N. 82 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 settembre 2006

Ordinanza  emessa  il  11 settembre 2006 dal tribunale amministrativo
regionale  della  Sicilia  - Sezione staccata di Catania, sul ricorso
proposto  da  La Delfa Adolfo ed altra contro Consorzio per l'Area di
Sviluppo Industriale del Calatino ed altri.

Giustizia  amministrativa  -  Controversie relative alla legittimita'
  delle  ordinanze  e  dei conseguenziali provvedimenti commissariali
  adottati  in  tutte  le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi
  dell'art. 5,  comma 1,  della  legge  24 febbraio  1992,  n. 225  -
  Competenza,  in  via  esclusiva,  in  primo  grado,  attribuita  al
  Tribunale  amministrativo  regionale  del  Lazio  -  sede di Roma -
  Irragionevole  deroga  al  principio della competenza del Tribunale
  amministrativo  regionale  della Regione in cui il provvedimento e'
  destinato  ad  avere incidenza - Violazione del diritto di difesa e
  del  principio  del giudice naturale - Violazione del principio del
  decentramento  territoriale  della  giurisdizione  amministrativa -
  Violazione  della  norma  statutaria  che  attribuisce al Tribunale
  amministrativo  regionale  Sicilia  le  controversie  di  interesse
  regionale.
- Decreto  legge 30 novembre 2005, n. 245, art. 3, commi 2-bis, 2-ter
  e 2-quater, introdotti dalla legge 27 gennaio 2006, n. 21.
- Costituzione,   artt. 3,  24,  25  e  125;  Statuto  della  Regione
  Siciliana art. 23.
(GU n.11 del 14-3-2007 )
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha pronunciato la seguente ordinanza ai sensi dell'art. 23, comma
2, legge n. 87/1953.
    Sul ricorso n. 1134/05 R.G., proposto da La Delfa Adolfo e Frasca
Carmelina, rappresentati e difesi dall'avv. Maria Concetta La Delfa a
e  dall'avv. Emilio  Castorina, con domicilio eletto presso lo studio
del secondo in Catania, Piazza Roma n. 9 e motivi aggiunti ad esso;
    Contro  il  consorzio  per  l'Area  di  Sviluppo  Industriale del
Calatino,   in   persona   del   legale  rappresentante  pro-tempore,
rappresentato  e difesa dall'avv. Giacomo Agati, con domicilio eletto
in Catania via Galermo, 129/A presso avv. Salvatori Spampinato, e nei
confronti  di  Regione  Siciliana,  Assessorato  regionale industria,
ministero  delle infrastrutture e dei trasporti, commissario delegato
per  emergenza  rifiuti e tutela acque, tutti rappresentanti e difesi
dall'Avvocatura  dello  Stato,  con domicilio ex lege in Catania, via
Vecchia Ognina, 149, per l'annullamento con il ricorso introduttivo:
        della  determina  del  direttore  generale  del  Consorzio di
sviluppo  industriale  numero  15  dell'8 febbraio  2005,  avente  ad
oggetto  «deduzioni  sulle  osservazioni presentate dagli interessati
alle  procedure  espropriativa  e  per le opere di completamento e di
ammodernamento dell'impianto di depurazione e conseguente impianto di
interconnessione  per  riuso  delle  acque  reflue» pervenuta in data
26 febbraio  2005,  con  la quale sono state respinte le osservazioni
presentate  dai  ricorrenti  ai  sensi  dell'articolo 16 della d.P.R.
8 giugno 2001 numero 327;
        delle  controdeduzioni  dei progettisti alle osservazioni dei
ricorrenti trasmesse con nota prot. 3532 del 21 ottobre 2004;
        del progetto dell'opera con relazione ed elaborati tecnici;
        del piano particella d'esproprio e della relazione di stima;
        dell'atto del 29 luglio 2004 prot. 2764;
        di   tutti   provvedimenti   non  conosciuti  elencati  nella
determina  del  direttore  generale  numero 15 dell'8 febbraio 2005 e
piu' precisamente: della determina D.G. n. 133 del 24 settembre 2002,
con  la  quale  e'  stato  approvato  amministrativamente il progetto
esecutivo  relativo  alle «Opere di completamento e di ammodernamento
dell'impianto  di  depurazione»;  della  determina  D.G.  n. 134  del
24 settembre    2002,    con    la    quale    e'   stato   approvato
amministrativamente  il  progetto  esecutivo  relativo alle «Opere di
completamento a valle dell'impianto di depurazione per il riuso delle
acque  reflue»; dell'Accordo di programma quadro tutela delle acque e
gestione integrata delle risorse idriche - opere fognarie, depurative
e  di  riuso,  stipulato  in  data  23 dicembre 2003, tra i Ministeri
competenti,  la  regione  Sicilia  ed  il  commissario  delegato  per
l'emergenza  ambientale  e  la  tutela  delle  acque  (A.P.Q.); della
delibera  C.D.  n. 13  del  15 marzo  2004,  con  la  quale  e' stato
unificato  in  unico  intervento  per  le  «Opere di completamento ed
ammodernamento dell'impianto di depurazione e conseguente impianto di
interconnessione  per  il  riuso  delle acque reflue» il cui progetto
esecutivo  sarebbe  in  corso di approvazione tecnico amministrativa;
con i motivi aggiunti al ricorso:
          dell'atto  di  autorizzazione dell'ufficio del genio civile
di  Catania  prot.  n. 29783/04,  prodotto  in giudizio dal Consorzio
resistente;
          dell'atto  di  autorizzazione dell'Ufficio del genio civile
di  Catania prot. n. 37797 del 27 dicembre 2004, prodotto in giudizio
dal Consorzio resistente;
          dell'atto   di   autorizzazione   e  nulla  osta  idraulico
dell'Ufficio   del   genio  civile  di  Catania  prot.  n. 29785  del
27 ottobre 2004, prodotto in giudizio dal Consorzio resistente;
          di  tutti  gli atti e del giudizio di validazione contenuti
nel  Verbale  di validazione del progetto esecutivo ex art. 47 d.P.R.
n. 554/1999  dell'11 marzo  2005,  prodotto in giudizio dal Consorzio
resistente, nonche' del medesimo progetto esecutivo;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto l'atto di costituzione nel giudizio del Consorzio ASI;
    Visti i motivi aggiunti al ricorso introduttivo;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Designato  relatore,  all'udienza  pubblica del 6 luglio 2006, il
Referendario dott. Salvatore Gatto Costantino;
    Uditi  altresi'  gli  avvocati  delle  parti,  come  da  relativo
verbale;
    Ritenuto in fatto ed in diritto quanto segue.
                            I n f a t t o
    I  ricorrenti, proprietari di un fondo sito in agro del comune di
Grammichele, meglio identificato in atti, espongono di avere ricevuto
il  29  luglio  2004 l'avvio del procedimento per l'espropriazione di
parte  del  fondo  di  loro proprieta' finalizzata alla realizzazione
delle  «opere  di  completamento  ed  ammodernamento dell'impianto di
depurazione  e  conseguente impianto di interconnessione per il riuso
delle   acque   reflue»,  apprendendo  cosi',  per  la  prima  volta,
dell'esistenza  di  detto  progetto  e  delle  relative  procedure di
esproprio.
    Proposte  nei  termini le loro osservazioni, i coniugi ricorrenti
le  vedevano respinte con il primo dei provvedimenti in epigrafe, con
il    quale   il   responsabile   del   procedimento   aderiva   alle
controdeduzioni   dei   progettisti   e   confermava   le  previsioni
progettuali ed espropriative.
    Avverso detto diniego ed i provvedimenti in esso pure richiamati,
sia   progettuali  che  procedimentali,  i  ricorrenti  hanno  quindi
proposto l'odierno gravame, con l'atto notificato il 29 aprile 2005 e
depositato  il  10  maggio  successivo, con il quale hanno dedotto le
seguenti censure:
        I)  1  -  Violazione  dell'art. 10 comma 1 e dell'art. 11 del
d.P.R.  n. 327/2001;  omesso  avviso  dell'avvio  del procedimento di
apposizione  del vincolo preordinato all'esproprio; 2 - Omesso avviso
dell'avvio  del  procedimento  (legge  n. 241/1990;  legge  regionale
n. 10/1991);  3  - Violazione e falsa applicazione dell'art. 16 comma
4, d.P.R. n. 327/2001; 4 - Incompetenza del Consorzio ASI;
        II)   Eccesso   di   potere   per   cattivo  esercizio  della
discrezionalita'   tecnica   nella  allocazione  dell'opera  e  nella
redazione  del  progetto  -  Illegittimita'  derivata della determina
n. 15  dell'8 febbraio  2005 - Motivazione insufficiente - Violazione
del D.M. n. 185/2003 - Eccesso di potere per difetto di istruttoria e
travisamento  di fatti - violazione della legge regionale 27 dicembre
1978, n. 71, art. 2, comma 5.
    Alla  udienza  pubblica  del  6  luglio  2006  la  causa e' stata
trattenuta in decisione.

                          I n D i r i t t o

    Parte   ricorrente   lamenta   l'illegittimita'  della  procedura
espropriativa  posta in essere dal Consorzio in relazione al suddetto
immobile,   per   violazione   dei   diritti   di  partecipazione  al
procedimento   stesso   previsti   dalla   legge  e  per  difetto  di
motivazione,  oltre  che  per  incompetenza del Consorzio a procedere
alle espropriazioni.
    I)  Il ricorso e' rivolto avverso piu' provvedimenti, tra i quali
l'Accordo  di  programma  quadro, sottoscritto tra i Ministeri meglio
ivi  indicati,  la  regione  Sicilia  ed  il commissario delegato per
l'emergenza  idrica  nella  Regione  Sicilia;  l'intervento in esame,
inoltre, risulta rientrare nell'art. 141 comma 4 legge n. 388/2000 ed
ai   sensi  dell'art. 2  dell'O.P.C.M.  3136  del  2001  esso  e'  da
intendersi  compreso  nelle  competenze di quest'ultimo (cfr. la nota
del  commissario  delegato prot. 122 del 17 febbraio 2004 allegata in
atti  nella  produzione  dell'Avvocatura). I provvedimenti oggetto di
gravame  sono  dunque  tutti  avvinti  da  evidente nesso di unicita'
procedimentale   all'Accordo   di   programma   quadro   che  approva
l'intervento  cosi'  come  poi  posto  in essere dal Consorzio (anche
perche',   in   base   a   quanto  comunicato  nella  predetta  nota,
l'approvazione del progetto spetta al Commissario), in esecuzione del
quale  e' stato unificato in unico progetto l'intervento prima diviso
in  due  atti  separati  (delibera  C.D. n. 13 del 15 marzo 2004); ed
infine  gli  atti  impugnati  sono  stati  adottati  all'esito di una
procedura  posta  in  essere  dal  concerto  tra  le  varie autorita'
coinvolte  nel  suddetto  accordo di programma ed il Presidente della
regione  nell'esercizio  dei poteri a questo conferiti in qualita' di
commissario  delegato  di protezione civile per l'emergenza riuniti e
tutela delle acque nella Regione Sicilia (O.P.C.M. 3136 del 25 maggio
2001, come successivamente prorogata ed integrata).
    Pertanto,  il Collegio deve affrontare la questione relativa alla
competenza   inderogabile   recentemente   attribuita   al  Tribunale
amministrativo regionale del Lazio per la cognizione di vicende quale
quella in esame.
    Tale  competenza  sorge per effetto della norma di cui alla legge
n. 21/2006,  pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 23 del 28 gennaio
2006, che, all'art. 3, per quel che qui rileva dispone:
        ...omissis...  «2-bis.  In  tutte  le situazioni di emergenza
dichiarate ai sensi dell'articolo 5, comma 1, della legge 24 febbraio
1992,  n. 225,  la  competenza  di  primo  grado  a  conoscere  della
legittimita'   delle   ordinanze   adottate   e   dei  consequenziali
provvedimenti  commissariali  spetta  in  via  esclusiva,  anche  per
l'emanazione   di   misure  cautelari,  al  Tribunale  amministrativo
regionale del Lazio, con sede in Roma.
        2-ter.  Le  questioni  di  cui  al comma 2-bis, sono rilevate
d'ufficio.  Davanti al giudice amministrativo il giudizio e' definito
con  sentenza succintamente motivata ai sensi dell'articolo 26, della
legge  6 dicembre 1971, n. 1034, e successive modificazioni, trovando
applicazione  i  commi 2 e seguenti dell'articolo 23-bis della stessa
legge.
        2-quater. Le norme di cui ai commi 2-bis e 2-ter si applicano
anche  ai  processi  in  corso.  L'efficacia  delle  misure cautelari
adottate  da  un tribunale amministrativo diverso da quello di cui al
comma  2-bis  permane  fino  alla loro modifica o revoca da parte del
Tribunale  amministrativo  regionale del Lazio, con sede in Roma, cui
la parte interessata puo' riproporre il ricorso».
    Osserva  il  Collegio  che  la  fattispecie  in esame e' attratta
nell'applicazione della citata legge n. 21/2006, art. 3, in quanto il
potere  amministrativo  che  e'  stato  esercitato  nell'adozione dei
provvedimenti  impugnati  coinvolge  direttamente funzioni e potesta'
commissariali;   inoltre  l'impugnazione  e'  stata  rivolta  avverso
provvedimenti  commissariali  veri  e  propri (l'Accordo di programma
quadro).
    Pertanto,  la  fattispecie in esame rientra pienamente nel novero
delle  situazioni  di  emergenza dichiarate ai sensi dell'articolo 5,
comma  1,  della legge 24 febbraio 1992, n. 225 e dei «consequenziali
provvedimenti commissariali applicativi».
    Il  collegio,  pertanto,  ritenendola  rilevante  ai  fini  della
decisione da assumere in ordine alla predetta trasmissione degli atti
al  Tribunale  amministrativo  regionale  Lazio  e non manifestamente
infondata,  solleva  questione  di  legittimita'  costituzionale  del
predetto  art. 3,  e  segnatamente del comma 2 nelle sottonumerazioni
bis,  ter,  quater,  come sara' esposto nei seguenti paragrafi e come
gia'  fatto  in  ordine  ad altra fattispecie per la cui decisione e'
venuta  in  rilievo  la medesima norma (cfr. Tribunale amministrativo
regionale Sicilia, I, ord. n. 90 del 7 marzo 2006).
    I)  La  rilevanza  della  questione  ai  fini  della decisione da
assumere e' di tutta evidenza. Il collegio sarebbe tenuto, sulla base
della    normativa   sopravvenuta   -   ove   non   dubitasse   della
incostituzionalita'   di  essa  e  quindi  non  ritenesse  necessario
investire  il  giudice  delle  leggi  della  relativa  questione  - a
trasmettere  gli  atti al Tribunale amministrativo regionale Lazio, e
cio'   per  espressa  disposizione  della  nuova  disciplina  che  ne
prescrive  l'applicazione ai procedimenti pendenti e quindi anche per
il  procedimento  odierno,  trattenuto in decisione dopo l'entrata in
vigore  della disciplina in esame (la quale e' stata pubblicata nella
Gazzetta  Ufficiale  del  23 gennaio  2006 ed e' entrata in vigore il
giorno successivo alla sua pubblicazione).
    II)  Circa  la  non manifesta infondatezza e le ragioni che fanno
sospettare  le  norme  in  esame  di  incostituzionalita', osserva il
collegio  che  la  normativa introdotta dal legislatore con l'art. 3,
comma   2,  da  bis  a  quater,  della  legge  n. 21/2006,  contrasta
innanzitutto con l'art. 125 della Costituzione, e segnatamente con il
principio  della articolazione su base regionale degli organi statali
di  giustizia  amministrativa  di  primo  grado  ivi espressa («Nella
regione  sono  istituiti  organi di giustizia amministrativa di primo
grado,  secondo  l'ordinamento  stabilito da legge della Repubblica»)
che  implica  il  rilievo e la garanzia costituzionale della sfera di
competenza dei singoli organi predetti.
    Non  appaiono,  all'evidenza,  manifeste  o  comunque sufficienti
ragioni logiche o di coerenza istituzionale per derogare a tale sfera
di  competenze  costituzionalmente  garantita  nella  materia  di cui
trattasi  quando,  come  nel  caso in esame, le singole situazioni di
emergenza   hanno   rilievo   spiccatamente  locale  con  conseguente
efficacia  locale  dei  relativi  provvedimenti adottati dai soggetti
delegati  alla  cura  delle  varie  situazioni emergenziali, anche se
(arg.  ex  art. 2,  comma  1.  lettera  «c)  della legge n. 225/1992,
richiamato  dall'art. 5  comma  1  legge cit.) essi sono adottati per
fare  fronte  a  situazioni che «per intensita' ed estensione debbono
essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari».
    III)   Anzi,   sotto   questo   aspetto,  la  norma  e'  altresi'
contraddittoria  ed  irrazionale  in  quanto  sottopone  al  medesimo
trattamento  processuale  situazioni  disparate  e  differenti tra di
loro.
    In questo quadro, l'art. 5, comma 1 della legge 24 febbraio 1992,
n. 225, richiama, ai fini della applicazione dell'intera disposizione
normativa,  i  casi  in cui (ex art. 2 comma 1 lettera c) della legge
n. 225/1992)   sia   necessario   fare  fronte  con  mezzi  e  poteri
straordinari  alle  calamita' naturali, catastrofi o gli altri eventi
che  richiedano  tale  intervento  per  intensita'  ed estensione. La
previsione  di  cui  alla  legge  n. 21/2006 radica la competenza del
Tribunale  amministrativo  regionale Lazio in tutti i casi in cui sia
dichiarato  lo  stato  di  emergenza ai sensi del comma 1 dell'art. 5
appena  citato  e  quindi  con  esclusione  dei casi di intervento di
protezione  civile  per  gli  eventi  che  possano  essere affrontati
mediante  interventi  attuabili  dai  singoli  enti e amministrazioni
competenti  in  via  ordinaria  (art. 2  lettera  a)  e di quelli che
richiedano intervento coordinato di questi ultimi (art. 2 lettera b).
    Quindi,  il sistema della Protezione civile e' articolato in vari
livelli  di  intervento,  contraddistinti dal corrispondente grado di
ampiezza  della  situazione  emergenziale. Sicche' per ogni tipologia
territoriale   e  «qualitativa»  della  situazione  di  emergenza  e'
chiamato ad intervenire in merito il «livello» di governo piu' vicino
alla  concreta  dimensione  delle  comunita'  colpite  e della natura
dell'emergenza,  secondo un chiaro criterio di sussidiarieta' e senza
escludere - funzionalmente e residualmente - che determinate funzioni
siano   «trasversali»   ossia   comprendano  le  competenze  di  piu'
amministrazioni o livelli di governo.
    A  fronte  di  questa  multiformita'  possibile di manifestazioni
concrete   dell'esercizio   del   potere,   la   regola  generale  di
ripartizioni  delle  competenze  delineata  dagli  artt. 2 e ss della
legge Tribunale amministrativo regionale appresta una tutela coerente
con  l'art. 125 della Costituzione: derogando ad essa, l'art. 3 della
legge  n. 21/2006, contraddittoriamente ed immotivatamente assegna ex
lege   rilevanza   nazionale   a   qualsiasi   controversia   insorga
nell'esercizio  del  potere  di  protezione civile, facendo leva solo
sulla necessita' che di esso presupponga l'intervento extra ordinem e
quindi   a   dell'articolazione   del  potere  previsto  dalla  legge
n. 225/1992  posto  che  assegna la competenza funzionale a conoscere
delle  relative questioni al Tribunale amministrativo regionale Lazio
(e  quindi  spinge  l'interprete  a dover ritenere che il legislatore
abbia  cristallizzato  una  valutazione  di  rilevanza  nazionale  di
qualsiasi   questione,   inerente   la  protezione  civile,  richieda
interventi extra ordinem).
    Il  problema  acquista  uno  spessore  considerevole  se  solo si
riflette  sul  fatto che, «ordinariamente», tali provvedimenti «extra
ordinem»  delegano  quali  commissari  per  l'emergenza il Presidente
della regione o altri organi locali gia' titolari di poteri propri in
quella  materia; in tal senso, spesso non fanno altro che «istituire»
poteri  e  programmi  di  emergenza  affidandoli quindi (per nomina o
delega),  a  quegli  stessi organismi regionali o comunque locali che
con  i  poteri  ordinari  loro  conferiti  dall'Ordinamento non hanno
saputo fare fronte alle cause che hanno determinato l'emergenza (come
il   caso   dell'emergenza   rifiuti,   o  dell'emergenza  idrica,  o
dell'emergenza  traffico).  Pertanto,  l'effetto  di  tale  prassi e'
essenzialmente   quello  di  rendere  i  provvedimenti  degli  organi
regionali «rafforzati» sotto il profilo della capacita' di derogare a
norme   dell'Ordinamento;   a   tale   gia'  rilevante  «alterazione»
dell'Ordinamento  medesimo, si aggiunge quindi una ulteriore «tutela»
giurisdizionale,  sottraendo  la  cognizione  della lite ai Tribunale
amministrativo  regionale  regionali  su  provvedimenti  che  sono  e
restano  a  tutti gli effetti locali per provenienza soggettiva oltre
che  per  effetti, per affidarla ad un unico giudice nazionale con il
quale essi non hanno alcun collegamento «naturale».
    Appare  utile  rilevare,  in  questa sede, come la giurisprudenza
della Corte costituzionale abbia espressamente riconosciuto che:
        con  l'articolo  5 della legge n. 225 del 1992, e' attribuito
al  Consiglio  dei  ministri  il  potere  di  dichiarare  lo stato di
emergenza  in  ipotesi  di  calamita'  naturali,  ed  a seguito della
dichiarazione  di  emergenza,  e  per  fare fronte ad essa, lo stesso
Presidente  del  Consiglio dei Ministri o, su sua delega, il Ministro
dell'interno   possano   adottare   ordinanze   in   deroga  ad  ogni
disposizione    vigente,   nel   rispetto   dei   principi   generali
dell'ordinamento giuridico;
        l'art. 107, comma 1, lettere b) e c), del decreto legislativo
31   marzo   .998,   n. 112   (Conferimento  di  funzioni  e  compiti
amministrativi  dello  Stato  alle  regioni  ed  agli enti locali, in
attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), a sua volta,
chiarisce  che  tali funzioni hanno rilievo nazionale, escludendo che
il   riconoscimento   di   poteri  straordinari  e  derogatori  della
legislazione vigente possa avvenire da parte di una legge regionale.
        queste  ultime  due  previsioni,  inoltre,  sono  gia'  stata
ritenute  dalla  Corte costituzionale (sentenza n. 327 del 2003) come
espressive   di   un   principio  fondamentale  della  materia  della
protezione  civile,  sicche'  deve  ritenersi  che esse delimitino il
potere normativo regionale, anche sotto il nuovo regime di competenze
legislative  delineato  dalla  legge  costituzionale 18 ottobre 2001,
n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della costituzione).
    Alla  luce  di  quanto  sopra  ricordato,  la Corte ha dichiarato
illegittimo  l'articolo 4, comma 4, della legge della legge regionale
Campania  n. 8  del  2004,  nella misura in cui essa ha attribuito al
Sindaco  di  Napoli i poteri commissariali dell'ordinanza n. 3142 del
2001 del Ministro dell'interno, dopo la scadenza della emergenza alla
cui  soluzione tale ordinanza era preordinata, in quanto in contrasto
con   l'art. 117,   terzo  comma,  della  Costituzione  (Corte  Cost.
n. 82/2005).
    Tale   ragionamento   comporta   che,  in  relazione  alla  legge
n. 225/1992   ed  all'art. 107  comma  1  lettere  b)  e  c),  d.lgs.
n. 112/1998,  possiedono  rilievo  nazionale «solamente» il potere di
dichiarare lo stato di emergenza e quello, distinto dal primo seppure
ad    esso   finalisticamente   connesso,   di   derogare   a   norme
dell'ordinamento.
    Ne  consegue  dunque che, sotto questo profilo, la norma in esame
e'  irragionevole  per contraddittorieta' e disparita' di trattamento
processuale,  poiche'  utilizza  lo stesso trattamento per situazioni
del  tutto  differenti  quanto  ad  ambito  territoriale  e livello e
qualita'  degli  interessi  pubblici coinvolti, nonche' per contrasto
con  l'art. 117  della  Costituzione, poiche' implicitamente, finisce
per  attribuire rilievo nazionale anche alle questioni riservate alla
competenza regionale.
    IV)  Ancora, l'aggravio della tutela giurisdizionale, soprattutto
ove,  come  nella  specie, esso non sia giustificato da una effettiva
natura accentrata (o dall'efficacia estesa a tutto il territorio) dei
provvedimenti  sui quali deve esercitarsi la cognizione del Tribunale
amministrativo   regionale   Lazio,   comporta   indubbia  violazione
dell'art. 24 della Costituzione, in particolare della possibilita' di
tutela  dei  propri  diritti  ed  interessi enunciata al primo comma;
detta   tutela   ne   risulta  minorata,  per  la  evidente  maggiore
difficolta'  di  esercitare  le  relative  azioni presso il Tribunale
amministrativo  regionale  del  Lazio piuttosto che presso gli organi
giurisdizionali  localmente  istituiti.  Cio'  vale  sia  per la fase
transitoria  in  cui  i  giudizi  pendenti  trasmigrano  al Tribunale
amministrativo   regionale   del  Lazio,  sia  per  le  future  nuove
controversie  che  secondo  la  nuova  normativa dovrebbero essere ab
initio instaurate presso detto Tribunale amministrativo regionale
    La  Corte  ha  ritenuto,  in  un caso in cui il legislatore aveva
disposto  l'estinzione  ope legis di giudizi pendenti (art. 10, comma
primo,  legge  n. 425/1984),  che  siffatta  disposizione,  in quanto
«preclude   al   giudice  la  decisione  di  merito  imponendogli  di
dichiarare  d'ufficio l'estinzione dei giudizi pendenti, in qualsiasi
stato  e  grado si trovino alla data di entrata in vigore della legge
sopravvenuta»,  percio'  stesso  «viola  il valore costituzionale del
diritto  di  agire,  in quanto implicante il diritto del cittadino ad
ottenere  una  decisione di merito senza onerose reiterazioni» (Corte
costituzionale, sentenza n. 123 del 1987).
    Sebbene  la  fattispecie  in  esame sia diversa da quella oggetto
della   citata  pronuncia,  il  principio  tuttavia,  ad  avviso  del
collegio,  e' nello stesso modo applicabile. Accade infatti, nel caso
presente,  che  chi  abbia  gia'  un  giudizio  pendente  davanti  al
Tribunale  amministrativo  regionale  locale,  ed  addirittura  abbia
ottenuto  una  decisione  cautelare,  debba  proseguire altrove nella
propria  iniziativa  giudiziaria,  addirittura  (se  ne parlera' piu'
diffusamente  infra)  rimanendo  esposto  ad  una  seconda  pronuncia
cautelare  sollecitata  dalla  parte  soccombente  davanti al giudice
adito prima dell'entrata in vigore della legge in questione.
    V)  Altro  profilo  di incostituzionalita' va ravvisato, inoltre,
nella violazione del principio del giudice naturale precostituito per
legge, di cui all'art. 25 della Costituzione. La norma costituzionale
ora  citata, stabilendo che «nessuno puo' essere distolto dal giudice
naturale  precostituito  per  legge»,  esclude,  come la stessa Corte
costituzionale afferma «che vi possa essere una designazione tanto da
parte  del  legislatore  con  norme singolari, che deroghino a regole
generali,  quanto  da  altri  soggetti,  dopo che la controversia sia
insorta (sentenze n. 419 del 1998; n. 460 del 1994 e n. 56 del 1967»;
il principio e' in tali termini, e con tali citazioni dei precedenti,
richiamato  nella sentenza della Corte n. 393 del 2002. Come la Corte
ha  insegnato,  perche'  tale principio possa considerarsi rispettato
occorre  che  «...  la  regola  di competenza sia prefissata rispetto
all'insorgere della controversia» (sentenza n. 193 del 2003); e basta
scorrere  le numerose decisioni della Corte costituzionale in materia
di  principio  del  giudice  naturale  per rilevare che e' proprio la
preesistenza  della  regola  che  individua la competenza rispetto al
giudizio  il  criterio  fondamentale  in  base  al  quale  sono state
valutate le questioni sollevate.
    Tale  profilo di incostituzionalita' si apprezza particolarmente,
ad  avviso  del  collegio,  nella parte della disciplina in questione
(comma  2-quater), che non solo ne dispone l'applicazione ai processi
pendenti,  ma  addirittura  consente  una  riforma  dei provvedimenti
assunti, in sede cautelare, in tali giudizi pendenti, e cio' ad opera
di  un  organo  giurisdizionale  pariordinato a quelli di provenienza
(trattasi   di   giudici   tutti   di   primo   grado,  il  Tribunale
amministrativo  regionale  del  Lazio non essendo un «super-Tribunale
amministrativo   regionale»).   Cosi'   facendo,   in   sostanza,  il
legislatore  ha  introdotto un rimedio inedito, che non e' di secondo
grado  e  che  finisce  per costituire un doppione del gia' espletato
giudizio  (cautelare)  di  primo  grado, senza alcuna possibilita' di
inquadramento  tra  i  rimedi  noti e tipizati (appello, revocazione,
reclamo).   Pertanto,  anche  l'art. 25  della  Carta  costituzionale
risulta  vulnerato  dalla  normativa denunciata dal collegio; e se ne
trae  conferma  da  una recente decisione della Corte costituzionale,
che,  sebbene  in relazione a disciplina totalmente diversa, ha avuto
modo  di  affermare  un  principio  generale,  che  e'  quello  della
appartenenza  della  competenza territoriale alla nozione del giudice
naturale precostituito per legge. Precisamente, la sentenza n. 41 del
2006  afferma,  anzi,  ribadisce  (come testualmente essa si esprime,
citando  sentenze  precedenti  in  termini),  che  «alla  nozione del
giudice  naturale precostituito per legge non e' affatto estranea «la
ripartizione  della  competenza  territoriale tra giudici, dettata da
normativa     nel    tempo    anteriore    alla    istituzione    del
giudizio»(sentenze.. n. 251 del 1983 e n. 410 del 2005)».
    Per  altro,  atteso che il principio del doppio grado di giudizio
nella  giustizia amministrativa, sia in sede cautelare sia in sede di
merito,  riceve  garanzia  costituzionale  dall'art. 125  della Carta
(cfr. Corte cost., sentenza n. 8 del 1982), si configura un ulteriore
profilo  di  violazione  di  detta  norma.  Viene  infatti  ad essere
introdotto, per le controversie pendenti, un anomalo percorso (su cui
gia'   il   collegio  ha  poco  prima  espresso  i  propri  dubbi  di
incostituzionalita)  che  stravolge  l'ordinario iter giudiziario. La
regola  e'  che  ad  un  giudizio  di primo grado segua, ove la parte
soccombente  appelli, un giudizio di secondo grado, sia che si tratti
di  giudizio  cautelare,  sia  che  si  tratti di giudizio di merito;
giammai  e'  prevista  una  doppia  pronuncia sulla stessa materia da
parte  di due diversi giudici di primo grado, uno dei quali abilitato
a  riformare  la  decisione  del primo giudice. Orbene, ad avviso del
collegio,   siffatta   disciplina  integra  altresi'  violazione  del
principio  del  «giusto  processo»,  di cui all'art. 11, comma primo,
della  medesima  Carta («La giurisdizione si attua mediante il giusto
processo  regolato  dalla  legge». Sempre con riferimento ai processi
pendenti,  infatti,  la  parte  soccombente  nel  giudizio  cautelare
verrebbe ad essere fornita di uno strumento giurisdizionale anomalo e
atipico  a  tutela della propria (legittima, ma da esercitare in modi
conformi  ai  principi  costituzionali)  aspirazione  ad ottenere una
pronuncia  favorevole  in  secondo grado (che deve tuttavia essere un
vero  giudizio  di  secondo  grado,  e  non, si ribadisce, un inedito
duplicato del giudizio di primo grado).
    Cio' comporterebbe altresi' una evidente violazione del principio
del  ne bis in idem, che, se pure non espressamente contemplato dalla
Carta costituzionale, deve ritenersi corollario del medesimo generale
principio del «giusto processo» teste' richiamato.
    VI)  Da  ultimo,  si  rileva un aspetto diverso che si riconnette
ancora  al tema del giudice naturale, e che deriva in via immediata e
diretta  dall'analisi  appena  esposta.  La  norma in esame, infatti,
viola   l'art. 23   dello   Statuto   della  regione  Sicilia  (legge
costituzionale  n. 2  del  26 febbraio  1948) a norma del quale: «Gli
organi  giurisdizionali  centrali  avranno  in  Sicilia le rispettive
sezioni  per  gli  affari  concernenti  la  regione.  Le  sezioni del
Consiglio  di  Stato  e della Corte dei conti svolgeranno altresi' le
funzioni, rispettivamente, consultive e di controllo amministrativo e
contabile.  I  magistrati  della  Corte  dei  conti sono nominati, di
accordo,   dai  Governi  dello  Stato  e  della  regione.  I  ricorsi
amministrativi,   avanzati   in   linea   straordinaria  contro  atti
amministrativi regionali, saranno decisi dal Presidente della regione
sentite  le  Sezioni regionali del Consiglio di Stato». Tale norma e'
stata  «interpretata»  dall'art. 5  del  decreto legislativo 6 maggio
1948,   n. 654,  contenente  norme  per  l'esercizio  delle  funzioni
spettanti  al  Consiglio  di  Stato  nella  regione Sicilia, il quale
prevede  che  il  Consiglio  di  Giustizia  esercita  le attribuzioni
devolute  dalla  legge  al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
nei     confronti     di     atti    e    provvedimenti    definitivi
«dell'amministrazione    regionale    e    delle    altre   autorita'
amministrative aventi sede nel territorio della regione».
    Osserva  il  collegio che gia' con «la sentenza della Corte cost.
in   data   12   marzo   1975   n. 61,  dichiarando  l'illegittimita'
costituzionale delle limitazioni poste dall'art. 40, legge 6 dicembre
1971,  n. 1034 alla competenza del Tribunale amministrativo regionale
Sicilia,  e'  stato ritenuto che siano state a quest'ultimo conferite
tutte   le   controversie   d'interesse  regionale  considerate  tali
dall'art. 23,   comma   1  decreto  legge  15  maggio  1946,  n. 455,
comprendendosi   in   tale   categoria   le   controversie  sorte  da
impugnazione  di  atti  amministrativi  di  autorita' centrali aventi
effetti  limitati al territorio regionale ovvero concernenti pubblici
dipendenti  in  servizio  nella  regione siciliana» (Consiglio Stato,
sezione VI, 26 luglio 1979, n. 595).
    Quindi  la  legge  n. 21/2006,  in  esame,  e' costituzionalmente
illegittima  anche nella sua parte in cui, in violazione dell'art. 23
dello  Statuto  regionale,  sia nella sua formulazione letterale, che
nella   interpretazione   pacifica   che   di  esso  ha  maturato  la
giurisprudenza,   anche   costituzionale,  riserva  al  Consiglio  di
giustizia   amministrativa   ed   in   primo   grado   al   Tribunale
amministrativo  regionale  Sicilia,  la competenza conoscere circa le
controversie   sorte   da  impugnazione  di  atti  amministrativi  di
autorita' centrali aventi effetti limitati al territorio regionale.
    Se  le  controversie quali quella in esame fossero sottratte alla
competenza  del  Tribunale amministrativo regionale Sicilia, in primo
grado  e,  affidate  alla  cognizione  dal  Tribunale  amministrativo
regionale Lazio, fossero decise da quest'ultimo, si radicherebbe, per
tale  motivo,  la  cognizione  sulla lite in appello del Consiglio di
Stato  e  non della sua Sezione costituita dal Consiglio di giustizia
amministrativa  per  la regione Sicilia, avente competenza funzionale
sulle  liti  rientranti  nella previsione statutaria siciliana appena
citata.  Per  mero  scrupolo  espositivo,  si  deve  rilevare  che in
proposito  non  potrebbe  obiettarsi  che  la  norma «sposta» solo la
cognizione  della  lite  nel  primo  grado di giudizio, facendo salva
quella  d'appello:  se  cosi' fosse, per la regione Sicilia, la norma
dovrebbe   essere   ulteriormente  tracciata  di  irragionevolezza  e
contraddittorieta'  perche'  la  medesima  questione, decisa in primo
grado   al   Tribunale   amministrativo   regionale   Lazio,   quindi
«concentrata  in  capo all'«unico giudice» per la sua (cristallizzata
dal legislatore) rilevanza nazionale, tornerebbe ad essere poi decisa
in  appello  da  una  articolazione  regionale del giudice di secondo
grado,  senza  quindi  che  abbia  piu'  valenza  alcuna  la ritenuta
«centralita»   della   vicenda,   con   evidenti  ed  incomprensibili
«trasmigrazioni»  giudiziarie «vettoriali» della lite dalla Sicilia a
Roma (per il primo grado) e da Roma a Palermo (per il secondo grado).
Intuitivamente,  dunque,  questa  ipotetica  obiezione presterebbe il
fianco ad ulteriori argomenti di censura anche sotto il profilo della
effettivita' della tutela del diritto alla difesa gia' trattato prima
(nel senso di obbligo di non aggravamento e, quindi, anche del giusto
processo  ex  art. 11  Cost.  in  termini  di  tempi  decisionali  ed
adempimenti del processo.
    VII)  Per  tutte  le  esposte  considerazioni, deve sollevarsi la
questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 3, comma 2-bis,
comma  2-ter, comma 2-quater, legge n. 21/2006, per contrasto con gli
artt. 3,  125,  24  e  25  della  Costituzione  e  per  contrasto con
l'art. 23 dello Statuto della regione Sicilia.
    Deve  pertanto  essere  disposta  la trasmissione degli atti alla
Corte  costituzionale  per  la  decisione della predetta questione di
legittimita' costituzionale, sospendendosi il giudizio instaurato con
il  ricorso  in  epigrafe, fino alla restituzione degli atti da parte
della medesima Corte.
                              P. Q. M.
    Solleva,  ritenutala  rilevante  e  non manifestamente infondata,
questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 3, comma 2-bis,
comma  2-ter, comma 2-quater, legge n. 21/2006, per contrasto con gli
artt. 3,  125,  24  e  25  della  costituzione  e  per  contrasto con
l'art. 23 dello Statuto della Regione Sicilia.
    Dispone,  a  norma  dell'art. 23/2, legge n. 87/1953, l'immediata
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
    Il  giudizio  resta  sospeso sino alla restituzione degli atti da
parte della Corte costituzionale.
    Manda   alla   Segreteria  di  notificare  copia  della  presente
ordinanza  alle  parti  in  causa,  al  Presidente  del Consiglio dei
ministri, nonche' ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
    Cosi' deciso in Catania, il 6 luglio 2006.
                       Il Presidente: Zingales
                    L'estensore: Gatto Costantino
07C0257