N. 82 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 settembre 2006
Ordinanza emessa il 11 settembre 2006 dal tribunale amministrativo regionale della Sicilia - Sezione staccata di Catania, sul ricorso proposto da La Delfa Adolfo ed altra contro Consorzio per l'Area di Sviluppo Industriale del Calatino ed altri. Giustizia amministrativa - Controversie relative alla legittimita' delle ordinanze e dei conseguenziali provvedimenti commissariali adottati in tutte le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'art. 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225 - Competenza, in via esclusiva, in primo grado, attribuita al Tribunale amministrativo regionale del Lazio - sede di Roma - Irragionevole deroga al principio della competenza del Tribunale amministrativo regionale della Regione in cui il provvedimento e' destinato ad avere incidenza - Violazione del diritto di difesa e del principio del giudice naturale - Violazione del principio del decentramento territoriale della giurisdizione amministrativa - Violazione della norma statutaria che attribuisce al Tribunale amministrativo regionale Sicilia le controversie di interesse regionale. - Decreto legge 30 novembre 2005, n. 245, art. 3, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, introdotti dalla legge 27 gennaio 2006, n. 21. - Costituzione, artt. 3, 24, 25 e 125; Statuto della Regione Siciliana art. 23.(GU n.11 del 14-3-2007 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza ai sensi dell'art. 23, comma 2, legge n. 87/1953. Sul ricorso n. 1134/05 R.G., proposto da La Delfa Adolfo e Frasca Carmelina, rappresentati e difesi dall'avv. Maria Concetta La Delfa a e dall'avv. Emilio Castorina, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Catania, Piazza Roma n. 9 e motivi aggiunti ad esso; Contro il consorzio per l'Area di Sviluppo Industriale del Calatino, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difesa dall'avv. Giacomo Agati, con domicilio eletto in Catania via Galermo, 129/A presso avv. Salvatori Spampinato, e nei confronti di Regione Siciliana, Assessorato regionale industria, ministero delle infrastrutture e dei trasporti, commissario delegato per emergenza rifiuti e tutela acque, tutti rappresentanti e difesi dall'Avvocatura dello Stato, con domicilio ex lege in Catania, via Vecchia Ognina, 149, per l'annullamento con il ricorso introduttivo: della determina del direttore generale del Consorzio di sviluppo industriale numero 15 dell'8 febbraio 2005, avente ad oggetto «deduzioni sulle osservazioni presentate dagli interessati alle procedure espropriativa e per le opere di completamento e di ammodernamento dell'impianto di depurazione e conseguente impianto di interconnessione per riuso delle acque reflue» pervenuta in data 26 febbraio 2005, con la quale sono state respinte le osservazioni presentate dai ricorrenti ai sensi dell'articolo 16 della d.P.R. 8 giugno 2001 numero 327; delle controdeduzioni dei progettisti alle osservazioni dei ricorrenti trasmesse con nota prot. 3532 del 21 ottobre 2004; del progetto dell'opera con relazione ed elaborati tecnici; del piano particella d'esproprio e della relazione di stima; dell'atto del 29 luglio 2004 prot. 2764; di tutti provvedimenti non conosciuti elencati nella determina del direttore generale numero 15 dell'8 febbraio 2005 e piu' precisamente: della determina D.G. n. 133 del 24 settembre 2002, con la quale e' stato approvato amministrativamente il progetto esecutivo relativo alle «Opere di completamento e di ammodernamento dell'impianto di depurazione»; della determina D.G. n. 134 del 24 settembre 2002, con la quale e' stato approvato amministrativamente il progetto esecutivo relativo alle «Opere di completamento a valle dell'impianto di depurazione per il riuso delle acque reflue»; dell'Accordo di programma quadro tutela delle acque e gestione integrata delle risorse idriche - opere fognarie, depurative e di riuso, stipulato in data 23 dicembre 2003, tra i Ministeri competenti, la regione Sicilia ed il commissario delegato per l'emergenza ambientale e la tutela delle acque (A.P.Q.); della delibera C.D. n. 13 del 15 marzo 2004, con la quale e' stato unificato in unico intervento per le «Opere di completamento ed ammodernamento dell'impianto di depurazione e conseguente impianto di interconnessione per il riuso delle acque reflue» il cui progetto esecutivo sarebbe in corso di approvazione tecnico amministrativa; con i motivi aggiunti al ricorso: dell'atto di autorizzazione dell'ufficio del genio civile di Catania prot. n. 29783/04, prodotto in giudizio dal Consorzio resistente; dell'atto di autorizzazione dell'Ufficio del genio civile di Catania prot. n. 37797 del 27 dicembre 2004, prodotto in giudizio dal Consorzio resistente; dell'atto di autorizzazione e nulla osta idraulico dell'Ufficio del genio civile di Catania prot. n. 29785 del 27 ottobre 2004, prodotto in giudizio dal Consorzio resistente; di tutti gli atti e del giudizio di validazione contenuti nel Verbale di validazione del progetto esecutivo ex art. 47 d.P.R. n. 554/1999 dell'11 marzo 2005, prodotto in giudizio dal Consorzio resistente, nonche' del medesimo progetto esecutivo; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione nel giudizio del Consorzio ASI; Visti i motivi aggiunti al ricorso introduttivo; Visti gli atti tutti della causa; Designato relatore, all'udienza pubblica del 6 luglio 2006, il Referendario dott. Salvatore Gatto Costantino; Uditi altresi' gli avvocati delle parti, come da relativo verbale; Ritenuto in fatto ed in diritto quanto segue. I n f a t t o I ricorrenti, proprietari di un fondo sito in agro del comune di Grammichele, meglio identificato in atti, espongono di avere ricevuto il 29 luglio 2004 l'avvio del procedimento per l'espropriazione di parte del fondo di loro proprieta' finalizzata alla realizzazione delle «opere di completamento ed ammodernamento dell'impianto di depurazione e conseguente impianto di interconnessione per il riuso delle acque reflue», apprendendo cosi', per la prima volta, dell'esistenza di detto progetto e delle relative procedure di esproprio. Proposte nei termini le loro osservazioni, i coniugi ricorrenti le vedevano respinte con il primo dei provvedimenti in epigrafe, con il quale il responsabile del procedimento aderiva alle controdeduzioni dei progettisti e confermava le previsioni progettuali ed espropriative. Avverso detto diniego ed i provvedimenti in esso pure richiamati, sia progettuali che procedimentali, i ricorrenti hanno quindi proposto l'odierno gravame, con l'atto notificato il 29 aprile 2005 e depositato il 10 maggio successivo, con il quale hanno dedotto le seguenti censure: I) 1 - Violazione dell'art. 10 comma 1 e dell'art. 11 del d.P.R. n. 327/2001; omesso avviso dell'avvio del procedimento di apposizione del vincolo preordinato all'esproprio; 2 - Omesso avviso dell'avvio del procedimento (legge n. 241/1990; legge regionale n. 10/1991); 3 - Violazione e falsa applicazione dell'art. 16 comma 4, d.P.R. n. 327/2001; 4 - Incompetenza del Consorzio ASI; II) Eccesso di potere per cattivo esercizio della discrezionalita' tecnica nella allocazione dell'opera e nella redazione del progetto - Illegittimita' derivata della determina n. 15 dell'8 febbraio 2005 - Motivazione insufficiente - Violazione del D.M. n. 185/2003 - Eccesso di potere per difetto di istruttoria e travisamento di fatti - violazione della legge regionale 27 dicembre 1978, n. 71, art. 2, comma 5. Alla udienza pubblica del 6 luglio 2006 la causa e' stata trattenuta in decisione. I n D i r i t t o Parte ricorrente lamenta l'illegittimita' della procedura espropriativa posta in essere dal Consorzio in relazione al suddetto immobile, per violazione dei diritti di partecipazione al procedimento stesso previsti dalla legge e per difetto di motivazione, oltre che per incompetenza del Consorzio a procedere alle espropriazioni. I) Il ricorso e' rivolto avverso piu' provvedimenti, tra i quali l'Accordo di programma quadro, sottoscritto tra i Ministeri meglio ivi indicati, la regione Sicilia ed il commissario delegato per l'emergenza idrica nella Regione Sicilia; l'intervento in esame, inoltre, risulta rientrare nell'art. 141 comma 4 legge n. 388/2000 ed ai sensi dell'art. 2 dell'O.P.C.M. 3136 del 2001 esso e' da intendersi compreso nelle competenze di quest'ultimo (cfr. la nota del commissario delegato prot. 122 del 17 febbraio 2004 allegata in atti nella produzione dell'Avvocatura). I provvedimenti oggetto di gravame sono dunque tutti avvinti da evidente nesso di unicita' procedimentale all'Accordo di programma quadro che approva l'intervento cosi' come poi posto in essere dal Consorzio (anche perche', in base a quanto comunicato nella predetta nota, l'approvazione del progetto spetta al Commissario), in esecuzione del quale e' stato unificato in unico progetto l'intervento prima diviso in due atti separati (delibera C.D. n. 13 del 15 marzo 2004); ed infine gli atti impugnati sono stati adottati all'esito di una procedura posta in essere dal concerto tra le varie autorita' coinvolte nel suddetto accordo di programma ed il Presidente della regione nell'esercizio dei poteri a questo conferiti in qualita' di commissario delegato di protezione civile per l'emergenza riuniti e tutela delle acque nella Regione Sicilia (O.P.C.M. 3136 del 25 maggio 2001, come successivamente prorogata ed integrata). Pertanto, il Collegio deve affrontare la questione relativa alla competenza inderogabile recentemente attribuita al Tribunale amministrativo regionale del Lazio per la cognizione di vicende quale quella in esame. Tale competenza sorge per effetto della norma di cui alla legge n. 21/2006, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 23 del 28 gennaio 2006, che, all'art. 3, per quel che qui rileva dispone: ...omissis... «2-bis. In tutte le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'articolo 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, la competenza di primo grado a conoscere della legittimita' delle ordinanze adottate e dei consequenziali provvedimenti commissariali spetta in via esclusiva, anche per l'emanazione di misure cautelari, al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con sede in Roma. 2-ter. Le questioni di cui al comma 2-bis, sono rilevate d'ufficio. Davanti al giudice amministrativo il giudizio e' definito con sentenza succintamente motivata ai sensi dell'articolo 26, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e successive modificazioni, trovando applicazione i commi 2 e seguenti dell'articolo 23-bis della stessa legge. 2-quater. Le norme di cui ai commi 2-bis e 2-ter si applicano anche ai processi in corso. L'efficacia delle misure cautelari adottate da un tribunale amministrativo diverso da quello di cui al comma 2-bis permane fino alla loro modifica o revoca da parte del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con sede in Roma, cui la parte interessata puo' riproporre il ricorso». Osserva il Collegio che la fattispecie in esame e' attratta nell'applicazione della citata legge n. 21/2006, art. 3, in quanto il potere amministrativo che e' stato esercitato nell'adozione dei provvedimenti impugnati coinvolge direttamente funzioni e potesta' commissariali; inoltre l'impugnazione e' stata rivolta avverso provvedimenti commissariali veri e propri (l'Accordo di programma quadro). Pertanto, la fattispecie in esame rientra pienamente nel novero delle situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'articolo 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225 e dei «consequenziali provvedimenti commissariali applicativi». Il collegio, pertanto, ritenendola rilevante ai fini della decisione da assumere in ordine alla predetta trasmissione degli atti al Tribunale amministrativo regionale Lazio e non manifestamente infondata, solleva questione di legittimita' costituzionale del predetto art. 3, e segnatamente del comma 2 nelle sottonumerazioni bis, ter, quater, come sara' esposto nei seguenti paragrafi e come gia' fatto in ordine ad altra fattispecie per la cui decisione e' venuta in rilievo la medesima norma (cfr. Tribunale amministrativo regionale Sicilia, I, ord. n. 90 del 7 marzo 2006). I) La rilevanza della questione ai fini della decisione da assumere e' di tutta evidenza. Il collegio sarebbe tenuto, sulla base della normativa sopravvenuta - ove non dubitasse della incostituzionalita' di essa e quindi non ritenesse necessario investire il giudice delle leggi della relativa questione - a trasmettere gli atti al Tribunale amministrativo regionale Lazio, e cio' per espressa disposizione della nuova disciplina che ne prescrive l'applicazione ai procedimenti pendenti e quindi anche per il procedimento odierno, trattenuto in decisione dopo l'entrata in vigore della disciplina in esame (la quale e' stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 23 gennaio 2006 ed e' entrata in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione). II) Circa la non manifesta infondatezza e le ragioni che fanno sospettare le norme in esame di incostituzionalita', osserva il collegio che la normativa introdotta dal legislatore con l'art. 3, comma 2, da bis a quater, della legge n. 21/2006, contrasta innanzitutto con l'art. 125 della Costituzione, e segnatamente con il principio della articolazione su base regionale degli organi statali di giustizia amministrativa di primo grado ivi espressa («Nella regione sono istituiti organi di giustizia amministrativa di primo grado, secondo l'ordinamento stabilito da legge della Repubblica») che implica il rilievo e la garanzia costituzionale della sfera di competenza dei singoli organi predetti. Non appaiono, all'evidenza, manifeste o comunque sufficienti ragioni logiche o di coerenza istituzionale per derogare a tale sfera di competenze costituzionalmente garantita nella materia di cui trattasi quando, come nel caso in esame, le singole situazioni di emergenza hanno rilievo spiccatamente locale con conseguente efficacia locale dei relativi provvedimenti adottati dai soggetti delegati alla cura delle varie situazioni emergenziali, anche se (arg. ex art. 2, comma 1. lettera «c) della legge n. 225/1992, richiamato dall'art. 5 comma 1 legge cit.) essi sono adottati per fare fronte a situazioni che «per intensita' ed estensione debbono essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari». III) Anzi, sotto questo aspetto, la norma e' altresi' contraddittoria ed irrazionale in quanto sottopone al medesimo trattamento processuale situazioni disparate e differenti tra di loro. In questo quadro, l'art. 5, comma 1 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, richiama, ai fini della applicazione dell'intera disposizione normativa, i casi in cui (ex art. 2 comma 1 lettera c) della legge n. 225/1992) sia necessario fare fronte con mezzi e poteri straordinari alle calamita' naturali, catastrofi o gli altri eventi che richiedano tale intervento per intensita' ed estensione. La previsione di cui alla legge n. 21/2006 radica la competenza del Tribunale amministrativo regionale Lazio in tutti i casi in cui sia dichiarato lo stato di emergenza ai sensi del comma 1 dell'art. 5 appena citato e quindi con esclusione dei casi di intervento di protezione civile per gli eventi che possano essere affrontati mediante interventi attuabili dai singoli enti e amministrazioni competenti in via ordinaria (art. 2 lettera a) e di quelli che richiedano intervento coordinato di questi ultimi (art. 2 lettera b). Quindi, il sistema della Protezione civile e' articolato in vari livelli di intervento, contraddistinti dal corrispondente grado di ampiezza della situazione emergenziale. Sicche' per ogni tipologia territoriale e «qualitativa» della situazione di emergenza e' chiamato ad intervenire in merito il «livello» di governo piu' vicino alla concreta dimensione delle comunita' colpite e della natura dell'emergenza, secondo un chiaro criterio di sussidiarieta' e senza escludere - funzionalmente e residualmente - che determinate funzioni siano «trasversali» ossia comprendano le competenze di piu' amministrazioni o livelli di governo. A fronte di questa multiformita' possibile di manifestazioni concrete dell'esercizio del potere, la regola generale di ripartizioni delle competenze delineata dagli artt. 2 e ss della legge Tribunale amministrativo regionale appresta una tutela coerente con l'art. 125 della Costituzione: derogando ad essa, l'art. 3 della legge n. 21/2006, contraddittoriamente ed immotivatamente assegna ex lege rilevanza nazionale a qualsiasi controversia insorga nell'esercizio del potere di protezione civile, facendo leva solo sulla necessita' che di esso presupponga l'intervento extra ordinem e quindi a dell'articolazione del potere previsto dalla legge n. 225/1992 posto che assegna la competenza funzionale a conoscere delle relative questioni al Tribunale amministrativo regionale Lazio (e quindi spinge l'interprete a dover ritenere che il legislatore abbia cristallizzato una valutazione di rilevanza nazionale di qualsiasi questione, inerente la protezione civile, richieda interventi extra ordinem). Il problema acquista uno spessore considerevole se solo si riflette sul fatto che, «ordinariamente», tali provvedimenti «extra ordinem» delegano quali commissari per l'emergenza il Presidente della regione o altri organi locali gia' titolari di poteri propri in quella materia; in tal senso, spesso non fanno altro che «istituire» poteri e programmi di emergenza affidandoli quindi (per nomina o delega), a quegli stessi organismi regionali o comunque locali che con i poteri ordinari loro conferiti dall'Ordinamento non hanno saputo fare fronte alle cause che hanno determinato l'emergenza (come il caso dell'emergenza rifiuti, o dell'emergenza idrica, o dell'emergenza traffico). Pertanto, l'effetto di tale prassi e' essenzialmente quello di rendere i provvedimenti degli organi regionali «rafforzati» sotto il profilo della capacita' di derogare a norme dell'Ordinamento; a tale gia' rilevante «alterazione» dell'Ordinamento medesimo, si aggiunge quindi una ulteriore «tutela» giurisdizionale, sottraendo la cognizione della lite ai Tribunale amministrativo regionale regionali su provvedimenti che sono e restano a tutti gli effetti locali per provenienza soggettiva oltre che per effetti, per affidarla ad un unico giudice nazionale con il quale essi non hanno alcun collegamento «naturale». Appare utile rilevare, in questa sede, come la giurisprudenza della Corte costituzionale abbia espressamente riconosciuto che: con l'articolo 5 della legge n. 225 del 1992, e' attribuito al Consiglio dei ministri il potere di dichiarare lo stato di emergenza in ipotesi di calamita' naturali, ed a seguito della dichiarazione di emergenza, e per fare fronte ad essa, lo stesso Presidente del Consiglio dei Ministri o, su sua delega, il Ministro dell'interno possano adottare ordinanze in deroga ad ogni disposizione vigente, nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico; l'art. 107, comma 1, lettere b) e c), del decreto legislativo 31 marzo .998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), a sua volta, chiarisce che tali funzioni hanno rilievo nazionale, escludendo che il riconoscimento di poteri straordinari e derogatori della legislazione vigente possa avvenire da parte di una legge regionale. queste ultime due previsioni, inoltre, sono gia' stata ritenute dalla Corte costituzionale (sentenza n. 327 del 2003) come espressive di un principio fondamentale della materia della protezione civile, sicche' deve ritenersi che esse delimitino il potere normativo regionale, anche sotto il nuovo regime di competenze legislative delineato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della costituzione). Alla luce di quanto sopra ricordato, la Corte ha dichiarato illegittimo l'articolo 4, comma 4, della legge della legge regionale Campania n. 8 del 2004, nella misura in cui essa ha attribuito al Sindaco di Napoli i poteri commissariali dell'ordinanza n. 3142 del 2001 del Ministro dell'interno, dopo la scadenza della emergenza alla cui soluzione tale ordinanza era preordinata, in quanto in contrasto con l'art. 117, terzo comma, della Costituzione (Corte Cost. n. 82/2005). Tale ragionamento comporta che, in relazione alla legge n. 225/1992 ed all'art. 107 comma 1 lettere b) e c), d.lgs. n. 112/1998, possiedono rilievo nazionale «solamente» il potere di dichiarare lo stato di emergenza e quello, distinto dal primo seppure ad esso finalisticamente connesso, di derogare a norme dell'ordinamento. Ne consegue dunque che, sotto questo profilo, la norma in esame e' irragionevole per contraddittorieta' e disparita' di trattamento processuale, poiche' utilizza lo stesso trattamento per situazioni del tutto differenti quanto ad ambito territoriale e livello e qualita' degli interessi pubblici coinvolti, nonche' per contrasto con l'art. 117 della Costituzione, poiche' implicitamente, finisce per attribuire rilievo nazionale anche alle questioni riservate alla competenza regionale. IV) Ancora, l'aggravio della tutela giurisdizionale, soprattutto ove, come nella specie, esso non sia giustificato da una effettiva natura accentrata (o dall'efficacia estesa a tutto il territorio) dei provvedimenti sui quali deve esercitarsi la cognizione del Tribunale amministrativo regionale Lazio, comporta indubbia violazione dell'art. 24 della Costituzione, in particolare della possibilita' di tutela dei propri diritti ed interessi enunciata al primo comma; detta tutela ne risulta minorata, per la evidente maggiore difficolta' di esercitare le relative azioni presso il Tribunale amministrativo regionale del Lazio piuttosto che presso gli organi giurisdizionali localmente istituiti. Cio' vale sia per la fase transitoria in cui i giudizi pendenti trasmigrano al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sia per le future nuove controversie che secondo la nuova normativa dovrebbero essere ab initio instaurate presso detto Tribunale amministrativo regionale La Corte ha ritenuto, in un caso in cui il legislatore aveva disposto l'estinzione ope legis di giudizi pendenti (art. 10, comma primo, legge n. 425/1984), che siffatta disposizione, in quanto «preclude al giudice la decisione di merito imponendogli di dichiarare d'ufficio l'estinzione dei giudizi pendenti, in qualsiasi stato e grado si trovino alla data di entrata in vigore della legge sopravvenuta», percio' stesso «viola il valore costituzionale del diritto di agire, in quanto implicante il diritto del cittadino ad ottenere una decisione di merito senza onerose reiterazioni» (Corte costituzionale, sentenza n. 123 del 1987). Sebbene la fattispecie in esame sia diversa da quella oggetto della citata pronuncia, il principio tuttavia, ad avviso del collegio, e' nello stesso modo applicabile. Accade infatti, nel caso presente, che chi abbia gia' un giudizio pendente davanti al Tribunale amministrativo regionale locale, ed addirittura abbia ottenuto una decisione cautelare, debba proseguire altrove nella propria iniziativa giudiziaria, addirittura (se ne parlera' piu' diffusamente infra) rimanendo esposto ad una seconda pronuncia cautelare sollecitata dalla parte soccombente davanti al giudice adito prima dell'entrata in vigore della legge in questione. V) Altro profilo di incostituzionalita' va ravvisato, inoltre, nella violazione del principio del giudice naturale precostituito per legge, di cui all'art. 25 della Costituzione. La norma costituzionale ora citata, stabilendo che «nessuno puo' essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge», esclude, come la stessa Corte costituzionale afferma «che vi possa essere una designazione tanto da parte del legislatore con norme singolari, che deroghino a regole generali, quanto da altri soggetti, dopo che la controversia sia insorta (sentenze n. 419 del 1998; n. 460 del 1994 e n. 56 del 1967»; il principio e' in tali termini, e con tali citazioni dei precedenti, richiamato nella sentenza della Corte n. 393 del 2002. Come la Corte ha insegnato, perche' tale principio possa considerarsi rispettato occorre che «... la regola di competenza sia prefissata rispetto all'insorgere della controversia» (sentenza n. 193 del 2003); e basta scorrere le numerose decisioni della Corte costituzionale in materia di principio del giudice naturale per rilevare che e' proprio la preesistenza della regola che individua la competenza rispetto al giudizio il criterio fondamentale in base al quale sono state valutate le questioni sollevate. Tale profilo di incostituzionalita' si apprezza particolarmente, ad avviso del collegio, nella parte della disciplina in questione (comma 2-quater), che non solo ne dispone l'applicazione ai processi pendenti, ma addirittura consente una riforma dei provvedimenti assunti, in sede cautelare, in tali giudizi pendenti, e cio' ad opera di un organo giurisdizionale pariordinato a quelli di provenienza (trattasi di giudici tutti di primo grado, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio non essendo un «super-Tribunale amministrativo regionale»). Cosi' facendo, in sostanza, il legislatore ha introdotto un rimedio inedito, che non e' di secondo grado e che finisce per costituire un doppione del gia' espletato giudizio (cautelare) di primo grado, senza alcuna possibilita' di inquadramento tra i rimedi noti e tipizati (appello, revocazione, reclamo). Pertanto, anche l'art. 25 della Carta costituzionale risulta vulnerato dalla normativa denunciata dal collegio; e se ne trae conferma da una recente decisione della Corte costituzionale, che, sebbene in relazione a disciplina totalmente diversa, ha avuto modo di affermare un principio generale, che e' quello della appartenenza della competenza territoriale alla nozione del giudice naturale precostituito per legge. Precisamente, la sentenza n. 41 del 2006 afferma, anzi, ribadisce (come testualmente essa si esprime, citando sentenze precedenti in termini), che «alla nozione del giudice naturale precostituito per legge non e' affatto estranea «la ripartizione della competenza territoriale tra giudici, dettata da normativa nel tempo anteriore alla istituzione del giudizio»(sentenze.. n. 251 del 1983 e n. 410 del 2005)». Per altro, atteso che il principio del doppio grado di giudizio nella giustizia amministrativa, sia in sede cautelare sia in sede di merito, riceve garanzia costituzionale dall'art. 125 della Carta (cfr. Corte cost., sentenza n. 8 del 1982), si configura un ulteriore profilo di violazione di detta norma. Viene infatti ad essere introdotto, per le controversie pendenti, un anomalo percorso (su cui gia' il collegio ha poco prima espresso i propri dubbi di incostituzionalita) che stravolge l'ordinario iter giudiziario. La regola e' che ad un giudizio di primo grado segua, ove la parte soccombente appelli, un giudizio di secondo grado, sia che si tratti di giudizio cautelare, sia che si tratti di giudizio di merito; giammai e' prevista una doppia pronuncia sulla stessa materia da parte di due diversi giudici di primo grado, uno dei quali abilitato a riformare la decisione del primo giudice. Orbene, ad avviso del collegio, siffatta disciplina integra altresi' violazione del principio del «giusto processo», di cui all'art. 11, comma primo, della medesima Carta («La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge». Sempre con riferimento ai processi pendenti, infatti, la parte soccombente nel giudizio cautelare verrebbe ad essere fornita di uno strumento giurisdizionale anomalo e atipico a tutela della propria (legittima, ma da esercitare in modi conformi ai principi costituzionali) aspirazione ad ottenere una pronuncia favorevole in secondo grado (che deve tuttavia essere un vero giudizio di secondo grado, e non, si ribadisce, un inedito duplicato del giudizio di primo grado). Cio' comporterebbe altresi' una evidente violazione del principio del ne bis in idem, che, se pure non espressamente contemplato dalla Carta costituzionale, deve ritenersi corollario del medesimo generale principio del «giusto processo» teste' richiamato. VI) Da ultimo, si rileva un aspetto diverso che si riconnette ancora al tema del giudice naturale, e che deriva in via immediata e diretta dall'analisi appena esposta. La norma in esame, infatti, viola l'art. 23 dello Statuto della regione Sicilia (legge costituzionale n. 2 del 26 febbraio 1948) a norma del quale: «Gli organi giurisdizionali centrali avranno in Sicilia le rispettive sezioni per gli affari concernenti la regione. Le sezioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti svolgeranno altresi' le funzioni, rispettivamente, consultive e di controllo amministrativo e contabile. I magistrati della Corte dei conti sono nominati, di accordo, dai Governi dello Stato e della regione. I ricorsi amministrativi, avanzati in linea straordinaria contro atti amministrativi regionali, saranno decisi dal Presidente della regione sentite le Sezioni regionali del Consiglio di Stato». Tale norma e' stata «interpretata» dall'art. 5 del decreto legislativo 6 maggio 1948, n. 654, contenente norme per l'esercizio delle funzioni spettanti al Consiglio di Stato nella regione Sicilia, il quale prevede che il Consiglio di Giustizia esercita le attribuzioni devolute dalla legge al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale nei confronti di atti e provvedimenti definitivi «dell'amministrazione regionale e delle altre autorita' amministrative aventi sede nel territorio della regione». Osserva il collegio che gia' con «la sentenza della Corte cost. in data 12 marzo 1975 n. 61, dichiarando l'illegittimita' costituzionale delle limitazioni poste dall'art. 40, legge 6 dicembre 1971, n. 1034 alla competenza del Tribunale amministrativo regionale Sicilia, e' stato ritenuto che siano state a quest'ultimo conferite tutte le controversie d'interesse regionale considerate tali dall'art. 23, comma 1 decreto legge 15 maggio 1946, n. 455, comprendendosi in tale categoria le controversie sorte da impugnazione di atti amministrativi di autorita' centrali aventi effetti limitati al territorio regionale ovvero concernenti pubblici dipendenti in servizio nella regione siciliana» (Consiglio Stato, sezione VI, 26 luglio 1979, n. 595). Quindi la legge n. 21/2006, in esame, e' costituzionalmente illegittima anche nella sua parte in cui, in violazione dell'art. 23 dello Statuto regionale, sia nella sua formulazione letterale, che nella interpretazione pacifica che di esso ha maturato la giurisprudenza, anche costituzionale, riserva al Consiglio di giustizia amministrativa ed in primo grado al Tribunale amministrativo regionale Sicilia, la competenza conoscere circa le controversie sorte da impugnazione di atti amministrativi di autorita' centrali aventi effetti limitati al territorio regionale. Se le controversie quali quella in esame fossero sottratte alla competenza del Tribunale amministrativo regionale Sicilia, in primo grado e, affidate alla cognizione dal Tribunale amministrativo regionale Lazio, fossero decise da quest'ultimo, si radicherebbe, per tale motivo, la cognizione sulla lite in appello del Consiglio di Stato e non della sua Sezione costituita dal Consiglio di giustizia amministrativa per la regione Sicilia, avente competenza funzionale sulle liti rientranti nella previsione statutaria siciliana appena citata. Per mero scrupolo espositivo, si deve rilevare che in proposito non potrebbe obiettarsi che la norma «sposta» solo la cognizione della lite nel primo grado di giudizio, facendo salva quella d'appello: se cosi' fosse, per la regione Sicilia, la norma dovrebbe essere ulteriormente tracciata di irragionevolezza e contraddittorieta' perche' la medesima questione, decisa in primo grado al Tribunale amministrativo regionale Lazio, quindi «concentrata in capo all'«unico giudice» per la sua (cristallizzata dal legislatore) rilevanza nazionale, tornerebbe ad essere poi decisa in appello da una articolazione regionale del giudice di secondo grado, senza quindi che abbia piu' valenza alcuna la ritenuta «centralita» della vicenda, con evidenti ed incomprensibili «trasmigrazioni» giudiziarie «vettoriali» della lite dalla Sicilia a Roma (per il primo grado) e da Roma a Palermo (per il secondo grado). Intuitivamente, dunque, questa ipotetica obiezione presterebbe il fianco ad ulteriori argomenti di censura anche sotto il profilo della effettivita' della tutela del diritto alla difesa gia' trattato prima (nel senso di obbligo di non aggravamento e, quindi, anche del giusto processo ex art. 11 Cost. in termini di tempi decisionali ed adempimenti del processo. VII) Per tutte le esposte considerazioni, deve sollevarsi la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 2-bis, comma 2-ter, comma 2-quater, legge n. 21/2006, per contrasto con gli artt. 3, 125, 24 e 25 della Costituzione e per contrasto con l'art. 23 dello Statuto della regione Sicilia. Deve pertanto essere disposta la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la decisione della predetta questione di legittimita' costituzionale, sospendendosi il giudizio instaurato con il ricorso in epigrafe, fino alla restituzione degli atti da parte della medesima Corte.
P. Q. M. Solleva, ritenutala rilevante e non manifestamente infondata, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 2-bis, comma 2-ter, comma 2-quater, legge n. 21/2006, per contrasto con gli artt. 3, 125, 24 e 25 della costituzione e per contrasto con l'art. 23 dello Statuto della Regione Sicilia. Dispone, a norma dell'art. 23/2, legge n. 87/1953, l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Il giudizio resta sospeso sino alla restituzione degli atti da parte della Corte costituzionale. Manda alla Segreteria di notificare copia della presente ordinanza alle parti in causa, al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Catania, il 6 luglio 2006. Il Presidente: Zingales L'estensore: Gatto Costantino 07C0257