N. 699 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 luglio 2006
Ordinanza emessa il 18 luglio 2006 dal tribunale di Ravenna nel procedimento penale a carico di Ammar Mohamed Reati e pene - Circostanze del reato - Concorso di circostanze aggravanti e attenuanti - Divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle circostanze inerenti alla persona del colpevole nel caso previsto dall'art. 99, quarto comma, cod. pen. (recidiva reiterata) - Contrasto con il principio di ragionevolezza - Lesione del principio della funzione rieducativa della pena. - Codice penale, art. 69, comma quarto, modificato dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251. - Costituzione, artt. 3, primo comma, e 27, comma terzo.(GU n.7 del 14-2-2007 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza ai sensi dell'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87 (letta alla pubblica udienza del 20 luglio 2006). In data 1° settembre 2006, Moahmed Ammar e' stato arrestato dai Carabinieri del N.O.R.M. di Ravenna nella flagranza del reato previsto dall'art. 73, comma 1-bis, d.P.R. n. 309/1990 e condotto davanti al giudice del dibattimento ex art. 558 c.p.p. per la convalida ed il giudizio direttissimo. Ad esito dell'udienza, il Tribunale ha convalidato l'arresto. Moahmed Ammar, quindi, ha richiesto il giudizio abbreviato condizionato alla produzione di documenti relativi al proprio stato di tossicodipendente. Conseguentemente e' stata emessa ordinanza ai sensi dell'art. 438, quinto comma del codice di rito. All'odierna udienza la difesa ha depositato i documenti. Si e' proceduto, poi, alla discussione. All'imputato viene contestata la detenzione di circa sei grammi di eroina, non finalizzata all'uso esclusivamente personale. Ritiene il giudicante che, alla luce delle modalita' della detenzione, delle condizioni soggettive dell'imputato e del quantitativo non esiguo della sostanza detenuta, il pubblico ministero abbia dimostrato l'insussistenza della detenzione per esclusivo uso personale, elemento negativo della condotta. L'imputato, peraltro, in sede di interrogatorio, pur avendo negato nella circostanza la disponibilita' dell'involucro contenente la droga (del quale egli si disfo' prima di essere fermato dai Carabinieri, come ebbero modo di vedere gli stessi militari), ha ammesso di avere a volte ceduto eroina agli amici al fine di potere acquistare droga per il proprio uso personale. Al giudicante pare configurabile nel caso di specie la circostanza attenuante ad effetto speciale prevista dal quinto comma dell'art. 73, d.P.R. n. 309/1990 (fatto di lieve entita), avuto particolare riguardo alla non elevata quantita' dello stupefacente detenuto, in parte verosimilmente detenuto dall'Ammar per uso personale: l'episodio delittuoso, nel suo insieme, in riferimento alla consistenza qualitativa e quantitativa della droga oggetto dell'addebito, presenta connotati tali da poter essere definito di minore offensivita' per la collettivita' (in proposito cfr., fra le ultime, Cass. 19 ottobre 2004, Bassi e altri; Cass. 3 novembre 2004, Nwbodo e altri Cass. 2 dicembre 2004, Grado e altri; Cass. 3 febbraio 2005, Pronesti'; Cass. 21 giugno 2005, Lantani e altro). In diritto, va ricordato l'orientamento della giurisprudenza di legittimita', cosi' costante da costituire «diritto vivente», secondo il quale, con la previsione dell'art. 73, quinto comma, d.P.R. n. 309/1990, non si e' introdotta una fattispecie autonoma di reato bensi' una circostanza attenuante ad effetto speciale (cosi', anche di recente, Cass. 29 settembre 2005, Frank; Cass. 24 febbraio 2005, Cianchetta; Cass. 21 dicembre 2004, D'Aquilio), soggetta ovviamente, nel caso di concorso con una o piu' circostanze aggravanti, al giudizio di comparazione previsto dall'art. 69 quarto comma c.p., (in questo senso, espressamente, cfr. Cass. 15 ottobre 2002 Mazzei; Cass. 17 aprile 1998, Piccardi; Cass. 12 dicembre 1997, Vassalli; Cass. 16 aprile 1997, Bettoschi; Cass. 8 luglio 1993, Cappelli; Cass. 4 novembre 1992, Pezzolet), con l'ulteriore conseguenza che, in caso di ritenuta equivalenza, la pena e' determinata senza tener conto di alcuna delle circostanze, ai sensi dell'art. 69, terzo comma, codice penale. Questo orientamento non dovrebbe essere oggetto di ripensamenti a seguito della modifica del quinto comma, operata dalla legge 21 febbraio 2006 n. 49, atteso che la formulazione della norma e' rimasta identica, fatta eccezione per la distinzione fra droghe «pesanti» e droghe «leggere», superata anche nella fattispecie base di cui al primo comma dell'articolo 73. Il quarto comma dell'art. 69 c.p. prescrive che il giudizio di comparazione (o di bilanciamento) delle circostanze sia esteso anche alle circostanze inerenti alla persona del colpevole. Detto comma e' stato modificato dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005 n. 251, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 7 dicembre 2005 ed entrata in vigore il giorno successivo: a seguito della «novella» (consistita nell'aggiunta della locuzione: «esclusi i casi previsti dall'articolo 99, quarto comma, nonche' dagli articoli 111 e 112, primo comma, numero 4), per cui vi e' divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle ritenute circostanze aggravanti»), nel caso di recidiva reiterata, eventuali circostanze attenuanti potranno tutt'al piu' essere valutate equivalenti rispetto alla recidiva medesima. Nella fattispecie l'imputato e' recidivo reiterato, avendo riportato due condanne definitive per delitti dolosi (l'una ad una pena pecuniaria per il reato di cui all'art. 496 c.p., commesso nel 1993, e l'altra alla pena di dieci mesi di reclusione e 2.000 euro di multa per detenzione di sostanza stupefacente, riconosciuta l'ipotesi attenuata). La recidiva reiterata puo' essere ritenuta, pur in mancanza di una precedente apposita dichiarazione giudiziale dello status di recidivo, dichiarazione che non ha natura costitutiva (Cass. 16/3/2004, Marchetta e Cass. 6 maggio 2003, Andreucci). La finalita' del giudizio di comparazione previsto dall'art. 69 c.p., che attribuisce al giudice la valutazione della prevalenza o equivalenza in caso di concorrenza fra circostanze aggravanti ed attenuanti, e' quella risultante dallo schema dell'art. 133 c.p., dovendosi cosi' valutare il fatto delittuoso, nell'esercizio del potere discrezionale riconosciuto da tale norma, nella sua complessita', avuto anche riguardo alle circostanze inerenti la persona del colpevole, dando poi rilievo a quello od a quegli elementi positivi o negativi qualificanti il reato ed il suo autore, ritenuti maggiormente significativi o di valore decisivo; in altri termini, si tratta di apprezzare la personalita' del colpevole e l'entita' del fatto, onde conseguire il perfetto adattamento della pena al caso concreto (in questo senso cfr., di recente, Cass. 28 giugno 2005, Matti). Nel caso di specie, va evidenziato che la gravita' del fatto e la conseguente pericolosita' della condotta risultano contenute (avuto riguardo alla detenzione di un quantitativo non elevato di eroina da parte di soggetto tossicodipendente) e che dei due precedenti penali dell'imputato uno e' assai modesto e risalente nel tempo. In considerazione di questi elementi, prima della ricordata «novella», la circostanza attenuante ad effetto speciale sarebbe stata ritenuta senz'altro prevalente sulla contestata recidiva, valutazione ora preclusa dalla formulazione dell'art. 69 ult. comma codice penale. Nel caso di specie, dunque, concessa detta attenuante in equivalenza con la contestata recidiva, la pena minima da infliggere all'imputato - prima della applicazione della diminuente per il rito - sarebbe quella di sei anni di reclusione e 26.000 euro di multa, prevista dall'art. 73, comma 1-bis, d.P.R. n. 309/1990, pena che appare manifestamente sproporzionata e non adeguata rispetto alla condotta posta in essere dall'imputato. Non sembrano esservi interpretazioni alternative della nuova disposizione: in particolare, si ritiene che la stessa non possa riferirsi alle sole attenuanti inerenti alla persona del colpevole (si tratterebbe solo del vizio parziale di mente - art. 70, ultimo comma c.p.) ovvero a quelle non ad effetto speciale (la lettera della norma non pare consentire questa limitazione). Nel momento, poi, in cui la recidiva viene correttamente contestata dal Pubblico Ministero (e, trattandosi di circostanza aggravante, inerente la persona del colpevole, dovrebbe essere sempre contestata: v. artt. 417, 429 e 552 c.p.p.), non pare fondato - pena una violazione del disposto normativo - consentire al giudice di sottrarre la stessa circostanza al giudizio di comparazione. Se per un verso pare legittimo non applicare l'aumento di pena, quando non si tratti di uno dei delitti indicati all'art. 407, secondo comma, lett. a) c.p.p., in presenza di un recidivo reiterato (aumento non obbligatorio - si ritiene - al di fuori dei casi previsti dall'art. 99, quinto comma, c.p.), per altro verso non sembra possibile ignorare una corretta contestazione di tale forma di recidiva per evitare effetti ritenuti ingiusti (questa e' la prassi che risulta essere seguita da alcuni giudici di merito). L'attuale formulazione dell'art. 69, quarto comma c.p., come modificato dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 - come gia' sostenuto da questo Tribunale in tre ordinanze emesse nel gennaio scorso - appare in contrasto, innanzitutto, con l'articolo 3, primo comma Cost. e, quindi, con il principio di ragionevolezza quale accezione particolare del principio di uguaglianza. E' noto che la Corte costituzionale ha piu' volte affermato che rientra nella discrezionalita' del legislatore la determinazione della quantita' e della qualita' della sanzione penale; nel contempo, pero', il Giudice delle leggi ha evidenziato in numerose pronunzie (cfr., ad es., le ordinanze n. 438 del 2001, n. 207 del 1999, n. 435 del 1998, n. 456 del 1997, n. 368 del 1995) che l'esercizio di tale discrezionalita' puo' essere sindacato quando esso non rispetti il limite della ragionevolezza e dia luogo, quindi, a una disparita' di trattamento palesemente irragionevole. Anche da ultimo, il giudice delle leggi ha opportunamente ribadito che «a prescindere dal rispetto di altri parametri la normativa deve essere anzitutto conforme a criteri di intrinseca ragionevolezza» (cosi' la sentenza n. 78 del 10-18/ febbraio 2005). La sproporzione e l'irragionevolezza del trattamento sanzionatorio per casi quali quello in esame confliggono anche con il principio della funzione rieducativa della pena (art. 27, terzo comma Cost.), non apparendo soddisfacente, per motivare eventualmente la compatibilita' della norma in esame con detta funzione, la mera possibilita' di avvalersi, solo in sede esecutiva, delle misure alternative alla detenzione previste dall'ordinamento. La preclusione imposta al giudice di formulare eventualmente un giudizio di prevalenza di una o piu' circostanze attenuanti rispetto alla recidiva reiterata, senza eccezione alcuna, comporta un appiattimento del trattamento sanzionatorio per situazioni che potrebbero essere assai diverse e potrebbe imporre - come nel caso di specie - l'applicazione di una pena manifestamente sproporzionata ed irragionevole, l'espiazione della quale non consentirebbe una rieducazione del condannato. L'irragionevolezza della norma e la violazione del principio di uguaglianza sembrano evidenti nel momento in cui la preclusione in esame prevista dal legislatore a carico del recidivo reiterato (sanzionato in quanto tale da molte altre disposizioni introdotte dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251), vale a dire di colui che, alla luce del novellato art. 99 c.p., abbia commesso due delitti dolosi, indipendentemente dalla gravita' degli stessi, dalle pene irrogate (non solo nel quantum, ma addirittura nella specie) e dalla data di commissione dei fatti precedenti, a differenza di altri casi nei quali il legislatore ha opportunamente dato rilievo alla natura e qualita' delle precedenti condanne e/o al trattamento sanzionatorio in concreto irrogato (si pensi, ad esempio, a quanto previsto dall'art. 59, legge 24 novembre 1989 n. 689 in tema di condizioni soggettive ostative alla sostituzione della pena). Ad una diversa valutazione si sarebbe potuti pervenire qualora il legislatore avesse limitato la preclusione in esame ai soli recidivi reiterati, condannati per reati di una certa gravita' (si pensi a quanto lo stesso legislatore ha statuito, novellando l'art. 62-bis c.p., in tema di concessione delle attenuanti generiche). Va evidenziato a questo punto che - con una recentissima pronunzia (sentenza 21 giugno - 4 luglio 2006, n. 257), con la quale e' stata dichiarata la parziale illegittimita' dell'art. 30-quater delle norme sull'ordinamento penitenziario, introdotto dall'art. 7 della stessa legge 5 dicembre 2005 n. 251 - la Corte costituzionale ha ribadito che il legislatore in nessun caso puo' obliterare la finalita' rieducativa della pena ed ha confermato, richiamando la propria sentenza n. 306 del 1993, che la tendenza alla configurazione normativa di «tipi d'autore» appare difficilmente compatibile con detta ineludibile finalita'. Pur esaminando le preclusioni introdotte dalla nuova normativa in tema di concessione dei permessi premio ai condannati, il Giudice delle leggi ha espresso valutazioni che risultano comunque pertinenti anche alla questione in esame, censurando la scelta del legislatore di avere accomunato fra loro «le posizioni dei recidivi reiterati - senza alcuna valutazione della «qualita» dei comportamenti del tipo di devianza, della lontananza nel tempo fra le condanne ed altri possibili parametri individualizzanti»: in questo modo - afferma la Corte - «l'opzione repressiva finisce per relegare nell'ombra il profilo rieducativo». La questione proposta, dunque, appare rilevante nel giudizio de quo (dovendo il tribunale emettere una sentenza di condanna ad una pena minima ritenuta sproporzionata e non adeguata al caso concreto) e manifestamente non infondata (alla luce delle valutazioni in precedenza espresse).
P. Q. M. Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto comma c.p., come modificato dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005 n. 251, nella parte in cui vi e' divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle circostanze inerenti alla persona del colpevole, nel caso previsto dall'art. 99, quarto comma codice penale. Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso. Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia comunicata al presidente del Consiglio dei ministri e ai presidenti delle due Camere del Parlamento. Ravenna, addi' 20 luglio 2006 Il giudice: Messani D'Agostini 07C0135