti al g.i.p., davanti al p.m. e davanti alla Squadra Mobile della Questura di Catania sono, com'e' evidente, fortemente accusatorie nei confronti del coimputato Liyauruga Nelson Santha in quanto riscontrano l'ipotesi accusatoria che l'imputato Liyauruga Nelson Santha sia stato uno dei soggetti che sia stato scelto, fin dall'inizio, dagli organizzatori del viaggio per la conduzione dell'imbarcazione che trasportava cittadini extracomunitari nel territorio dello Stato italiano. Si pone, quindi, il problema della utilizzabilita' delle dichiarazioni rese dall'imputato Metthsinna Arahhige Jerad non solo, com'e' pacifico, nei confronti dello stesso, ma anche nei confronti del coimputato Liyauruga Nelson Santha, il cui difensore non aveva diritto di assistervi e non ha prestato il consenso all'utilizzazione delle stesse. Ritiene Ad avviso di questo giudice e' rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale del comma 5 dell'art. 503 c.p.p., nella parte in cui non prevede che le dichiarazioni alle quali il difensore aveva diritto di assistere assunte dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero non possono essere utilizzate nei confronti di altri senza il loro consenso, salvo che ricorrano i presupposti di cui all'art. 500, comma 4, c.p.p., per violazione degli artt. 24, secondo comma, e 111, comma quarto, Cost. Ad avviso di questo giudice e', inoltre, rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale del comma 6 dell'art. 503 c.p.p., nella parte in cui non prevede che le dichiarazioni alle quali il difensore aveva diritto di assistere rese a norma degli articoli 294, 299, comma 3-ter, 391 e 422 c.p.p. non possono essere utilizzate nei confronti di altri senza il loro consenso, salvo che ricorrano i presupposti di cui all'art. 500, comma 4, c.p.p., per violazione degli artt. 24, secondo comma, e 111, quarto comma, Cost. La rilevanza delle questioni nel giudizio a quo e' evidente: in base al diritto vivente, espresso dalla giurisprudenza della Corte di cassazione e dalla stessa Corte costituzionale, le precedenti dichiarazioni difformi rese dall'imputato davanti al p.m., davanti alla p.g. delegata e davanti al g.i.p. nella fase delle indagini preliminari e nell'udienza preliminare, in quanto utilizzate per le contestazioni ed acquisite al fascicolo per il dibattimento ai sensi dei commi 5 e 6 dell'art. 503 c.p.p., assumono piena efficacia probatoria al fine dell'accertamento dei fatti non solo nei confronti dell'imputato che le ha rese con la (possibilita' della) presenza del difensore, ma anche nei confronti dei coimputati il cui difensore non aveva diritto di assistervi e che non hanno prestato il consenso all'utilizzazione delle stesse (in termini, Cass. pen., sez. I, 12 luglio 2005, n. 34244, Vitelli e altri; Cass. pen., sez. III, 10 febbraio 2005, n. 9510, Micheletti V. ed altro; Cass. pen., sez. VI, 21 ottobre 1998 - 28 gennaio 1999, n. 1167, Maraffi C. e altri; Cass. pen., sez. I, 12 maggio 1999, n. 9539, Commisso ed altri; Cass. pen., sez. I, 7 maggio 1992, n. 6918, Meconi; Cass. pen., sez. VI, 1° luglio 1992, n. 9822, Pellegrino; Cass. pen., sez. I, 17 ottobre 1991, n. 12386, Roger; Corte cost. sentenza n. 255 del 18 maggio 1992). Pertanto nel giudizio a quo le dichiarazioni rese dall'imputato Metthsinna Arahhige Jerad in sede di interrogatorio davanti al g.i.p., davanti alla Procura di Siracusa e davanti alla Squadra Mobile della Questura di Catania sarebbero utilizzabili anche nei confronti del coimputato Liyauruga Nelson Santha, il cui difensore non aveva diritto di assistervi e che non ha prestato il consenso all'utilizzazione delle stesse. Ne consegue che il giudizio a quo non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione delle suddette questioni di legittimita' costituzionale. Le questioni di legittimita' costituzionale dei commi 5 e 6 dell'art. 503 c.p.p. non sono, poi, manifestamente infondate. Occorre premettere un breve excursus storico sulla disciplina normativa della formazione e valutazione della prova che dall'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale (approvato con d.P.R. 22 settembre 1988, n. 447) ha subito numerose modifiche ad opera della Corte costituzionale e del legislatore. Il nuovo codice di procedura penale, nella sua impostazione originaria, era ispirato ai principi della oralita' e della separazione della fase delle indagini preliminari da quella dibattimentale, assicurando in tal modo la formazione della prova nel contraddittorio tra le parti. Cosi', in tema di contestazioni nell'esame testimoniale, l'art. 500 c.p.p. dopo aver ribadito, al comma 1, i divieti di lettura e di allegazione, stabiliva, al comma 3, che le dichiarazioni precedentemente rese dal testimone e utilizzate per le contestazioni, anche se lette dalla parte, non potevano costituire prova dei fatti in esse affermati e potevano essere valutate dal giudice solo per stabilire la credibilita' della persona esaminata. In tema di esame dell'imputato (e delle altre parti private), l'art. 503 c.p.p., al comma 3, ripeteva i divieti di lettura e di allegazione e richiamava, al comma 4, quanto alla valutazione delle dichiarazioni precedentemente rese dalla parte esaminata e utilizzate per le contestazioni, la disposizione dell'art. 500, comma 3 c.p.p. In tema di prove documentali, l'art. 238 c.p.p. stabiliva, al comma 1, che «E' consentita l'acquisizione di verbali di prove di altro procedimento penale, se le parti vi consentono e si tratta di prove assunte nell'incidente probatorio o nel dibattimento ovvero di verbali di cui e' stata data lettura durante lo stesso»; prevedeva, al comma 4, che «I verbali di prova di cui non e' consentita l'acquisizione a norma dei commi precedenti possono essere utilizzati nel dibattimento ai fini delle contestazione previste dagli articoli 500 e 503». Al principio della formazione dibattimentale della prova faceva eccezione l'art. 513 c.p.p. che prevedeva la possibilita' di dare lettura, a richiesta di parte, dei verbali delle dichiarazioni rese al pubblico ministero o al giudice nel corso delle indagini preliminari o nell'udienza preliminare dall'imputato nonche', se non era possibile ottenere la presenza del dichiarante, dalle persone indicate nell'art. 210 c.p.p. Nella sua formulazione originaria, peraltro, il nuovo codice di procedura penale diversificava, quanto alla possibilita' di acquisizione, la disciplina delle dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari a seconda che fossero state rese dal testimone ovvero dall'imputato (e dalle altre parti private). In particolare, mentre l'art. 500 c.p.p. prevedeva, al comma 4, come unica limitata eccezione, l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento delle dichiarazioni assunte dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria nel corso delle perquisizioni ovvero sul luogo e nell'immediatezza del fatto (le c.d. res gestae, in relazione alle quali veniva formulata una presunzione di genuinita), se utilizzate per le contestazioni, l'art. 503 c.p.p., stabiliva, ai commi 5 e 6, l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento delle dichiarazioni assunte dal pubblico ministero e di quelle rese al giudice a norma degli artt. 294, 391 e 422 c.p.p. alle quali il difensore aveva diritto di assistere, se utilizzate per le contestazioni previste dal comma 3. La possibilita' di acquisizione delle dichiarazioni rese dall'imputato (e dalle altre parti private) al pubblico ministero ovvero al giudice trovava la sua ratio nelle modalita' di assunzione delle dichiarazioni, trattandosi di atti garantiti dalla presenza (o comunque dal diritto alla presenza) del difensore. L'impostazione rigorosamente accusatoria del nuovo codice di procedura penale - e con essa la diversita' di disciplina delle dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari a seconda che fossero state rese dal testimone ovvero dall'imputato (o dalle altre parti private) - veniva stravolta nell'anno 1992 quando la Corte costituzionale, prima, e il legislatore, poi, sacrificavano il principio del contraddittorio nella formazione della prova sull'altare della efficienza del processo, teorizzando addirittura il principio della non dispersione dei mezzi di prova. La Corte costituzionale, infatti, con sentenza 18 maggio - 13 giugno 1992, n. 255, dichiarava l'illegittimita', per contrasto con l'art. 3 Cost., del terzo e del quarto comma dell'art. 500 c.p.p., quest'ultimo nella parte in cui non prevedeva l'acquisizione nel fascicolo per il dibattimento, se erano state utilizzate per le contestazioni previste dai commi primo e secondo, delle dichiarazioni precedentemente rese dal testimone e contenute nel fascicolo del pubblico ministero. L'assimilazione della disciplina delle precedenti dichiarazioni difformi rese dal testimone alla disciplina delle precedenti dichiarazioni difformi rese dall'imputato (e dalle altre parti private) veniva, poi, in gran parte confermata dalla novella legislativa portata dal d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 1992, n. 356. L'art 7, d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 1992, n. 356, infatti, dopo aver inserito il comma 2-bis, modificava i commi 3 e 4 dell'art. 500, c.p.p. stabilendo che le dichiarazioni utilizzate per la contestazione potevano essere utilizzate dal giudice per stabilire la credibilita' della persona esaminata (comma 3) e che quando, a seguito della contestazione, sussisteva difformita' rispetto al contenuto della deposizione, le dichiarazioni utilizzate per la contestazione erano acquisite al fascicolo per il dibattimento ed erano valutate come prova dei fatti in esse affermati se sussistevano altri elementi di prova che ne confermavano l'attendibilita' (comma 4). L'art. 7, cit., inoltre, aggiungeva i commi 5 («le dichiarazioni acquisite a norma del comma 4 sono valutate come prova dei fatti in esse affermati quando, anche per le modalita' della deposizione o per altre circostanze emerse nel dibattimento, risulta che il testimone e' stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilita', affinche' non deponga o deponga il falso ovvero risultano altre situazioni che hanno compromesso la genuinita' dell'esame») e 6 («Le dichiarazioni assunte dal giudice a norma dell'art. 422 costituiscono prova dei fatti in esse affermati, se sono state utilizzate per le contestazioni previste dal presente articolo»). Si stabiliva, quindi, che le precedenti dichiarazioni difformi rese dal teste e utilizzate per le contestazioni avessero, in generale, una efficacia probatoria limitata (ossia unitamente ad altri elementi di prova) e che avessero, invece, una efficacia probatoria piena in presenza di determinate circostanze ovvero qualora erano state assunte dal giudice a norma dell'art. 422 c.p.p. (ossia all'udienza preliminare). L'art. 8, d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 1992, n. 356, modificava, inoltre, l'art. 503, comma 5, c.p.p. prevedendo espressamente tra le ipotesi di acquisizione nel fascicolo per il dibattimento anche quella delle dichiarazioni alle quali il difensore aveva diritto di assistere assunte dalla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero. La legge 7 agosto 1992, n. 356, sostituiva, inoltre, l'art. 238 c.p.p. eliminando la necessita' del consenso delle parti per l'acquisizione di verbali di prove di altro procedimento penale se si trattava di prove assunte nell'incidente probatorio e nel dibattimento (comma 1) nonche' prevedendo in mancanza di consenso la possibilita' di utilizzazione dei verbali a norma degli artt. 500 e 503 c.p.p. (comma 4), facendo salvo il diritto delle parti di ottenere a norma dell'art. 190 l'esame delle persone le cui dichiarazioni erano state acquisite a norma dei commi 1, 2 e 4 dell'art. 238 c.p.p. Il problema dei limiti alla utilizzabilita' delle precedenti dichiarazioni difformi tornava, pero', a porsi con riferimento alle dichiarazioni rese dall'imputato e dalle persone indicate nell'art. 210 c.p.p. nel corso delle indagini preliminari o nell'udienza preliminare. La Corte costituzionale, infatti, con sentenza 18 maggio - 3 giugno 1992, n. 254, aveva dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'originario comma 2 dell'art. 513 c.p.p. «nella parte in cui non prevedeva che il giudice, sentite le parti, disponesse la lettura delle dichiarazioni di cui al comma 1 del medesimo articolo rese dalle persone indicate nell'art. 210, qualora queste si avvalessero della facolta' di non rispondere». Con sentenza 20 - 24 febbraio 1995, n. 60, la Corte costituzionale aveva, poi, dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'originario comma 1 dell'art. 513 c.p.p. nella parte in cui non prevedeva che il giudice, ricorrendone le condizioni, disponesse che fosse data lettura dei verbali delle dichiarazioni dell'imputato assunte dalla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero. Il legislatore reagiva alle sentenze della Corte costituzionale e con la legge 7 agosto 1997, n. 267, modificava l'art. 513 c.p.p., stabilendo, al primo comma, che le dichiarazioni rese dall'imputato al pubblico ministero o alla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero o al giudice nel corso delle indagini preliminari o nell'udienza preliminare non potevano essere utilizzate nei confronti di altri senza il loro consenso e stabilendo, al secondo comma, che, qualora le persone indicate nell'art. 210 c.p.p. si avvalessero della facolta' di non rispondere, il giudice disponeva la lettura dei verbali contenenti le suddette dichiarazioni soltanto con l'accordo delle parti. La legge 7 agosto 1997, n. 267, modificava, inoltre, l'art. 238, c.p.p., inserendo il comma 2-bis con cui stabiliva che «nei casi previsti dal comma 1, le dichiarazioni rese dalle persone indicate nell'art. 210 sono utilizzabili soltanto nei confronti degli imputati i cui difensori hanno partecipato alla loro assunzione» e modificando, al comma 4, le parole «se le parti vi consentono» con «solo nei confronti dell'imputato che vi consenta». La Corte costituzionale veniva nuovamente chiamata ad occuparsi dell'art. 513, c.p.p., e con sentenza 26 ottobre - 2 novembre 1998, n. 361, dichiarava l'illegittimita' costituzionale dell'ultimo periodo del comma 2 dell'art. 513, c.p.p., nella parte in cui non prevedeva che, qualora il dichiarante rifiutava o comunque ometteva in tutto o in parte di rispondere su fatti concernenti la responsabilita' di altri gia' oggetto delle sue precedenti dichiarazioni, in mancanza dell'accordo delle parti alla lettura si applicava l'art. 500, commi 2-bis e 4, c.p.p. Il legislatore reagiva a quest'ultima sentenza della Corte costituzionale e con la legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, modificava l'art. 111 Cost. introducendo i principi del c.d. giusto processo e, con particolare riferimento al processo penale, il principio del contraddittorio nella formazione della prova. Il principio del contraddittorio nella formazione della prova nel processo penale e' ora, infatti, espressamente enunciato nella sua dimensione oggettiva, cioe' quale metodo di accertamento giudiziale dei fatti, nella prima parte del quarto comma dell'art. 111 Cost., mediante la formulazione «il processo penale e' regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova» ed e' richiamato anche nella sua dimensione soggettiva, cioe' quale diritto dell'imputato di confrontarsi con il suo accusatore, in particolare nel terzo comma del medesimo articolo 111 Cost. ove viene riconosciuta alla persona accusata la facolta', davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico «(in termini, Corte cost. 12 - 25 ottobre 2000, n. 440). Il principio trova, poi, una specifica puntualizzazione nella regola, dettata dalla seconda parte del quarto comma dell'art. 111 Cost., secondo cui «La colpevolezza dell'imputato non puo' essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si e' sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore». Contestualmente l'art. 111 Cost. prevede nel quinto comma che eccezionalmente, nei casi regolati dalla legge, «la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell'imputato o per accertata impossibilita' di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita». In attuazione della legge costituzionale di riforma dell'articolo 111 della Costituzione, veniva quindi emanata dal Parlamento la legge 1° marzo 2001, n. 63, che apportava modifiche al codice di procedura penale in materia di formazione e valutazione della prova. La legge 1° marzo 2001, n. 63, ha, anzitutto, ridotto l'area del diritto al silenzio dell'imputato in procedimento connesso o di reato collegato, modificando diverse disposizioni del codice di procedura penale tra cui, in particolare, il comma 3 dell'art. 64 c.p.p. e introducendo l'art. 197-bis, il quale stabilisce i casi in cui le persone imputate o giudicate in un procedimento connesso o per reato collegato a norma dell'art. 371, comma 2, lett. b), possono assumere l'ufficio di testimone c.d. assistito e precisamente quando nei loro confronti e' stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 c.p.p. ovvero, quando si tratti di imputato in procedimento connesso ai sensi dell'art. 12, comma 1, lett. e), o di un reato collegato a norma dell'art. 371, comma 2, lett. b), nel caso previsto dall'art. 64, comma 3, lett. c), c.p.p. La legge 1° marzo 2001, n. 63, ha, poi, modificato l'art. 210 del codice di procedura penale, non solo limitando, in generale, l'applicazione delle sue disposizioni all'esame delle persone imputate in un procedimento connesso a norma dell'art. 12, comma 1, lett. a), nei confronti delle quali si procede o si e' proceduto separatamente e che non possono assumere l'ufficio di testimone (non essendo state giudicate con sentenza divenuta irrevocabile) nonche' stabilendo l'applicazione delle disposizioni dell'art. 210 anche alle persone imputate in un procedimento connesso ai sensi dell'art. 12, comma 1, lett. c), o di un reato collegato a norma dell'art. 371, comma 2, lett. b), solo se le stesse non hanno reso in precedenza dichiarazioni concernenti la responsabilita' dell'imputato e prevedendo che a tali persone e' dato l'avvertimento previsto dall'art. 64, comma 3, lett. c), e che, se esse non si avvalgono della facolta' di non rispondere, assumono l'ufficio di testimone; ma soprattutto stabilendo che all'esame delle persone imputate in un procedimento connesso o per un reato collegato si applicano, tra le altre, le disposizioni previste dall'art. 500, c.p.p., e non piu' quelle previste dall'art. 503, c.p.p., in tal modo assimilando la posizione delle persone imputate in un procedimento connesso o di un reato collegato a quella del testimone. La legge 1° marzo 2001, n. 63, ha, poi, modificato l'art. 238 del codice di procedura penale, stabilendo, al comma 2-bis, che tra le dichiarazioni utilizzabili soltanto se il difensore ha partecipato all'assunzione della prova vi sono anche quelle rese dall'imputato (e non piu' solo quelle rese dalle persone indicate nell'articolo 210 c.p.p.) e precisando, al comma 4, che, in mancanza di partecipazione all'assunzione della prova o di consenso dell'imputato, i verbali delle dichiarazioni possono essere utilizzati solo per le contestazioni previste dagli articoli 500 e 503, c.p.p. La legge 1° marzo 2001, n. 63, ha, poi, modificato l'art. 500 del codice di procedura penale, diversificando nuovamente, quanto alla possibilita' di acquisizione, la disciplina delle dichiarazioni difformi rese nella fase delle indagini preliminari dal testimone rispetto a quelle rese dall'imputato. In particolare, ha nuovamente previsto che le dichiarazioni lette per le contestazioni possono essere valutate, di regola, ai soli fui della credibilita' del teste (comma 3) e ha previsto, come limitata eccezione, la possibilita' di acquisizione al fascicolo per il dibattimento delle dichiarazioni rese dal testimone e contenute nel fascicolo del pubblico ministero «quando, anche per le circostanze emerse nel dibattimento, vi sono elementi concreti per ritenere che il testimone e' stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilita', affinche' non deponga ovvero deponga il falso» (comma 4). La legge 1° marzo 2001, n. 63, ha, infine, modificato il comma 6 dell'art. 500, c.p.p., prevedendo che le dichiarazioni assunte dal giudice a norma dell'art. 422, se sono state utilizzate per le contestazioni, sono acquisite al fascicolo del dibattimento ma solo a richiesta di parte e, soprattutto, sono valutate ai fini della prova solo nei confronti delle parti che hanno partecipato alla loro assunzione. La legge 1° marzo 2001, n. 63, ha, infine, modificato l'art. 513 del codice di procedura penale, aggiungendo, alla fine del primo comma, le parole «salvo che ricorrano i presupposti di cui all'art. 500, comma 4». Alla fine di questo breve excursus puo', quindi, affermarsi che il quadro normativo in tema di formazione e valutazione della prova nel processo penale, a seguito della legge costituzionale n. 2 del 1999 e della legge 1° marzo 2001, n. 63, e' ora interamente informato al principio del contraddittorio nella formazione della prova sia nella sua dimensione oggettiva sia nella sua dimensione soggettiva. Da un lato e' stata nuovamente diversificata, quanto alla possibilita' di acquisizione, la disciplina delle precedenti dichiarazioni difformi rese nella fase delle indagini preliminari a seconda che siano state rese dal testimone (al quale e' ormai assimilata la posizione delle persone imputate in un procedimento connesso o di un reato collegato) ovvero dall'imputato ed e' stata, in sostanza, ripristinata l'impostazione originaria del codice; dall'altro, l'utilizzabilita' delle precedenti dichiarazioni difformi rese dall'imputato e delle dichiarazioni rese nel corso di altri processi penali e civili e' stata limitata all'imputato il cui difensore ha partecipato all'assunzione della prova o nei cui confronti fa stato la sentenza civile ovvero che vi consenta. In particolare, l'acquisizione dei verbali delle dichiarazioni rese dall'imputato al pubblico ministero o alla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero ovvero al giudice nel corso delle indagini preliminari o nell'udienza preliminare, prevista dall'art. 513 c.p.p., qualora l'imputato sia contumace o assente o rifiuti di sottoporsi all'esame, non costituisce una deroga al principio costituzionale del contraddittorio nella formazione della prova atteso che tali dichiarazioni, da un lato, sono state assunte alla presenza del difensore e quindi in contraddittorio tra le parti e, dall'altro, non possono essere utilizzate nei confronti di altri imputati senza il loro consenso salvo che ricorrano i presupposti di cui all'art. 500, comma 4, c.p.p. Parimenti la possibilita' di acquisizione dei verbali di prove di altro procedimento penale e civile, prevista dall'art. 238, se si tratta di prove assunte nell'incidente probatorio o nel dibattimento ovvero in un giudizio civile definito con sentenza passata in giudicato, non costituisce una deroga al principio costituzionale del contraddittorio nella formazione della prova atteso che i verbali delle dichiarazioni possono essere utilizzati contro l'imputato soltanto se il suo difensore ha partecipato all'assunzione della prova ovvero se l'imputato vi consenta. In entrambi i casi (artt. 513 e 238 c.p.p.), dunque, il principio del contraddittorio nella formazione della prova e' rispettato perche', da un lato, si tratta di atti garantiti dalla presenza (o comunque dalla possibilita' della presenza) del difensore dell'imputato alla loro assunzione (cio' che costituisce la ratio della utilizzazione degli atti nei confronti dell'imputato), dall'altro lato, e correlativamente, e' previsto che tali dichiarazioni non possono essere utilizzate nei confronti degli imputati il cui difensore non abbia potuto partecipare alla loro assunzione senza il loro consenso, salvo che ricorrano i presupposti di cui all'art. 500, comma 4, c.p.p. In altri termini, la ratio della possibilita' di acquisizione dei suddetti verbali di dichiarazioni, pur nella diversita' delle ipotesi, consiste in cio' che o si tratta di atti alla cui assunzione il difensore dell'imputato ha potuto partecipare e allora la prova si e' gia' formata nel contraddittorio delle parti (in conformita' al dettato del quarto comma dell'art. 111 Cost.) ovvero l'imputato ha prestato il suo consenso all'acquisizione dell'atto e allora la prova non si e' formata in contraddittorio tra le parti per consenso dell'imputato (in conformita' a quanto stabilito dal quinto comma dell'art. 111 Cost.). Una riprova della esattezza di questa lettura degli articoli 513 e 238 c.p.p. si trova nell'art. 500 c.p.p., che, al comma 6, prevede si' la possibilita' di acquisizione al fascicolo per il dibattimento delle dichiarazioni assunte dal giudice a norma dell'art. 422, e la loro valutazione ai fini della prova, se sono state utilizzate per le contestazioni, ma solo nei confronti delle parti che hanno partecipato alla loro assunzione, richiedendo altrimenti, al comma 7, l'accordo delle parti per l'acquisizione delle dichiarazioni. Cosi' le cose, appare, quindi, fondato il dubbio di legittimita' costituzionale del comma 5 dell'art. 503, c.p.p, nella parte in cui non prevede che le dichiarazioni alle quali il difensore aveva diritto di assistere assunte dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero non possono essere utilizzate nei confronti di altri senza il loro consenso, salvo che ricorrano i presupposti di cui all'art. 500, conuna 4, c.p.p., per violazione degli artt. 24, secondo comma, e 111, quarto comma, Cost. Quanto alla violazione dell'art. 24 Cost., osserva il tribunale che la possibilita' di utilizzazione nei confronti di altri senza il loro consenso delle dichiarazioni difformi rese dall'imputato al pubblico ministero o alla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero, prevista dal comma 5 dell'art. 503, c.p.p., qualora le dichiarazioni siano state utilizzate per le contestazioni, viola il diritto di difesa dei coimputati in quanto tali dichiarazioni difformi sono state rese dall'imputato in un atto al quale i difensori degli altri imputati non hanno potuto partecipare. Quanto alla violazione dell'art. 111, quarto comma, Cost., osserva il tribunale che la possibilita' di utilizzazione nei confronti di altri senza il loro consenso delle dichiarazioni difformi rese dall'imputato al pubblico ministero o alla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero, prevista dal comma 5 dell'art. 503, c.p.p., qualora le dichiarazioni siano state utilizzate per le contestazioni, viola il principio del contraddittorio nella formazione della prova atteso che la prova in tal caso e' costituita dalle dichiarazioni difformi rese dall'imputato in un atto al quale i difensori degli altri imputati non hanno potuto partecipare e quindi la prova si e' formata in contraddittorio solo con l'imputato il cui difensore aveva diritto di assistere e non con gli altri imputati i cui difensori non avevano diritto di assistere. Sul punto giova osservare che, dopo una lunga discussione parlamentare che ha visto contrapposti il Senato e la Camera, la nostra Costituzione ha accolto una concezione «massimalista» del contraddittorio, per cui «prova formata in contraddittorio» e' esclusivamente quella dichiarazione che sia stata resa nel corso dell'esame incrociato, mentre la dichiarazione utilizzata per le contestazioni e' un mezzo che serve al contraddittorio, in quanto costringe l'esaminato a rendere conto del mutamento della versione dei fatti, ma non e' formata in contraddittorio e come tale non e' utilizzabile come prova del fatto. La nostra Costituzione ha, quindi, rigettato quella accezione «minore» del contraddittorio, secondo cui «prova formata in contraddittorio» e' quella prova complessa che si compone della dichiarazione dibattimentale e del c.d. precedente difforme introdotto mediante contestazione. Come sopra osservato, il principio del contraddittorio nella formazione della prova nel processo penale e', infatti, espressamente enunciato non solo nella sua dimensione soggettiva, cioe' quale diritto dell'imputato di controinterrogare il suo accusatore, che potrebbe consentire l'acquisizione e l'utilizzazione come prova della precedente dichiarazione difforme, ma anche nella sua dimensione oggettiva, cioe' quale metodo di accertamento giudiziale dei fatti («il processo penale e' regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova»), che, da un lato, esclude, di regola, la possibilita' di utilizzazione probatoria della precedente dichiarazione oggetto di contestazione e, dall'altro, «contestualizza» il contraddittorio: la prova (rectius, la dichiarazione probatoria) deve essere formata nel contraddittorio tra quelle parti nei confronti delle quali essa deve essere fatta valere. La stessa Corte costituzionale, nel rigettare le questioni di legittimita' costituzionale del regime di esclusione probatoria previsto dall'art. 500, c.p.p., ha piu' volte osservato che «l'art. 111 Cost. ha attribuito risalto costituzionale al principio del contraddittorio, anche nella prospettiva della impermeabilita' del processo quanto alla formazione della prova rispetto al materiale raccolto in assenza della dialettica tra le parti»; «che, alla stregua di siffatta opzione, appare del tutto coerente la previsione di istituti che mirino a preservare la fase del dibattimento - nella quale assumono valore paradigmatico i principi della oralita' e del contraddittorio - da contaminazioni probatorie fondate su atti unilateralmente raccolti nel corso delle indagini preliminari» (in termini, ex pluribus, Corte cost. ord. 14 - 26 febbraio 2002, n. 36; Corte cost. ord. 10 - 18 luglio 2002, n. 365; Corte cost. ord. 10 - 25 luglio 2002, n. 396). Parimenti appare fondato il dubbio di legittimita' costituzionale del comma 6 dell'art. 503 c.p.p., nella parte in cui non prevede che le dichiarazioni alle quali il difensore aveva diritto di assistere rese a norma degli articoli 294, 299, comma 3-ter, 391 e 422, c.p.p., non possono essere utilizzate nei confronti di altri senza il loro consenso, salvo che ricorrano i presupposti di cui all'art. 500, comma 4, c.p.p., per violazione degli artt. 24, secondo comma, e 111, quarto comma, Cost. Quanto alla violazione dell'art. 24, Cost., osserva il tribunale che la possibilita' di utilizzazione nei confronti di altri senza il loro consenso delle dichiarazioni difformi rese dall'imputato al giudice nel corso delle indagini preliminari o nell'udienza preliminare, prevista dal comma 6 dell'art. 503 c.p.p. qualora le dichiarazioni siano state utilizzate per le contestazioni, viola il diritto di difesa dei coimputati in quanto tali dichiarazioni difformi sono state rese dall'imputato in un atto al quale i difensori degli altri imputati non hanno potuto partecipare. Quanto alla violazione dell'art. 111, quarto comma, Cost., osserva il tribunale che la possibilita' di utilizzazione nei confronti di altri senza il loro consenso delle dichiarazioni difformi rese dall'imputato al giudice nel corso delle indagini preliminari o nell'udienza preliminare, prevista dal comma 6 dell'art. 503 c.p.p. qualora le dichiarazioni siano state utilizzate per le contestazioni, viola il principio del contraddittorio nella formazione della prova atteso che la prova in tal caso e' costituita dalle dichiarazioni difformi rese dall'imputato in un atto al quale i difensori degli altri imputati non hanno potuto partecipare e quindi la prova si e' formata in contraddittorio solo con l'imputato il cui difensore aveva diritto di assistere e non con gli altri imputati i cui difensori non avevano diritto di assistere. Sul punto giova osservare che, dopo una lunga discussione parlamentare che ha visto contrapposti il Senato e la Camera, la nostra Costituzione ha accolto una concezione «massimalista» del contraddittorio, per cui «prova formata in contraddittorio» e' esclusivamente quella dichiarazione che sia stata resa nel corso dell'esame incrociato, mentre la dichiarazione utilizzata per le contestazioni e' un mezzo che serve al contraddittorio, in quanto costringe l'esaminato a rendere conto del mutamento della versione dei fatti, ma non e' formata in contraddittorio e come tale non e' utilizzabile come prova del fatto. La nostra Costituzione ha, quindi, rigettato quella accezione «minore» del contraddittorio, secondo cui «prova formata in contraddittorio» e' quella prova complessa che si compone della dichiarazione dibattimentale e del c.d. precedente difforme introdotto mediante contestazione. Come sopra osservato, il principio del contraddittorio nella formazione della prova nel processo penale e', infatti, espressamente enunciato non solo nella sua dimensione soggettiva, cioe' quale diritto dell'imputato di controinterrogare il suo accusatore, che potrebbe consentire l'acquisizione e l'utilizzazione come prova della precedente dichiarazione difforme, ma anche nella sua dimensione oggettiva, cioe' quale metodo di accertamento giudiziale dei fatti («il processo penale e' regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova»), che, da un lato, esclude, di regola, la possibilita' di utilizzazione probatoria della precedente dichiarazione oggetto di contestazione e, dall'altro, «contestualizza» il contraddittorio: la prova (rectius, la dichiarazione probatoria) deve essere formata nel contraddittorio tra quelle parti nei confronti delle quali essa deve essere fatta valere. La stessa Corte costituzionale, nel rigettare le questioni di legittimita' costituzionale del regime di esclusione probatoria previsto dall'art. 500, c.p.p., ha piu' volle osservato che «l'art. 111, Cost. ha attribuito risalto costituzionale al principio del contraddittorio, anche nella prospettiva della impermeabilita' del processo, guanto alla formazione della prova, rispetto al materiale raccolto in assenza della dialettica tra le parti»; «che, alla stregua di siffatta opzione, appare del tutto coerente la previsione di istituti che mirino a preservare la fase del dibattimento - nella quale assumono valore paradigmatico i principi della oralita' e del contraddittorio - da contaminazioni probatorie fondate su atti unilateralmente raccolti nel corso delle indagini preliminari» (in termini, ex pluribus, Corte cost. ord. 14 - 26 febbraio 2002, n. 36; Corte cost. ord. 10 - 18 luglio 2002, n. 365; Corte cost. ord. 10 - 25 luglio 2002, n. 396).
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale del comma 5 dell'art. 503, c.p.p., nella parte in cui non prevede che le dichiarazioni alle quali il difensore aveva diritto di assistere assunte dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero non possono essere utilizzate nei confronti di altri senza il loro consenso, salvo che ricorrano i presupposti di cui all'art. 500, comma 4, c.p.p., per violazione degli artt. 24, secondo comma, e 111, quarto comma, Cost. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale del comma 6 dell'art. 503 c.p.p, nella parte in cui non prevede che le dichiarazioni rese a norma degli articoli 294, 299, comma 3-ter, 391 e 422, c.p.p., non possono essere utilizzate nei confronti di altri senza il loro consenso, salvo che ricorrano i presupposti di cui all'art. 500, comma 4, c.p.p., per violazione degli artt. 24, secondo comma, e 111, quarto comma, Cost. Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso. Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Augusta, addi' 13 marzo 2007 Il giudice: Lorenzetti