N. 698 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 luglio 2006

Ordinanza  emessa  il  18  luglio  2006  dal tribunale di Ravenna nel
procedimento penale a carico di Feddag Nacer Eddine ed altro

Reati  e  pene  -  Circostanze  del  reato  - Concorso di circostanze
  aggravanti  e  attenuanti - Divieto di prevalenza delle circostanze
  attenuanti  sulle  circostanze  inerenti alla persona del colpevole
  nel  caso  previsto dall'art. 99, quarto comma, cod. pen. (recidiva
  reiterata) - Contrasto con il principio di ragionevolezza - Lesione
  del principio della funzione rieducativa della pena.
- Codice  penale, art. 69, comma quarto, modificato dall'art. 3 della
  legge 5 dicembre 2005, n. 251.
- Costituzione, artt. 3, primo comma, e 27, comma terzo.
(GU n.7 del 14-2-2007 )
                            IL TRIBUNALE

    Ha  pronunciato la seguente ordinanza ai sensi dell'art. 23 legge
11  marzo  1953,  n. 87  (letta  alla  pubblica udienza del 18 luglio
2006).
    In  data 21 giugno 2006 Nacer Eddine Feddag e Gian Luca Beneventi
sono  stati  arrestati  dai Carabinieri del N.O.R.M. di Ravenna nella
flagranza  del  reato  previsto  dall'art. 73,  d.P.R.  n. 309/1990 e
condotti  davanti  al giudice del dibattimento ex art. 558 c.p.p. per
la convalida ed il giudizio direttissimo.
    Ad  esito  della  convalida,  entrambi  gli imputati, all'odierna
udienza, hanno richiesto il giudizio abbreviato.
    Conseguentemente    e'    stata   emessa   ordinanza   ai   sensi
dell'art. 438, comma 4 del codice di rito.
    Al  Feddag  viene  contestata  la  cessione di circa dieci grammi
(lordi)  di  eroina  nonche'  la  detenzione, non finalizzata all'uso
esclusivamente   personale,   di  altri  due  grammi  della  medesima
sostanza.
    L'imputato  ha  ammesso la propria responsabilita' in ordine alla
cessione  della  droga,  deducendo  che quella detenuta sulla propria
persona  sarebbe stata il prezzo della attivita' di intermediario fra
il fornitore e l'acquirente finale (il Beneventi).
    Il  Feddag, peraltro, ha iniziato una attivita' di collaborazione
con  gli inquirenti ed e' gia' stato esaminato due volte dal pubblico
ministero in ordine alla responsabilita' di terze persone.
    Quanto  alla  posizione  del Beneventi, si ritiene che, alla luce
delle  condizioni  soggettive  dell'imputato  e  del quantitativo non
esiguo  della sostanza detenuta, sia dimostrata l'insussistenza della
detenzione  per  esclusivo  uso  personale,  elemento  negativo della
condotta, neppure dedotta dall'imputato, il quale si e' avvalso della
facolta' di non rispondere.
    Al   giudicante   pare   configurabile  nel  caso  di  specie  la
circostanza  attenuante ad effetto speciale prevista dal quinto comma
dell'art. 73  d.P.R.  n. 309/1990  (fatto  di  lieve  entita),  avuto
particolare  riguardo  alla  non elevata quantita' dello stupefacente
ceduto  e  detenuto, dovendosi rimarcare che quelle indicate nei capi
di imputazione sono quantita' lorde, risultanti a seguito di un primo
sommario accertamento dei Carabinieri: l'episodio delittuoso, nel suo
insieme,  presenta  connotati tali da poter essere definito di minore
offensivita' per la collettivita', (in proposito cfr., fra le ultime,
Cass. 19 ottobre 2004, Bassi e altri; Cass. 3 novembre 2004, Nwbodo e
altri  Cass.  2  dicembre 2004, Grado e altri; Cass. 3 febbraio 2005,
Pronesti'; Cass. 21 giugno 2005, Lantani e altro).
    In  diritto,  va ricordato l'orientamento della giurisprudenza di
legittimita', cosi' costante da costituire «diritto vivente», secondo
il   quale,   con   la   previsione  dell'art. 73,  comma  5,  d.P.R.
n. 309/1990,  non  si e' introdotta una fattispecie autonoma di reato
bensi'  una  circostanza attenuante ad effetto speciale (cosi', anche
di  recente,  Cass. 29 settembre 2005, Frank; Cass. 24 febbraio 2005,
Cianchetta;  Cass. 21 dicembre 2004, D'Aquilio), soggetta ovviamente,
nel  caso  di  concorso  con  una  o  piu' circostanze aggravanti, al
giudizio  di  comparazione  previsto  dall'art. 69, comma 4 c.p., (in
questo senso, espressamente, cfr. Cass. 15 ottobre 2002 Mazzei; Cass.
17  aprile 1998, Piccardi; Cass. 12 dicembre 1997, Vassalli; Cass. 16
aprile  1997,  Bettoschi;  Cass.  8  luglio  1993,  Cappelli; Cass. 4
novembre 1992, Pezzolet), con l'ulteriore conseguenza che, in caso di
ritenuta  equivalenza,  la  pena  e' determinata senza tener conto di
alcuna  delle  circostanze, ai sensi dell'art. 69, comma 3 del codice
penale.
    Questo orientamento non dovrebbe essere oggetto di ripensamenti a
seguito  della  modifica  del  quinto  comma,  operata dalla legge 21
febbraio  2006  n. 49,  atteso  che  la  formulazione  della norma e'
rimasta  identica,  fatta  eccezione  per  la  distinzione fra droghe
«pesanti»  e  droghe «leggere», superata anche nella fattispecie base
di cui al primo comma dell'articolo 73.
    Il  quarto  comma dell'art. 69 del c.p. prescrive che il giudizio
di  comparazione  (o  di  bilanciamento) delle circostanze sia esteso
anche alle circostanze inerenti alla persona del colpevole.
    Detto  comma  e'  stato  modificato  dall'art. 3  della  legge  5
dicembre  2005  n. 251,  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale del 7
dicembre  2005  ed  entrata in vigore il giorno successivo: a seguito
della «novella» (consistita nell'aggiunta della locuzione: «esclusi i
casi  previsti  dall'art.  99, quarto comma nonche' dagli artt. 111 e
112,  primo  comma,  numero  4),  per cui vi e' divieto di prevalenza
delle  circostanze attenuanti sulle ritenute circostanze aggravanti),
nel  caso  di  recidiva  reiterata,  eventuali circostanze attenuanti
potranno  tutt'al  piu'  essere  valutate  equivalenti rispetto al la
recidiva medesima.
    Nella  fattispecie entrambi gli imputati sono recidivi reiterati,
avendo riportato varie condanne definitive per delitti dolosi.
    La  recidiva  reiterata  puo' essere ritenuta, pur in mancanza di
una  precedente  apposita  dichiarazione  giudiziale  dello status di
recidivo,   dichiarazione   che  non  ha  natura  costitutiva  (Cass.
16/3/2004, Marchetta e Cass. 6 maggio 2003, Andreucci).
    La  finalita'  del giudizio di comparazione previsto dall'art. 69
c.p.,  che  attribuisce  al giudice la valutazione della prevalenza o
equivalenza  in  caso  di  concorrenza  fra circostanze aggravanti ed
attenuanti,  e'  quella  risultante  dallo schema dell'art. 133 c.p.,
dovendosi  cosi'  valutare  il  fatto  delittuoso, nell'esercizio del
potere   discrezionale   riconosciuto   da   tale  norma,  nella  sua
complessita',  avuto  anche  riguardo  alle  circostanze  inerenti la
persona  del  colpevole,  dando  poi  rilievo  a  quello  od a quegli
elementi  positivi o negativi qualificanti il reato ed il suo autore,
ritenuti  maggiormente  significativi  o di valore decisivo; in altri
termini,  si  tratta  di  apprezzare  la personalita' del colpevole e
l'entita'  del  fatto,  onde conseguire il perfetto adattamento della
pena  al  caso  concreto  (in questo senso cfr., di recente, Cass. 28
giugno 2005, Matti).
    Nel caso di specie, va evidenziato che la gravita' del fatto e la
conseguente  pericolosita'  della  condotta non sono di massimo grado
(avuto  riguardo  alla  cessione  e detenzione di un quantitativo non
elevato  di  eroina  da  parte di soggetti tossicodipendenti) e che i
precedenti  penali  dei  due  imputati  non  sono  specifici  e  sono
risalenti nel tempo (gli ultimi reati vennero commessi dal Beneventi,
attualmente   in   gravi   condizioni   di   salute,   e  dal  Feddag
rispettivamente  nel  1994  e  nel  1995, mentre non risultano a loro
carico procedimenti penali in corso).
    In  considerazione  di  questi  elementi,  prima  della ricordata
«novella»,  la  circostanza  attenuante  ad  effetto speciale sarebbe
stata  ritenuta  senz'altro  prevalente  sulla  contestata  recidiva,
valutazione  ora preclusa dalla formulazione dell'art. 69, ult. comma
codice penale.
    Nel   caso   di  specie,  dunque,  concessa  detta  attenuante  n
equivalenza  con  a contestata recidiva, !a pena minima da infliggere
agli imputati - prima della applicazione della diminuente per il rito
-  sarebbe  quella  di sei anni di reclusione e 26.000 euro di multa,
prevista   dall'art. 73   d.P.R.   n. 309/1990,   pena   che   appare
manifestamente  sproporzionata  e non adeguata rispetto alla condotta
posta in essere dagli imputati.
    Non  sembrano  esservi  interpretazioni  alternative  della nuova
disposizione:  in  particolare,  si  ritiene  che la stessa non possa
riferirsi  alle  sole  attenuanti inerenti alla persona del colpevole
(si  tratterebbe  solo  del  vizio parziale di mente - art. 70 ultimo
comma c.p.) ovvero a quelle non ad effetto speciale (la lettera della
norma non pare consentire questa limitazione).
    Nel   momento,  poi,  in  cui  la  recidiva  viene  correttamente
contestata  dal  pubblico  ministero  (e,  trattandosi di circostanza
aggravante, inerente la persona del colpevole, dovrebbe essere sempre
contestata:  v. artt. 417, 429 e 552 c.p.p.), non pare fondato - pena
una  violazione  del  disposto  normativo  - consentire al giudice di
sottrarre la stessa circostanza al giudizio di comparazione.
    Se  per  un verso pare legittimo non applicare l'aumento di pena,
quando  non  si tratti di uno dei delitti indicati all'art. 407 comma
secondo  lett.  a)  c.p.p.,  in  presenza  di  un  recidivo reiterato
(aumento  non  obbligatorio  -  si  ritiene  -  al  di fuori dei casi
previsti dall'art. 99, quinto comma c.p.), per altro verso non sembra
possibile  ignorare  una  corretta  contestazione  di  tale  forma di
recidiva  per  evitare effetti ritenuti ingiusti (questa e' la prassi
che risulta essere seguita da alcuni giudici di merito).
    L'attuale  formulazione dell'art. 69, quarto comma del c.p., come
modificato dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005 n. 251 - come gia'
sostenuto  da  questo  Tribunale  in tre ordinanze emesse nel gennaio
scorso  -  appare in contrasto, innanzitutto, con l'articolo 3, primo
comma  Cost.  e,  quindi,  con  il  principio di ragionevolezza quale
accezione particolare del principio di uguaglianza.
    E'  noto  che la Corte costituzionale ha piu' volte affermato che
rientra  nella  discrezionalita'  del  legislatore  la determinazione
della quantita' e della qualita' della sanzione penale; nel contempo,
pero',  il  giudice  delle leggi ha evidenziato in numerose pronunzie
(cfr.,  ad es., le ordinanze n. 438 del 2001, n. 207 del 1999, n. 435
del  1998,  n. 456 del 1997, n. 368 del 1995) che l'esercizio di tale
discrezionalita'  puo'  essere  sindacato quando esso non rispetti il
limite  della  ragionevolezza  e  dia luogo. quindi, a una disparita'
parita' di trattamento palesemente irragionevole.
    Anche  da  ultimo,  il  giudice  delle  leggi  ha  opportunamente
ribadito  che  «a  prescindere  dal  rispetto  di altri parametri, la
normativa  deve  essere  anzitutto  conforme  a criteri di intrinseca
ragionevolezza» (cosi' la sentenza n. 78 del 10-18 febbraio 2005).
    La    sproporzione    e    l'irragionevolezza   del   trattamento
sanzionatorio per casi quali quello in esame confliggono anche con il
principio della funzione rieducativa della pena (art. 27, terzo comma
Cost.),  non  apparendo  soddisfacente, per motivare eventualmente la
compatibilita'  della  norma  in  esame  con  detta funzione, la mera
possibilita'  di  avvalersi,  solo  in  sede  esecutiva, delle misure
alternative alla detenzione previste dal l'ordinamento.
    La  preclusione  imposta al giudice di formulare eventualmente un
giudizio  di prevalenza di una o piu' circostanze attenuanti rispetto
alla   recidiva   reiterata,  senza  eccezione  alcuna,  comporta  un
appiattimento   del  trattamento  sanzionatorio  per  situazioni  che
potrebbero essere assai diverse e potrebbe imporre - come nel caso di
specie  - l'applicazione di una pena manifestamente sproporzionata ed
irragionevole,   l'espiazione   della  quale  non  consentirebbe  una
rieducazione del condannato.
    L'irragionevolezza  della  norma e la violazione del principio di
uguaglianza  sembrano  evidenti  nel momento in cui la preclusione in
esame  e'  prevista  dal  legislatore a carico del recidivo reiterato
(sanzionato  in  quanto  tale  da molte altre disposizioni introdotte
dalla  legge 5 dicembre 2005, n. 251), vale a dire di colui che, alla
luce  del  novellato art. 99 c.p., abbia commesso due delitti dolosi,
indipendentemente  dalla  gravita'  degli stessi, dalle pene irrogate
(non  solo  nel quantum, ma addirittura nella specie) e dalla data di
commissione  dei  fatti  precedenti,  a  differenza di altri casi nei
quali  il  legislatore  ha  opportunamente dato rilievo alla natura e
qualita'  delle  precedenti condanne e/o al trattamento sanzionatorio
in  concreto  irrogato  (si  pensi,  ad  esempio,  a  quanto previsto
dall'art. 59  l.  24  novembre  1989  n. 689  in  tema  di condizioni
soggettive ostative alla sostituzione della pena).
    Ad una diversa valutazione si sarebbe potuti pervenire qualora il
legislatore  avesse limitato la preclusione in esame ai soli recidivi
reiterati,  condannati  per  reati  di una certa gravita' (si pensi a
quanto  lo  stesso  legislatore ha statuito, novellando l'art. 62-bis
c.p., in tema di concessione delle attenuanti generiche).
    Va  evidenziato  a  questo  punto  che  -  con  una  recentissima
pronunzia  (sentenza 21 giugno/4 luglio 2006 n. 257), con la quale e'
stata dichiarata la parziale illegittimita' dell'art. 30-quater delle
norme  sull'ordinamento  penitenziario,  introdotto dall'art. 7 della
stessa  legge  5  dicembre  2005, n. 251 - la Corte costituzionale ha
ribadito  che  il  legislatore  in  nessun  caso  puo'  obliterare la
finalita'  rieducativa  della  pena  ed ha confermato, richiamando la
propria sentenza n. 306 del 1993, che la tendenza alla configurazione
normativa  di  «tipi  d'autore»  appare difficilmente compatibile con
detta ineludibile finalita'.
    Pur esaminando le preclusioni introdotte dalla nuova normativa in
tema  di  concessione  dei  permessi premio ai condannati, il giudice
delle leggi ha espresso valutazioni che risultano comunque pertinenti
anche  alla  questione in esame, censurando la scelta del legislatore
di  avere acco munato fra loro «le posizioni dei recidivi reiterati -
senza  alcuna  valutazione della qualita' dei comportamenti, del tipo
di  devianza,  della  lontananza  nel  tempo fra le condanne ed altri
possibili  parametri  individualizzanti»: in questo modo - afferma la
Corte  -  «l'opzione  repressiva  finisce  per relegare nell'ombra il
profilo rieducativo».
    La  questione  proposta, dunque, appare rilevante nel giudizio de
quo  (dovendo  il  Tribunale emettere una sentenza di condanna a pene
minime  ritenute  sproporzionate  e  non adeguate al caso concreto) e
manifestamente   non   infondata  (alla  luce  delle  valutazioni  in
precedenza espresse).
                              P. Q. M.
    Visto  l'art. 23, legge 11 marzo 1953 n. 87, dichiara rilevante e
non   manifestamente   infondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale   dell'art. 69  quarto  comma  c.p.,  come  modificato
dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005 n. 251, nella parte in cui vi
e'   divieto   di   prevalenza  delle  circostanze  attenuanti  sulle
circostanze  inerenti  alla  persona del colpevole, nel caso previsto
dall'art. 99 quarto comma codice penale.
    Dispone  la  trasmissione  degli atti alla Corte costituzionale e
sospende il giudizio in corso.
    Ordina  che  a  cura  della cancelleria la presente ordinanza sia
comunicata  al  presidente del Consiglio dei ministri e ai presidenti
delle due Camere del Parlamento.
        Ravenna, addi' 18 luglio 2006
                       Il giudice: D'Agostini
07C0134