N. 688 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 aprile 2006

Ordinanza  del 13 aprile 2006 (pervenuta alla Corte costituzionale il
12  dicembre 2006) emessa dal Consiglio di Stato sul ricorso proposto
da Sesit Puglia S.p.A. contro Ricchiuti Michele ed altri

Imposte e tasse - Riscossione delle imposte - Controversie in materia
  di   fermo   tributario  di  veicoli  -  Attribuzione,  secondo  la
  giurisprudenza  delle SS.UU. della Corte di Cassazione, costituente
  «diritto  vivente»,  al giudice ordinario - Irragionevole deroga al
  principio   dell'attribuzione   al   giudice  amministrativo  delle
  controversie  relative  agli  interessi  legittimi  - Incidenza sul
  diritto   di   difesa   -  Lesione  dei  principi  di  liberta'  di
  circolazione  e  di  liberta'  di  iniziativa  economica  privata -
  Incidenza sul diritto di proprieta'.
- Decreto  del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602,
  artt. 49,  57  e  86; decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546,
  artt. 2 e 19.
- Costituzione artt. 3, 16, 24, 41 e 42.
(GU n.6 del 7-2-2007 )
                        IL CONSIGLIO DI STATO

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza di rimessione alla Corte
costituzionale  sul ricorso in appello n. 7416/2003 proposto da Sesit
Puglia  S.p.A.,  in  persona  del  legale  rappresentante  in carica,
rappresentata   e   difesa   dall'avvocato   Antonio  Damascelli,  ed
elettivamente  domiciliata  presso  lo  studio dell'avv. Vincenzo Del
Pozzo, in Roma, via L. Arbib Pascucci, n. 66;
    Contro  Ricchiuti  Michele  non  costituito  in  appello;  e  nei
confronti  di  Direzione  regionale delle entrate di Bari, in persona
del  legale  rappresentante  in  carica,  non costituita in giudizio;
Pubblico  registro  automobilistico  (p.r.a.) di Bari, in persona del
legale  rappresentante  in carica, non costituito in giudizio; per la
riforma  della  sentenza del Tribunale amministrativo regionale della
Puglia - Bari, sez. I, 14 maggio 2003, n. 1929, resa tra le parti.
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Vista la memoria prodotta dall'appellante;
    Visti tutti gli atti della causa;
    Relatore  alla  pubblica  udienza  del 24 gennaio 2006 nonche' in
sede  di  riesame  nella  Camera  di  consiglio  del 14 marzo 2006 il
consigliere  Rosanna  De  Nictolis  e udito l'avvocato Damascelli per
l'appellante;
    Ritenuto e considerato quanto segue.

                     F a t t o  e  d i r i t t o
    1. - Il ricorso di primo grado e l'atto di appello.
    1.1.   -   L'odierno   appellato   ha   proposto   al   Tribunale
amministrativo  regionale  della  Puglia  -  Bari, ricorso avverso la
comunicazione  di  fermo  di  un motociclo e di un autoveicolo di sua
proprieta',  effettuata  dalla  soc.  Sesit  Puglia,  in  qualita' di
concessionaria della riscossione della Provincia di Bari, per mancato
pagamento di carichi a ruolo scaduti.
    Il giudice adito, con la sentenza in epigrafe, ha:
        disatteso  l'eccezione  di difetto di giurisdizione sollevata
dalla Sesit Puglia;
        assorbito  la  censura di illegittimita' del provvedimento di
fermo  perche'  disposto  ai  sensi dell'art. 86, d.P.R. 29 settembre
1973, n. 602, in difetto del prescritto regolamento ministeriale;
        accolto  le  censure  di difetto di motivazione ed eccesso di
potere.
    1.2. - Ha interposto appello la societa' Sesit Puglia.
    Ripropone, anzitutto, l'eccezione di difetto di giurisdizione del
giudice amministrativo.
    In  secondo luogo osserva che il fermo poteva essere disposto, ai
sensi  dell'art. 86, d.P.R. n. 602 del 1973, come novellato nel 2001,
utilizzando  il  regolamento di cui al d.m. 7 settembre 1998, n. 503,
senza  necessita'  di  attendere  il  nuovo regolamento, previsto dal
comma 4 del citata art. 86. A sostegno di tale tesi parte appellante,
con   memoria  depositata  per  l'udienza  odierna,  ha  dedotto  che
l'art. 3, comma 41, d.l. 30 settembre 2005, n. 203, conv. nella legge
2  dicembre  2005,  n. 248, con norma di interpretazione autentica ha
stabilito che le disposizioni dell'art. 86, d.P.R. n. 603 del 1973 si
interpretano  nel  senso  che  fino  all'emanazione  del  regolamento
previsto dal comma 4 il fermo puo' essere eseguito dal concessionario
della   riscossione   sui   veicoli   a  motore  nel  rispetto  delle
disposizioni di cui al regolamento 7 settembre 1988, n. 503.
    In  terzo luogo osserva che il fermo non sarebbe un provvedimento
amministrativo  ma  attivita'  materiale, e pertanto non occorrerebbe
una specifica motivazione.
    Si   duole,  infine,  l'appellante,  della  condanna  alle  spese
disposta dal giudice di prime cure.
    2. - La questione di giurisdizione.
    Osserva  il  Collegio  che  la  questione  della giurisdizione in
relazione  al  fermo  di  veicoli  (c.d.  ganasce  fiscali)  previsto
dall'art. 86,   d.P.R.   n. 603   del  1973  ha  formato  oggetto  di
contrastanti pronunce da parte dei Tribunale amministrativo regionale
ed  e'  stata di recente oggetto di esame da parte della V e della IV
sezione  del Consiglio di Stato, che hanno ritenuto non sussistere la
giurisdizione   di   questo   Consesso,  bensi'  quella  del  giudice
ordinario.
    Anche  la  Corte  di  cassazione,  con  pronuncia resa in sede di
regolamento  di  giurisdizione  e  pubblicata dopo la prima Camera di
consiglio  relativa  al  presente  giudizio,  ha  ritenuto esservi la
giurisdizione del giudice ordinario (Cass, sez. un., 31 gennaio 2006,
n. 2053).
    Questo    Collegio   dovrebbe,   pertanto,   adeguarsi   a   tale
orientamento,  e, per l'effetto, declinare la propria giurisdizione e
annullare senza rinvio la sentenza di primo grado.
    Ritiene  tuttavia  il  Collegio  che  il  diritto  vivente, quale
risulta  a  seguito  delle  citate  pronunce,  da'  luogo  a dubbi di
legittimita'   costituzionale   che   appaiono   non   manifestamente
infondati.
    3. - Il quadro normativo.
    La  controversia  investe  il  fermo  di  veicolo disposto da una
concessionaria  della  riscossione  di  entrate  tributarie,  a norma
dell'art.  86, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, nel testo introdotto
dal d.lgs. 27 aprile 2001, n. 193.
    Va anzitutto ricostruito il quadro normativo di riferimento.
    Giova  ricordare  che  l'istituto  del  fermo  era stato inserito
dall'art.  5,  d.l.  31  dicembre  1996,  n. 669 nel testo del d.P.R.
n. 602 del 1973, con l'art. 91-bis del d.P.R. medesimo, per i veicoli
a  motore  ed  alcune  categorie  di  autoscafi,  attribuendosene  la
competenza  a  disporlo  alla  direzione  regionale delle imposte sui
redditi,    allorche'    il    concessionario    avesse    dimostrato
l'impossibilita'  di eseguire il pignoramento per mancato reperimento
del bene.
    Con la novella del d.P.R. n. 602 del 1973, disposta dal d.lgs. 26
febbraio  1999,  n. 46,  il  fermo  veniva  spostato nell'art. 86, ed
esteso  alla  generalita'  dei  beni mobili registrati, ma conservava
l'originaria  connotazione di strumento inteso alla conservazione del
bene  per  la  soddisfazione  del  credito  tributario, affidato alla
determinazione    dell'ufficio   finanziario   regionale,   allorche'
l'esecuzione   forzata   non   fosse  stata  possibile,  per  mancato
reperimento del bene.
    Sempre  con  la  novella  del  1999  il  fermo  veniva  inserito,
sistematicamente,   negli  atti  della  riscossione  (titolo  II)  e,
specificamente,  al  capo III, espressamente intitolato «Disposizioni
particolari  in materia di espropriazione di beni mobili registrati»,
in  immediata successione al capo intitolato «Espropriazione forzata»
(capo  II),  nella  cui  sezione  I  sono  contenute  le disposizioni
generali  in  tema  di  riscossione  coattiva, fra cui quelle dettate
dall'art. 50 (termine per l'inizio dell'esecuzione).
    La   disciplina   introdotta  nel  1999  -  con  l'attribuire  la
competenza a disporre il fermo alla direzione regionale delle entrate
ed  il condizionarne l'esperimento al mancato reperimento del bene da
pignorare  -  lasciava  l'iniziativa  del  fermo  all'amministrazione
titolare  del  diritto  di  credito,  ed  al  concessionario  la  sua
esecuzione,  mediante l'iscrizione nel pubblico registro, dopo di che
il concessionario non era esonerato dal perseguire il bene attraverso
la procedura di pignoramento, con le conseguenti responsabilita'.
    Cio'   rallentava   in   maniera  sensibile  il  procedimento  di
riscossione coattiva, accentuando l'aleatorieta' del recupero.
    Con   il   d.lgs.  27  aprile  2001,  n. 193  e'  stata  prevista
l'attribuzione diretta, al concessionario, della potesta' di disporre
la  misura  conservativa,  con il solo limite del decorso del termine
stabilito  dall'art. 50, comma 1, d.P.R. n. 602 del 1973 (vale a dire
il  termine per l'inizio del procedimento esecutivo) e salve, in ogni
caso, le dilazioni o le sospensioni di pagamento accordate.
    Tale   novella   si   inserisce   nel   quadro  delle  misure  di
semplificazione  ed accelerazione delle procedure, che il legislatore
nazionale  ha,  nella  piu' recente produzione normativa, delegato al
Governo, in questa come in altre materie.
    Il   testo  dell'art. 86,  d.P.R.  n. 602  del  1973,  nel  testo
introdotto  nel  2001, demanda ad un futuro regolamento la disciplina
attuativa: «con decreto del Ministro delle finanze, di concerto con i
Ministri  dell'interno  e  dei  lavori  pubblici,  sono  stabiliti le
modalita',  i  fermini  e  le  procedure  per  l'attuazione di quanto
previsto nel presente articolo», recita l'art. 86, comma 4.
    E'  sorta  questione  se,  nelle  more  dell'emanazione  di  tale
regolamento, che ancora non e' stato varato, fosse o meno applicabile
il  regolamento esistente (d.m. 7 settembre 1998, n. 503), emanato in
attuazione  della  disciplina  precedente che, come visto, attribuiva
all'amministrazione    finanziaria,    e    non    direttamente    al
concessionario, il potere di disporre il fermo.
    La   questione   aveva   avuto  contrastanti  interpretazioni  in
giurisprudenza,    ma   la   tesi   prevalente   era   stata   quella
dell'inapplicabilita'  della  nuova  disciplina,  non essendo ad essa
adattabile il regolamento esistente.
    L'amministrazione  finanziaria,  che  con  circolari dell'Agenzia
delle  entrate  aveva  ritenuto  applicabile  il regolamento del 1998
anche  nel vigore della nuova disciplina (circolare 24 novembre 1999,
n. 221   e  risoluzione  1°  marzo  2002,  n. 64),  si  era  adeguata
interlocutoriamente  al  prevalente orientamento giurisprudenziale, e
con risoluzione 22 luglio 2004, n. 92, aveva invitato i concessionari
della riscossione ad astenersi temporaneamente di disporre fermi.
    Da  ultimo,  e' intervenuto l'art. 3, comma 41, d.l. 30 settembre
2005,  n. 203,  conv.  nella legge 2 dicembre 2005, n. 248, che detta
una  norma  di  interpretazione autentica dell'art. 86, d.P.R. n. 602
del  1973,  e  stabilisce  che  le disposizioni del citato art. 86 si
interpretano  nel senso che, fino all'emanazione del decreto previsto
dal  comma 4 dello stesso articolo, il fermo puo' essere eseguito dal
concessionario  sui veicoli a motore nel rispetto delle disposizioni,
relative  alle  d.m.  7  settembre  1998,  n. 503  del Ministro delle
finanze.
    L'Agenzia  delle  entrate  ha  adottato  la risoluzione 9 gennaio
2006,  n. 2/E,  con  cui  viene  revocata  la  precedente risoluzione
n. 92/2004,  e  si  consente  ai  concessionari  della riscossione di
procedere  in  via diretta al fermo, a condizione che l'iscrizione di
fermo  «sia  preceduta da un preavviso, contenente ulteriore invito a
pagare  le  somme  dovute,  esclusivamente presso gli sportelli della
competente  azienda  concessionaria, entro i successivi venti giorni,
decorsi   i  quali,  il  preavviso  stesso  assumera'  il  valore  di
comunicazione di iscrizione di fermo».
    4.  -  Argomenti  a  sostegno  della  giurisdizione  del  giudice
ordinario.
    Occorre   anzitutto   riportare,  sinteticamente,  gli  argomenti
addotti dalle Sezioni unite della Cassazione e dal Consiglio di Stato
(C.  Stato,  V,  13  settembre  2005,  n. 4689;  C. Stato, sez. IV, 3
febbraio  2006,  n. 418),  per  negare  la  giurisdizione del giudice
amministrativo.
    4.1.  -  Secondo  Cass.,  sez. un., 31 gennaio 2006, n. 2053, «il
fermo amministrativo di beni mobili registrati del debitore d'imposta
e' preordinato all'espropriazione forzata.
    Ne'  fa  fede il fatto che il rimedio s'inserisce nel processo di
espropriazione   forzata  esattoriale,  il  quale  e'  segnato  dalle
seguenti tappe:
        l'iscrizione   del   credito   a   ruolo   (art. 49,   d.P.R.
n. 602/1973);  la  notificazione  al  contribuente  della cartella di
pagamento al fine della decorrenza del termine dilatorio per l'inizio
dell'esecuzione   (art. 50,   d.P.R.   citato);  la  possibilita'  di
iscrivere  il  fermo  nei registri mobiliari (art. 51, d.P.R.) citato
per  sottrarre  il  bene  sia  alla  circolazione naturale secondo il
disposto  dell'art. 214,  comma  8,  del  codice  della strada, sia a
quella  giuridica  attraverso  la  inopponibilita'  al concessionario
degli  atti  di disposizione successivi del bene, secondo il disposto
dall'art. 5, comma 1, d.m. n. 503/1998.
    Il    fermo    amministrativo,   dunque,   e'   atto   funzionale
all'espropriazione  forzata  e,  quindi,  mezzo  di realizzazione del
credito allo stesso modo con il quale la realizzazione del credito e'
agevolata dall'iscrizione ipotecaria ex art. 77, d.P.R. citato.
    Se  ne  ricava che la tutela giudiziaria esperibile nei confronti
del  fermo  amministrativo  si  deve  realizzare  davanti  al giudice
ordinario con le forme consentite dal vigente art. 57, d.P.R. citato,
dell'opposizione all'esecuzione o agli atti esecutivi.
    Si  deve  aggiungere  che  nella  materia  non ricorre neppure la
giurisdizione  esclusiva del giudice amministrativo, giacche', con la
richiesta   di   trascrizione   nei   registri  mobiliari  del  fermo
amministrativo,  il  concessionario  non  esercita  alcun  potere  di
supremazia  in  materia  di  pubblici  servizi  che,  alla luce della
pronuncia  della Corte costituzionale n. 204/2004, giustifichi questa
forma di giurisdizione amministrativa».
    4.2.  -  Secondo  la  V  sezione,  la disciplina del fermo recata
dall'art. 86,   d.P.R.   n. 602   del   1973   non  attribuirebbe  al
concessionario  poteri  di  natura  amministrativo-tributaria, propri
dell'amministrazione, bensi' si muoverebbe nella logica - propria del
diritto comune - dell'attribuzione (al creditore) di strumenti idonei
a ricercare e conservare i cespiti del patrimonio del debitore idonei
a  garantire,  in  sede  esecutiva, la soddisfazione del credito, sia
pure  con  la peculiarita' connessa al titolo per il quale si procede
alla riscossione coattiva.
    Pertanto,   sempre   secondo   la   V  sezione,  sia  prima,  sia
successivamente  alla  riforma  del  2001,  il  fermo dei beni mobili
registrati  assolverebbe ad una funzione di conservazione del cespite
patrimoniale  del  debitore,  in  vista  dell'espropriazione  forzata
intesa  alla  realizzazione  del  credito tributario, per molti versi
assimilabile  (con  le  peculiarita'  dovute  alla  natura  del bene)
all'iscrizione  ipotecaria  sui  beni  immobili prevista dall'art. 77
dello stesso decreto.
    Dalla  collocazione  sistematica  e  dal testo della norma che lo
prevede  (nella  formulazione  attuale  ed  in  quelle precedenti) si
evincerebbe  che  lo  strumento,  pur non ponendosi ancora nella fase
della  esecuzione,  o  degli  atti  esecutivi,  costituisce  un mezzo
cautelativo    ed    anticipatorio    degli   effetti   espropriativi
dell'esecuzione, che sottrae il bene innanzitutto all'uso al quale e'
destinato  (e  da  cui  potrebbero derivare conseguenze dirette sulla
idoneita'  a soddisfare, con l'esecuzione, la realizzazione coattiva,
totale  o  parziale,  del  credito) ed alla circolazione giuridica in
danno del creditore.
    In  tale  contesto, l'enunciato secondo cui, trascorso il termine
previsto   dal   primo  comma  dell'art. 50  (sessanta  giorni  dalla
notificazione  della  cartella  di pagamento) il concessionario «puo»
disporre   il   fermo  amministrativo  del  bene  mobile  registrato,
conferirebbe, al soggetto responsabile della riscossione, non gia' un
singolare   potere   autoritativo  e  discrezionale  in  vista  degli
interessi  pubblici specifici affidati alla cura dell'amministrazione
concedente,  bensi' una potesta' che si colloca (concettualmente) nel
quadro  dei  diritti  potestativi  del  creditore (quale e' quello di
promuovere  atti  conservativi  sul  patrimonio del debitore in vista
della  esecuzione forzata) che trovano nel diritto comune la naturale
collocazione  e  nel  giudice ordinario quello naturale, in quanto la
soggezione  del debitore all'esercizio della potesta' ha la sua fonte
nel  debito certo, liquido ed esigibile, che vincola il debitore alla
sua  estinzione  (con i mezzi ordinari o con l'esecuzione forzata), e
nel rapporto obbligatorio la sua intrinseca giustificazione.
    La  controversia  relativa  al  fermo,  sia  nella fase della sua
esecuzione  che  in  quella della sua disposizione, della quale viene
dato  avviso  al  debitore,  non  riguarderebbe ne' il tributo per il
quale  si  procede  alla  riscossione,  ne'  la  materia del pubblico
servizio   anche   nella   piu'  lata  accezione  assunta  dal  testo
dell'art. 33,  d.lgs.  31  marzo  1998, n. 80) (come sostituito dalla
legge n. 205 del 2000, e prima dell'intervento demolitore della Corte
costituzionale),  ma  si  muoverebbe  su  di  un  binario  del  tutto
differente,  che ha nel giudice ordinario l'autorita' giurisdizionale
deputata  a  conoscere delle relative controversie (nel limite in cui
le  stesse non siano sottratte alla cognizione di alcun giudice) come
specificato  dall'art. 57, d.P.R. n. 602 del 1973 (che non ammette le
opposizioni  di  cui  all'art. 615 c.p.c., fatta eccezione per quelle
relative alla pignorabilita' dei beni).
    Sempre  nella  logica  di  siffatta impostazione privatistica, e'
stato  anche osservato (Tribunale amministrativo regionale Campania -
Napoli,  sez.  I,  16  settembre 2004, n. 12025) che l'esecuzione del
fermo,  affidata  ora direttamente al concessionario, non costituisce
altro  che  l'espressione  dello  jus  eligendi  (diritto  di scelta)
ordinariamente  riconosciuto, nelle procedure esecutive, al creditore
procedente   tra  i  diversi  mezzi  di  aggressione  del  patrimonio
dell'esecutato o tra diversi beni passibili di esecuzione forzata; si
tratta,  dunque,  di  una  facolta'  di  diritto  comune destinata ad
incidere  nella  sfera  giuridica  del  debitore  (ne  non vi si puo'
sottrarre  se  non  con  l'estinzione  del  debito), accostabili alle
potesta'   amministrative,   soltanto  per  il  tratto  comune  della
soggezione  di  chi e' destinato a subirle, senza che, per questo, il
potere  esercitato  esca  dalla sfera delle relazioni intersoggettive
per  essere ricondotto ai rapporti governati dal diritto pubblico, la
cui tutela appartiene alla cognizione del giudice amministrativo.
    La  sezione  V  conclude  pertanto nel senso che il fermo sarebbe
atto  funzionale  alla  esecuzione,  che  -  pure con le connotazioni
particolari derivanti dalla natura del rapporto obbligatorio in forza
del  quale  il  debitore  e' tenuto al pagamento e della legislazione
speciale che lo prevede, accordando poteri extra ordinem al creditore
ed  allo  stesso  incaricato  della  riscossione  - dovrebbe comunque
essere  inquadrato  (per  di  piu'  nella  sistemazione piu' corretta
derivante  dalla  riforma del 2001, che ha opportunamente individuato
nello  stesso  responsabile della riscossione il soggetto abilitato a
disporlo) fra gli strumenti di conservazione dei cespiti patrimoniali
sui  quali  puo'  essere  soddisfatto  coattivamente  il credito, che
l'ordinamento  ordinariamente appresta alla generalita' dei creditori
(in  base  alla  scelta  politica, di carattere generale e di diritto
comune,  di  una  tutela piu' incisiva degli interessi dei creditori,
nel rapporto intersoggettivo debito - credito), cosi' come prodromica
all'esecuzione  e'  la  notificazione  della cartella esattoriale che
assolve,  nel  procedimento  di  riscossione,  alla medesima funzione
della notificazione del precetto di pagamento di diritto comune.
    In tale quadro, la cognizione delle controversie ad esso relativo
si  sottrarrebbe alla giurisdizione del giudice amministrativo, sia a
quella  costitutiva  di  legittimita'  (non  essendovi  provvedimento
amministrativo  lesivo  di  interessi legittimi del titolare del bene
che   ne   assoggettato)  sia  a  quella  esclusiva,  eccezionalmente
demandata a tale giudice.
    Una certa propensione a ricondurre l'istituto nella giurisdizione
esclusiva  deI giudice amministrativo, chiarissima in talune pronunce
di  primo  grado del giudice amministrativo (Tribunale amministrativo
regionale   Abruzzo,  Pescara,  19  luglio  2004,  n. 704;  Tribunale
amministrativo  regionale  Puglia,  Bari,  sez.  I,  6  maggio  2004,
n. 2065,  16  aprile  2003, n. 1764, 8 aprile 2003, n. 1812, 3 aprile
2003, n. 1567; Tribunale amministrativo regionale Puglia, Lecce, sez.
1,  7  luglio  2004,  n. 4880)  e  percepibile  anche  nell'ordinanza
cautelare  della  sezione  IV  del Consiglio di Stato 13 luglio 2004,
n. 3259 (che, invero, non contiene una motivazione espressa sul punto
della giurisdizione) sarebbe, secondo la V sezione, ormai risolta, in
radice,  in senso contrario, dal ridimensionamento delle attribuzioni
del  giudice  amministrativo,  conseguente  alla sentenza della Corte
costituzionale  6  luglio  2004,  n. 204,  che  ha significativamente
modificato  il  testo dell'art. 33, d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 (come
sostituito  dalla legge n. 205 del 2000), dichiarandone, tra l'altro,
l'illegittimita' del primo comma, nella parte in cui prevede che sono
devolute  alla  giurisdizione  esclusiva  del  giudice amministrativo
«tutte  le  controversie in materia di pubblici servizi, ivi compresi
quelli»  anziche'  «le  controversie  in  materia di pubblici servizi
relative   a   concessioni   di   pubblici  servizi,  escluse  quelle
concernenti   indennita',   canoni  ed  altri  corrispettivi,  ovvero
relative  a  provvedimenti  adottati dalla pubblica amministrazione o
dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo
disciplinato  dalla  legge  7  agosto  1990,  n. 241,  ovvero  ancora
relative all'affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e
controllo nei confronti del gestore, nonche».
    Nel  senso della giurisdizione del giudice ordinario si ricordano
anche  Tribunale amministrativo regionale Emilia Romagna, 25 novembre
2003,  n. 2516;  Ta.r.  Calabria  20  giugno 2003, n. 2110; Tribunale
amministrativo regionale Lombardia, 5 maggio 2003, n. 1140; Tribunale
amministrativo  regionale  Veneto,  30  gennaio  2003,  n. 886), e la
giurisprudenza  di merito del giudice ordinario (Tribunale di Novara,
9 maggio 2003; Trib. Torino, 7 luglio 2004).
    5.  -  Argomenti  a sostegno della sottrazione alla giurisdizione
del giudice ordinario.
    In  difformita'  dal  suesposto orientamento, ritiene tuttavia la
Sezione che vi siano fondati argomenti per affermare:
        a)  che  il  fermo di cui all'art. 86, d.P.R. n. 602 del 1973
sia un provvedimento amministrativo;
        b)  che su tale provvedimento non vi sia la giurisdizione del
giudice ordinario.
    5.1.  -  In relazione alla prima affermazione, in sintesi, sembra
corretto  ricostruire  il  fermo come provvedimento amministrativo di
autotutela conservativa del patrimonio del debitore tributario, e non
come  strumento di autotutela civilistica in un ordinario rapporto di
credito-debito.
    Proprio   la   disamina  del  quadro  normativo  di  riferimento,
effettuata  nel  1/2 4 della presente ordinanza, induce il Collegio a
tale conclusione.
    5.2.  -  Giova  anzitutto osservare che il d.P.R. n. 602 del 1973
nel suo titolo II disciplina la «riscossione coattiva» e, nel capo II
di tale titolo, la «espropriazione forzata».
    Tale   collocazione   sistematica,  unitamente  ad  argomenti  di
carattere  storico  e  sistematico,  evidenzia  che  l'espropriazione
forzata    esattoriale    ha    connotati    profondamente    diversi
dall'espropriazione  forzata  disciplinata  nel  codice  di procedura
civile.  I  due  istituti, identici solo nel nome, sono diversi nella
natura  giuridica:  il  primo  e'  un procedimento amministrativo, il
secondo e' un processo giurisdizionale.
    E,  invero, il c.d. patto conimissorio, che consente al creditore
di  soddisfarsi  in  via di autotutela sul patrimonio del debitore, e
dunque    con    una    espropriazione   forzata   privatistica,   e'
dall'ordinamento  vietato per la generalita' dei creditori (art. 2744
cod.  civ.),  in  quanto  la  soddisfazione  del  credito  in  via di
espropriazione  forzata  e'  affidata  ad un vero e proprio processo,
sotto  il  controllo  di  un  giudice, il c.d. processo di esecuzione
(libro III del cod. proc. civ.).
    In  questo,  l'ordinamento italiano ha seguito, sin dal cod. civ.
del  1865,  l'ordinamento  francese,  che con la legge 2 giugno 1841,
n. 245  (codice  di  procedura  civile),  nel  prevedere  il processo
esecutivo   condotto   da  un  giudice,  vieto'  qualsiasi  forma  di
«esecuzione  parata»  (ossia  in  via  di autotutela privatistica) e,
implicitamente, anche il c.d. patto commissorio.
    Ma  al  divieto  generalizzato di autotutela esecutiva si sottrae
tutt'oggi,  almeno  in  parte,  lo  Stato per i crediti tributari: il
d.P.R.   n. 602   del   1973   disciplina   l'espropriazione  forzata
nell'ambito    della   riscossione,   sancendo   che   all'esecuzione
esattoriale  si applica il cod. proc. civ. solo se non derogato e nei
limiti  della compatibilita'. Si tratta, pertanto, di un procedimento
amministrativo, con limitati momenti di processualizzazione.
    Da  una  disamina  del  d.P.R.  n. 602  del  1973  si  evince che
l'espropriazione  forzata  a soddisfacimento dei crediti tributari e'
connotata da molteplici profili di autotutela pubblica esecutiva, che
sono  il  residuo di antichi privilegi del creditore, conservati solo
allo Stato in ragione delle peculiarita' del credito tributario.
    In  sintesi, l'espropriazione forzata di cui al d.P.R. n. 602 del
1973  e'  condotta  dallo  stesso  concessionario della riscossione e
dall'ufficiale della riscossione, e l'intervento del giudice e' molto
piu'   limitato  e  ristretto  rispetto  al  processo  di  esecuzione
delineato dal cod. proc. civ.
    In dettaglio:
        l'art. 49,    d.P.R.    n. 602    del    1973   avverte   che
all'espropriazione  forzata si applica il cod. proc. civ. solo se non
derogato e solo nei limiti della compatibilita';
        l'art. 49,  comma  3,  aggiunge  che  le  funzioni  spettanti
all'ufficiale giudiziario nel processo di esecuzione, sono attribuite
all'ufficiale della riscossione;
        la   vendita   dei   beni  pignorati  e'  fatta  a  cura  del
concessionario  della riscossione, senza necessita' di autorizzazione
del  giudice  (art. 52),  e  il  procedimento di vendita si svolge in
maniera diversa rispetto a quanto prevede il cod. proc. civ.;
        e'    fortemente   limitata   l'ammissibilita'   dei   rimedi
processualcivilistici      dell'opposizione      all'esecuzione     e
dell'opposizione  agli  atti  esecutivi,  di cui agli artt. 615 e 617
cod. proc. civ. (art. 57, d.P.R. n. 602 del 1973);
        e'  eccezionale  la  possibilita'  che  il  giudice  sospenda
l'esecuzione esattoriale (art. 60).
    Da  tale quadro si evince che l'espropriazione forzata del d.P.R.
n. 602   del  1973  ha  connotati  peculiari  che  la  avvicinano  ai
procedimenti   amministrativi  ablatori,  e  dunque  a  strumenti  di
autotutela pubblicistica, piu' che al processo di esecuzione forzata.
    Ed  e'  in  tale quadro che va collocato il fermo di cui all'art.
86,   d.P.R.   n. 602  del  1973,  che  e'  strumento  di  autotutela
nell'ambito del procedimento amministrativo di riscossione coattiva e
non rimedio cautelare nell'ambito del processo di esecuzione forzata.
    5.3.  -  Si  deve,  in secondo luogo, considerare che il processo
civile non riconosce, nell'ambito del processo di esecuzione forzata,
strumenti   di   autotutela   conservativa   rimessi   all'iniziativa
unilaterale  del  creditore,  il  quale  e'  invece  sempre  tenuto a
rivolgersi  al  giudice per assicurarsi la conservazione dei beni del
debitore a garanzia delle proprie ragioni di credito.
    Viceversa,  il  d.P.R.  n. 602  del  1973  ha  attribuito,  prima
all'amministrazione  tributaria, e poi direttamente al concessionario
della  riscossione,  un  potere di autotutela conservativa a garanzia
della  riscossione  del  credito tributario, costituito dal fermo dei
beni mobili registrati (in primis, veicoli a motore e autoscafi).
    Invero, si tratta di strumento che sortisce l'effetto di impedire
la  circolazione  del  bene,  e  di rendere inopponibili al creditore
tributario  gli  atti  di  disposizione  del  bene  (art. 5,  d.m.  7
settembre 1998, n. 503).
    Si  tratta  dunque  di misura che sortisce effetti analoghi ad un
sequestro  conservativo, con la peculiarita' che viene disposta senza
l'intervento  di  alcun giudice, ma in virtu' di un atto dello stesso
concessionario.
    Si   verifica,   pertanto,  una  limitazione  delle  facolta'  di
godimento  e  di  disposizione  inerenti al diritto di proprieta', in
virtu'  di  un  atto  autoritativo  unilaterale, e dunque secondo una
vicenda  assimilabile  ai  provvedimenti  amministrativi ablatori, e,
segnatamente, alle requisizioni.
    5.4.  - Prima della novella del 2001, il fermo veniva chiesto dal
concessionario   della   riscossione,   e   disposto   con   un  atto
dell'amministrazione    finanziaria,    che    veniva   espressamente
qualificato   dal   legislatore   come  «provvedimento»,  di  cui  il
concessionario  curava  l'iscrizione  nei  pubblici registri (art. 4,
d.m. n. 503/1998).
    Anche la versione novellata dell'art. 86, d.P.R. n. 602 del 1973,
nonostante   attribuisca   direttamente   al   concessionario   della
riscossione  il potere di disporre il fermo, continua a parlare di un
«provvedimento»  di fermo, stabilendo che il fermo si esegue mediante
iscrizione  nei registri mobiliari «del provvedimento che lo dispone»
(art. 86, comma 2).
    Emerge dunque un dato letterale inequivoco: infatti l'espressione
«provvedimento»  e'  tipicamente impiegata, nel linguaggio normativo,
per indicare gli atti autoritativi della pubblica amministrazione.
    5.5.  -  Oltre  al  dato  letterale, soccorrono considerazioni di
carattere sistematico.
    Mentre  la  generalita' dei creditori non dispongono di strumenti
di  autotutela esecutiva e conservativa, invece con l'art. 86, d.P.R.
n. 602 del 1973 si attribuisce al creditore un potere particolarmente
incisivo della sfera del debitore, che si giustifica solo in funzione
del  rilevante  interesse  pubblico  connesso  alla  riscossione  del
credito tributario.
    Non  vi  e'  pertanto  un  paritetico rapporto di credito-debito,
riconducibile allo schema diritto soggettivo-giudice ordinario, ma un
potere  autoritativo unilaterale strumentale al soddisfacimento di un
interesse    pubblico,    riconducibile    allo    schema   interesse
legittimo-giudice amministrativo.
    5.6.  -  Prima  della  novella del 2001, il potere di disporre il
fermo  era  attribuito  all'autorita' amministrativa: l'attribuzione,
ora,  al  concessionario  della  riscossione, risponde ad esigenze di
celerita',  ma  non  muta  la  natura  dello strumento, che rimane un
provvedimento  autoritativo,  attribuito al concessionario secondo lo
schema dell'esercizio privato di pubbliche funzioni.
    5.7. -Va anche considerato che mentre prima del 2001 il fermo era
condizionato  al mancato reperimento del bene da pignorare, nel testo
vigente  dell'art. 86  il  fermo  puo'  essere disposto a prescindere
dall'esito infruttuoso del pignoramento.
    Cio'  implica  che  il  fermo  puo'  essere  disposto con la sola
condizione  che sia inutilmente decorso il termine di sessanta giorni
dalla  notificazione  della  cartella  di  pagamento, ma e' del tutto
svincolato dall'inizio del procedimento di esecuzione forzata, inizio
che,  secondo  la  regola  generale divisata dall'art. 491 c.p.c., e'
segnato dal pignoramento.
    Sicche',   mentre   prima   della   novella  del  2001  il  fermo
presupponeva  quanto  meno  un  tentativo  di  avvio del procedimento
esecutivo  (con  ricerca  dei  beni  da pignorare e esito infruttuoso
defignorarnento), nel testo vigente il fermo e' svincolato dall'avvio
del processo esecutivo, il che e' indizio del suo carattere di misura
di autotutela conservativa del patrimonio del debitore.
    5.8.  -  Si  deve,  ancora, osservare che il comma 3 dell'art. 86
dispone  che  chiunque  circola  con  veicoli, autoscafi o aeromobili
sottoposti al fermo e' soggetto alla sanzione prevista dall'art. 214,
comma 8, d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285.
    Si  tratta  della  sanzione amministrativa pecuniaria e di quella
della  confisca del veicolo, previste dal codice della strada in caso
di circolazione di veicolo sottoposto a fermo amministrativo.
    Dunque,  sotto  il profilo sanzionatorio, la violazione del fermo
di  cui  all'art. 86 in commento viene normativamente equiparata alla
violazione del fermo amministrativo.
    Ora,  sarebbe  ben  strano,  se  il  fermo  di cui all'art. 86 in
commento  fosse  una  misura  di autotutela civilistica, che alla sua
violazione   non   consegnano   sanzioni   civili,   bensi'  sanzioni
amministrative.
    5.9. - Ancora, se si trattasse di atto di autotutela civilistica,
l'adempimento  da  parte  del  debitore  dovrebbe  di  per se' essere
sufficiente  a  far  venire  meno gli effetti del fermo: la prova del
pagamento  dovrebbe  consentire la cancellazione della iscrizione del
fermo  nei  registri  mobiliari.  Invece, l'art. 6, d.m. n. 503/1998,
stabilisce la inidoneita' della sola prova del pagamento a consentire
la  cancellazione  del  fermo. Occorre, invece, che il concessionario
comunichi   l'avvenuto   pagamento  alla  direzione  regionale  delle
entrate,  che  nei successivi venti giorni emette un provvedimento di
revoca  del  fermo  inviandolo  al  contribuente  (nel nuovo assetto,
compete al concessionario disporre la revoca del fermo). Solo dopo il
provvedimento di revoca, e' possibile, per il debitore, conseguire la
cancellazione  della  iscrizione  del  fermo,  recandosi al p.r.a. ed
esibendo il provvedimento di revoca.
    Tale  assetto denota che il fermo non e' un atto materiale, ma un
provvedimento  amministrativo, che produce i suoi effetti finche' non
viene  meno in virtu' di un atto di revoca, revoca che costituisce un
tipico  atto provvedimentale di ritiro, e interviene quando mutino le
circostanze  di fatto o per sopravvenuti motivi di pubblico interesse
ovvero   nel   caso  di  nuova  valutazione  dell'interesse  pubblico
originario (art. 21-quinquies, legge 7 agosto 1990, n. 241).
    5.10. - Piu' in generale, va osservato che il d.m. n. 503/1998 ha
procedimentalizzato  il  fermo,  inserendolo  in  un  vero  e proprio
procedimento   amministrativo  (avviso  di  avvio  del  procedimento,
adozione  del  provvedimento  di  fermo,  revoca  del provvedimento),
sicche'  riesce difficile accogliere la prospettazione secondo cui il
fermo  rientra nel novero delle attivita' materiali di autotutela del
creditore in un rapporto paritario di credito-debito.
    In  piu',  come.  si  evince dall'ultima norma di interpretazione
autentica  dell'art. 86,  d.P.R. n. 602 del 1973, e dalla conseguente
risoluzione   dell'Agenzia  delle  entrate  n. 9  del  2006,  e'  ora
demandato  ai  concessionari della riscossione di adottare e revocare
il provvedimento di fermo, utilizzando il procedimento di cui al d.m.
n. 503/1998.  Sicche',  i  concessionari  della riscossione lungi dal
potersi   limitare   a   chiedere   al  p.r.a.  la  iscrizione  e  la
cancellazione  dell'iscrizione  del  fermo,  devono seguire un vero e
proprio  procedimento amministrativo, con un tipico esercizio privato
di poteri pubblicistici.
    5.11.  - In conclusione, sembra corretto ritenere che il fermo di
cui   all'art. 86,  d.P.R.  n. 602  del  1973  sia  un  provvedimento
amministrativo  di  autotutela,  in  funzione dell'interesse pubblico
sotteso  alla  soddisfazione  del  credito  tributario, attribuito al
concessionario  della riscossione che sotto tale profilo e' esercente
privato di una pubblica funzione.
    Si  tratta  di provvedimento riconducibile allo schema degli atti
ablatori.
    In  quanto  provvedimento amministrativo, discrezionale nell'an e
nel  quid,  deve  essere  congruamente motivato sia in relazione alla
sussistenza   di  un  interesse  pubblico  prevalente  sull'interesse
privato  alla  libera  disponibilita'  del bene sia in relazione alla
proporzione  tra  l'entita' del credito tributario da riscuotere e il
sacrificio che viene imposto al privato con la temporanea sottrazione
dell'uso e della disponibilita' giuridica del bene.
    6. - I profili di giurisdizione.
    6.1.  -  Una volta ricostruito il fermo di cui all'art. 86 citato
in  termini  di  provvedimento  amministrativo, alla luce delle norme
vigenti   occorre   individuare   quale   sia   il   giudice  che  ha
giurisdizione.
    Sembra  anzitutto  da escludere che sul fermo di cui all'art. 86,
d.P.R. n. 602 del 1973, vi sia giurisdizione del giudice tributario.
    E,  invero, l'art. 2, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, che indica
l'ambito della giurisdizione delle commissioni Tributarie, esclude da
questa  le controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata
tributaria  successivi  alla  notifica della cartella di pagamento e,
ove previsto, dell'avviso di cui all'art. 50, d.P.R. n. 602 del 1973,
per  le  quali  continuano ad applicarsi le disposizioni del medesimo
d.P.R.  Inoltre  il successivo art. 19 del medesimo d.lgs. elenca una
serie di atti tipici e nominati, che possono essere impugnati davanti
alle  commissioni  tributarie,  e tra questi non e' compreso il fermo
tributario di beni mobili registrati.
    6.2.  -  Escluso  il giudice tributario, rimane l'alternativa tra
giudice ordinario e giudice amministrativo.
    Sembra  al  Collegio che in tema di fermo, non dettando il d.P.R.
n. 602  del 1973 specifiche disposizioni in tema di giurisdizione, la
questione  andrebbe  risolta  secondo l'ordinario criterio di riparto
diritti soggettivi-interessi legittimi.
    Giova  considerare  che  a fronte di provvedimenti amministrativi
autoritativi,  il giudice naturale e' quello amministrativo (art. 103
Cost.), a meno che non vi siano norme derogatorie espresse.
    E,  invero, al giudice ordinario non e' attribuito, di regola, il
potere di conoscere in via immediata e diretta della legittimita' dei
provvedimenti   amministrativi,  salvo  il  potere  di  disapplicarli
(artt. 4 e 5, legge n. 2248 del 1865, all. E).
    Nel  caso  specifico,  nessuna  norma  del d.P.R. n. 602 del 1973
indica quale giudice debba occuparsi del fermo amministrativo.
    Ne  consegue,  nel silenzio del legislatore, che la giurisdizione
sembra da attribuire al giudice amministrativo.
    L'opposta soluzione, che vuole competente il giudice ordinario, o
si   tradurrebbe  nel  conferimento  allo  stesso  di  un  potere  di
annullamento  di  un  atto  amministrativo, non e' contemplato da una
espressa    attribuzione   legislativa,   o   si   traduce,   secondo
l'elaborazione  giurisprudenziale  corrente,  nella  negazione  della
natura provvedimentale del fermo.
    Giova  ricordare che nel diverso caso del fermo amministrativo di
veicoli   previsto   dal   codice   della  strada  (art. 214,  d.lgs.
n. 285/1992),  vi  e' una norma espressa che attribuisce il potere di
cognizione e di annullamento al giudice ordinario (con il giudizio di
opposizione   alle   sanzioni   amministrative   di  cui  alla  legge
n. 689/1981).
    E  una  norma espressa e' necessaria, perche' si tratta di deroga
al  sistema  generale,  che  vuole  il  giudice amministrativo, e non
quello   ordinario,  competente  a  conoscere  dell'impugnazione  dei
provvedimenti.
    Sicche', mentre per il fermo previsto dal codice della strada, vi
e'  una  norma  espressa  che  attribuisce  giurisdizione  al giudice
ordinario  e  indica il rito da seguire, attribuendo espressamente al
giudice ordinario il potere di annullamento di un atto amministrativo
(rito   della  legge  n. 689/1981),  per  il  fermo  di  beni  mobili
registrati  di  cui  al d.P.R. n. 602 del 1973 il legislatore tace in
ordine alla giurisdizione.
    Non  si puo' ad esso estendere la disciplina di cui all'art. 214,
codice  della  strada,  perche'  si  tratta di disciplina derogatoria
dell'ordinario  riparto di giurisdizione, e come tale non applicabile
analogicamente.
    Sembra  invece  corretto trarre, dal silenzio del legislatore, la
conseguenza  che  si applica la regola generale in tema di riparto di
giurisdizione.
    7. - I dubbi di legittimita' costituzionale.
    Una  volta  ricostruito  il  fermo  di  cui all'art. 86 citato in
termini di provvedimento amministrativo, ad avviso del Collegio se le
norme  contenute  negli  artt. 49,  57,  86,  d.P.R. n. 602 del 1973,
nonche'  quelle  contenute  negli  articoli 2 e 19, d.lgs. n. 546 del
1992,  vengono interpretate, secondo il diritto vivente quale risulta
dalla  giurisprudenza,  nel  senso  di attribuire la giurisdizione al
giudice  ordinario,  le  stesse  appaiono  sospette di illegittimita'
costituzionale.
    E,  invero,  tali  norme non attribuiscono, come gia' esposto, al
giudice   ordinario   un   potere   di   sindacato   pieno  sull'atto
amministrativo, esteso al potere di annullamento dell'atto.
    Sicche'  il  giudice  ordinario  non ha il potere di sindacare la
motivazione  del  provvedimento  e,  segnatamente, la proporzione tra
l'entita' della misura e il credito garantito.
    Se,  invece,  tali  norme  venissero interpretate nel senso della
giurisdizione   del   giudice   amministrativo  (ovvero  del  giudice
tributario),  vi  sarebbe  maggiore  tutela  per  il destinatario del
fermo,  avendo  il  giudice  amministrativo  (e quello tributario) il
potere  di  sospendere e annullare il provvedimento, previo sindacato
sul   corretto   esercizio   del   potere,  sulla  adeguatezza  della
motivazione e, segnatamente, sulla proporzione tra misura del fermo e
entita' del credito.
    Le  norme  citate,  se  intese nel senso di attribuire al giudice
ordinario   la   giurisdizione   sul   fermo,  senza  contestualmente
attribuirgli  una  giurisdizione piena sul provvedimento, appaiono in
contrasto con gli articoli 3 e 24, 16, 41 e 42 Cost.:
        3  e  24,  per  irragionevole  disparita'  di trattamento tra
soggetti  destinatari  di  provvedimenti amministrativi, in danno dei
soggetti  destinatari  dei  provvedimenti  di  fermo, che non possono
fruire di una tutela piena, di annullamento;
        16, per limitazione, mediante i provvedimenti di fermo, della
liberta'  di  circolazione  dei  cittadini, limitazione che non trova
adeguata  tutela  mediante  un  sindacato  giurisdizionale  pieno sui
provvedimenti medesimi;
        41, per limitazione, mediante i provvedimenti di fermo, della
iniziativa  economica  privata,  limitazione  che  non trova adeguata
tutela  mediante un sindacato giurisdizionale pieno sui provvedimenti
medesimi, laddove i provvedimenti siano sproporzionati;
        42, per limitazione, mediante i provvedimenti di fermo, della
proprieta'   privata,  limitazione  che  non  trova  adeguata  tutela
mediante   un   sindacato  giurisdizionale  pieno  sui  provvedimenti
medesimi, laddove i provvedimenti siano sproporzionati.
    Le  questioni,  oltre  che  non  manifestamente  infondate,  sono
rilevanti  ai  fini  del  giudizio  in corso, in quanto alla luce del
diritto   vivente  questo  Collegio  dovrebbe  declinare  la  propria
giurisdizione e, per l'effetto, annullare senza rinvio la sentenza di
primo  grado. In tal modo, si determinerebbe una diminuita tutela per
il ricorrente.
    Diversamente,  se  le questioni di costituzionalita' risultassero
fondate,  l'esito  del  giudizio  sarebbe  differente, potendo questo
Collegio  trattenere  la  causa  e  deciderla  nel  merito, valutando
l'adeguatezza  della  motivazione  del provvedimento e la proporzione
tra misura disposta e entita' del credito.
    Le norme denunciate potrebbero essere interpretate, nel senso qui
proposto,  di  attribuire la giurisdizione al giudice amministrativo,
secondo   il  criterio  ordinario  di  riparto,  e  in  tal  caso  si
sottrarrebbero a censure di incostituzionalita': ma allo stato osta a
tale   interpretazione   il   diritto  vivente  quale  risulta  dalla
giurisprudenza ordinaria e amministrativa.
    8.  -  In  conclusione,  appare  rilevante  e  non manifestamente
infondata,  in  relazione agli articoli 3 e 24, 16, 41 e 42 Cost., la
questione  di  legittimita' costituzionale degli articoli 49, 57, 86,
d.P.R.  n. 602  del  1973, e degli articoli 2 e 19, d.lgs. n. 546 del
1992, se interpretati, secondo il diritto vivente quale risulta dalla
giurisprudenza,  nel  senso  di  attribuire  al  giudice ordinario la
giurisdizione  sulle  controversie  in materia di fermo tributario di
veicoli,  perche'  non  attribuiscono  alla giurisdizione del giudice
ordinario  un  sindacato  pieno  sul  provvedimento,  anziche' essere
interpretati  nel  senso  di  attribuire  la giurisdizione al giudice
amministrativo.
    Il  giudizio deve essere sospeso, e gli atti vanno trasmessi alla
Corte costituzionale.
    Ogni  ulteriore  statuizione in rito, in merito, e in ordine alle
spese, resta riservata alla decisione definitiva.
                              P. Q. M.
    Non definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe;
    Visti   gli   artt. 134   della   Costituzione;   1  della  legge
costituzionale  9  febbraio 1948, n. 1; 23 della legge 11 marzo 1953,
n. 87;
    Dichiara  rilevante  e  non manifestamente infondata in relazione
agli articoli 3 e 24, 16, 41 e 42 Cost., la questione di legittimita'
costituzionale  degli  articoli 49, 57, 86, d.P.R. n. 602 del 1973, e
degli  articoli  2  e  19.  d.lgs.  n. 546 del 1992, se interpretati,
secondo  il  diritto  vivente quale risulta dalla giurisprudenza, nel
senso  di  attribuire  al  giudice  ordinario  la giurisdizione sulle
controversie in materia di fermo tributario di veicoli.
    Dispone la sospensione del presente giudizio.
    Ordina   la   immediata   trasmissione   degli  atti  alla  Corte
costituzionale.
    Ordina  che  a  cura  della  segreteria della sezione la presente
ordinanza  sia  notificata  alle  parti  in causa e al Presidente del
Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti delle Camere
dei deputati e del Senato della Repubblica.
    Riserva  alla  decisione definitiva ogni ulteriore statuizione in
rito, in merito e in ordine alle spese.
    Cosi'  deciso  in  Roma, nelle Camere di consiglio del 24 gennaio
2006 e del 14 marzo 2006.
                       Il Presidente: Varrone
         Il consigliere relatore ed estensore: De Nictolis
07C0110