N. 662 ORDINANZA (Atto di promovimento) 1 giugno 2006
Ordinanza del 1 giugno 2006 (pervenuta alla Corte Costituzionale il 30 novembre 2006) emessa dalla Corte dei conti - Sez. giurisdizionale per la Regione Abruzzo - L'Aquila, nei giudizi riuniti sui conti resi dal tesoriere del comune di Scarino (Banca di Credito Cooperativo di Roma) ed altro. Corte dei conti - Controllo contabile giurisdizionale sugli enti locali - Limitazione al solo conto della gestione di cassa dei tesorieri e non anche all'intera gestione dell'ente e, in particolare, sul merito giuridico ed economico delle poste di bilancio - Irragionevolezza - Violazione degli obblighi internazionali derivanti dalla normativa comunitaria - Lesione delle attribuzioni costituzionalmente riservate alla Corte dei conti in tema di controllo sulla gestione degli enti locali - Violazione dei principi del raccordo della finanza statale con quella degli enti locali. - Decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, art. 93, comma 2. - Costituzione, artt. 3, primo comma, 11, comma secondo, 103, comma secondo, e 119. Corte dei conti - Controllo contabile giurisdizionale sugli enti locali - Trasmissione alle competenti Sezioni giurisdizionali della Corte dei conti del solo conto della gestione di cassa del tesoriere e non anche dell'intera gestione dell'ente - Irragionevolezza - Violazione degli obblighi internazionali derivanti dalla normativa comunitaria - Lesione delle attribuzioni costituzionalmente riservate alla Corte dei conti in tema di controllo sulla gestione degli enti locali - Violazione dei principi del raccordo della finanza statale con quella degli enti territoriali. - Decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, art. 226. - Costituzione, artt. 3, primo comma, 11, comma secondo, 103, comma secondo, e 119. Corte dei conti - Controllo contabile giurisdizionale sugli enti locali - Abrogazione dell'art. 310, comma 4, del r.d. n. 383/1934 (con conferma implicita dell'abrogazione dell'art. 226 del r.d. n. 297/1911) che demandava al giudice contabile la pronuncia sul conto sia del tesoriere che dell'Ente, ed in particolare sul merito giuridico e contabile delle poste di bilancio - Irragionevolezza - Violazione degli obblighi internazionali derivanti dalla normativa comunitaria - Lesione delle attribuzioni costituzionalmente riservate alla Corte dei conti in tema di controllo sulla gestione degli enti locali - Violazione dei principi del raccordo della finanza statale con quella degli enti territoriali. - Decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, art. 274. - Costituzione, artt. 3, primo comma, 11, comma secondo, 103, comma secondo, e 119.(GU n.5 del 31-1-2007 )
LA CORTE DEI CONTI Ha pronunciato la seguente ordinanza di remissione alla Corte costituzionale sui giudizi di conto del tesoriere del comune di Scanno, relativi agli esercizi 1998, 1999, 2000, 2001, 2002, 2003, iscritti, rispettivamente ai numeri del registro di segreteria della sezione, G.C.E.L. 16024, 16025, 16026, 16027, 16028, 16029, in ordine ai quali il magistrato relatore aveva depositato relazioni con le quali venivano prospettate questioni varie per la cui soluzione, nonche' per l'adozione di ogni provvedimento che fosse ritenuto necessario, veniva chiesta l'iscrizione del giudizio, a norma dell'art. 30 del r.d. 13 agosto 1933, n. 1038. Con decreto del presidente della sezione datato 21 settembre 2005, l'udienza per la discussione dei giudizi in parola e' stata fissata per il giorno 5 aprile 2006, dandone comunicazione agli interessati in uno alla relazione del magistrato relatore. Uditi nella pubblica udienza del 5 aprile 2006, il relatore cons. Silvio Benvenuto ed il sostituto procuratore generale, dottor Eugenio Musumeci. P r e m e s s a Il magistrato relatore ha prospettato alla cognizione e alla valutazione del Collegio una serie di questioni relative a specifici punti dei conti del tesoriere rispetto ai quali non e' stato possibile un'approfondita valutazione di merito, atteso che il conto consuntivo dell'ente non viene piu' inviato, a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 58 del T.U. n. 142/1990, recepito dal T.U. n. 267/2000, art. 93, comma 2, cosicche' e' precluso, in conseguenza della medesima disposizione di legge, accertare, a consuntivo, l'effettivita' dei risultati finali di bilancio, con il rispetto dei principi di universalita', integrita' e veridicita', nonche' il rispetto delle regole poste con le leggi finanziarie in relazione al patto di stabilita' interno, anche nel caso in cui si manifestino, come nei conti in parola, dubbi sulla reale consistenza delle entrate, con la loro possibile sopravalutazione e il notevole scostamento fra previsioni, accertamento e riscossione delle stesse entrate; sulla consistenza dei residui attivi, con eventuale iscrizione di residui inesistenti; sul mancato pagamento di spese obbligatorie ed, in generale, sull'esistenza di debiti fuori bilancio; il tutto con aspetti tali da generare dubbi sulla attendibilita' del risultato di amministrazione. Nella citata relazione si pone altresi' in rilievo che il sistema instaurato a seguito delle citate norme, in quanto ha limitato l'oggetto del giudizio al conto del tesoriere, suscita dubbi sulla sua conformita' ai criteri di ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione, nonche' all'art. 103 della Costituzione che demanda alla Corte dei conti la giurisdizione in materia di contabilita' pubblica. In data 31 marzo 2006, il sindaco del comune di Scanno ha trasmesso in ordine ai citati giudizi una memoria nella quale si fa presente che, a seguito dell'accertamento dei residui attivi effettuato dal responsabile dell'area amministrativa con determinazione n. 89 del 10 giugno 2004, ai sensi dell'art. 288, comma 3 del d. lgs. 18 agosto n. 267, e' risultato che una massa rilevante dei residui attivi, pari a euro 638.922,55, come riportato dal responsabile del servizio nella sua relazione, non erano fondati su titoli giuridici certi ed attendibili, per cui si e' provveduto alla loro cancellazione. La loro iscrizione, secondo sempre quanto affermato nella memoria in parola, era manifestamente diretta a modificare in senso positivo il risultato finanziario, come sembrerebbe evincersi dall'intervento di un consigliere di maggioranza in sede di approvazione del bilancio di previsione dell'anno 1999, quando afferma «anche questa volta si e' previsto il taglio di un bosco di lire 130.000.000 per chiudere in pareggio». Da questa affermazione si evincerebbe che non solo erano state messe in atto alchimie contabili, ma che a queste alchimie si ricorreva sistematicamente. La memoria osserva poi che l'ulteriore esempio della previsione in entrata dell'anno 2000 del canone di affitto dei terreni dati in concessione all'ente Parco, con un contratto sottoscritto il 19 gennaio 2001, prevedeva il pagamento del canone di lire 107.184.000, con decorrenza dal 1° gennaio 2001. Emergevano poi anche negli anni pregressi presunti debiti fuori bilancio per un rilevante ammontare. Ci si riferisce al caso del pagamento delle indennita' di un esproprio per la realizzazione della palestra polivalente, il cui progetto era stato approvato nel lontano 1991. Con deliberazione di giunta comunale n. 134 del 22 agosto 2001 era stata approvata una transazione per pagamento dell'indennita' di esproprio di lire 264.400.000, oltre a lire 20.072.512 per le spese legali della parte avversa, senza che il consiglio comunale avesse provveduto a riconoscere la legittimita' del debito fuori bilancio, ai sensi dell'art. 194, comma 1, lettera a), del d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267. Di conseguenza - sottolinea la memoria - l'avanzo finanziario esposto in bilancio non risulterebbe reale. Dopo altre considerazioni, il sindaco del comune di Scanno chiedeva nella memoria in parola che in sede di esame questa Sezione non si limitasse a verificare il rapporto di tesoreria e, quindi, la gestione di cassa, ma accertasse, attraverso una pronuncia giurisdizionale, la effettiva situazione finanziaria, con l'eventuale rettifica dei risultati finali. Il Collegio riunito in Camera di consiglio, valutava, anche tenendo conto di quanto prospettato dal sindaco di Scanno nella sua memoria, che i dubbi di legittimita' costituzionale espressi nella citata relazione del consigliere relatore, non risultavano manifestamente infondati, e percio' ha ritenuto necessario sottoporre nuovamente al giudizio della Corte costituzionale la legittimita' costituzionale della norme che limitano la pronuncia giurisdizionale al conto di cassa, non solo in considerazione dell'espressa domanda formulata dal sindaco del comune che chiede si faccia chiarezza sulle disponibilita' finanziarie di cui puo' disporre in funzione dell'attuazione del suo programma di governo, ma in considerazione della riscontrata diffusione sul territorio regionale da parte di diversi enti del ricorso ad espedienti, quali la sopravalutazione delle entrate, il mantenimento di residui datati ed insussistenti, il ritardo o l'omissione dei pagamenti in relazione a impegni di spesa assunti, il differimento di impegni per spese gia' effettuate ad esercizi successivi (con abnorme crescita di oneri finanziari e spese di giudizio), che portano ad una non fedele rappresentazione del risultato finale di amministrazione. Nel corso della discussione orale nella pubblica udienza del 5 aprile 2006, il Pubblico ministero ha preso atto delle anomalie risultanti dagli atti del giudizio, riservando alla Procura regionale le eventuali consequenziali iniziative rientranti nella sua competenza. Motivi della decisione Preliminarmente si dispone, per evidenti ragioni di connessione, la riunione dei giudizi ex art. 274 c.p.c. I molteplici profili di criticita' nella gestione finanziaria del comune di Scanno, nella misura in cui si riflettono in anomalie, riscontrate in sede di revisione nel conto del tesoriere, sono apparsi in sede di remissione al Collegio ed anche in sede di valutazione da parte di quest'ultimo, meritevoli di approfondimento e considerazione. I chiarimenti forniti dall'ente locale, se da un lato consentono di affermare la rispondenza del conto del tesoriere alle vicende finanziarie rappresentate e documentate, dall'altro lato evidenziano problematiche inerenti la vita finanziaria dell'ente stesso che si presentano con profili di antigiuridicita' che non consentono una adeguata valutazione, atteso che, come si e' gia' accennato in premessa, l'oggetto del giudizio, alla stregua della normativa vigente, e' limitato al solo conto del tesoriere (che costituisce la parte di mera esecuzione del conto dell'ente, che e' invece e' un bilancio misto, di competenza e di cassa), mentre e' precluso l'accertamento a consuntivo della effettivita' dei risultati finali di bilancio, con il rispetto dei principi di universalita', integrita' e veridicita', nonche' il rispetto delle regole poste con le leggi finanziarie in relazione al patto di stabilita' interno anche nel caso si manifestino, come nella specie, dubbi sulla reale consistenza delle entrate (con possibile sopravvalutazione delle stesse). Il Collegio non ignora che la Corte costituzionale si e' gia' pronunciata, con la sentenza n. 378 del 1996, sulla legittimita' costituzionale delle normativa su richiamata (in particolare dell'art. 58, comma 2, della legge 8 giugno 1990, n. 142, oggi recepito dall'art. 93, comma secondo, del nuovo T.U. approvato con d. leg.vo 28 agosto 2000, n. 267) nella parte in cui limitava il giudizio di conto alla gestione del tesoriere, nonche' dell'art. 64, comma 1 della medesima legge, nella parte in cui abrogava gli articoli 310, quarto comma, del r.d. 3 marzo 1934, n. 383, e 226 del regio decreto 1911, n. 297. In tale sentenza, il giudice delle leggi premette che la nuova disciplina che era stata introdotta dal legislatore e per la quale era stata sollevata questione di costituzionalita' non poteva dirsi che avesse contravvenuto agli insegnamenti della stessa Corte «secondo cui nessuna parte del conto consuntivo puo' essere sottratta alla giurisdizione della Corte dei conti (sentenza n. 1007 del 1988). Il principio e' stato peraltro formulato in un contesto nel quale, in assenza di un riscontro giurisdizionale dell'intera attivita' di gestione, lo stesso giudizio di responsabilita' per fatti di gestione sarebbe risultato puramente eventuale ed aleatorio, venendo a mancare al giudice contabile adeguati strumenti di conoscenza della gestione e quindi degli illeciti che essa avrebbe potuto far emergere. Oggi si puo' affermare che all'esigenza imposta dagli articoli 3 e 103 della Costituzione - che il giudice remittente assume violati a causa del venir meno del riscontro giurisdizionale della gestione - corrispondano le leggi nn. 142 del 1990, 19 e 20 del 1994 (Disposizioni in materia di giurisdizione e di controllo della Corte dei conti) e il piu' recente decreto legislativo n. 77 del 1995». Il giudice delle leggi dichiarava, pertanto, non fondata la questione di legittimita', cosi' motivando: «appare in conclusione non irragionevole, ne' arbitrario, e non lede la posizione costituzionale della Corte dei conti, come definita dall'art. 103 della Costituzione, la circostanza che, in un nuovo disegno delle autonomie locali, teso a valorizzare anche il ruolo degli organi regionali di controllo (art. 130 della Costituzione), il legislatore abbia limitato il controllo giurisdizionale sulla legittimita' della gestione al solo conto del tesoriere e degli altri soggetti indicati dall'art. 58, comma 2, della legge n. 142 del 1990, poiche' ha mantenuto ferma, ampliandone anzi la sfera per effetto dell'art. 58, comma 1, della stessa legge, la giurisdizione della Corte dei conti sulla responsabilita' degli amminisfratori e del personale degli enti locali per danno all'erario. Il complessivo disegno legislativo non risulta infatti inteso a svilire l'efficienza di tale giudizio, che, semmai, appare sotto piu' profili potenziato e reso ancora piu' adeguato ai principi costituzionali». La sentenza della Corte costituzionale si fondava altresi' sulla «ragionevole esigenza di evitare improduttive duplicazioni dell'attivita' di controllo e che si e' venuto attenuando, con l'istituzione della sezione enti locali, il significato del riscontro contabile in via giurisdizionale e si sono poste le premesse perche' l'ulteriore avanzamento di una linea di razionalizzazione dei controlli della finanza locale producesse la poi avvenuta separazione tra il controllo contabile del conto del tesoriere, da un lato, e il giudizio di responsabilita' degli amministratori locali per fatti della loro gestione, dall'altro, essendo comunque assicurato il controllo globale della gestione della neo istituita sezioni enti locali della Corte dei conti». Sennonche' deve rilevarsi che e' mutato il quadro normativo cui fa riferimento nella sentenza in parola il Giudice delle leggi, a seguito della modifica dell'art. 117 della Costituzione, essendo venuta meno la verifica sul consuntivo degli organi regionali di controllo, tal che l'unica verifica residuata sul consuntivo e' quella affidata al collegio dei revisori, ossia ad un organo interno all'ente e che certo non e' dotato dei requisiti di terzieta', imparzialita' e autonomia richiesti, sulla base dei principi condivisi, ai soggetti che esplicano attivita' di «certificazione». L'esigenza, quindi, di evitare improduttive attivita' di controllo, che opportunamente la Corte costituzionale faceva valere, sembra oggi, per questo aspetto, prospettarsi in termini diversi. Ma altre valutazioni meritano di essere formulate a proposito delle funzioni di controllo attribuite all'apposita sezione della Corte dei conti alla quale il legislatore (art. 13 del decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 786, come modificato dalla legge di conversione 26 febbraio 1982, n. 51, Disposizioni in materia di finanza locale), ha affidato il compito di riscontro sulla gestione finanziaria degli enti locali nell'intero contesto della finanza pubblica. Infatti, pur tenendo presenti le accresciute competenze previste dalla legge finanziaria 2006 (legge n. 266/2005, art. 1, commi 166 e segg.), che, tra l'altro, al comma 168, demanda alla sezione regionale di controllo una «specifica pronuncia» in ordine «a comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria, attribuendo ad essa poteri di mera "vigilanza" sull'adozione da parte dell'ente locale di misure correttive, l'istituzione di tale sezione non risulta creare duplicazione di funzioni rispetto al giudizio di conto». Il risultato dell'attivita' di tale sezione si concretizza, infatti, nel c.d. referto o comunque su pronunce che non modificano le risultanze di bilancio che sono cosa ben diversa da quella accertativa svolta nella sede giurisdizionale, attraverso un istituto di cui impropriamente si denuncia il superamento. Nella sede giurisdizionale, attraverso una procedura preliminare che appare moderna ed agile, perche' conduce di norma ad un decreto di regolarita', emesso su conforme proposta del magistrato istruttore e del procuratore regionale, e garantista, perche' in caso, di contestazioni si apre una fase collegiale, nel rispetto del principio del contraddittorio, si perviene ad una rapida pronuncia di regolarita', sulla base di un corretta ed adeguata interpretazione delle norme. Cio' costituisce un momento insopprimibile di garanzia di correttezza della gestione, come lo stesso Giudice delle leggi ha avuto modo di affermare in piu' occasioni. Giova, in proposito, anche ricordare che, anteriormente alla sentenza della Corte costituzionale n. 55 del 1966, il conto del tesoriere dei comuni e delle province veniva sottoposto al giudizio dei consigli di prefettura, previa approvazione da parte del consiglio comunale o provinciale, ai sensi dell'art. 310, quarto comma, del testo unico della legge comunale e provinciale n. 383 del 1934. Il giudizio sul rendiconto degli enti locali aveva allora ad oggetto non soltanto la gestione del tesoriere, ma anche il conto consuntivo dell'ente locale, e riguardava, pertanto, sia i fatti di gestione della tesoreria, sia i fatti di gestione degli amministratori. A seguito di tale sentenza, la competenza passo' alle competenti sezioni del contenzioso contabile della Corte dei conti, ma si affermo' in via meramente giurisprudenziale un orientamento secondo cui la stessa Corte avrebbe potuto far valere, attraverso una chiamata in giudizio iussu iudicis, l'eventuale responsabilita' patrimoniale degli amministratori. La citata giurisprudenza risulta superata alla luce dei principi innovativi introdotti con l'art. 111 della Costituzione, per cui il giudizio deve essere limitato alla sola pronuncia oggettiva sulla affidabilita' dei risultato finanziario. Come istituto di giurisdizione oggettiva, il giudizio di conto puo' essere ritenuto strumento fondamentale di garanzia della certezza dei dati contabili e della correttezza delle gestione e anzi che interferire con le funzioni della oggi denominata sezione delle autonomie verrebbe a costituire importante strumento di supporto e completamento della sua funzione, in quanto il referto di questa si baserebbe su dati resi piu' affidabili dall'intervenuta pronuncia di regolarita' che, auspicabilmente, dovrebbe avere luogo in termini estremamente ristretti. Del resto questa e' anche la chiara volonta' espressa dal legislatore che ha introdotto il termine quinquennale per la relativa pronuncia (art. 1 della legge n. 20/1994). Alla stregua delle predette considerazioni, questo giudice ritiene che si possa riproporre, alla luce anche delle intervenute riforme federaliste e costituzionali, la questione di costituzionalita' delle norme che hanno ristretto l'intervento del giudice contabile nella materia alla sola gestione di cassa. lnfatti, la sottrazione del conto consuntivo al giudizio necessario di conto appare in contrasto anzitutto con l'art. 103, secondo la lettura a questo data dalla Corte costituzionale (nelle sentenze nn. 68/1971; 63/1973; 114/1974; 129/1981; 185/1982; 189/1984; 1007/1988) e dalla Corte di cassazione (per tutte cfr. ss.uu. sentenze nn. 2616/1968; 3375/3384 del 19 luglio 1989); entrambe, infatti, hanno affermato da un parte che la norma predetta, nel riservare alla Corte dei conti le materie di contabilita' pubblica, sotto l'aspetto oggettivo, ne ha confermato la nozione tradizionalmente accolta, comprensiva del giudizio di responsabilita' e del giudizio di' conto, e dall'altra che questo costituisce insopprimibile momento di garanzia della correttezza della gestione degli amministratori degli enti locali a tutela dei contribuenti. In particolare, nella citata sentenza n. 114/1974 si afferma che e' principio generale del nostro ordinamento il necessario assoggettamento del pubblico denaro (proveniente dalla generalita' dei contribuenti e destinato al soddisfacimento dei pubblici bisogni) al giudizio necessario di conto. Infatti, come e' stato opportunamente sottolineato, «a nessun ente gestore di mezzi di provenienza pubblica e a nessun agente contabile che abbia comunque maneggio di denaro e valori di proprieta' dell'ente e' consentito sottrarsi alla garanzia costituzionale della correttezza della gestione, garanzia che si attua con lo strumento del rendiconto giudiziale». Tali principi sono stati confermati con l'altra sentenza n. 1007/1988 della Corte costituzionale che ha ritenuto illegittimo l'art. 122, primo comma, del d.l. del presidente della regione siciliana del 29 ottobre 1955, n. 6, convalidato con l.r. 15 marzo 1963, n. 16, per contrasto con l'art. 103, nella parte in cui si attribuiva al consiglio comunale il potere di deliberare il conto consuntivo con effetti sostitutivi della decisione della Corte dei conti: da tale sentenza sembra evincersi che deve essere sottoposto a giudizio non solo il conto di cassa, ma il conto consuntivo, in quanto cio' corrisponde ad un «principio fondamentale dello Stato di diritto», recepito dall'art. 103. Ritornando alle lettura delle argomentazioni svolte dal giudice delle leggi nella sentenza n. 378 del 1996, si rileva la non manifesta infondatezza di un conflitto rinnovato tra i principi ivi affermati e la necessita' di limitare la cognizione al conto del tesoriere: se e' vero oggi, come allora, che a legislazione vigente non vi sono altre opzioni adeguatamente praticabili per dare seguito ai rilievi formulati con riferimento a profili che, appartenendo solo per riflesso al conto del tesoriere, impingono piu' specificamente nel conto finanziario dell'ente, quello che e' mutato e' il quadro complessivo della disciplina e dei controlli per la finanza locale, quale si e' determinata a seguito di interventi legislativi medio tempore intervenuti, segretamente quelli connessi alle leggi «Bassanini», non ultima la abolizione dei CO.RE.CO. Ne' si puo' ignorare che l'evoluzione della giurisdizione di responsabilita' per danno all'erario ha, con successivi interventi, ridotto la propria natura ripristinatoria delle finanze lese dal comportamento degli amministratori, non tanto con l'applicazione nei giudizi del cd. potere riduttivo, quanto con l'introduzione delle notevoli limitazioni (anche se per certi versi condivisibili) operate con la legge n. 639/1996 e con le ulteriori norme specifiche, fra le quali si segnalano i commi 231 - 233 dell'art. 1, legge n. 266/2005, che ha introdotto l'ipotesi di estinzione del giudizio con pagamento di una ridotta frazione del pregiudizio economico arrecato alla pubblica amministrazione, norme tutte che, assieme alle precedenti contenute nel T.U n. 383 del 1934 tuttavia abrogate (252 e segg.ti) non consentono piu' di perseguire i danni di tipo finanziario connessi agli squilibri di bilancio. Ne' puo' trascurarsi che la medesima Corte costituzionale ha, in date successive alla pronuncia della quale si e' dato conto, rimarcato i limiti oggettivi e soggettivi di tale giurisdizione (si veda ad es. Corte cost. 22 ottobre 1999, n. 392). Ne' la tutela della fondamentale regola di gestione del bilancio negli ambiti della programmazione dei tetti generali di spesa e della salvaguardia degli impegni internazionali assunti dall'Italia puo' essere affidata esclusivamente all'iniziativa del procuratore regionale della Corte, che puo' attivarsi, come lo stesso Giudice delle leggi ha affermato, in presenza di una specifica denuncia, ipotesi peraltro non frequente se la gestione, fuori dei limiti di bilancio, si traduce in vantaggio per la comunita' locale pur pregiudicando gli interessi generali. Ma a fronte di una diminuita estensione e intensita' dei controlli, si registra per adverso una acuita necessita' di tenere in regola i conti della finanza locale, derivante non tanto dalla contingente criticita' della situazione economica nazionale, quanto dall'assunzione del nostro Paese di vincoli e impegni particolarmente rigorosi a livello nazionale e in sede internazionale o piu' propriamente soprannazionale in relazione all'adesione dell'Italia all'Unione Europea e alla Moneta Unica. Sotto il primo aspetto, non si puo' non richiamare alla memoria la portata innovativa della disciplina introdotta con la legge costituzionale n. 3 del 2001 nella materia finanziaria e la successiva normazione primaria in tale ambito. Basti considerare che l'art. 29 della legge n. 289 del 27 dicembre 2002 ha disciplinato il patto di stabilita' interno per gli enti territoriali. Tale normativa ha infatti disposto che, ai fini della tutela dell'unita' economica della Repubblica, ciascuna regione a statuto ordinario, ciascuna provincia e ciascun comune con popolazione superiore a 5.000 abitanti concorre alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica -- per il triennio 2003-2005 (adottati con l'adesione al patto di stabilita' e crescita, nonche' alla condivisione delle relative responsabilita) - nel rispetto delle disposizioni normative emanate in virtu' e per effetto dei principi fondamentali che sottendono il coordinamento della finanza pubblica ai sensi degli articoli 117 e 119, secondo comma, della Costituzione. Giova, in proposito, considerare anche che e' statuito che il disavanzo finanziario, di ciascuna provincia e di ciascun comune con popolazione superiore a 5.000 abitanti, non puo' essere superiore a quello risultante dall'applicazione, al corrispondente disavanzo finanziario del penultimo anno precedente, di una percentuale di variazione definita, per ciascuno degli anni considerati, dalla legge finanziaria. Ad esempio, in prima applicazione, per l'anno 2005 la percentuale era fissata nel 7,8 per cento rispetto al 2003. Questa stringente disciplina affida fondamentali compiti di verifica di raggiungimento di tali obiettivi, nell'ambito degli enti locali, non ad organi esterni bensi' al Collegio dei Revisori. E' precisamente in considerazione delle norme ricavabili dall'art. 119 Cost. sul raccordo della finanza statale con quella degli enti territoriali che occorre dimensionare correttamente le funzioni attribuite ad organi terzi ed esterni, quali la Corte dei conti, non solo e non tanto in funzione di deterrente verso le patologie o di sanzione, ma specificamente di garanzia (per lo Stato e per gli Amministratori locali) della veridicita' e dell'attendibilita' delle poste in bilancio, in assenza delle quali l'attuazione dell'art. 119 Cost. appare impraticabile. Ma la riforma del titolo V della Costituzione, se per un verso riconosce la piena autonomia finanziaria di entrata e di spesa delle regioni e degli enti locali, per l'altro, attribuisce espresso rilievo ai vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario, che, nell'ambito della politica di bilancio, sono costituiti da regole sui saldi, alle quali si connette anche la previsione di sanzioni. I vincoli derivanti dalla appartenenza all'Unione economica monetaria comportano l'attribuzione a livello statale della responsabilita' in ordine sia alla determinazione degli obiettivi finanziari validi per il complesso delle amministrazioni pubbliche, sia al conseguimento dei saldi prefissati e in generale, al rispetto delle regole stabilite dal Trattato CE e dal Patto di stabilita' e crescita. Il rispetto di questi vincoli, in un quadro di potenziamento delle autonomie territoriali non puo' ragionevolmente essere realizzato con una gestione accentrata, statale, di tipo imperativo. A conferma di cio' e' recentemente intervenuta la pronuncia con la quale la Corte costituzionale ha fondatamente affermato (con sentenza n. 417/2005) l'illegittimita' di disposizioni statuali che intervengano in un certo modo con «tagli» nella finanza locale, ma ha riaffermato l'esigenza della salvaguardia della politica complessiva di bilancio e quindi degli equilibri generali nell'ambito di una programmazione dei tetti complessivi che tutti gli Enti, compreso lo Stato, sono tenuti a rispettare. Cio', ad avviso del Collegio, comporta la necessita' di riespandere alla sua fisiologica area di cognizione lo specifico strumento del giudizio di conto, che appare strumento compatibile con l'assetto delle autonomie sia sotto il profilo funzionale (provenendo dal potere giurisdizionale) sia sotto quello territoriale (grazie al radicale decentramento attuato dalla Corte dei conti nell'ultimo decennio). Ne' puo' ritenersi equivalente l'attribuzione ex art. 7, comma 7, della legge 5 giugno 2003, n. 131, (recante disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), alla Corte dei conti della funzione di referto al Parlamento in ordine agli andamenti complessivi della finanza locale, al rispetto del patto di stabilita' e dei vincoli comunitari. La diversa ratio della funzione di referto induce a ritenere tale sede inidonea all'attivita' di verifica e certificazione della quale si e' invocato il ripristino. Anzi, proprio la necessita' di dare pienezza ed efficacia alla funzione referente attribuita alla Sezione delle Autonomie (anche nelle nuove attribuzioni conferite con la legge finanziaria del 2006, commi 166 e seguenti) fa si' che risulti necessario che le valutazioni della stessa possano basarsi su un'attivita' accertativa svolta in tempi il piu' ravvicinati possibili in sede di giurisdizione contabile, che giunga, se del caso, in contraddittorio con l'Amministrazione in attuazione ai principi introdotti dal novellato art. 111 della Costituzione secondo quanto e' gia' l'orientamento di questa Corte, alla rettifica del risultato di amministrazione, confermando o meno le risultanze di bilancio. Pare, peraltro, evidente che, alla luce del novellato art. 111 della Costituzione, devono intendersi incompatibili le norme (art. 226 del reg. del 1911, peraltro abrogato) che consentivano alla Corte di far valere, attraverso una chiamata in giudizio iussu iudicis, una eventuale responsabilita' patrimoniale degli amministratori, come giustamente aveva escluso lo stesso giudice delle leggi nella sentenza citata n. 378/1996, dovendo essere il giudizio limitato alla sola pronuncia oggettiva sulla affidabilita' dei risultato finanziario. Come istituto di giurisdizione oggettiva, il giudizio in questione puo' essere ritenuto strumento fondamentale di garanzia della certezza dei dati contabili e della correttezza delle gestioni. In assenza del potere di cognizione sugli aspetti finanziari e gestionali implicati nel conto del tesoriere questo Collegio non e' in grado di rispondere alla domanda di controllo della corretta gestione del denaro pubblico insita dell'instaurazione del giudizio di conto, non potendo statuire sulla attendibilita' delle poste ivi iscritte e non avendo gli strumenti per dar seguito alle istanze di approfondimento e di pronuncia anche costitutiva che provengono da parti qualificate, come sopra esposto. La preclusione di tale cognizione e' sicuramente rilevante nei presenti giudizi riuniti, non essendo per essi consentito di «dire giustizia» nella forma che il giudizio di conto richiede. Riassumendo le suesposte considerazioni, non appare manifestamente infondata una questione in ordine alla legittimita' costituzionale delle norme limitative della giurisdizione della Corte dei conti sui conti giudiziali quale attualmente vigente a seguito della sostanziale trasfusione delle disposizioni della legge n. 142/1990 nel T.U. 267 del 2000. Cio' risulta contrastare, come gia' sopra illustrato, con il principio della non arbitrarieta' e irragionevolezza dell'operato del legislatore ordinario (art. 3 Cost.); con il rispetto degli impegni assunti nei confronti delle organizzazioni sopranazionali alle quali lo Stato italiano ha aderito (art. 11 Cost.); con il rispetto sostanziale del limite minimo, posto al legislatore anche nell'esercizio di una sua legittima interpositio, nella modulazione delle attribuzioni costituzionalmente attribuite alla Corte dei conti (103 Cost.); con i principi del raccordo della finanza statale con quella degli Enti territoriali (art. 119 Cost.).
P. Q. M. Nel giudizio sui conti in epigrafe indicati, visti gli artt. 134 della Costituzione, della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, sospende il giudizio medesimo e solleva d'ufficio questione di legittimita' costituzionale dell'art. 93, comma 2, del decreto legislativo n. 267 del 18 agosto 2000, nella parte in cui limita il giudizio di conto alla gestione del tesoriere, e del successivo art. 226 nella parte in cui prevede la trasmissione alla competente sezione giurisdizionale della Corte dei conti, ai fini del giudizio, del solo conto della propria gestione di cassa nonche' dell'art. 274 dello stesso decreto nella parte in cui abroga l'art. 310, comma 4, del r.d. 3 marzo 1934, n. 383, (confermando implicitamente l'abrogazione dell'art. 226 del r.d n. 297 del 1911 disposta con l'art. 64, comma 1, della legge n. 142/1990), che demandava al giudice contabile la pronuncia sul conto sia dell'ente che del tesoriere, ed in particolare del merito giuridico e contabile delle poste di bilancio, in relazione agli artt. 3, primo comma, 11, secondo periodo, 103 secondo comma e 119 della Costituzione. Dispone che a cura della segreteria, gli atti siano trasmessi alla Corte costituzionale per la decisione della questione di legittimita' costituzionale; Ordina che a cura della segreteria la presente ordinanza sia notificata al Tesoriere e al Sindaco del Comune di Scanno, all'ufficio del Procuratore regionale per l'Abruzzo, alla Procura generale della Corte dei conti, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri e, comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Cosi' deliberato in l'Aquila nella Camera di consiglio del 5 aprile 2006. Il Presidente: Minerva Il relatore estensore: Benvenuto 07C0074