N. 1 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 luglio 2006
Ordinanza emessa il 18 luglio 2006 dal G.I.P. del Tribunale di Padova nel procedimento penale a carico di Colucci Eugenio ed altri Reati e pene - Prescrizione - Modifiche normative - Determinazione del tempo necessario a prescrivere - Mancata considerazione delle circostanze aggravanti comuni e delle attenuanti - Violazione del principio di ragionevolezza. - Legge 5 dicembre 2005, n. 251, art. 6, comma 1. - Costituzione, artt. 3 e 111, comma secondo. Reati e pene - Prescrizione - Modifiche normative - Effetti della interruzione - Previsione che l'aumento dei termini prescrizionali, conseguente ad un atto interruttivo, sia determinato attraverso criteri meramente soggettivi - Violazione dei principi di ragionevolezza e di uguaglianza. - Legge 5 dicembre 2005, n. 251, art. 6, comma 5. - Costituzione, artt. 3 e 111, comma secondo. Reati e pene - Prescrizione - Modifiche normative - Effetti della interruzione - Mancata previsione che gli atti interruttivi dispieghino i loro effetti anche con riferimento ai reati connessi - Violazione del principio di ragionevolezza. - Legge 5 dicembre 2005, n. 251, art. 6, comma 5. - Costituzione, art. 3. Reati e pene - Prescrizione - Modifiche normative - Decorrenza del termine della prescrizione - Decorrenza per il reato continuato dal momento della cessata continuazione - Mancata previsione - Parita' di trattamento rispetto alla diversa situazione del concorso formale di reati. - Legge 5 dicembre 2005, n. 251, art. 6, comma 2. - Costituzione, art. 3 Reati e pene - Prescrizione - Modifiche normative - Riduzione dei termini prescrizionali per determinati reati - Disparita' di trattamento rispetto ad altri reati di analoga gravita' - Violazione dei principi di ragionevolezza e di uguaglianza. - Legge 5 dicembre 2005, n. 251, art. 6, comma 1. - Costituzione, art. 3. Reati e pene - Prescrizione - Modifiche normative - Disciplina transitoria - Violazione del principio di ragionevolezza. - Legge 5 dicembre 2005, n. 251, art. 10, comma 3. - Costituzione, art. 3.(GU n.7 del 14-2-2007 )
IL TRIBUNALE Letta la richiesta di archiviazione per intervenuta prescrizione del p.m. datata 6 febbraio 2006; Letti gli atti di opposizione a tale richiesta presentati dalle persone offese e le memorie successivamente depositate; Sentite le parti nella camera di consiglio fissata ex art. 410 e 409, secondo comma c.p.p. ed a scioglimento della riserva ivi pronunciata; Ritenuto che in via principale il p.m. ha sollevato questione di legittimita' costituzionale della legge 5 dicembre 2005, n. 251; Premesso che la richiesta di archiviazione e' stata proposta nei confronti degli indagati: Marangoni Luigi, Colucci Eugenio, Picco Renato, Scaroni Paolo in relazione ai seguenti fatti-reato. Marangoni e Colucci: A) per il reato p. e p. dagli artt. 110, 81 cpv., 479, 476, secondo comma, 61 nn. 2 e 7 c.p. perche', con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, il Marangoni nella qualita' di commissario straordinario del Gruppo Saccarifero Veneto (G.S.V.), il Colucci nella qualita' di amministratore dell'«Arthur Andersen & Co.» S.a.s, in concorso tra loro formavano rendiconti - presentati al Ministro dell'industria sotto forma di bilanci redatti dal primo e accompagnati da una relazione del secondo - nei quali attestavano falsamente fatti dei quali l'atto era destinato a provare la verita' ed in particolare evidenziando, per quel che riguarda la S.I.I.Z. S.p.A. negli esercizi 1984 e 1985 un margine operativo di Lit. 36,347 mld ed un utile di gestione di Lit. 8,747 mld, e per la Cavarzere P.I. S.p.A. un margine operativo di Lit. 11,248 mld ed una perdita di gestione di Lit. 3,415 mld dati incompatibili con le risultanze del rendiconto redatto dal successivo commissario straordinario del G.S.V. dott. Bisaglia, depositato in data 27 febbraio 2003, che riportano per la S.I.I.Z S.p.A. un margine operativo di Lit. 84,186 ed un utile di gestione pari a Lit. 41,977 mld, e per la Cavarzere P.I. S.p.A. un margine operativo di Lit. 25,148 mld ed una perdita di gestione di Lit. 4,405 mld per una complessiva differenza, rapportata all'utile di gestione, relativo alla S.I.I.Z. S.p.A. ammontante a Lit. 33,230 circa mld. Reato aggravato ex art. 61 n. 2 c.p. per essere stato commesso al fine di eseguire i successivi reati di presa di interesse aggravata di cui all'art. 228 legge fall., ed ex art. 61 n. 7 c.p. per aver cagionato alle societa' commissariate, agli azionisti delle stesse ed ai creditori un danno di rilevante gravita' consistito nell'offrire agli aspiranti acquirenti ed al Ministro dell'industria un'immagine economica delle societa' peggiore rispetto a quanto non fosse nella realta', disincentivando quindi gli aspiranti acquirenti dal presentare offerte piu' elevate per l'acquisizione degli zuccherifici, con grave perdita patrimoniale per Cavarzere P.I. S.p.A. e S.I.I.Z. S.p.A. nonche' per i creditori e per gli azionisti delle medesime societa'. In Padova il 17 luglio 1986. B) per il reato p. e p. dagli artt. 110, 48, 479, 476, primo comma, 61 n. 2 c.p. per avere, in concorso tra loro, il Marangoni quale Commissario istante e il Colucci quale socio accomandatario della «Arthur Andersen & Co.» S.a.s. di Treviso, impresa stimatrice degli zuccherifici, indotto in errore il Comitato di sorveglianza onde fargli rendere il parere favorevole alla vendita dei nove zuccherfici del Centro Nord del Gruppo Saccarifero Veneto alla Societa' I.S.I. S.p.A. del 13 febbraio 1986, e in particolare convincendo l'organo consultivo sulla rispondenza del prezzo convenuto di Lit. 63 miliardi ai parametri di legge, e per aver conseguentemente determinato il medesimo Comitato di sorveglianza a rendere, in detto verbale, la oggettivamente falsa attestazione in base alla quale le stime redatte dall'«Arthur Andersen & Co.» S.a.s ed il conseguente prezzo offerto da IS.I. S.p.A. sarebbe stato conforme ai parametri previsti dalla legge Prodi. Reato aggravato ai sensi dell'art. 61, n. 2 c.p. per essere stato commesso al fine di eseguire i successivi reati ex art. 228 legge fall. In Roma il 13 febbraio 1986. C) per il reato p. e p. dagli art. 81 cpv., 479, 476, secondo comma, 61 n. 2 c.p. perche', con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro formavano, il Marangoni nella qualita' di Commissario straordinario delle Societa' facenti parte del Gruppo Saccarifero Veneto, il Colucci nella qualita' di amministratore dell'«Arthur Andersen & Co.» S.a.s. di Treviso, impresa stimatrice degli zuccherifici, rendiconti, redatti nella forma di: 1) Fascicolo di «bilancio» contenente lo «stato patrimoniale al 31 dicembre 1986» di Cavarzere ed il «conto economico per il periodo dal 1° gennaio al 31 dicembre 1986» con annesse le «note illustrative» e la «relazione dei revisori contabili indipendenti» redatta da Arthur Andersen; (vedasi Doc. I 21.5); 2) Fascicolo di «bilancio» contenente lo «stato patrimoniale al 31 dicembre 1986, di S.I.I.Z ed il «conto economico per il periodo dal 1° gennaio al 31 dicembre 1986», con annesse le «note illustrative» e la «relazione dei revisori contabili indipendenti» redatta da Arthur Andersen; (vedasi Doc. I 21.14); Attestando falsamente fatti dei quali l'atto era destinato a provare la verita' ed in particolare indicando come avvenuto entro il 1987 il rimborso, da parte di I.S.I. S.p.A., delle spese di preparazione degli impianti per la campagna saccarfera 1986, 1987, anticipate da Caverzere P.I. S.p.A. e S.I.I.Z S.p.A, nella misura di Lit. 31,8 miliardi. Reato aggravato ai sensi dell'art. 61, n. 2 per essere stato commesso al fine di commettere il reato di cui al successivo Capo D). In Padova, sino al 26 novembre 1987. D) per il reato p. e p. dagli artt. 110, 314, 61 n. 7 c.p. perche', il Marangoni nella qualita' di Commissario straordinario del Gruppo Saccarifero Veneto si appropriava a profitto proprio o di terzi di 31,8 miliardi di Lit., somma corrispondente al rimborso alle Societa' Caverzere P.I. S.p.A. e S.I.I.Z. S.p.A., da parte di I.S.I. S.p.A., delle spese per l'approntamento della campagna saccarifera 1986-1987 relativa ai nove stabilimenti: Argelato, Bottrighe, Pontelongo, Finale Emilia, Casei Gerola, Fano, Porto Tolle, Mirandola e Crevalcore, con il concorso del Colucci, amministratore della «Arthur Andersen & Co.» S.a.s, il quale redigeva i rendiconti di cui al capo C) ben sapendo che tali somme non erano (ne' sarebbero) transitate nei conti societari. Reato aggravato ex art. 61 n. 7 per aver cagionato alle imprese commissariate un danno patrimoniale di rilevante entita'. In Padova sino al dicembre 1987. Marangoni: E) per il reato p. e p. dagli artt. 81 cpv., 479, 476, secondo comma, 61 n. 2 c.p. perche', nella qualita' di Commissario straordinario del Gruppo Saccarifero Veneto, indicava nel «Riepilogo vendite per singole societa», allegato sub B, alla lettera da lui inviata al Ministero dell'industria in data 23 maggio 1989 (vedi Doc. I 25.l) quali proventi realizzati da vendite di cespiti delle societa' commissariate importi non rispondenti al vero sulla base del confronto con i seguenti documenti: «Progetto delle somme disponibili e progetto di riparto parziale» della Cavarzere P.I. S.p.A. depositato il 17 luglio 1996; (vedasi Doc. n. 1); «Rendiconti al 31 dicembre 2002», depositati il 27 febbraio 2003, delle Societa': S.I.I.Z. S.p.A., Saccarifera del Rendina S.p.A., Cavarzere Produzioni Industriali S.p.A. e Pagana S.r.l.; (vedasi Doc. I 24.2, I 24.4, I 24.6, I 24.10); «Progetto di riparto parziale» della Pagana S.r.l.; (vedasi Doc. n. 3); «Progetto delle somme disponibili e progetto di riparto parziale» della Saccarifera del Rendina S.p.A.; (vedasi Doc. n. 2); tutti redatti dal successivo Commissario dott. Fernando Bisaglia secondo la seguente tabella comparativa: Cavarzere Produzionali Industriali S.p.A. ===================================================================== | Valore di incasso | Valore di incasso |esposto nel "documento|esposto nei "rendiconti "Bene ceduto" | Marangoni" | Bisaglia" ===================================================================== Stabilimenti | | saccariferi | 39.773 | 39.091 --------------------------------------------------------------------- Autovetture | 34,8 | 43,3 --------------------------------------------------------------------- Macchine agricole | 31,9 | - --------------------------------------------------------------------- C.E.D. | 716,5 | 1.091 --------------------------------------------------------------------- Mobili e Macchine | | Ufficio | 116,3 | - --------------------------------------------------------------------- Parti di ricambio e | | scorte | 3.943,4 | 2.035,6 --------------------------------------------------------------------- Totale . . . | 44.615,9 | 42.260,9 --------------------------------------------------------------------- Differenza . . . | - | 2.355 Societa' italiana industria Zuccheri S.p.A. ===================================================================== | Valore di incasso | Valore di incasso |esposto nel "documento|esposto nei "rendiconti "Bene ceduto" | Marangoni" | Bisaglia" ===================================================================== Stabilimenti | | saccariferi | 34.584,5 | 33.908,5 --------------------------------------------------------------------- Autovetture | 1.434,6 | 132 --------------------------------------------------------------------- Macchine agricole | 3,7 | - --------------------------------------------------------------------- Laboratorio | 98,8 | 422,9 --------------------------------------------------------------------- Mobili e Macchine | | Ufficio | 165 | - --------------------------------------------------------------------- Parti di ricambio e | | scorte | 14.938,3 | 7.541,4 --------------------------------------------------------------------- Terreno Fraz. | | Granzette-Rovigo | 209 | - --------------------------------------------------------------------- Azioni n. 1800/Aurora | | S.p.A. | 612 | - --------------------------------------------------------------------- Totale . . . | 52.045,9 | 42.004,8 --------------------------------------------------------------------- Differenza . . . | - | 10.041,1 Saccarifera del Rendina S.p.A. ===================================================================== | Valore di incasso | Valore di incasso |esposto nel "documento|esposto nei "rendiconti "Bene ceduto" | Marangoni" | Bisaglia" ===================================================================== Azioni n. 1040/Aurora | | S.p.A. | 353,6 | - --------------------------------------------------------------------- Totale . . . | 353,6 | - --------------------------------------------------------------------- Differenza . . . | - | 353,6 Pagana S.r.l. ===================================================================== | Valore di incasso | Valore di incasso |esposto nel "documento|esposto nei "rendiconti "Bene ceduto" | Marangoni" | Bisaglia" ===================================================================== Azioni | | n. 20000/Edilcentro | 550 | 150 --------------------------------------------------------------------- Totale . . . | 550 | 150 --------------------------------------------------------------------- Differenza . . . | - | 400 Per un ammontare complessivo di 13.149,7 milioni di Lit. Reato aggravato ex art. 61 n. 2 per essere stato commesso al fine di eseguire il reato di cui al capo f). In Padova il 23 maggio 1989. F) per il reato p. e p. dagli artt. 110, 314, 61, n. 7 c.p. perche', nella qualita' di Commissario straordinario di Cavarzere P.I. S.p.A., S.I.I.Z. S.p.A., Pagana S.r.l. e Saccarifera del Rendina S.p.A. si appropriava a profitto proprio o di terzi della somma di Lit. 13.149,71 milioni quale differenza tra gli importi risultanti dal «Riepilogo vendite per singole societa» allegato sub b) alla lettera datata 23 maggio 1989 da lui inviata al Ministero dell'industria, organo di vigilanza della procedura commissariale, e quelli indicati dal successivo Commissario dott. Bisaglia nei rendiconti di gestione al 31 dicembre 2002 nonche' il «Progetto di riparto parziale» della Pagana S.r.l. e il «Progetto delle somme disponibili e progetto di riparto parziale» della Saccarifera del Rendina S.p.A. cosi' come emergono dalle tabelle comparative indicate nel capo E). Reato aggravato ex art. 61 n. 7 c.p. per aver cagionato alle imprese commissariate un danno patrimoniale di rilevante entita'. In Padova sino al maggio 1989. Marangoni, Colucci, Picco: G) per il reato p. e p. dagli artt. 110, 479, 476, secondo comma, 61 n. 2 c.p. perche', Marangoni nella qualita' di Commissario straordinario del G.S.V., Colucci nella qualita' di amministratore della «Arthur Andersen & Co.» S.a.s., Picco nella qualita' di amministratore delegato di «Eridania» S.p.A. ed effettivo organizzatore di tutte le fasi che hanno condotto alla vendita dei nove zuccherifici del Centro Nord da parte del Gruppo Saccarifero Veneto ad I.S.I. S.p.A., nell'atto di vendita degli stabilimenti di Cavarzere P.I. S.p.A. e S.I.I.Z. S.p.A., redatto con scrittura privata autenticata il 23 luglio 1986, il Marangoni, in concorso con gli altri due, dichiarava falsamente di agire in presenza dei presupposti stabiliti dalla legge Prodi all'art. 6-bis al fine di poter effertuare la cessione delle societa' sottoposte ad amministrazione straordinaria, sorretto in tale falsa attestazione dalle stime redatte dalla «Arthur Andersen & Co.» S.a.s. ed in particolare del parere, favorevole del Comitato di sorveglianza del 13 febbraio 1986, che in realta' era stato sospeso a seguito dei successivi pareri del Comitato stesso resi rispettivamente il 27 febbraio 1986 e il 23 luglio 1986 - e che quindi difettava dei requisiti richiesti. Reato aggravato ex art. 61 n. 2 c.p. per essere stato commesso al fine di eseguire i successivi reati di presa di interesse di cui all'art. 228 r.d. 16 marzo 1942, n. 267, nonche' i reati di cui agli artt. 323, secondo comma, 61 n. 7 e/o 232 r.d. 16 marzo 1942, n. 267, nel frattempo prescritti. In Genova il 23 luglio 1986. Picco e Scaroni: H) per il reato p. e p. dagli artt. 110, 81 cpv., 61 nn. 2 e 7 c.p., 228 legge fall., per avere, Picco nella qualita' di amministratore di «Eridania» S.p.A., Scaroni nella qualita' di vicepresidente di «Techint» S.p.A., societa' sottoscrittrice in data 24 gennaio 1986 dell'offerta di acquisto del G.S.V. unitamente ad altri soggetti per conto della costituenda societa' «I.S.I.» S.p.A., con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, concorso con il Commissario straordinario del G.S.V. Marangoni Luigi (la cui posizione e' stata definita con sentenza di proscioglimento pronunciata dalla Corte di cassazione il 4 marzo 2003): nel boicottaggio dell'ipotesi del concordato di cui si era fatto promotore il P.A.I.Z. consistito nel non fornire allo stesso Patronato i dati economici relativi all'esercizio chiuso al 31 dicembre 1985, nel non effettuare le obbligatorie relazioni semestrali al Ministero dell'industria e nell'impedire le deliberazioni assembleari in ordine alla proposta di concordato; nella sottoscrizione dell'accordo intercampagna pregiudizievole per le societa' commissariate e nella effettuazione della campagna saccarifera con cospicuo danno per le imprese commissariate e correlativo vantaggio per la I.S.I. S.p.A. In merito, pur conoscendo sia essi che il Marangoni le favorevoli previsioni della Campagna saccarifera 1986-1987, il Marangoni sottoscriveva ed il Picco faceva redigere dall'avvocato di Eridania Mauro De Andre' un contratto, firmato anche dal responsabile dell'Ufficio agricolo di Eridania e amministratore delegato dell'I.S.I. S.p.A. ing. Adelmo Mantovani, nel quale il Commissario straordinario del G.S.V. lasciava liberi i futuri acquirenti di scegliere il momento piu' propizio per stipulare gli atti di compravendita senza riservarsi analoga facolta', accettando il rischio di far addossare alle societa' commissariate l'eventuale esito negativo della Campagna saccarifera dipeso da eventi meteorologici dell'ultima ora, ancorche' abnormi ed imprevedibili; cio' anche alla luce delle modifiche che l'ing. Adelmo Mantovani fece effettuare agli impianti degli zuccherifici prima del 23 luglio 1986, introducendo criteri di produzione del tutto nuovi, che non avrebbero potuto essere gestiti autonomamente dalle imprese commissariate qualora le stesse avessero dovuto occuparsi della Campagna saccarifera. Tale Campagna, per la cui effettuazione in favore dell'uno o dell'altro dei contraenti venne lasciata dal Commissario Marangoni, su ideazione del Picco, quale arbitra esclusiva la Societa' I.S.I. S.p.A., frutto' a quest'ultima un utile lordo di circa 60 miliardi di Lit. nella svendita degli zuccherifici in violazione dei dettami della legge Prodi ad un importo di circa 63 miliardi di Lit.: applicando i parametri di legge il valore dei 9 zuccherifici sarebbe stato invece di Lit. 164.767.000.000 oltre ad una plusvalenza da calcolarsi per gli stabilimenti di Crevalcore e Mirandola nella misura di 3 miliardi di Lit. nel trasferimento della quota zucchero relativa agli zuccherifici di Mirandola e Porto Tolle senza considerare in alcun modo il suo valore (Lit. 57.330.000.000) e la sua rilevanza. Reato aggravato ai sensi dell'art. 61 n. 2 c.p. per essere stato commesso ai fine di assicurare la presa di interesse consistita nella vendita degli zuccherifici nonche' al fine di commettere i reati di cui agli artt. 323 c.p. e/o 232 r.d.). 16 marzo 1942, n. 267, ormai prescritti, aggravato inoltre ai sensi dell'art. 61 n. 7 c.p. per aver cagionato alle societa' commissariate, ai creditori delle stesse e agli azionisti, un danno di rilevante gravita' consistito nell'aver impedito il perfezionamento del concordato, nell'aver ceduto senza contropartita all'I.S.I. S.p.A. la quota zucchero afferente agli stabilimenti di Mirandola e Porto Tolle (che secondo il Consulente ing. Rocchetti ammontava a Lit. 57.330.000.000) e nell'aver consentito all'I.S.I. S.p.A. di poter lucrare (senza rischi) i proventi della Campagna saccarifera del 1986, i quali portarono ad un utile lordo di circa Lit. 60 miliardi, importo quasi pari alla somma sborsata dall'I.S.I. S.p.A. per l'acquisto degli stabilimenti, nonche' nell'aver lucrato la differenza tra il prezzo di circa 63 miliardi di Lit. e il valore (Lit. 164.767.000.000 oltre ad una plusvalenza da calcolarsi per gli stabilimenti di Crevalcore e Mirandola nella misura di 3 miliardi di Lit.) che avrebbe dovuto essere attribuito ai nove zuccherifici applicando i parametri di legge. O s s e r v a t o Che nel caso concreto la questione appare di indubbia rilevanza atteso che solo per effetto delle modifiche al regime della prescrizione introdotte dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251, tutti i reati sarebbero in ipotesi prescritti. Infatti, contrariamente a quanto dedotto dai difensori degli indagati, i quali hanno sostenuto che comunque tutti i reati ipotizzati sarebbero comunque prescritti secondo la legge pre-vigente, nel precedente processo nei confronti dell'avv. Luigi Marangoni per il reato ex art. 228 legge fall. sono intervenuti diversi fatti interruttivi. In particolare, e per sintesi, l'originario procedimento penale instaurato nei confronti dell'avv. Luigi Marangoni, Commissario straordinario delle societa' del Gruppo Saccarifero Veneto, procedimento contrassegnato con il n. 2774/1997 R.G.N.R. Padova e n. 573/98 R.G. G.i.p. Padova, conclusosi in data 12 luglio 2000 con sentenza di incompetenza territoriale pronunciata dal G.u.p. di Padova, successivamente perveniva alla Procura di Genova, ove veniva rubricato con il n. 15131/00 R.G.N.R. Veniva quindi richiesto al G.u.p. di Genova l'emissione, nei confronti dell'imputato, del decreto dispone il giudizio per i reati a lui contestati. In proposito la Procura di Genova modificava leggermente il capo A) della rubrica rispetto all'originaria imputazione formulata dalla Procura di Padova. Per comodita' espositiva si ritrascrivono qui di seguito il testo dei due atti, dalla comparazione dei quali emergono le lievi modifiche introdotte dal pubblico ministero genovese. A) del reato di cui agli artt. 228 e 237 r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (L.F.), in relazione all'art. 1, legge 3 aprile 1979, n. 95, 61 n. 2 e 7 c.p. per avere, nella qualita' di Commissario straordinario delle societa' Cavarzere Produzioni Industriali S.p.A., Societa' Italiana per l'Industria degli Zuccheri (S.I.I.Z.) e comunque del Gruppo Saccarfero Veneto (G.S.V.), dichiarato in stato di insolvenza con sentenza 21 dicembre 1983 del Tribunale di Padova, preso un interesse privato nell'ambito della procedura, da un lato ostacolando l'iter di formazione della proposta di concordato di cui si era fatto promotore il Patronato Piccoli Azionisti Industria Zuccheri (P.A.I.Z.), sia non fornendo al medesimo Patronato i dati economici relativi all'esercizio chiuso al 31 dicembre 1985, sia non effettuando le obbligatorie relazioni semestrali al Ministro per l'industria, sia impedendo le deliberazioni assembleari in ordine a tale proposta con la stipulazione degli atti di vendita degli zuccherifici di Argelato, Bottrighe, Pontelongo, Finale Emilia, Casei Gerola, Fatto, Porto Tolle, Mirandola e Crevalcore - a condizioni pregiudizievoli per le societa' commissariate ed in palese violazione dei dettami di cui al combinato disposto degli artt. 1 e 6-bis della legge 3 aprile 1979, n. 95, cosi' come modificati dall'art. 2 della legge 8 giugno 1984, n. 212 - e, dall'altro, favorendo in tal modo la societa' acquirente Industria Saccarifera Italiana Agroindustriale S.p.A. (I.S.I.), che acquistava i sopra citati zuccherifici con un vantaggio di L. 161.597.000.000 (di cui L. 57.330.000.000 relativi alla cessione a titolo gratuito della quota zucchero afferente agli zuccherifici di Mirandola e Porto Tolle) rispetto al valore determinato seguendo i criteri dagli artt. 1 e 6-bis della legge 3 aprile 1979, n. 95, cosi' come modificati dall'art. 2 della legge 8 giugno 1984, anche mediante opera di pressione sulla societa' Stimatrice Arthur Andersen & Co. S.a.s. affinche' comprimesse i valori della stima e nei confronti del CIPI affinche' approvasse sollecitamente con delibera la vendita degli zuccherifici. Reato aggravato ai sensi dellart. 61 n. 2 per essere stato posto in essere al fine di commettere reato di cui al capo B) ed ai sensi dell'art. 61 n. 7 per aver cagionato alle persone offese un danno di rilevante gravita'. Commesso in Padova il 25 luglio 1986. A) Del reato p. e p. dagli artt. 228, 237 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, con riferimento all'art. 1 della legge 3 aprile 1979, n. 95, 61 n. 2) e 7) c.p. perche', nella sua qualita' di commissario straordinario di Cavarzere Produzioni Industriali S.p.A., S.I.M. - Societa' Italiana per l'Industrla degli Zuccheri, e comunque di G.S.V. - Gruppo Saccarifero Veneto, dichiarato in stato di insolvenza con sentenza del Tribunale di Padova in data 21 dicembre 1983, prendeva interesse privato nella procedura, in particolare: 1) ostacolava l'iter di formazione della proposta di concordato promossa dal Patronato Piccoli Azionisti Industria Zuccheri (P.A.I.Z.), non fornendo allo stesso i dati economici relativi all'esercizio chiuso al 31 dicembre 1985, non effettuando le obbligatorie relazioni semestrali al Ministero per l'industria, impedendo le deliberazioni assembleari in ordine alla proposta di concordato mediante la stipulazione di atti di vendita degli zuccherifici di Argelato, Bottrighe, Pontelongo, Finale Emilia, Casei Gerola, Fano, Porto Tolle, Mirandola e Crevalcore a condizioni pregiudizievoli per le societa' commissariate ed in violazione delle disposizioni di cui agli artt. 1 e 6-bis della legge 3 aprile 1979, n. 95, modificati dall'art. 2 della legge 8 giugno 1984, n. 212; 2) favoriva la societa' acquirente degli zuccherifici I.S.I. S.p.A. - Industria Saccarifera Italiana Agroindustriale, che acquisiva la proprieta' degli stessi con un vantaggio pari a lire 161.597.000.000 (di cui lire 57.330.000.000 relativi alla cessione gratuita della quota zucchero afferente agli zuccherifici di Mirandola e Porto Tolle) rispetto al valore determinato in base ai criteri di cui agli artt. 1 e 6-bis sopra citati, anche esercitando pressioni sulla societa' stimatrice Arthur Andersen & Co. S.a.s. affinche' comprimesse i valori di stima e sul CIPI affinche' approvasse sollecitamenie la vendita degli zuccherifici; Fatto aggravato perche' finalizzato alla commissione del reato sub b) e per aver cagionato alle persone offese un danno patrimoniale di rilevante gravita'. In Genova il 23 luglio 1986. All'udienza del 10 maggio 2001, il pubblico ministero chiedeva la assoluzione del Marangoni dal reato di bancarotta per dissipazione (non ritenendo ipotizzabile tale delitto in capo al Commissario straordinario ex legge Prodi) e chiedeva il rinvio a giudizio del medesimo per il solo reato ex art. 228 legge fall., aggravato ex art. 61 n. 7 c.p., dovendosi ritenere decaduta quella ex art. 61 n. 2 c.p. poiche' intimamente legata all'ipotesi di bancarotta. Il g.u.p., non accogliendo la tesi del pubblico ministero, pronunciava il decreto che dispone il giudizio per tutte le originarie imputazioni, fissando l'udienza del 10 luglio 2001 innanzi la II sez. del Tribunale di Genova. All'udienza del 10 luglio 2001 il procedimento veniva rinviato all'udienza del 30 ottobre 2001. Il rinvio produceva l'effetto, secondo la tesi del pubblico ministero, di far spirare il termine prescrizionale per il reato di cui all'art. 228 c.p., privato dell'aggravante di cui all'art. 61 n. 2 c.p., tra le due udienze - e precisamente in data 23 luglio 2001. All'udienza del 30 ottobre 2001 il tribunale rinviava il processo per l'ordinanza di cui all'art. 495 c.p. all'udienza dell'11 dicembre 2001. A tale udienza il tribunale pronunciava ordinanza con la quale non ammetteva le prove perche' risultavano manifestamente irrilevanti e superflue ex art. 190, comma. 1, c.p.p. e rinviava il processo all'udienza del 9 gennaio 2002 per le conclusioni delle parti. All'udienza del 9 gennaio 2002, il tribunale pronunciava sentenza con la quale assolveva il Marangoni dalla bancarotta fraudolenta per dissipazione perche' il fatto non sussiste e dichiarava non doversi procedere nei confronti del medesimo per il reato di cui all'art. 228, legge fall., per essere il reato, esclusa l'aggravante di cui all'art. 61 n. 2 c.p., estinto per intervenuta prescrizione. Contro tale sentenza proponevano ricorso per cassazione per saltum le parti civili; ne' la Procura generale di Genova, ne' l'imputato impugnavano invece la sentenza, che diveniva pertanto definitiva quanto agli effetti penali. Va quindi evidenziato e ribadito che nel precedente processo nei confronti dell'avv. Luigi Marangoni per il reato ex art. 228, legge fall. sono intervenuti diversi fatti interruttivi e precisamente: 1) il 25 ottobre 1989 il P.M. di Padova inoltrava la richiesta di rinvio a giudizio; 2) il 19 gennaio 1996 il P.M. di Genova chiedeva l'archiviazione dell'esposto presentato dal P.A.I.Z.; 3) in data 4 febbraio 1999 il G.i.p. di Padova revocava la sentenza di proscioglimento e disponeva la riapertura delle indagini; 4) in data 15 ottobre 1999 il P.M. di Padova emetteva invito a presentarsi per la contestazione dell'art. 228 aggravato secondo il disposto dell'art. 61 nn. 2 e 7; 5) in data 14 marzo 2000 il P.M. di Padova presentava richiesta di rinvio a giudizio per il reato di cui agli artt. 228, 237 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, 61 nn. 2 e 7; nonche' per il reato di cui agli artt. 216, 223 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, ha efficacia lo stesso atto interruttivo di cui sopra; 6) in data 12 agosto 2000 il P.M. di Genova presentava richiesta di rinvio a giudizio; 7) in data 10 maggio 2001 il G.u.p. presso il Tribunale di Genova emetteva il decreto che dispone il giudizio. Occorre ora approfondire se tali fatti interruttivi dispieghino i loro effetti anche nel presente procedimento. Come ottimamente sostenuto nella memoria 4 maggio 2006 dell'avv. Fasce, nella fattispecie risultano applicabili sia l'art. 161, comma 1 c.p., sia il comma 2 del medesimo articolo, seppur con riferimento a diversi capi di imputazione. In primo luogo occorre soffermare l'attenzione sopra il capo h) della rubrica, ascritto al dott. Renato Picco e all'ing. Paolo Scaroni. Si tratta del medesimo reato a suo tempo contestato all'avv. Luigi Marangoni. Con riferimento a tale reato vertiamo pacificamente nell'ambito del comma 1 dell'art. 161 c.p. Infatti, art. 161, comma 1 c.p. recita: «La sospensione e la interruzione della prescrizione hanno effetto per tutti coloro che hanno commesso il reato». Giurisprudenza e dottrina hanno, negli anni, sviluppato interpretazioni parzialmente divergenti sul significato letterale e sistematico di questa disposizione. Un primo orientamento giurisprudenziale, in sintonia con una parte della dottrina, privilegiava una interpretazione in chiave soggettiva, enunciando che «Gli atti interruttivi della prescrizione in un processo a carico di chi sia stato assolto per non aver commesso il fatto non sono produttivi di effetti nei riguardi di colui al quale sia stata estesa l'imputazione quando gia' si era compiuto il termine di prescrizione». Con questa pronuncia la S.C. poneva l'accento sul profilo sostanziale del concorso di persone nel reato e su quello processuale di coimputazione, fornendo una interpretazione restrittiva del dettato normativo «tutti coloro che hanno commesso il fatto». Tale orientamento e' stato ben presto abbandonato dalla S.C. che, a distanza di pochi anni, torno' sui propri passi, proponendo una ben diversa lettura di tale espressione, sottolineandone il carattere eminentemente oggettivo e proponendone una interpretazione in chiave sistematica, alla luce dell'intera disciplina penalistica in materia di prescrizione e dei lavori preparatori del codice. In particolare, la S.C., confutando il precedente orientamento, ha sottolineato che «Gli atti interrutivi della prescrizione compiuti contro un imputato, anche se assolto, hanno effetto per il loro carattere oggettivo anche nei confronti di colui che sia stato successivamente imputato dello stesso reato». La Corte ha motivato nei seguenti termini la propria decisione: «Invero, l'espressione "tutti coloro che hanno commesso il reato" [...] non equivale, stando alla terminologia del codice penale, a "tutti coloro che hanno effettivamente commesso il reato"». Poiche' il codice stesso, per ragioni di tecnica giuridica ignora il termine processuale di "imputato", come e' costretto ad usare il termine "reo" nell'art. 150, invece di imputato, cosi' nell'art. 161 e' costretto ad adoperare una locuzione diversa dalla parola imputato». Inoltre, sempre in tema di interpretazione sistematica, va ricordato, in sede di lavori preparatori, il passo della Relazione al Guardasigilli (p. 199) - menzionato anche dalla S.C. nella pronuncia de qua -, che recita: «Il progetto adoperando la parola reo prescinde da qualsiasi affermazione di colpevolezza o da qualsiasi presunzione di colpevolezza. Poiche' la reita' e la condanna costituiscono mere previsioni ipotetiche». Secondo la S.C.: «Lo stesso criterio e' quindi da ritenere applicabile anche nella indicazione di "tutti coloro che hanno commesso il reato"» di cui all'art. 151, comma 1 c.p. Pertanto, alla luce di tale interpretazione, prevalente tutt'oggi, appare chiaro come unico presupposto per l'applicazione dell'art. 161, comma 1 c.p. sia che il reato sia il medesimo, comune a tutti coloro che l'hanno commesso, senza che necessariamente si evochi la dimensione soggettiva dell'istituto processuale della coimputazione. Alla luce di tali argomentazioni non sussiste dubbio alcuno circa l'efficacia degli atti interruttivi con riferimento al capo H) della rubrica, anche tenendo conto della giurisprudenza piu' restrittiva, essendo stato l'avv. Marangoni prosciolto per prescrizione - e non gia' assolto - dal reato di cui all'art. 228 legge fall. Restano ora da esaminare tutti gli altri capi di imputazione: per gli stessi vale il disposto del comma 2 dell'art. 161 c.p. Tale disposizione recita: «Quando per piu' reati connessi si procede congiuntamente, la sospensione o la interruzione della prescrizione per taluno di essi ha effetto anche per gli altri». Anche in questo caso non sono mancate differenti interpretazioni in giurisprudenza e in dottrina circa l'interpretazione piu' corretta da attribuire al testo della norma. In particolare, cio' che e' risultato maggiormente controverso attiene alla natura della connessione che deve interessare i reati de quibus: deve trattarsi di connessione sostanziale (nei termini di cui all'art. 61, n. 2 c.p.) o procedimentale (ex art. 12 c.p.p.)? Pare, innanzitutto, di primaria importanza enunciare una definizione di connessione di reati, ancor prima di distinguere quella sostanziale da quella procedimentale. Da autorevole dottrina la connessione di reati e' stata definita «come quell'istituto giuridico per il quale e' assunta come giuridicamente rilevante la comunanza di qualche elemento a piu' reati», a prescindere dalla natura oggettiva o soggettiva degli elementi de quibus. La connessione tra reati, poi, puo' avere natura sostanziale o procedimentale, a seconda degli effetti giuridici che la stessa spiega «a seconda, cioe' che la comunanza a qualche elemento a piu' reati sia assunta come rilevante per il diritto sostanziale o, piuttosto, per quello processuale». Tornando al significato dell'art. 161, comma 2 c.p., la tesi espressa dalla giurisprudenza piu' recente opta per una interpretazione in senso restrittivo della norma de qua, a favore della sola connessione sostanziale (a prescindere dal fatto che sia oggettiva o soggettiva, dal momento che da tempo la giurisprudenza ha chiarito che «La connessione di reati di cui all'art. 161 cod. pen., non e' solo quella oggettiva, ma anche quella soggettiva»), mentre la dottrina prevalente suggerisce una interpretazione piu' lata dell'assunto normativo, adducendo ragioni interpretative di carattere sistematico. A prescindere da tali profili interpretativi, la ravvisabilita' della connessione tal quale la intende l'art. 161, comma 2 c.p., nel presente procedimento, sussiste anche alla luce della giurisprudenza piu' rigoristica che limita la connessione sostanziale ai soli profili soggettivi ed oggettivi e non anche a quelli procedimentali. 1) Quanto al profilo soggettivo, e' sufficiente ricordare che i capi a), b), c), d), e), f), g) della rubrica vedono quali indagati sempre l'avv. Luigi Marangoni - e nel capo g) risultano indagati anche il dott. Renato Picco e l'ing. Paolo Scaroni -, di tal che' la connessione soggettiva non pare contestabile; 2) quanto al profilo oggettivo e' sufficiente ricordare come tutti i comportamenti contestati al Marangoni siano collegati tra loro nella medesimezza del disegno criminoso, volti, da un lato, ad ottenere la spoliazione del Gruppo Saccarifero Veneto, e, dall'altro, a favorire la societa' I.S.I. S.p.A.; 3) quanto alla connessione c.d. procedimentale e' sufficiente osservare che, nel presente procedimento, si procede congiuntamente per tutte le imputazioni, che sono tutte connesse al capo H) della rubrica e che sussiste tra tale reato e tutti gli altri contestati sia la connessione oggettiva, sia quella soggettiva, di tal che' e' presente anche il requisito della contestualita' del procedimento in cui spiegano la loro efficacia gli intervenuti atti interruttivi. Non sussiste, pertanto, dubbio alcuno, in ordine alla efficacia degli atti interruttivi anche con riferimento ai capi di imputazione sopra specificati, conseguentemente le eccezioni sono tutte rilevanti e renderebbero prescrivibili tutti i reati in anni ventidue e mezzo, senza contare la continuaione esistente tra i medesimi - e che forzatamente rileva ai fini della data della commissione dei reati -. Pertanto nessun reato sarebbe prescritto ove la Corte costituzionale accogliesse le questioni che sono state sollevate nel presente procedimento. O s s e r v a t o Che effettivamente appaiono emergere alcune questioni di costituzionalita' a seguito delle modifiche al regime della prescrizione introdotte dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251, confliggenti con il principio di ragionevolezza. Questioni di costituzionalita' della legge 5 dicembre 2005, n. 251 La legge n. 251/2005, meglio conosciuta come «legge ex Cirielli», manifesta in piu' punti - e sotto diversi aspetti - la propria incostituzionalita', come ottimamente evidenziato nella richiesta del p.m. Prima di procedere ad un'analitica individuazione delle violazioni che si assumono compiute in tal senso, e al fine di poter affrontare in maniera corretta le questioni di costituzionalita' che verranno sollevate, occorre premettere alcune considerazioni di carattere generale in materia di sindacato di ragionevolezza da parte della Corte costituzionale. La materia e' stata oggetto di ampia trattazione da parte sia della dottrina costituzionale, sia della giurisprudenza. Nell'ottica del caso in esame e' necessario delineare sinteticamente i passaggi interpretativi salienti. Dopo un primo periodo in cui il principio di ragionevolezza veniva identificato con il principio di eguaglianza, nel corso degli ultimi decenni esso ha invece acquisito una propria autonoma connotazione; il che ha consentito di poter pervenire, da parte della Corte costituzionale, ad un piu' pregnante controllo sul contenuto delle norme. Il limite del potere di sindacato della Consulta, da sempre nelle materie penalistiche individuato nell'impossibilita' di interloquire sulle scelte di politica criminale che competono al Legislatore, cessava cosi' di essere totalmente granitico. Tuttavia la giurisprudenza costituzionale raggiungeva tale obiettivo enunciando principi ermeneutici di carattere generale, che si prestano a differenti interpretazioni in ordine ai limiti del medesimo potere di sindacato. Si riportano qui di seguito i principali criteri enunciati dalla giurisprudenza - e dalla dottrina - costituzionale in materia di ragionevolezza. La Consulta modificava il proprio precedente orientamento con la pronuncia n. 15/1960, laddove, affermando la propria cognizione a valutare le ragioni della legge, introduceva, per la prima volta, il criterio di ragionevolezza quale parametro di interpretazione del diritto. La ragionevolezza secondo la Corte trovava la sua fonte esclusivamente nel principio di eguaglianza ex art. 3 Cost.; in tale ottica la legge poteva definirsi irragionevole solo nel caso in cui, senza un plausibile motivo, creasse disparita' di trattamento tra situazioni identiche. Dopo tale prima pronuncia, la giurisprudenza procedeva a successive evoluzioni interpretative del concetto in esame. Si e' infatti argomentato nel senso che la ragionevolezza, quale canone generale di interpretazione del diritto, non potesse essere strettamente collegata al solo principio di eguaglianza, ma dovesse trovare applicazione anche con riferimento agli altri principi fondamentali contenuti nella Carta costituzionale. Di conseguenza, la maggiore ampiezza concettuale del principio di ragionevolezza richiede un criterio applicativo che forzatamente puo' finire per discostarsi dallo schema trilaterale - che fa riferimento alla regola generale del tertium comparationis, in base alla quale ravvisare la disparita' - previsto per verificare se una fattispecie rispetti o meno il principio di eguaglianza. La dottrina costituzionale, seguendo l'evoluzione interpretativa della Consulta, si soffermava su nuovi corollari del principio di ragionevoiezza, quali l'irrazionalita' e l'ingiustizia: in tale ottica la ragionevolezza veniva considerata quale parametro di non contraddittorieta' interna del sistema giuridico. Rientrerebbero pertanto nel controllo di costituzionalita' sia l'esame sulla contraddittorieta' della norma rispetto ai principi dell'ordinamento giuridico, sia l'incompatibilita' da norma a norma, sia l'incongruita' dei mezzi rispetto ai fini, sia l'inesistenza di qualunque giustificazione dell'eccezione rispetto alla regola. Il giudizio di ragionevolezza che ne scaturisce soddisfa l'esigenza di coerenza interna del sistema, che va sempre salvaguardata dai diversi possibili casi in cui si puo' manifestare un'evidente contraddittorieta'. Esiste tuttavia un terzo modo di concepire la ragionevolezza, ed e' quello di considerarla un imperativo di giustizia. La legge viene sottoposta ad una verifica intrinseca, che non ammette altri termini di paragone o confronto, bensi' un esclusivo rapporto con i principi contenuti nella Carta costituzionale. La ragionevolezza intesa come verifica intrinseca della legge rispetto ai valori costituzionali conduce a ritenere che, quando una legge posta a disciplinare un determinato fenomeno non consente di pervenire ad una soluzione interpretativa ragionevole, bisogna affermare l'invalidita' della stessa. Un'ulteriore applicazione del principio di ragionevolezza veniva indicata da Roberto Romboli, il quale, oltre a considerare la ragionevolezza come sinonimo di razionalita', logica, coerenza, congruita', attribuiva al termine un significato di bilanciamento, equilibrio, contemperamento tra i valori costituzionali coinvolti. In questa ulteriore accezione la ragionevolezza troverebbe applicazione risolutiva nei casi in cui sono interessati due diversi principi costituzionali, non congiuntamente realizzabili nella fattispecie in esame. Da quanto precede emerge come la ragionevolezza, nelle sue molteplici definizioni e applicazioni, richieda, per sua stessa natura, ampi margini di elasticita' nell'interpretazione e nell'applicazione dei diversi parametri costituzionali che si assumono violati e che, per tale ragione, si tratta di uno strumento di interpretazione non rigidamente circoscritto in canoni pre-definiti, ma suscettibile di adattamento - e di verifica - a seconda dei possibili casi in esame. Occorre ora esaminare la legge n. 251/2005 ed in particolare l'art. 6, al fine di stabilire se il meccanismo introdotto dal Legislatore in tema di termini prescrizionali sia conforme ai criteri di ragionevolezza, se si verta in materia in cui e' consentito il sindacato di costituzionalita' da parte della Consulta, ovvero si tratti di scelte insindacabili riservate in via esclusiva al Legislatore. Al fine di poter apprezzare la ratio delle nuove norme e poterne cogliere la non conformita' al principio di ragionevolezza occorre approfondire i valori costituzionali che sottendono al permanere della pretesa punitiva da parte dell'ordinamento giuridico. L'interesse dello Stato a prevenire e a punire alcuni tipi di condotte umane nasce dalla necessita' di dare attuazione - e quindi anche protezione - ai diritti fondamentali che la Carta costituzionale riconosce e attribuisce ad ogni singolo individuo. L'intensita' di tale protezione varia in relazione a due elementi, il valore che sottende al bene giuridico tutelato e la lesione a questo inferta, e ad essi deve essere necessariamente correlata. Da cio' consegue che le norme del diritto penale sostanziale e formale attraverso cui lo Stato attua la sua pretesa punitiva debbano formare un modello astratto conforme ai medesimi valori costituzionali che giustificano la pretesa punitiva stessa. L'esigenza di coerenza interna del sistema viene garantita, a livello costituzionale, attraverso la previsione di due regole fondamentali di immediata e diretta precettivita', quali il principio di eguaglianza ex art. 3 Cost. ed il principio del giusto processo ex art. 111 Cost. Pare evidente che il combinato disposto da queste due norme imponga al Legislatore un'attenta analisi valutativa tra le garanzie ricollegate, da un lato, alla ragionevole durata del processo e ai diritti riconosciuti all'imputato e, dall'altro, alla coerenza e alla razionalita' interna del sistema, cosi' come sancito dal principio di eguaglianza. In particolare, la legge n. 251/2005, ridisegnando la disciplina di alcuni meccanismi del diritto penale sostanziale, quale il computo dei termini prescrizionati del reato, non puo' non considerare le esigenze collegate alla pretesa punitiva dello Stato. Tuttavia, come gia' evidenziato, l'interesse dello Stato a reprimere tali condotte criminose non e' costante, ma varia in relazione alla gravita' del fatto-reato e all'intensita' e alla natura della lesione causata al bene giuridico tutelato, e, per tale ragione, le regole del processo penale devono essere idonee, in astratto, ad evidenziare tali differenze per poter adeguatamente stabilire i criteri atti a determinare il permanere della pretesa punitiva dell'ordinamento. Tale premessa appare necessaria in quanto un modello di processo penale coerente con i canoni dettati dall'art. 111 Cost. (tendenti a pervenire al concetto di giusto processo) e con l'esigenza di una corretta amministrazione della giustizia, deve essere capace di soddisfare l'interesse dello Stato a reprimere le condotte criminose in un periodo di tempo certamente definito ragionevole, ma non in termini assoluti, bensi' in relazione alla complessita' e alla gravita' del fatto-reato per cui si procede. Se e' vero che le modifiche del calcolo dei termini prescrizionali incidono direttamente sulla pretesa punitiva dello Stato, aumentando o limitando il tempo in cui lo Stato stesso puo' far valere tale interesse, appare necessario che i criteri adottati per pervenire a tali cambiamenti non confliggano con gli altri valori primari coinvolti. A riguardo, sia la Corte costituzionale, sia la Corte di Giustizia europea riconoscono, gia' da tempo, la ragionevolezza come criterio di bilanciamento degli interessi costituzionali potenzialmente configgenti, individuando espressamente un altro aspetto che il Legislatore ha l'obbligo di considerare: la gravita' e la conseguente complessita' del caso, tale per sua natura da richiedere un maggiore interesse dello Stato nel perseguimento di tale condotta e - tale da non consentire un rapido accertamento dei fatti. Nella sentenza n. 317 del 20 luglio 1999, la Corte costituzionale affermava che: « ... l'effetto estintivo della prescrizione trova ragione nell'interesse generale di non piu' perseguire i reati rispetto ai quali il lungo decorso dopo la loro commissione abbia fatto venir meno, o notevolmente attenuato, [...] l'allarme della coscienza comune e che pertanto non puo' ritenersi ingiustificata la scelta del Legislatore di rapportare i termini entro cui si produce tale effetto estintivo alla concreta gravita' del fatto-reato, quale risulta a seguito del riconoscimento delle attenuanti generiche e del bilanciamento delle circostanze». Analogamente, la Corte costituzionale, in una precedente sentenza (n. 275 del 31 maggio 1990), enunciava il medesimo principio: « ... E' costante giurisprudenza di questa Corte quella per cui e' compito del Legislatore approntare i mezzi diretti ad impedire che nel momento applicativo si vanifichi quel bilanciamento di interessi idoneo, in astratto, a giustificare la previsione normativa». Da tali sentenze emerge con assoluta chiarezza come il compito di individuare il tempo necessario a prescrivere una specifica fattispecie di reato rientri esclusivamente tra le scelte di politica criminale che competono al Legislatore, scelte che, in quanto tali, sono insindacabili in sede di legittimita' costituzionale. Tuttavia occorre che lo stesso Legislatore predisponga un criterio di computo dei termini prescrizionali idoneo a diversificare la gravita' delle condotte integranti tutte il medesimo reato. Tale esigenza e' proprio quella a cui le sentenze sopra citate fanno riferimento, e cio' al fine di calibrare l'interesse generale dello Stato a perseguire fatti che, per la modalita' di esecuzione e per la gravita' della lesione inferta al bene tutelato, esigono differenti termini prescrizionali. Appare difficilmente contestabile che dai principi costituzionali e dalle numerose pronunce della Consulta emerga l'esigenza di ancorare il permanere della pretesa punitiva a criteri oggettivi, che non possono essere disgiunti dalla gravita' del fatto-reato. E la gravita' del medesimo non puo' che esaminarsi attraverso un modello astratto ed uniforme che prescinde da una valutazione in concreto, che compete invece in un momento successivo al giudice. Tale modello astratto non puo' che prevedere la considerazione di tutte le aggravanti nonche' delle attenuanti ma in guisa tale da non anticipare, nel modello astratto, valutazioni in concreto che presuppongono l'effettuazione di un giudizio di bilanciamento delle circostanze che attengono all'esame del merito, esulando concettualmente dalla ratio del termine prescrizionale in astratto. Anche ove si volesse impedire che la valutazione in concreto da parte dei giudici potesse incidere sul termine prescrizionale, occorrerebbe comunque prevedere tutte le aggravanti e non solo una parte delle stesse, nonche' le attenuanti, dando in questa fase - e per questi fini - rilievo diverso alle une rispetto alle altre. Se tali premesse sono corrette, come si ritiene, ne discende che la normativa in esame presenta plurimi profili di violazione del principio di ragionevolezza. In primo luogo vale la pena soffermare l'attenzione sull'art. 6 n. 1 nella parte in cui prevede, ai fini del calcolo dei termini prescrizionali, di prendere in considerazione solo le aggravanti che prevedono un tipo di pena diverso ovvero quelle ad effetto speciale, non contemplando anche le aggravanti comuni e le attenuanti. In un modello astratto ed oggettivo tal quale quello relativo all'individuazione dei criteri atti a stabilire il permanere in vita della pretesa punitiva dello Stato, il considerare le sole aggravanti ad effetto speciale costituisce di per se' la violazione del principio di eguaglianza e trascende dalle potesta' riservate in via esclusiva al Legislatore. A questo si aggiunga l'assoluta abnormita' ed irragionevolezza di operare un sindacato ex ante tra le circostanze aggravanti, ritenendone alcune non idonee ad influire sulla determinazione del permanere della pretesa punitiva. In cio' contraddicendo un criterio oggettivo desumibile dai principi costituzionali, vale a dire che l'interesse dello Stato a punire un determinato fatto-reato sia direttamente collegato alla gravita' del medesimo. Non solo. Che sia collegato anche alla presumibile complessita' dell'accertamento. Balza evidente che, sia le aggravanti, sia le attenuanti debbano essere considerate nella totalita' (ma con conseguenze diversificate) al fine di poter effettuare una prognosi astratta ex ante, tal quale deve essere il calcolo del termine prescrizionale. L'intrinseca incoerenza della disciplina delineata dall'art. 6 n. 1, comma 2 si palesa in maniera evidente se ci si riferisce ad un possibile caso concreto. Secondo le norma in esame non esisterebbe alcuna differenza tra un peculato commesso dal pubblico ufficiale sulla somma di un euro, tra un peculato relativo a diecimila euro e il medesimo reato commesso dallo stesso pubblico ufficiale sulla somma di cento milioni di euro. Appare di solare evidenza come nessuna delle tre condotte sia equiparabile quanto agli effetti: nel primo caso infatti si tratta di peculato relativo a somme di particolare tenuita', mentre nel terzo caso si tratta di peculato idoneo a cagionare un danno rilevante. Da cio' discende che in tale ultimo caso e' ragionevole ipotizzare una maggiore difficolta' e complicatezza del processo (nonche' della fase delle indagini preliminari) tale da giustificare un tempo piu' lungo a prescrivere, collegata alla maggior gravita' del fatto - reato per cui si procede. La valutazione della gravita' di una specifica condotta delittuosa infatti non sempre si puo' effettuare attraverso l'individuazione del bene giuridico tutelato dalla norma penale, poiche' spesso, come poco sopra dimostrato, differenti azioni od omissioni che integrano la medesima fattispecie penale cagionano conseguenze differenti sotto il profilo dell'intensita' della lesione apportata. Ne discende l'incostituzionalita' dell'art. 6 n. 1, comma 2 per violazione dei dettami di cui all'art. 3 Cost. in relazione all'art. 111, secondo comma Cost. nella parte in cui non prevede che, ai fini del calcolo dei termini prescrizionali, debbano considerarsi anche le circostanze aggravanti comuni e le attenuanti e cio' al fine di determinare un modello di calcolo prescrizionale che differenzi la durata della pretesa punitiva dello Stato in relazione ai diversi fatti-reato per cui si procede. Si prende ora in considerazione l'art. 6 n. 5 al fine di esaminare la ritualita' dei termini massimi prescrizionali nel caso di interruzione della prescrizione. Rientra nella sfera esclusiva del Legislatore la valutazione dei termini prescrizionali; tuttavia ove la stessa valutazione poggi sopra criteri diversificati, e' sempre consentito, da parte della Corte costituzionale, l'esame circa la compatibilita' dei criteri adottati con i principi costituzionali. Il Legislatore ha abbandonato nella specie il criterio oggettivo da sempre previsto nel nostro ordinamento per sostituirlo con un criterio meramente soggettivo. Gia' questo stride con i principi costituzionali. A questo si aggiunga che il Legislatore ha deciso di collegare i maggiori termini prescrizionali ancorandoli ad una aggravante nella quasi totalita' dei casi a contestazione facoltativa. Non solo. Non ha previsto nulla in ordine agli effetti delle sentenze di patteggiamento, ma soprattutto non ha tenuto conto degli effetti nel caso di procedimento riguardante piu' imputati e nel caso di procedimento relativo alle medesime imputazioni celebrato separatamente - e successivamente - nei confronti del coimputato. In tale ottica si consideri inoltre che il Legislatore, in relazione al calcolo dei termini prescrizionali per i reati previsti dall'art. 51, comma 30-bis e 30-quater c.p.p., ha posto in essere una normativa assolutamente lacunosa. Il Legislatore infatti, dopo aver stabilito che i termini necessari a prescrivere tali reati sono raddoppiati rispetto a quelli indicati nell'art. 6 n. 1, dimentica clamorosamente - all'art. 6 n. 5, comma 2 - di indicare per tali reati l'aumento prescrizionale massimo conseguente ad un atto interruttivo della prescrizione. Il meccanismo ideato dalla legge e' del tutto irrazionale e comporta una diversificazione del tutto arbitraria di situazioni identiche; tale meccanismo si appalesa contrario non solo al principio di ragionevolezza, ma anche a quello di eguaglianza. Non esistono principi costituzionali che giustifichino una scelta operata sulla base di meri criteri soggettivi senza essere ancorata a criteri di ordine oggettivo. Ne consegue la illegittimita' costituzionale dell'art. 6 n. 5, comma 2 per violazione dei dettami di cui all'art. 3 Cost. in relazione all'art. 111, secondo comma Cost., nella parte in cui prevede che l'aumento dei termini prescrizionali, conseguente ad un atto interruttivo, sia determinato attraverso criteri meramente soggettivi. Occorre inoltre sottoporre al vaglio di costituzionalita' anche il secondo comma dell'art. 161 c.p. Il testo novellato dall'art 6 n. 5 della presente legge ha abrogato il precedente, dettato in guisa tale da omettere qualsiasi riferimento agli effetti dell'interruzione della prescrizione sui reati connessi. Cosi' facendo il Legislatore ha ritenuto di non prevedere alcuna influenza degli eventi intercorsi nel procedimento relativo ad un determinato reato rispetto ai reati connessi al medesimo. I principi ai quali occorre ispirarsi nel dettare i criteri in base ai quali determinare il permanere dell'interesse a perseguire un determinato fatto-reato non possono non far riferimento al fatto inteso come costellazione di condotte di cui spesso il medesimo fatto-reato in esame ne rappresenta solo una parte. Se questi sono i principi ispiratori, appare irrazionale - nonche' irragionevole - non aver previsto che gli atti interruttivi dispieghino la loro efficacia anche nel caso di connessione di reati. E' di tutta evidenza che non tutti i fatti connessi siano meritevoli dell'estensione degli effetti degli atti interruttivi: occorre infatti, come acutamente ha osservato la giurisprudenza di legittimita', che si tratti di connessione sostanziale, sia sotto il profilo oggettivo, sia soggettivo. L'art. 6 n. 5 appare pertanto violare i dettami di cui all'art. 3 Cost. nella parte in cui non prevede che gli atti interruttivi dispieghino i loro effetti anche con riferimento ai reati connessi. Merita attenzione anche l'art. 6 n. 2, che modifica l'art. 158 c.p. in relazione al reato continuato. Il Legislatore mantiene immutata la disciplina sulla decorrenza del termine della prescrizione per il reato consumato, tentato e permanente, mentre sopprime qualsiasi riferimento al reato continuato, ponendo cosi' in essere una palese contraddizione rispetto alla natura stessa della continuazione. La continuazione cosi' come prevista dall'art. 81 c.p., 2 cpv., impone di considerare come facenti parte di un unico reato piu' azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso che, anche in tempi differenti, violino la stessa o diverse disposizioni di legge. Il vincolo che rende unite le differenti condotte nella continuazione e' l'unicita' del disegno criminoso e, per tale ragione, il Legislatore ha deciso di punire non ogni singolo fatto-reato commesso, ma il solo reato continuato nella sua unita': la pena stabilita per il reato continuato e' infatti unica e corrisponde alla sanzione che dovrebbe infliggersi per la violazione piu' grave aumentata fino al triplo, con l'ulteriore limite di non irrogare una pena che superi quella che sarebbe applicabile in base alle disposizioni relative al concorso formale di reati. Se tali premesse sono pacificamente riconosciute dalla costante giurisprudenza e dalla dottrina, non sembra logico, ne' tanto meno coerente, che la disciplina che regola la decorrenza dei termini prescrizionali possa dettare regole che presuppongono l'inesistenza del reato continuato. Il che produce la paradossale conseguenza che, ai fini della consumazione, il reato continuato farebbe riferimento al momento della consumazione dell'ultimo reato; per contro, per la prescrizione si applicherebbe la disciplina prevista per il concorso formale di reati. La giurisprudenza costituzionale e' costante (sentenze n. 217 de 1972 e n. 108 del 1973) nel ritenere che il reato continuato non costituisca un tipico istituto ispirato al favor rei, nell'intento di mitigare l'eccessiva severita' del concorso materiale di reati, bensi' una autonoma figura di reato che trova la sua ratio nell'unicita' del disegno criminoso. Gli unici eccessi rigoristici a cui si e' voluto ovviare con la figura del reato continuato sono quelli attinenti alla determinazione della pena, che, come sopra ricordato, non puo' essere superiore a quella che sarebbe stata applicata nel caso di concorso materiale dei medesimi fatti. Come correttamente precisato dalla Corte costituzionale (sentenza n. 254 del 4 novembre 1985), ricollegare la decorrenza della prescrizione al cessare della continuazione, significa tener conto dell'elemento essenziale che caratterizza il reato continuato rispetto al concorso formale di reati: l'unicita' del disegno criminoso. E cio' appare necessario in quanto, a differenza di piu' reati collegati dal concorso materiale, la piu' recente manifestazione dell'unicita' del disegno criminoso mantiene fermo o addirittura acuisce l'allarme sociale su cui anche si basa la pretesa punitiva dello Stato. La Corte in conclusione affermava che: «Non puo', dunque, dirsi irrazionale la norma che, in piu' fatti uniti dal vincolo della continuazione, ricollega il decorrere del termine della prescrizione alla piu' recente manifestazione del disegno criminoso in cui si sostanzia tale vincolo. Ne' basta certo a smentire la suddetta conclusione il fatto che nel 1971 vi sia stata da parte del Senato l'approvazione di un progetto di riforma del codice penale contenente una nuova versione dell'art. 158, senza alcun riferimento al reato continuato». E' evidente come l'art. 6 n. 2 della presente legge introduca una disciplina del reato continuato che si pone in palese contrasto con i principi delineati dalla giurisprudenza costituzionale di cui sopra, e per tale ragione il novellato art. 158 c.p. e' da ritenersi incostituzionale per evidente irrazionalita' intrinseca rispetto all'istituto del reato continuato e per violazione dell'art. 3 Cost. nella parte in cui, non prevedendo che il computo dei termini prescrizionali debba decorrere dal momento della cessata continuazione, sottopone ad una medesima disciplina due istituti di diritto sostanziale, quali il reato continuato e il concorso formale di reati, che corrisnondono a due situazioni fattuali, e di conseguenza anche giuridiche, del tutto diverse tra loro. Il Legislatore, all'art. 6, n. 1, ha previsto l'allungamento dei termini prescrizionali per alcuni reati, operando una scelta del tutto irrazionale, arbitraria e addirittura non comprensibile quanto ai criteri ispiratori. Per maggiore chiarezza, si legga la tabella di seguito riportata: ===================================================================== Reati richiamati| | | dall'art. 6, | | | n. 1, legge c.d.| | Prescrizioni | Prescrizioni {ex Cirielli} | Pena | (prima) | (ora) ===================================================================== Delitti colposi | | | di danno (art. |da 1 a 5 anni (I| | 449 c.p.) |comma) |15 anni |15 anni --------------------------------------------------------------------- |da 2 a 10 anni | | |(II comma) |22,5 anni |25 anni --------------------------------------------------------------------- |da 1 a 5 anni | | |(II comma) |15 anni |15 anni --------------------------------------------------------------------- |max 12 anni (III| | |comma) |22,5 anni |30 anni --------------------------------------------------------------------- Reati contro la | | | P.A. (per | | | esempli- | | | ficazione) | | | --------------------------------------------------------------------- Peculato (art. | | | 314, comma 1 | | | c.p.) |da 3 a 10 anni |22,5 anni |12,5 anni --------------------------------------------------------------------- Concussione | | | (art. 317 c.p.) |da 4 a 12 anni |22,5 anni |15 anni --------------------------------------------------------------------- Corruzione per | | | atti contrari ai| | | doveri d'ufficio| | | (art. 319 c.p) |da 2 a 5 anni |15 anni |7,5 anni --------------------------------------------------------------------- Corruzione in | | | atti giudiziari | | | (art. 319-ter |da 3 a 8 anni (I| | c.p.) |comma) |15 anni |10 anni --------------------------------------------------------------------- |da 4 a 12 anni | | |(II comma, I | | |per.) |22,5 anni |15 anni --------------------------------------------------------------------- |da 6 a 20 anni | | |(II comma, II | | |per.) |22,5 anni |25 anni --------------------------------------------------------------------- Interruzione | | | d'un servizio | | | pubblico o di | | | pubblica | | | utilita' (art. |da 6 mesi a 1 | | 331 c.p.) |anno (I comma) |7,5 anni |7,5 anni --------------------------------------------------------------------- |da 3 a 7 anni | | |(II comma) |l5 anni |8 anni e 9 mesi --------------------------------------------------------------------- Violenza o | | | minaccia a un | | | pubblico | | | ufficiale (art. |da 6 mesi a 5 | | 336 c.p) |anni (I comma) |15 anni |7,5 anni --------------------------------------------------------------------- |fino a 3 anni | | |(II comma) |7,5 anni |7,5 anni --------------------------------------------------------------------- Resistenza a un | | | pubblico | | | ufficiale |da 6 mesi a 5 | | (art. 337 c.p.) |anni |15 anni |7,5 anni --------------------------------------------------------------------- Millantato | | | credito (art. |da 1 a 5 anni (I| | 346 c.p.) |comma) |15 anni |7,5 anni --------------------------------------------------------------------- |da 2 a 6 anni | | |(II comma) |l5 anni |7,5 anni --------------------------------------------------------------------- Turbata liberta'| | | degli incanti |fino a 2 anni (I| | (art. 353 c.p.) |comma) |7,5 anni |7,5 anni --------------------------------------------------------------------- |da 1 a 5 anni | | |(II comma) |15 anni |7,5 anni --------------------------------------------------------------------- Delitti contro | | | la fede pubblica| | | (esempli- | | | ficazione) | | | --------------------------------------------------------------------- Falsita' | | | materiale | | | commessa dal | | | pubblico | | | ufficiale in | | | atti pubblici |da 1 a 6 anni (I| | (art. 476 c.p.) |comma) |15 anni |7,5 anni --------------------------------------------------------------------- |da 3 a 10 anni | | |(II comma) |22,5 anni |12,5 anni --------------------------------------------------------------------- Falsita' | | | ideologica | | | commessa dal | | | pubblico | | | ufficiale in | | | atti pubblici |da 1 a 6 anni (I| | (art. 479 c.p.) |comma) |15 anni |7,5 anni --------------------------------------------------------------------- |da 3 a 10 anni | | |(II comma) |22,5 anni |12,5 anni --------------------------------------------------------------------- Delitti contro | | | il patrimonio | | | --------------------------------------------------------------------- Truffa (art. 640|da 6 mesi a 3 | | c.p.) |anni (I comma) |7,5 anni |7,5 anni --------------------------------------------------------------------- |da 1 a 5 anni | | |(II comma) |15 anni |7,5 anni --------------------------------------------------------------------- Truffa aggravata| | | per il | | | conseguimento di| | | erogazioni | | | pubbliche (art. | | | 640 - bisc.p.) |da 1 a 6 anni |15 anni |7,5 anni --------------------------------------------------------------------- Ricettazione | | | (art. 648 c.p.) |da 2 a 8 anni |15 anni |10 anni --------------------------------------------------------------------- |fino a 6 anni |15 anni |7,5 anni Dall'esame della tabella sopra riportata si evince come il Legislatore, decidendo di contenere l'estensione dei termini di prescrizione per i soli reati di cui agli artt. 449 e 589, commi 2 e 3, c.p., abbia leso ancora una volta tanto il principio di ragionevolezza quanto quello di uguaglianza, sia accorciando in maniera del tutto illogica ed incomprensibile i termini prescrizionali relativi a reati piu' gravi, sia con riferimento a ipotesi di reato altrettanto gravi rispetto a quelle per le quali e' stato previsto un termine prescrizionale differente. Anche sotto tale profilo si evidenzia ancora una volta la incostituzionalita' della novellazione normativa in materia di prescrizione. L'art. 10 n. 3 della legge - peraltro suscettibile anch'esso di sindacato di costituzionalita' da parte della Consulta -, non pone alcun rimedio alle violazioni di cui agli artt. e 111, secondo comma Cost., gia' precedentemente evidenziate: vuoi per quel che concerne la irragionevolezza delle soluzioni adottate dall'art. 6 n. 1 che, in relazione al calcolo dei termini prescrizionali, prende in considerazione le sole aggravanti ad effetto speciale, e non anche le aggravanti comuni e le attenuanti, ed introduce cosi' un modello astratto incapace di diversificare la durata della pretesa punitiva dello Stato in relazione alla gravita' del singolo fatto-reato per cui si procede; vuoi per le violazioni dell'art. 3, per la disparita' di trattamento introdotte dall'art. 6 n. 5 che, laddove stabilendo che l'aumento dei termini prescrizionali, conseguente ad un atto interruttivo, sia determinato attraverso criteri meramente soggettivi, individuati dal Legislatore nella contestazione della recidiva, introduce un meccanismo del tutto irrazionale e una disparita' di trattamento del medesimo fatto-reato a cui inoltre puo' conseguire una grave situazione di incertezza nel caso in cui la recidiva - nella maggior parte dei casi a contestazione facoltativa - non venga contestata; vuoi con riferimento alla disciplina contenuta nell'art. 6 n. 2 sulla decorrenza dei termini prescrizionali nell'ipotesi di reato continuato in quanto, non prevedendo che tali termini debbano decorrere dal momento in cui viene a cessare il vincolo continuativo, si pone in evidente contraddittorieta' con una precedente scelta legislativa operata nell'art. 81 c.p., ove si prescrive che debba venir punito non ogni singolo fatto-reato, bensi' il solo reato continuato nella sua unicita' e, di conseguenza, in palese violazione del principio di uguaglianza, viene applicata al reato continuato la medesima disciplina prevista per un istituto profondamente diverso, quale e' il concorso materiale di reati; vuoi, infine, con riferimento alla scelta dei reati per i quali prevedere un termine prescrizionale piu' lungo. Si e' sostenuto che l'art. 10 n. 3 della legge sanerebbe la violazione di cui all'art. 79 Cost. con riferimento all'approvazione di una presunta amnistia in forma mascherata. A ben vedere tale violazione esiste comunque perche' anche le amnistie normali prevedono delle esclusioni, di tal che' averne limitato la portata non ne inficia la natura di provvedimento equiparabile ad una amnistia. Nel sindacato di costituzionalita', dovrebbero essere presi in considerazione, non solo quegli elementi di palese violazione ai principi costituzionali che sono contenuti in una determinata disposizione di legge, ma anche quelli sottaciuti - e mediati - che possono portare sia ad ingiustizie sostanziali nell'applicazione della medesima legge, sia a situazioni di paralisi di un intero settore ovvero di un organo, e sia infine alle ricadute che un determinato provvedimento puo' creare nel substrato sociale in cui lo stesso viene applicato. Esistono infatti provvedimenti che in ipotesi possono anche apparire non esageratamente contrari ai principi costituzionali (ma non e' certamente questo il caso in esame), che tuttavia possono dar luogo a distorsioni - e a distonie - evidenti nella loro applicazione. Nel corso del dibattito che ha preceduto l'approvazione della norma nell'attuale formulazione, si e' fatto ricorso, da parte dei propugnatori della ritualita' della stessa formulazione approvata, ad alcune considerazioni che giova a questo punto affrontare. Si e' detto che gia' in passato la Corte costituzionale ha avuto occasione di esprimersi con riferimento a norme che prevedevano l'entrata in vigore delle medesime solo in favore di alcune situazioni e che la Corte costituzionale si sarebbe espressa favorevolmente circa la ritualita' di una tale impostazione, asserendo che si tratterebbe di materie devolute in via esclusiva al Legislatore nell'ambito della sua discrezionalita' nelle scelte di politica criminale, di tal che' sul punto sarebbe sottratto ogni possibile giudizio di sindacato da parte della Consulta. I riferimenti tuttavia riguardavano la materia processuale penale, in cui effettivamente (purche' non ricada in palesi violazioni del criterio della ragionevolezza) il Legislatore ha piena facolta' di derogare, anche parzialmente, al principio processualpenalistico del tempus regit actum. La prescrizione, pur attenendo a conseguenze di natura processuale, ha natura sostanziale, essendo stata disciplinata dal Legislatore all'interno del codice penale. La suprema Corte di legittimita' ha piu' volte affrontato il tema, sottolineando come «le norme sulla prescrizione dei reati costituiscono l'espediente di carattere formale escogitato dal nostro Legislatore per realizzare quella finalita' di carattere sostanziale, costituita dalla durata ragionevole del processo» del processo penale, che e' tutelata dall'art. 6 della convenzione europea dei diritti dell'uomo [e recepita dal nostro Legislatore costituzionale all'art. 111 Cost.] e che e' da tale norma riconosciuta all'imputato quale suo diritto soggettivo perfetto» (Cass. pen., sez. I, 21 aprile 1986, Colussi; in senso conforme, a titolo esemplificativo: Cass. pen., sez. I, 8 maggio 1998, Negri). Sul punto sono recentemente intervenute anche le sezioni unite penali della Corte di cassazione a ribadire ancora una volta la natura della prescrizione quale istituto di diritto sostanziale: «la prescrzione [...] e' costruita non come un istituto di diritto processuale, ma di diritto sostanziale», paragrafando - in merito - esplicitamente la Relazione del Guardasigilli sul codice penale, che, unitamente alla voce unanime della dottrina, dichiara esplicitamente che, prima di esplicare i suoi effetti sul piano processuale, la prescrizione nasce proprio come istituto di diritto sostanziale. Ad ulteriore conferma della tesi ivi esposta, si pone anche la Consulta, che, in occasione di una pronuncia in merito alla legittimita' dell'art. 2947 c.c., relativo ai termini prescrizionali per l'esperimento dell'azione di danno nell'ipotesi in cui lo stesso derivi da fatto illecito costituente reato, ha avuto modo di sottolineare come «la prescrizione opera sul terreno sostanziale del diritto e non su quello della sua protezione processuale» (Corte cost., 30 giugno 1988, n. 732), ferma restando l'assoluta interdipendenza tra diritto penale sostanziale e diritto penale processuale, specialmente quando la dimensione preventiva della legge sostanziale non ha raggiunto il proprio scopo. L'aver disciplinato la prescrizione quale istituto di diritto sostanziale discende dalla natura intrinseca della prescrizione stessa, ontologicamnente connessa alle «ragioni sostanziali del punire o non punire», il che fa si' che la stessa abbia una natura duplice e che debba essere esaminata in entrambe le sue caratteristiche: in primo luogo e' un istituto di carattere pubblicistico attraverso il quale l'ordinamento giuridico stabilisce dei criteri (sulla base di considerazioni morali, sociali di scelte di politica criminale e anche di opportunita) per misurare nel tempo la pretesa dello Stato a vedere puniti comportamenti devianti costituenti reato (a); in secondo luogo, essendo un Istituto di diritto sostanziale, la prescrizione e' in parallelo un diritto che si concede a tutti i soggetti giuridici a non vedersi processare allorquando sia decaduto quell'interesse dello Stato a punire determinati comportamenti (b), nonche' (c) il diritto concesso alle persone offese di poter far riferimento ad un termine preciso per poter iniziare l'azione civile di danno. Per cogliere la palese incostituzionalita' della norma in esame e' sufficiente notare come una norma che disciplini la prescrizione debba essere al contempo idonea a non confliggere con il diritto dello Stato di cui al punto (a) e con i diritti del cittadino di cui ai punti (b) e (c). Ove cosi' non fosse, avrebbe ragione chi sostiene la discrezionalita' del Legislatore sulla base di scelte di politica criminale che competono al medesimo. Se la normativa che disciplina la prescrizione fosse stata inserita nel codice di procedura penale, tali osservazioni sarebbero corrette e il Legislatore, a proprio piacimento, potrebbe creare un differente destino processuale per reati identici a seconda di insindacabili criteri di opportunita'. Ma non e' cosi'. Il Legislatore nel disciplinare l'istituto della prescrizione lo ha inserito nel codice penale, creando, come sopra si e' detto, un parallelo diritto al cittadino di non essere processato oltre determinati termini, diritto che e' sostanziale, quindi deve soddisfare a tutti i principi di natura sostanziale dettati dalla Costituzione. In tale ottica si dimostra la evidente incostituzionalita' di cui e' affetto l'art. 10 n. 3 della legge, soprattutto se correlata a tutti gli altri profili di incostituzionalita' sopra evidenziati. Se la discrezionalita' del Legislatore appare condizione necessaria perche' lo stesso possa efficacemente svolgere la funzione di creatore del diritto che la Costituzione gli riserva, tale discrezionalita', tuttavia, non puo' non riconoscere quali limiti l'irrazionalita', l'arbitrarieta' e l'irragionevolezza delle scelte legislative, direttamente contrastanti con il dettato costituzionale della norma in esame che bandisce ogni genere di contraddittorieta' all'interno del nostro ordinamento giuridico. In particolare, la Corte costituzionale ha in proposito affermato che, pur non potendo la stessa sostituirsi al Legislatore pronunciando sentenze additive in malam partem, ad ogni buon conto ad essa compete uno «scrutinio nel merito sotto il profilo della non arbitrarieta' e della non irragionevolezza» dell'esercizio discrezionale del potere legislativo (Corte cost., 18 gennaio 2005, Deutsche Bank Capital Markets e altro). Inoltre, proprio con riferimento al diritto penale sostanziale, la giurisprudenza costituzionale ha sottolineato che «rientra nella discrezionalila del Legislatore la determinazione delle condotte punibili, e che lo scrutinio sul merito delle scelte, sanzionatorie e' ammissibile soltanto ove l'opzione normativa contrasti in modo manifesto con il canone della ragionevolezza» (Corte cost., 26 giugno 2002, Pres. Cons.; negli stessi termini anche Corte cost. 9 luglio 1999, Pres. Cons.). In particolare, va affrontato il problema posto dal divieto, da parte della Corte costituzionale, di pronunciare sentenze in malam partem. Ove la prescrizione, quale istituto di diritto sostanziale, si atteggiasse in maniera non dissimile dalle norme incriminatici, per le quali e' inammissibile una retroattivita' delle norme piu' sfavorevoli per il reo, le questioni sollevate, pur fondate, troverebbero un ostacolo insormontabile nel divieto, da parte della Corte costituzionale, di intervenire modificando in peggio il regime disciplinato dall'attuale legge sulla prescrizione. Al fine di pervenire a una corretta soluzione, occorre, nell'ambito degli istituti di diritto sostanziale, scindere le norme incriminatici dagli altri istituti che, pur rientrando sempre nell'ambito del diritto sostanziale, se ne differenziano tuttavia in maniera essenziale, non prevedendo un particolare tipo di sanzione. In tale ottica, nel mentre non e' certamente possibile pronunciare una sentenza in malam partem con riferimento alle norme incriminatrici, diversa e' la disciplina relativamente alle altre norme di diritto sostanziale contenute nel codice penale. Ove pertanto la Corte costituzionale dovesse accogliere le questioni sollevate, con il ritorno in vita delle norme previgenti, non si attuerebbe certamente un danno nei confronti degli indagati, posto che gli stessi si troverebbero a dover rispondere sempre delle medesime norme incriminatici contestate, che non sarebbero certamente state nel frattempo per nulla modificate. E' in tale senso che deve interpretarsi la massima espositiva che si ritrascrive qui di seguito: «L'art. 25 cpv. Cose, secondo cui nessuno puo' essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore prima del fatto commesso, non esclude che una norma contenente la previsione di una causa estintiva del reato o della pena entrata in vigore successivamente al fatto commesso, possa essere sottoposta al controllo di costituzionalita', poiche' la eventuale dichiarazione di illegittimita' costituzionale non sottoporrebbe il fatto-reato ad una sanzione non prevista nel momento in cui esso fu commesso» (Corte cost., 20 ottobre 1983, n. 321). La seconda obiezione, che si potrebbe porre alle questioni di costituzionalita' sollevate nel presente procedimento, riguarda il delicato tema della discrezionalita' del Legislatore. Si potrebbe obiettare che, pur trattandosi di legge pessima, illogica, irragionevole ed intrinsecamente contraddittoria, la stessa sarebbe la risultante comunque di una potesta' che compete in via esclusiva al Legislatore. Tuttavia, la sfera di potesta' del Legislatore non e' del tutto assoluta. Occorre che lo stesso Legislatore, nell'applicare i criteri decisionali nell'ambito della sfera di discrezionalita' che gli compete, non confligga con i criteri di logicita', ragionevolezza e di giustizia sostanziale. In altre parole il Legislatore, nell'ambito delle scelte di politica criminale, puo' ispirarsi ai criteri che ritiene piu' consoni al fine di disciplinare una determinata materia di diritto sostanziale, ma deve licenziare norme che siano logiche e ragionevoli. Ove cio' non faccia, sara' sempre ammesso il sindacato di costituzionalita' da parte della Corte costituzionale. Se si valutano le singole eccezioni di costituzionalita' sollevate, ci si rende conto che le norme coinvolte sanciscono principi illogici, arbitrari ed irragionevoli. Cio' accade nel caso della decisione di non considerare, ai fini della prescrizione, le aggravanti comuni, ponendo in essere situazioni paradossali, quali quelle indicate nell'esempio dei tre peculati (rispettivamente da 1 euro, 10 mila euro e da 100 milioni di euro) che, con la nuova legge, avrebbero un identico termine di prescrizione. Cio' accade per il reato continuato, laddove la legge ha creato un dissidio insanabile tra la disciplina del medesimo istituto ai fini della configurabilita' del reato e ai fini della prescrizione. Tale distonia e' cosi' evidente che e' gia' stata oggetto di eccezione di costituzionalita' sollevata dal Tribunale di Salerno - Sezione distaccata di Cava de' Tirreni, in data 24 gennaio 2006. Cio' vale per la scelta, del tutto irragionevole, dei reati per i quali e' previsto un aumento dei termini prescrizionali (pari al doppio rispetto a quelli ordinari), in deroga al criterio previsto in via d'ordine generale dal nuovo art. 157 c.p. Non si puo' sottacere inoltre la assoluta irragionevolezza di non consentire che le interruzioni relative al procedimento penale possano riverberare i loro effetti nei confronti dei reati connessi. Senza dimenticare infine la assoluta arbitrarieta', anche ai fini della pretesa civile delle persone offese, (che, di colpo, non solo si sono viste ridurre il termine da ventidue anni e mezzo a dodici anni e mezzo, ma anche modificare la data di commissione del reato continuato) di considerare la nuova normativa applicabile ai procedimenti per i quali non sia stato ancora aperto il dibattimento. Da quanto precede, emerge con evidenza che l'intero impianto costruito dalla legge in esame poggia sopra i pilastri della irrazionalita', della irragionevolezza e della arbitrarieta'. Tutte le eccezioni sopra evidenziate hanno rilevanza nel presente procedimento, poiche', ove venissero accolte dalla Corte costituzionale, il risultato sarebbe che per nessuno dei reati ipotizzati sarebbe maturato il corso della prescrizione.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale delle norme di cui alla legge n. 251/2005 citate in premessa per le ragioni sopra esposte ed argomentate. Sospende il procedimento. Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e manda alla cancelleria per la notificazione al Presidente del Consiglio dei ministri e per la comunicazione ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato. Dispone che la presente ordinanza sia notificata, inoltre, al p.m., ai difensori ed alle parti interessate. Padova, addi' 17 luglio 2006 Il giudice per le indagini preliminari: Marassi 07C0138