N. 34 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 maggio 2006
Ordinanza emessa il 10 maggio 2006 (pervenuta alla Corte costituzionale il 17 gennaio 2007) dalla Corte di appello di Milano nel procedimento penale a carico di Sylia Zamir ed altro Processo penale - Appello - Modifiche normative - Possibilita' per il pubblico ministero di proporre appello contro le sentenze di proscioglimento (salvo nelle ipotesi di cui all'art. 603, comma 2, se la nuova prova e' decisiva) - Preclusione - Inammissibilita' dell'appello proposto prima dell'entrata in vigore della novella - Contrasto con il principio di ragionevolezza - Disparita' di trattamento tra pubblico ministero e imputato, nonche' tra pubblico ministero e parte civile - Lesione del principio di parita' delle parti. - Codice di procedura penale, art. 593, comma 2, come sostituito dall'art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46; legge 20 febbraio 2006, n. 46, art. 10. - Costituzione, artt. 3 e 111.(GU n.8 del 21-2-2007 )
LA CORTE DI APPELLO Sulla questione di legittimita' costituzionale formulata dal procuratore generale in merito al potere di impugnazione della parte pubblica avverso le sentenze di proscioglimento O s s e r v a Rilevato che il procuratore generale di udienza non ha indicato i motivi a fondamento della richiesta ed ha richiamato le motivazioni espresse dal suo ufficio in occasioni analoghe; Richiamate le osservazioni contenute nella richiesta del procuratore generale del 3 maggio 2006 che si condividono integralmente e si intendono qui trascritte; Ritenuto che si impone in questa sede valutare esclusivamente la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale delle norme sopra richiamate; Ritenuto altresi' che la questione e' di ovvia rilevanza perche' la vigente normativa e' ostativa alla prosecuzione del giudizio e, sul punto, le argomentazioni esposte analiticamente dal procuratore generale appaiono condivisibili;
P. Q. M. Visto l'art 23, legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 593, secondo comma c.p.p., cosi' come modificato dall'art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 e 10, commi 1, 2, 3, 4 della medesima legge per violazione degli artt. 3 e 111 della Costituzione. Dispone la separazione delle posizioni processuali di Sylia Zamir e Sylia Lulzim e la formazione di autonomo fascicolo processuale; Sospende il giudizio in corso - in relazione alle suddette due posizioni processuali - e dispone la trasmissione degli atti relativi al nuovo fascicolo processuale alla Corte costituzionale ed ordina, a cura della cancelleria, che l'ordinanza di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata al Presidente della Camera dei deputati e al Presidente del Senato della Repubblica. Si da atto che la presente ordinanza viene letta in pubblica udienza. Milano, addi' 10 maggio 2006 Il Presidente: Guerriero PROCURA GENERALE DELLA REPUBBLICA presso la Corte di appello di Milano IL PROCURATORE GENERALE Nel proc. penale n. 5624/02 Reg. Gen. Appelli; Rilevato che in data 27 novembre 2001, il Tribunale di Milano ha assolto Sylia Zamir e Sylia Lulzim dal reato di cui all'art. 589 cod. pen. commesso in Cittiglio in data 2 febbraio 2003; considerato che avverso tale decisione ha proposto appello il Pubblico Ministero; preso atto che in data 9 marzo 2006 e' entrata in vigore la legge 20 febbralo 2006, n. 46, Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilita' delle sentenze di proscioglimento, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 22 febbraio 2006 n. 44; Propone istanza ai sensi dell'art. 23, comma 1, legge 11 marzo 1953, n. 87 questione di costituzionalita' delle seguenti disposizioni: -- art. 1 della legge 46/2006, che modifica l'art. 593 c.p.p., stabilendo che "l'imputato e il pubblico ministero possono appellare contro le sentenze di proscioglimento nelle ipotesi di cui all'articolo 603, comma 2 se la nuova prova e' decisiva. Qualora il giudice, in via preliminare, non disponga la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale dichiara con ordinanza l'inammissibilita' dell'appello. Entro quarantacinque giorni dalla notifica del provvedimento le parti possono proporre ricorso per cassazione anche contro la sentenza di primo grado", limitando quindi il potere d'appello del pubblico ministero avverso le sentenze di proscioglimento alla sola ipotesi della sopravvenienza di nuove prove decisive, nel breve termine compreso fra la pronuncia di primo grado e la scadenza del termine per proporre appello, ipotesi pertanto del tutto marginale e scarsamente verificabile; -- art. 10 della stessa legge, che, in tema di disciplina transitoria, dispone che "1. La presente legge si applica ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della medesima. 2. L'appello proposto contro una sentenza di proscioglimento dall'imputato o dal pubblico ministero prima della data di entrata in vigore della presente legge viene dichiarato inammissibile con ordinanza non impugnabile. 3. Entro quarantacinque giorni dalla notifica del provvedimento di inammissibilita' di cui al comma 2 puo' essere proposto ricorso per cassazione contro le sentenze di primo grado. 4. La disposizione di cui al comma 2 si applica anche nel caso in cui sia annullata, su punti diversi dalla pena o dalla misura di sicurezza, una sentenza di condanna di una corte di assise di appello o di una corte di appello che abbia riformato una sentenza di assoluzione. in quanto si assume la violazione: -- dell'art. 3 della Costituzione (sotto il profilo della irragionevolezza delle norme); -- dell'art. 111, comma 2 della Costituzione, per cui "ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parita'". I - La questione e' rilevante ai fini della definizione del presente procedimento. Con l'appello avverso la assoluzione degli imputati il pubblico ministero non ha dedotto nuove prove. Di conseguenza, in applicazione delle due norme citate di cui alla legge n. 46/2006, la Corte di appello dovrebbe dichiarare inammissibile l'impugnazione e dar luogo alla procedura di cui ai commi 3 e 4 dell'art. l0. La questione di costituzionalita' delle due norme e' quindi manifestamente rilevante perche' soltanto la dichiarazione di incostituzionalita' di esse consentirebbe alla Corte di appello di esaminare i motivi d'appello proposti dal pubblico ministero appellante. II - La questione e' inoltre non manifestamente infondata. L'art. 593, secondo comma novellato dalla legge n. 46 del 2006 sembra violare gli artt. 3 e 111 della Costituzione, in quanto differenzia, senza alcuna ragionevolezza, le posizioni dell'imputato e del pubblico ministero di fronte alla sentenza relativamente al potere di proporre appello: il primo potra', infatti, impugnare con questo mezzo di gravame le sentenze di condanna, mentre il secondo non potra' proporre l'identico mezzo contro le sentenza di assoluzione. Deve rilevarsi che l'apparente parita' di posizione delle due parti ("il p.m. e l'imputato possono appellare contro le sentenze di proscioglimento nelle ipotesi di cui all'art. 603, secondo comma c.p.p. se la nuova prova e' decisiva") e' il frutto di un artificio linguistico perche' - esclusa l'ipotesi di nuova prova, ben difficilmente verificabile e quindi del tutto residuale - a fronte dell'esito assolutorio, il pubblico ministero - di norma - e' soccombente mentre l'imputato e' - di norma - vittorioso: di tal che escludere il potere di appello per entrambi, di fronte ad una decisione assolutoria, pone solo il pubblico ministero in una posizione processuale deteriore. Il giudice delle leggi, pur ritenendo ragionevole il limite all'appello del pubblico ministero contro le sentenze di condanna, nel giudizio abbreviato, salvo il caso di sentenza che modifica il titolo del reato (art. 443, comma 3, cod. proc. pen.), tuttavia ha giustificato detto limite: a) nella natura speciale del rito; b) nell'obiettivo primario di una rapida e completa definizione dei processi svoltisi in primo grado secondo il rito abbreviato ("rito che - sia pure, oggi, per scelta esclusiva dell'imputato - implica una decisione fondata, in primis, sul materiale probatorio raccolto dalla parte, che subisce la limitazione denunciata, fuori delle garanzie del contraddittorio" v. sentenza 347/02). c) nel fatto che il pubblico ministero ha comunque realizzato la pretesa punitiva dello Stato, ottenendo una sentenza di condanna ("la sentenza di condanna emessa in primo grado sulla base di tale rito segna comunque la realizzazione della pretesa punitiva fatta valere nel processo attraverso l'azione punitiva del pubblico ministero con la conseguenza che l'interesse del pubblico ministero alla punizione del reato puo' dirsi soddisfatto con la sentenza di condanna" v. sentenza n. 363/1991); A contrario dunque, posto che con la sentenza di proscioglimento la domanda di punizione del pubblico ministero e' respinta, la preclusione del potere di appello del pubblico ministero contro di essa crea una ingiustificata disparita' fra le parti a danno di quest'ultimo. Soltanto la salvaguardia di un qualche interesse di rilievo costituzionale puo' rendere ragionevole una tale asimmetria fra i poteri d'impugnazione della parte pubblica e di quella privata (sentenza n. 110 /1986), come ha piu' volte argomentato il giudice delle leggi. La disparita' di trattamento - denunciata sopra - e', invece del tutto irragionevole, come e' stato gia' ben rilevato dal Presidente della Repubblica, nel messaggio alle Camere del 20 gennaio 2006 con cui ha rinviato la prima versione della legge in esame ("la soppressione dell'appello delle sentenze di proscioglimento, a causa della disorganicita' della riforma, fa si' che la stessa posizione delle parti nel processo venga ad assumere una condizione di disparita' che supera quella compatibile con la diversita' delle funzioni svolte dalle parti stesse nel processo"). Non vi e' infatti alcuna delle giustificazioni addotte a fondamento di tale disparita' di trattamento. Quanto al diritto della persona accusata alla rapida definizione del processo (art. 111, terzo comma), tale diritto non puo' certo realizzarsi con l'esclusivo sacrificio del potere d'appello della parte pubblica, senza infrangere l'altro precetto costituzionale, di rango pari a quello della rapidita', della parita' delle parti nel processo (111, secondo comma). Nemmeno il ruolo svolto dal p.m. nella fase delle indagini puo' dare giustificazione alla ablazione del suo potere di appellare le sentenze di proscioglimento conclusive di un processo celebrato con rito ordinario, poiche' soltanto nel giudizio abbreviato la decisione si fonda, prevalentemente o esclusivamente, sul materiale raccolto dalla parte pubblica, la quale percio' puo' ragionevolmente, per contrappeso, vedersi limitare i suoi poteri d'impugnazione (cosi' fra le altre Corte cost. 421/2001). Ma nel processo ordinario, dove la raccolta delle prove si realizza nel dibattimento, la situazione di vantaggio istruttorio del p.m. viene meno e, quindi, non puo giustificare la amputazione dei suoi poteri d'impugnazione. Dai lavori preparatori si desume inoltre che la lesione della parita' di posizione delle parti in tema d'appello, e' stata giustificata: a) invocando l'autorita' di una sentenza delle Sezioni Unite della corte di cassazione che avrebbero posto il problema dell'equilibrio fra due interessi: quello di garantire la liberta' dei cittadini e quello di garantire la sicurezza dello Stato; b) con la esigenza di dare applicazione ad un principio affermato nel Protocollo n. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, adottata a Strasburgo nel 1984, resa esecutiva in Italia con la legge n. 90 del 1990, protocollo che all'art. 2 garantirebbe il doppio grado di giurisdizione in materia penale solo per gli imputati. In ordine al punto b) deve rilevarsi che il comma 2 dello stesso art. 2 del Protocollo prevede espressamente che il diritto dell'imputato a far riesaminare la affermazione di colpevolezza da una giurisdizione superiore e' escluso quando tale affermazione provenga dalla giurisdizione piu' elevata o quando l'imputato sia stato dichiarato colpevole e condannato a seguito di un ricorso avverso il suo proscioglimento. Inciso quest'ultimo che espressamente fa riferimento alla impugnazione di una prima sentenza di proscioglimento, che non puo' che provenire dalla parte pubblica. In ogni caso tale preteso diritto si sarebbe potuto realizzare con una completa riforma del sistema delle impugnazioni, piuttosto che con la sottrazione totale al pubblico ministero del potere di appellare le sentenze di proscioglimento. In ordine al punto a) deve osservarsi che la sentenza delle Sezioni Unite della corte di legittimita' (n. 45276/2003) ha in realta' auspicato (par 7.1.3 della motivazione) la opportunita' di "una (ri)perimerazione delle opzioni decisorie consentite al giudice d'appello, chiamato a pronunciarsi sull'appello del pubblico ministero avverso la sentenza assolutoria di primo grado nel senso di qualificare in questo caso l'appello, ove non si concluda con la conferma dell'alternativa assolutoria, come giudizio di natura esclusivamente rescindente cui debba seguire un rinnovato giudizio di primo grado sul merito della responsabilita'...". Come si vede, nessun auspicio di soppressione dell'appello del pubblico ministero avverso le decisioni assolutorie puo' trarsi da questo autorevole obiter dictum. Ma nella stessa sentenza delle sezioni unite, citata nei lavori preparatori, si legge (par. 7.1.1) che sia il Protocollo addizionale n. 7 citato supra che l'art. 14.5 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici (reso esecutivo con legge 25 ottobre 1977 n. 881), "Secondo la prevalente dottrina e la consolidata giurisprudenza delle corti sopranazionali, nell'ipotesi di declaratoria di colpevolezza e di condanna in appello seguite al proscioglimento in prime cure, non esigono un ulteriore grado di giudizio di merito, essendo consentita la previsione legislativa del solo ricorso per cassazione per errori in procedendo o in iudicando...". La norma impugnata in nessun modo quindi puo' considerarsi recettiva di un principio di diritto internazionale volto ad escludere l'appello del pubblico ministero avverso le sentenze di proscioglimento. Nei lavori preparatori si e' anche sostenuto che il giudice d'appello valuta soltanto le carte, a differenza del giudice di primo grado, e che e' quindi incongruo consentire a tale giudice di ribaltare una sentenza di proscioglimento. Tale argomentazione non solo non corrisponde a verita' per un buon numero di processi (gli appelli contro le sentenze pronunciate nel giudizio abbreviato), ma inoltre non spiega perche' "un giudizio sulle carte" di proscioglimento abbia maggior dignita' di un analogo giudizio di condanna; con la conseguenza che - seguendo tale argomentazione - si dovrebbe giungere all'inappellabilita' di tutte le sentenze. Costituisce, infine, una semplice petizione di principio l'affermazione (pure contenuta nei lavori preparatori) secondo la quale una sentenza di proscioglimento farebbe sorgere comunque un "ragionevole dubbio" sulla colpevolezza, come previsto dall'art. 533, comma 1, c.p.p. (nel testo introdotto dalla stessa legge n. 46/2006). Del resto, il dubbio derivante dalla difformita' di esito di due gradi di giudizio e' insito in un ordinamento che preveda piu' gradi di giurisdizione di merito ed esso potrebbe essere eliminato soltanto col giudizio di merito in unico grado. L'appellabilita' della sentenza di condanna da parte dell'imputato si fonda sulla ipotesi di una decisione di primo grado errata. Ed analoga ipotesi deve giustificare, per il principio di parita', l'appellabilita' delle sentenze di assoluzione. Infatti, premesso che ogni impugnazione della sentenza penale ritarda la definizione del processo e quindi comporta un costo per il bene, costituzionalmente protetto, della ragionevole durata del processo, tale costo e' tuttavia giustificato dall'esigenza di porre rimedio all'eventuale ingiustizia della sentenza evitando che divenga definitiva senza possibilita' di controllo, e consentendone la riforma secondo giustizia. Anche la sentenza di proscioglimento emessa dal giudice di primo grado puo' essere ingiusta, come la legge 46/2006 riconosce mantenendo - con la modifica degli artt. 593 e 576 c.p.p. - alla parte civile la facolta' di impugnarla con il mezzo ordinario dell'appello. Che tale facolta' sia tuttora esistente, anche nella nuova formulazione del citato art. 576, lo si desume non solo dalle stesse intenzioni palesate del legislatore nell'attuare tale modifica, ma altresi' dai seguenti argomenti: -- e' rimasta invariata la previsione che permette l'appello della parte civile contro il punto della sentenza di primo grado che attiene alla provvisoria esecuzione delle condanne in materia risarcitoria (mancata pronuncia o rigetto); cosicche', a meno di proporre un'abrogazione implicita dell'art. 600 c. 1 c.p.p., sarebbe davvero singolare che la legge negasse alla parte civile il potere di appellare le sentenze in ordine ai capi civili e lo consentisse poi con esclusivo riferimento all'esecuzione provvisoria negata; -- l'art. 10 della legge n. 46/2006 stabilendo la disciplina transitoria non dice alcunche' riguardo agli appelli proposti dalla parte civile prima dell'entrata in vigore della legge stessa, mentre contempla una laboriosa dinamica quanto al gravami proposti da imputato e P.M. Questa mancata previsione implica necessariamente che i poteri di impugnazione della parte civile sono rimasti invariati. L'unica interpretazione possibile, quindi, dell'art. 576 c.p.p., cosi' come novellato dalla legge n. 46/2006 e' che la parte civile puo' continuare a proporre appello contro la sentenza di proscioglimento emessa dal giudice di primo grado, esattamente come avveniva prima della promulgazione di tale legge: non avrebbe infatti avuto senso mantenere questa disposizione, eliminando soltanto l'inciso che equiparava i poteri della parte civile a quelli del pubblico ministero, se l'art. 576 c.p.p. fosse stato meramente ripetitivo dell'art. 568, secondo comma c.p.p. Di conseguenza, il fatto che invece sia negata al pubblico ministero la possibilita' di proporre appello contro la sentenza di proscioglimento non ha alcuna giustificazione ragionevole che possa spiegare la disparita' di trattamento, considerato che: -- la parte civile nel processo penale persegue un interesse meramente risarcitorio che presuppone la commissione del reato da parte dell'imputato, e che puo' essere azionato anche davanti al giudice civile; -- che il pubblico ministero e' la parte pubblica del processo penale, esercita obbligatoriamente l'azione penale, e istituzionalmente fa valere, anche in sede di impugnazione, la pretesa punitiva dello Stato e l'interesse pubblico al ripristino dell'ordine giuridico violato dal reato. In un sistema che prevede un secondo grado di giudizio di merito anche nell'ipotesi di sentenza di proscioglimento, riconoscendo evidentemente la possibilita' anche in questo caso di una decisione ingiusta, appare pertanto del tutto irragionevole negare al pubblico ministero il potere di appello e ingiustificata una simile disparita' di trattamento. Tutto questo premesso, visto l'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87 CHIEDE che la Corte di appello di Milano voglia dichiarare rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dei seguenti articoli del codice di procedura penale, modificati dalla legge 20 febbraio 2006, n. 46, Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilita' delle sentenze di proscioglimento, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 22 febbraio 2006 n. 44: -- Articolo 593, comma 2, del codice di procedura penale (modificato dall'art. 1 della legge) - (Casi di appello), nella parte in cui esclude la possibilita' per il pubblico ministero di appellare le sentenze di proscioglimento. Chiede inoltre che la Corte di appello di Milano voglia dichiarare non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 10, commi 1, 2, 3 e 4, della legge 20 febbraio 2006, n. 46. Milano, 3 maggio 2006 Il procuratore generale della Repubblica: Santamaria Amato 07C0179