N. 93 ORDINANZA 5 - 16 marzo 2007

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Reati   e  pene  -  Prescrizione  -  Termini  -  Modifiche  normative
  comportanti   un   regime  piu'  favorevole  al  reo  -  Disciplina
  transitoria  -  Inapplicabilita' ai processi gia' pendenti in primo
  grado  ove  vi sia stata l'apertura del dibattimento - Sopravvenuta
  dichiarazione   di  incostituzionalita'  della  norma  censurata  -
  Necessita'  di  una  nuova  valutazione della rilevanza e della non
  manifesta infondatezza - Restituzione degli atti ai rimettenti.
- Legge 5 dicembre 2005, n. 251, art. 10, comma 3.
- Costituzione, artt. 3, 10, 11, 24, 25, 27, 97, 111 e 117.
(GU n.12 del 21-3-2007 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Franco BILE;
  Giudici:  Francesco  AMIRANTE,  Ugo  DE  SIERVO, Romano VACCARELLA,
Paolo  MADDALENA,  Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO,
Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE,
Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 10, comma 3,
della  legge  5  dicembre  2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e
alla   legge  26  luglio  1975,  n. 354,  in  materia  di  attenuanti
generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze
di  reato  per  i recidivi, di usura e di prescrizione), promossi con
ordinanze  del  6 febbraio 2006 dal Tribunale di Roma, del 12 gennaio
2006 dal Tribunale di Chiavari, del 21 dicembre 2005 dal Tribunale di
Genova,  del 12 gennaio 2006 dal Tribunale di Bologna, del 13 gennaio
2006 dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, del 10 marzo 2006 dal
Tribunale di Bologna, del 16 marzo 2006 dal Tribunale di Roma, del 20
gennaio 2006 e del 16 dicembre 2005 dal Tribunale di Perugia, sezione
distaccata  di  Gubbio,  del 12 dicembre 2005 dal Tribunale di Paola,
sezione  distaccata  di Scalea, del 12 dicembre 2005 dal Tribunale di
Perugia,  sezione  distaccata  di  Gubbio,  del  15 febbraio 2006 dal
Tribunale  di  Teramo, del 20 dicembre 2005 dal Tribunale di Venezia,
sezione  distaccata  di  San  Dona'  di  Piave, del 23 marzo 2006 dal
Tribunale di Frosinone, del 1° marzo 2006 dal Tribunale di Monza, del
16  febbraio  2006  dal Tribunale di Frosinone, sezione distaccata di
Alatri   e   del   28   gennaio   2006   dal  Tribunale  di  Perugia,
rispettivamente  iscritte  ai nn. 77, 81, 84, 86, 100, 167, 171, 181,
182,  292,  296,  305, 310, 390, 395, 419, 462 del registro ordinanze
2006  e  pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 13,
14,  15,  23,  24,  25, 37, 41, 43 e 44, 1ª serie speciale, dell'anno
2006.
    Visti  l'atto  di  costituzione  di  R.F.  nonche'  gli  atti  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nella  Camera di consiglio del 21 febbraio 2007 il giudice
relatore Alfonso Quaranta.
    Ritenuto  che  i  Tribunali  di  Roma, Chiavari, Genova, Bologna,
Santa Maria Capua Vetere, Perugia (sede centrale e sezione distaccata
di  Gubbio),  Paola  (sezione  distaccata di Scalea), Teramo, Venezia
(sezione  distaccata di San Dona' di Piave), Frosinone (sede centrale
e  sezione  distaccata  di  Alatri)  e Monza, hanno sollevato, con le
ordinanze   di   cui   in   epigrafe,   questioni   di   legittimita'
costituzionale - in riferimento, nel complesso, agli artt. 3, 10, 11,
24, 25, 27, 97, 111 e 117 della Costituzione - dell'art. 10, comma 3,
della  legge  5  dicembre  2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e
alla   legge  26  luglio  1975,  n. 354,  in  materia  di  attenuanti
generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze
di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione);
        che  tutti  i  rimettenti  censurano la predetta norma, nella
parte  in  cui  prevede  che  l'applicazione  delle  piu'  favorevoli
disposizioni  per  il  reo  in  ordine al termine di prescrizione del
reato,  contenute  nell'art.  6 della medesima legge n. 251 del 2005,
sia  limitata, quanto ai processi di primo grado, unicamente a quelli
per i quali non «sia stata dichiarata l'apertura del dibattimento»;
        che  il  Tribunale  di  Roma,  con  due ordinanze di identico
contenuto,  dubita  della  legittimita'  costituzionale  della  norma
suddetta,  evocando  quali parametri gli artt. 3, 10 e 11 della Carta
fondamentale;
        che  il  rimettente  -  nel  premettere  che  le  fattispecie
criminose  sottoposte  al  suo  esame  risulterebbero,  in entrambi i
giudizi  a  quibus, ormai estinte per prescrizione, se l'applicazione
della  nuova  (e  piu'  favorevole) disciplina relativa alla predetta
causa  di estinzione del reato non fosse preclusa dalla gia' avvenuta
dichiarazione  di  apertura  del  dibattimento  -  censura  la scelta
operata  dal  legislatore  con l'art. 10, comma 3, della legge n. 251
del  2005  di  far dipendere dal compimento o meno di tale incombente
processuale l'operativita' della lex mitior;
        che il rimettente - pur dicendosi consapevole che, secondo la
giurisprudenza  costituzionale,  la  garanzia  di  cui  all'art.  25,
secondo   comma,  della  Costituzione  deve  intendersi  limitata  al
«divieto  di  retroattivita'  della norma penale incriminatrice», non
investendo  «anche  il  principio  della  retroattivita'  della norma
penale piu' favorevole» - evidenzia, tuttavia, come le deroghe a tale
ultimo  principio  (sancito,  in  via  generale,  dall'art. 2, quarto
comma,  del  codice penale) debbano essere «sorrette da valutazioni e
giustificazioni non irragionevoli»;
        che  detta evenienza, pero', ad avviso del giudice a quo, non
ricorrerebbe nel caso di specie, atteso che la scelta compiuta con la
censurata  disposizione  - e cioe' l'individuazione, quale discrimine
temporale  per  l'applicazione  retroattiva  della  lex  mitior,  del
momento della dichiarazione di apertura del dibattimento, in luogo di
quello  della  pronuncia  della  sentenza di primo grado - non appare
giustificata  dalla  «necessita'  di  "neutralizzare" un accertamento
giurisdizionale  gia'  effettuato  sotto  il  vigore della precedente
disciplina»;
        che  la detta opzione legislativa, per contro, «determina una
selezione  tra le due normative» (in tema di prescrizione) «collegata
a  profili  di  aleatorieta',  non  dipendenti  da un atto di impulso
processuale avente obiettiva rilevanza», donde la sua irrazionalita';
        che  il  rimettente  ipotizza,  inoltre,  la violazione degli
artt. 10 e 11 della Costituzione;
        che,  al  riguardo,  egli  sottolinea, innanzitutto, come «il
principio  di  necessaria applicazione retroattiva della norma penale
piu'  favorevole» sia enunciato dall'art. 15 del Patto internazionale
relativo  ai  diritti  civili  e  politici  adottato a New York il 16
dicembre 1966 (reso esecutivo in Italia con la legge 25 ottobre 1977,
n. 881),   e   dall'art.   49,  comma  1,  della  Carta  dei  diritti
fondamentali,   approvata  a  Nizza  il  7  dicembre  2000,  articolo
riprodotto  nell'art.  II-109,  comma  1, del Trattato che adotta una
Costituzione  per  l'Europa,  firmato a Roma il 29 ottobre 2004 (reso
esecutivo in Italia con la legge 7 aprile 2005, n. 57);
        che tale principio, inoltre, e' stato qualificato dalla Corte
di  giustizia  delle  Comunita'  europee  (sentenza  3  maggio  2005,
C-387/02,  C-391/02  e  C-403/02)  come appartenente «alle tradizioni
costituzionali  comuni  agli  Stati  membri»,  e  dunque quale «parte
integrante  dei  principi  generali  del  diritto  comunitario che il
giudice nazionale deve osservare»;
        che, pertanto, costituendo il principio stesso sia una «norma
di  diritto  internazionale  generalmente  riconosciuta»  (alla quale
«l'ordinamento  interno  deve  conformarsi,  ai  sensi  dell'art.  10
Cost.»),   sia   un  «principio  generale  del  diritto  comunitario»
(rilevante  come  tale «ai sensi dell'art. 11 Cost.»), risulterebbero
evocabili  anche  tali  parametri  costituzionali, senza, invece, che
esso rimettente possa «disapplicare direttamente la norma interna per
contrasto   con   la  disciplina  comunitaria»,  non  essendo  questa
soluzione  prospettabile - secondo il Tribunale di Roma - rispetto «a
principi di carattere generale», cioe' «non consacrati» in «strumenti
legislativi  dell'Unione  europea  dotati  di  efficacia  diretta  ed
immediata»;
        che  anche  il Tribunale di Chiavari censura l'art. 10, comma
3,  della  legge n. 251 del 2005, ipotizzandone il contrasto - sempre
nella  parte  in  cui  «esclude  che  i  piu'  favorevoli  termini di
prescrizione  si applichino ai processi pendenti in primo grado», ove
risulti gia' espletato l'incombente di cui all'art. 492 del codice di
procedura penale - con gli artt. 3 e 117 Cost;
        che,  secondo il Tribunale chiavarese, la questione sollevata
e'   rilevante,   giacche',   «se   si  applicassero  le  norme  piu'
favorevoli», il reato sottoposto al suo esame risulterebbe prescritto
«non  solo prima dell'apertura del dibattimento, ma addirittura prima
dell'inizio delle indagini preliminari»;
        che,  cio'  premesso, il rimettente reputa non ragionevole la
scelta  compiuta  con  la  censurata  disposizione,  richiamando quel
consolidato  indirizzo della giurisprudenza costituzionale secondo il
quale, in materia penale, «le deroghe alla retroattivita' della norma
di   favore  sono  legittime  ove  ricorra  una  sufficiente  ragione
giustificativa»,  evenienza  non  ipotizzabile,  pero',  nel  caso di
specie;
        che   la   dichiarazione   di   apertura   del   dibattimento
costituisce,  ad  avviso del giudice a quo, «una mera formalita', che
non  implica  alcuna  attivita' di acquisizione probatoria o di altro
genere»,  e  che  risulta,  inoltre,  carente di «significativita' in
relazione all'affermazione di responsabilita' dell'imputato»;
        che,  di conseguenza, essa e' priva di qualsiasi correlazione
con  la summenzionata causa di estinzione del reato, come conferma il
fatto  «che  tale  incombente non costituisce atto interruttivo della
prescrizione»;
        che  quanto,  poi,  all'ipotizzata  violazione  dell'art. 117
Cost.,  il Tribunale di Chiavari - richiamata la gia' citata sentenza
del  3  maggio 2005 della Corte di giustizia delle Comunita' europee,
secondo la quale «il principio dell'applicazione della pena piu' mite
fa  parte  delle  tradizioni  costituzionali comuni agli Stati membri
dell'Unione  europea  e deve essere considerato come parte integrante
dei   principi  generali  del  diritto  comunitario  che  il  giudice
nazionale  deve  osservare»  -  sottolinea che «il valore del diritto
comunitario nei confronti del legislatore nazionale concerne anche le
statuizioni  risultanti  dalle sentenze interpretative della Corte di
giustizia»;
        che,  a  sua  volta,  anche  il  Tribunale  di  Genova  - sul
presupposto   che  l'eventuale  declaratoria  di  incostituzionalita'
dell'art.  10, comma 3, della legge n. 251 del 2005 (censurato «nella
parte  in  cui  esclude  dai nuovi termini di prescrizione i processi
gia'  pendenti  in  primo  grado ove vi sia stata la dichiarazione di
apertura   del  dibattimento»)  porterebbe  «al  proscioglimento  per
intervenuta prescrizione» della quasi totalita' dei reati devoluti al
suo esame - ipotizza la violazione degli artt. 3 e 27 Cost;
        che  quanto,  in  particolare,  al  primo  di tali parametri,
assume  il  rimettente  che  la  norma  sospettata  di illegittimita'
costituzionale   appare   in  grado  di  «comportare  un  trattamento
irrazionalmente  differenziato  tra  imputati  in  analoga situazione
processuale», attribuendo rilievo «ad una mera formalita», qual e' la
dichiarazione  di  apertura  del  dibattimento,  «il cui momento puo'
essere  casuale, talora diverso, o mancare del tutto» e che, inoltre,
«ai  sensi  dell'art.  160 del codice penale non e' neppure idonea ad
interrompere il corso della prescrizione»;
        che,  infine, la norma censurata - derogando a quel «criterio
canonico»  (art.  2,  quarto  comma,  cod.  pen.)  che,  nei  casi di
successione  nel  tempo  di leggi penali, individua quale limite alla
applicazione retroattiva della lex mitior quello della «definitivita'
della  sentenza  di  condanna»,  criterio  «recepito»  dall'art.  27,
secondo  comma,  Cost.  -  si  porrebbe,  secondo  il  rimettente, in
contrasto anche con il suddetto parametro costituzionale;
        che anche il Tribunale di Bologna, con due ordinanze, solleva
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10, comma 3, della
legge n. 251 del 2005;
        che  con  la  prima  ordinanza  (r.o.  n. 80  del  2006),  il
rimettente  -  nell'assumere di dover giudicare della responsabilita'
penale  di  un soggetto imputato del delitto di cui all'art. 372 cod.
pen.  -  rileva,  in via preliminare, che, ove l'applicabilita' delle
nuove  disposizioni  sulla prescrizione del reato non fosse preclusa,
nel giudizio a quo, dalla gia' avvenuta dichiarazione di apertura del
dibattimento,   «il   termine   ultimo  di  prescrizione»  del  reato
risulterebbe gia' decorso;
        che,  cio' premesso in ordine alla rilevanza della questione,
il  Tribunale bolognese reputa non ragionevole la scelta compiuta con
la censurata disposizione;
        che  essa,  difatti,  «ha delimitato l'area applicativa della
nuova  disciplina  della  prescrizione, ove piu' favorevole, fissando
nell'intervenuta   apertura   del  dibattimento  di  primo  grado  lo
spartiacque rispetto all'applicazione della normativa precedente»;
        che,   tuttavia,   l'esigenza  alla  quale  detta  scelta  e'
ispirata,  e cioe' «raccordare alla novella una parziale salvaguardia
dei  processi  in  corso», non risulta perseguita in modo «rispettoso
del principio costituzionale di eguaglianza»;
        che   sul  piano  generale,  rileva  il  giudice  a  quo,  la
disciplina  della prescrizione risulta ispirata alla seguente logica:
estinzione  del  reato  allorche'  sia  decorso  un  lasso  di  tempo
«sintomatico  di un sopravvenuto disinteresse punitivo»; allungamento
del   termine   prescrizionale  a  seguito  del  compimento  di  atti
procedimentali  o  processuali  «i  quali  implicano  concettualmente
un'attivazione   qualificata   dell'interesse  punitivo»;  definitiva
estinzione  della  fattispecie  criminosa  in  caso  di  decorso  del
«termine  allungato»,  atteso  che  alla sua scadenza «il legislatore
presume  iuris  et  de  iure il disinteresse punitivo dello Stato», a
prescindere «dalla quantita' e qualita' degli avanzamenti processuali
intervenuti»;
        che  la  norma  censurata,  invece,  nel  «ritagliare un'area
applicativa  alle  vecchie  norme  piu' sfavorevoli all'imputato», ha
ritenuto  «sintomatico  di  apprezzabile  avanzamento  della  pretesa
punitiva»  un  momento processuale, qual e' quello della apertura del
dibattimento,  «privo  di  rilievo nella disciplina (vecchia e nuova)
delle cause interruttive della prescrizione»;
        che  tale  norma, inoltre, non ha in alcun modo rapportato il
predetto momento processuale «al tempo trascorso dal commesso reato»,
ovvero  in  alternativa  «alla  precedente  causa  interruttiva»,  ma
piuttosto  «a  un elemento temporale del tutto casuale», quale quello
costituito  dal  giorno  successivo  alla  pubblicazione  della legge
n. 251 del 2005 nella Gazzetta Ufficiale;
        che,   cosi'   operando,   la   norma   stessa  ha  «ignorato
l'elementare esigenza, riconducibile al principio di eguaglianza, per
la  quale  il  termine  allungato  di  prescrizione», come risultante
all'esito  della  modifica in melius recata dalla nuova disciplina «a
regime»,  si  dovrebbe applicare indifferentemente a tutti i reati, i
quali,  «per  componenti  sostanziali  oggettive  e soggettive, siano
stati dal legislatore ritenuti meritevoli di appartenere a uno stesso
"comparto prescrizionale allungato"»;
        che  il  censurato  art.  10, comma 3, della legge n. 251 del
2005  non  ha,  quindi,  «razionalmente  mediato  tra  l'esigenza  di
salvaguardia  dei processi giunti in avanzato stadio nel rispetto dei
termini precedenti» e quella, opposta, di evitare «enormi discrepanze
tra  previsioni  prescrizionali parallele, particolarmente in tema di
termini allungati di prescrizione»;
        che,  con  la seconda delle citate ordinanze (r.o. n. 167 del
2006),   il   Tribunale   di   Bologna  censura  la  norma  suddetta,
ipotizzandone  il  contrasto  con  gli  artt. 3, 10, primo comma, 27,
terzo comma, e 111, secondo comma, Cost.;
        che  il  rimettente  - nel premettere che taluni dei reati di
bancarotta  fraudolenta  sottoposti  al  suo  vaglio  «sarebbero oggi
prescritti»,  se l'applicazione della nuova disciplina sui termini di
prescrizione  del  reato  non  fosse preclusa, ai sensi dell'art. 10,
comma  3, della legge n. 251 del 2005, dal gia' avvenuto espletamento
dell'incombente  processuale  ex art. 492 cod. proc. pen. - evidenzia
come la prescrizione sia «istituto di diritto sostanziale»;
        che,  ravvisato  il  fondamento  della prescrizione anche nel
cambiamento che «la personalita' del colpevole» potrebbe aver subito,
«trascorso un certo periodo di tempo dalla commissione del reato», il
giudice  a  quo  sottolinea che, verificatasi la condizione da ultimo
descritta, l'irrogazione della sanzione penale «avrebbe solo funzione
afflittiva  e  retributiva»,  e  non pure di rieducazione del reo, in
contrasto con quanto stabilito dall'art. 27 della Carta fondamentale,
atteso  che,  secondo la giurisprudenza costituzionale, nessuna delle
finalita'  che tale articolo attribuisce al trattamento sanzionatorio
penale potrebbe essere «obliterata» dal legislatore;
        che   il  giudice  a  quo  -  non  senza  rammentare  che  la
«determinazione   del  tempo  necessario  a  prescrivere  e'  compito
discrezionale  del  legislatore»,  anche  perche'  l'art. 25, secondo
comma,  Cost.  «non  garantisce  la retroattivita' delle disposizioni
piu'  favorevoli»  per  il reo - evidenzia come la Corte di giustizia
delle  Comunita'  europee  (nella  gia'  citata sentenza del 3 maggio
2005)  abbia  riconosciuto il principio dell'applicazione retroattiva
della   pena   piu'   mite   come   appartenente   alle   «tradizioni
costituzionali  comuni  degli  Stati  membri»,  e  dunque come «parte
integrante  dei  principi  generali  del  diritto  comunitario che il
giudice nazionale deve osservare»;
        che,  pertanto, appare «difficile negare» che il principio di
retroattivita'  della  disposizione  piu'  favorevole  «trovi  tutela
nell'art. 10 della Carta costituzionale»;
        che,  inoltre,  il  Tribunale  di  Bologna  evidenzia  che il
legislatore,  nello  scegliere  «il dies a quo per l'applicazione del
trattamento  piu'  favorevole», avrebbe dovuto compiere detta opzione
«ragionevolmente  e nella salvaguardia del principio di eguaglianza»,
e dunque secondo i canoni «sanciti dall'art. 3 della Costituzione»;
        che,   per  contro,  la  scelta  compiuta  con  la  censurata
disposizione  ha dato luogo, a seconda del maggiore o minore grado di
progressione   del   processo,   ad   «ingiustificate  e  irrazionali
disparita'  di  trattamento»,  e  cio'  «non  solo fra imputati dello
stesso  reato,  ma  anche  fra  coimputati e concorrenti nello stesso
reato»;
        che  lo  stato  di  avanzamento  del processo, e segnatamente
l'avvenuta  dichiarazione  di  apertura del dibattimento, diviene, in
base   alla   norma   de  qua,  la  (sola)  «ragione  che  giustifica
l'applicazione  di una pena che, dato il decorso del tempo necessario
a  prescrivere  e secondo la valutazione normativa gia' in vigore, e'
divenuta anacronistica e ingiustificata»;
        che  ipotizza, da ultimo, il rimettente «anche una violazione
del  principio  di ragionevole durata del processo», in quanto, se la
disciplina  della  prescrizione  del  reato e' diretta «ad offrire un
punto  di riferimento certo», quanto all'estinzione delle fattispecie
criminose,  «una  sua  diversificazione  tra  imputato e imputato che
tenga  conto  dell'andamento  del processo», seppure giustificata «in
nome  dell'interesse  alla  conservazione  del  processo»,  determina
«sperequazioni  incompatibili  con la situazione giuridica soggettiva
direttamente  protetta  dalla  norma  costituzionale» di cui all'art.
111, secondo comma, Cost;
        che  anche  il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere dubita -
in  riferimento  agli  artt.  3,  24 e 111 Cost. - della legittimita'
costituzionalita' dell'art. 10, comma 3, della legge n. 251 del 2005,
«nella  parte  in  cui non prevede che possa applicarsi la disciplina
contenuta nel testo legislativo richiamato anche ai processi in corso
di  celebrazione in primo grado, processi in cui sia stato dichiarato
aperto il dibattimento»;
        che il rimettente - preliminarmente dedotto che «il fatto per
cui  si procede (art. 479 c.p.)» sarebbe gia' estinto «per effetto di
intervenuta   prescrizione»,   ove   la  censurata  disposizione  non
individuasse  nell'avvenuto  espletamento dell'incombente ex art. 492
cod.  proc.  pen.  lo  «sbarramento» per applicare la nuova normativa
sulla   prescrizione   del   reato   -   contesta,  innanzitutto,  la
ragionevolezza della scelta compiuta dal legislatore;
        che  difatti, secondo il giudice a quo, sebbene la condizione
dei  soggetti imputati di un medesimo reato sia identica, trattandosi
«di  presunti  innocenti  in  attesa  di primo giudizio», gli stessi,
«nell'applicazione  della norma piu' favorevole sul piano del diritto
sostanziale», risultano assoggettati «senza ragione» ad un differente
regime,   conseguente   «all'accidente   processuale  di  mero  rito,
connesso, come esplicitato, alla formale apertura del dibattimento di
primo grado»;
        che alla denunciata violazione dell'art. 3 Cost. segue quella
dell'art.   111   della  Carta  fondamentale,  in  quanto  esso,  nel
costituzionalizzare   il   principio   del  giusto  processo,  «tende
innanzitutto, nel rispetto delle regole sostanziali e di rito, ad una
sentenza  giusta»,  e  cioe'  ad  un  risultato  che  puo'  ritenersi
raggiunto  «solo  quando la decisione di differenziare il trattamento
normativo si fondi su ragioni solide, logiche e razionali»;
        che  tale  evenienza,  pero',  deve  escludersi  nel  caso di
specie, giacche' la posizione degli imputati e' stata distinta «sulla
scorta di un accidente processuale, assolutamente casuale»;
        che,  con  quattro  ordinanze  (tre  delle quali di contenuto
sostanzialmente  identico),  il Tribunale di Perugia (sede centrale e
sezione  distaccata  di  Gubbio)  ipotizza il contrasto dell'art. 10,
comma 3, della legge n. 251 del 2005 con l'art. 3 Cost;
        che  in  particolare, quanto ai provvedimenti pronunciati dal
giudice  preposto  alla  sezione  distaccata di Gubbio (r.o. nn. 181,
182,  296  del  2006), il rimettente - premesso di dover giudicare di
reati  (quelli  previsti  e puniti, rispettivamente, dagli artt. 589,
591 e 643 cod. pen.) che sarebbero tutti estinti per prescrizione, se
l'applicazione  della  nuova  normativa,  introdotta  sul punto dalla
legge  n. 251  del 2005, non fosse preclusa, per ciascuno dei giudizi
dinanzi a lui pendenti, dalla gia' avvenuta dichiarazione di apertura
del  dibattimento  - lamenta l'irragionevolezza della scelta compiuta
dal legislatore;
        che,  sebbene l'art. 25, secondo comma, Cost. «non imponga la
retroattivita'   di   norme   penali   piu'   favorevoli,   ma  vieti
esclusivamente  la retroattivita' in malam partem», cio' non toglie -
osserva  il  rimettente  -  che  al  legislatore sia comunque vietato
«eludere il principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 Cost.»;
        che, viceversa, cio' e' quanto si sarebbe verificato nel caso
in  esame,  giacche'  la  norma  censurata  ha  fatto  «dipendere  la
retroattivita'  della  piu'  favorevole  disciplina  sopravvenuta  da
fattori   del  tutto  estrinseci,  estranei  cioe'  alla  logica  del
trattamento sanzionatorio, in quanto connessi, invece, all'evoluzione
del processo penale»;
        che   d'altra   parte,   in  senso  contrario,  non  potrebbe
sostenersi  - sempre secondo il rimettente - «che le norme in tema di
prescrizione  abbiano  natura  processuale e siano dunque soggette al
diverso  principio  tempus  regit  actum,  atteso che la prescrizione
costituisce certamente istituto di diritto sostanziale;
        che  anche il Tribunale di Perugia in composizione collegiale
(r.o. n. 462 del 2006) dubita della legittimita' costituzionale della
medesima  disposizione,  della quale ipotizza il contrasto sempre con
l'art. 3 della Carta fondamentale;
        che il rimettente - chiamato a giudicare di una pluralita' di
reati  -  deduce  che, in applicazione dell'art. 6 della legge n. 251
del  2005,  i  nuovi  termini  di prescrizione «sarebbero interamente
decorsi»  per talune delle fattispecie criminose oggetto del giudizio
a  quo, se l'applicazione del ius superveniens non fosse preclusa nei
procedimenti  di  primo  grado che hanno gia' raggiunto la fase della
dichiarazione di apertura del dibattimento;
        che,  cio'  dedotto  in  punto  di rilevanza della questione,
quanto alla sua non manifesta infondatezza, il rimettente muove dalla
constatazione   che   l'art.   25   Cost.  «vieta  esclusivamente  la
retroattivita'  in  malam  partem  delle  norme  penali», mentre «non
impone la retroattivita' delle norme piu' favorevoli»;
        che,   cio'   nondimeno,  il  legislatore,  nel  derogare  al
principio   del   favor  rei,  «non  puo'  eludere  il  principio  di
eguaglianza  sancito  dall'art.  3 Cost.», donde la necessita' che la
deroga abbia «una giustificazione razionale»;
        che  in  tale  prospettiva,  dunque, la norma censurata - nel
porre  limiti  all'applicabilita'  della  disciplina  sopravvenuta in
ordine  alla  prescrizione (attesa anche la sua natura di istituto di
diritto sostanziale) - avrebbe dovuto privilegiare «la considerazione
del  tipo  di  reato»,  e  non  invece «fattori del tutto estrinseci,
estranei  alla  logica del trattamento sanzionatorio», come ha invece
fatto,   scegliendo   di   far   dipendere   «la   esclusione   della
retroattivita'  della  norma piu' favorevole solo dall'evoluzione del
processo e dallo stadio in cui esso sia pervenuto ad una certa data»;
        che  la  violazione  dell'art.  3  Cost. da parte della norma
denunciata   e'   dedotta  anche  dal  Tribunale  di  Paola,  sezione
distaccata di Scalea;
        che    il   rimettente   premette   che   la   questione   di
costituzionalita'  dell'art. 10, comma 3, della legge n. 251 del 2005
-  censurato  sempre  nella  parte  in cui esclude, ratione temporis,
l'applicazione   della   nuova   piu'   favorevole  disciplina  sulla
prescrizione  del  reato alle fattispecie oggetto dei procedimenti di
primo  grado gia' pervenuti alla fase della dichiarazione di apertura
del  dibattimento  -  e'  rilevante nel giudizio a quo, atteso che il
citato  ius  superveniens  «fa  si  che  il reato di cui all'art. 372
cod.pen.  si prescriva nel termine massimo di sette anni e sei mesi»,
gia' interamente decorso;
        che  cio'  premesso,  il  giudice  a quo, nel rilevare come i
principi  «della  retroattivita'  delle legge piu' favorevole e della
irretroattivita'  della legge piu' sfavorevole» non si applichino «in
caso  di  leggi  eccezionali o temporanee», afferma, tuttavia, che la
legge  n. 251  del  2005  «non appare rientrante in nessuna delle due
categorie»;
        che   la   scelta   con   essa  compiuta  crea,  dunque,  una
ingiustificata disparita', «producendo un trattamento soggettivamente
diverso  tra  soggetti  "indagati"  e  soggetti  "imputati" ed ancora
peggio tra gli stessi "imputati" nel giudizio di primo grado, ponendo
come discrimine la dichiarazione di apertura del dibattimento»;
        che  la  violazione  degli  artt.  3,  25,  97  e  111  della
Costituzione e' ipotizzata, invece, dal Tribunale di Teramo;
        che  il  rimettente - previamente informata la Corte di dover
giudicare  della responsabilita' di 43 imputati, «rinviati a giudizio
per il reato di cui agli artt. 110, 112, 81 capoverso, 476 capoverso,
e  61,  n. 2,  codice  penale»  - rileva che, in forza del piu' volte
citato  ius  superveniens,  costituito dall'art. 6 della legge n. 251
del  2005, per «alcuni dei prevenuti» tutte le fattispecie delittuose
loro   contestate   «sarebbero  indubbiamente  gia'  prescritte»,  se
l'applicazione  del  nuovo  regime  sulla  prescrizione del reato non
fosse  preclusa  dalla  gia'  avvenuta  dichiarazione di apertura del
dibattimento;
        che  il  Tribunale  di Teramo - richiamato quell'orientamento
della  giurisprudenza  costituzionale,  secondo  cui  «l'applicazione
delle   disposizioni  penali  piu'  favorevoli  al  reo  puo'  subire
limitazioni  o  deroghe»,  purche'  «sancite  non  senza  una qualche
ragionevole  giustificazione  da parte del legislatore» - esclude che
tale evenienza sia ipotizzabile nel caso in esame;
        che  muovendo,  difatti,  dalla  constatazione  - confermata,
nuovamente,  nella  giurisprudenza  costituzionale  -  secondo cui la
prescrizione  del  reato  e'  il  risultato  di  una «valutazione del
disvalore   sociale   del   fatto»,   il  rimettente  rileva  che  il
legislatore,  modificando  il  termine  prescrizionale fissato per un
certo  tipo  di  reato,  mostrerebbe,  per  cio'  solo, di aver anche
«mutato il proprio interesse a perseguirne gli autori»;
        che  il  giudice  a quo, pertanto, assume che una «disciplina
differenziata  della  prescrizione  in relazione allo stesso identico
reato»  si  presenta  irragionevole, quando - come nella specie - non
risulti   ispirata  alla  necessita'  di  evitare  di  «applicare  la
normativa  piu'  favorevole  soltanto  ai  reati rispetto ai quali il
processo  era  gia'  concluso  in primo grado», giacche' solamente in
questo  caso «la pretesa punitiva della Stato» avrebbe raggiunto «una
fase  tale da giustificare (forse) la prosecuzione del giudizio nelle
fasi successive»;
        che,  viceversa,  l'opzione  compiuta  con la norma censurata
determina  «un'evidente  disparita'  di trattamento» tra soggetti, in
particolare  a  danno  di «coloro che, pur avendo commesso uno stesso
tipo   di   reato»,   abbiano   «scelto  il  rito  abbreviato»  («ove
notoriamente  non  vi e' apertura del dibattimento»), con conseguente
violazione degli artt. 3 e 25, secondo comma, Cost;
        che  di  riflesso,  secondo  il rimettente, risultano violati
anche  gli  artt.  97  e  111  della Carta fondamentale: «l'ulteriore
dispendio  di  risorse, in termini di mezzi e persone, per perseguire
il  reato  il  cui  disvalore  e' stato valutato in termini di minore
importanza  rispetto  al  passato»  incide  negativamente  «sul  buon
andamento della p.a.» e comporta, inoltre, «la irragionevole maggiore
durata del processo»;
        che  il Tribunale di Venezia, sezione distaccata di San Dona'
di Piave, censura il predetto art 10, comma 3, della legge n. 251 del
2005 in riferimento agli artt. 3 e «24» (recte: art. 25) Cost.;
        che,  dopo  aver  dedotto  che il delitto di cui all'art. 590
cod.  pen.,  oggetto  del  giudizio  principale,  dovrebbe  ritenersi
prescritto   se   l'operativita'   della   nuova   disciplina   sulla
prescrizione   del   reato   non   fosse   preclusa,   nella  specie,
dall'avvenuta   dichiarazione   di   apertura  del  dibattimento,  il
rimettente  ipotizza,  in  primo  luogo,  la  violazione dell'art. 24
(recte: art. 25) della Carta fondamentale;
        che,  difatti,  «la  norma sostanziale sulla prescrizione nel
caso  di  specie  e'  piu'  favorevole rispetto alla disciplina della
prescrizione  esistente  nel  momento  nel  quale  il  reato e' stato
commesso o si afferma sia stato commesso»;
        che, quanto poi al dedotto contrasto con l'art. 3 Cost., esso
e'  motivato in base all'assunto che la censurata disposizione «porta
a  trattare  in  maniera  diversa  situazioni  analoghe»,  e cio', in
special   modo,   nell'ambito   dei  «processi  con  piu'  imputati»,
segnatamente  quando  uno  di  essi  «acceda  avanti al G.u.p. a riti
alternativi   mentre  altri  preferiscano  la  via  del  dibattimento
ordinario»;
        che  il Tribunale di Frosinone, con due ordinanze (la seconda
adottata  dalla  sezione  distaccata  di  Alatri), censura l'art. 10,
comma  3, della legge n. 251 del 2005, sempre nella parte in cui esso
esclude  l'applicazione,  nei  procedimenti  di  primo  grado,  delle
disposizioni  di cui all'art. 6, non consentendo, in particolare, che
le stesse operino quando sia intervenuta la dichiarazione di apertura
del dibattimento;
        che,  con  il primo dei citati provvedimenti (r.o. n. 390 del
2006),  il  giudice a quo assume la violazione degli artt. 3 (sebbene
erroneamente  indicato  come art. 2 nel dispositivo), 27 e 111 Cost.,
deducendo  - quanto alla rilevanza della questione - che in forza del
ius  superveniens,  se  la  sua  applicazione  non fosse nella specie
preclusa  dal  gia' avvenuto espletamento dell'incombente ex art. 492
cod. proc. pen., i termini prescrizionali dei reati sottoposti al suo
vaglio,  tranne  che  per  un  imputato, sarebbero «irrimediabilmente
decorsi»;
        che,  cio'  premesso, il Tribunale rimettente, ribadita anche
la natura sostanziale dell'istituto della prescrizione, rileva che la
differente  disciplina, applicabile alle singole fattispecie di reato
per  effetto  della  norma censurata, «non corrisponde ad una opzione
processuale    riferibile    all'iniziativa   dell'imputato   quanto,
piuttosto,  ad  una  scelta  del legislatore», cui il primo non puo',
evidentemente,  «che  soggiacere»,  indipendentemente  «dalle  scelte
processuali compiute»;
        che  la  descritta evenienza rende il differente trattamento,
riservato  ai  singoli  imputati,  non  «sorretto  da  un criterio di
ragionevolezza»;
        che, pertanto, risulta «violato l'art. 3 della Costituzione»,
nonche'  l'art.  27 della Carta fondamentale, «sotto il profilo della
necessita'  che  il  complessivo trattamento sanzionatorio apprestato
dall'ordinamento  nei  confronti del reo sia coerente e proporzionale
rispetto al fatto di reato», ivi compreso «il tempo entro il quale lo
Stato ritenga di dover conservare memoria del fatto lesivo e, quindi,
perseguire penalmente il reo»;
        che, infine, il rimettente prospetta il contrasto della norma
censurata  anche  con  l'art. 111 Cost., atteso che «l'esigenza di un
processo   giusto»   richiede  «parita'  di  complessivo  trattamento
sanzionatorio  per  fattispecie  incriminatrici  dalle  pene edittali
invariate»,   mentre   la   necessita'   «di  assicurare  una  durata
ragionevole  del  processo  puo'  indubbiamente  confliggere  con  la
sopravvenienza   di   soluzioni  normative  eterogenee  in  grado  di
arrestare  o protrarre lo sviluppo del processo senza essere ancorate
ad elementi di natura oggettiva»;
        che,  con  la  seconda  ordinanza  di rimessione, pronunciata
dalla  sezione  distaccata  di  Alatri  del  medesimo Tribunale (r.o.
n. 395  del 2006), il giudice a quo censura l'art. 10, comma 3, della
legge n. 251 del 2005 in riferimento all'art. 3 Cost;
        che  -  dopo  aver  premesso che, nell'ipotesi in cui venisse
dichiarata  l'illegittimita'  della  norma  censurata, il delitto (di
ricettazione)    contestato   all'imputato   «dovrebbe   considerarsi
prescritto  per il decorso del termine massimo», come novellato dalla
stessa  legge  n. 251  del  2005  -  il  rimettente  ritiene  che  la
disposizione  in  esame  dia vita «ad un'ingiustificata disparita' di
trattamento  tra  soggetti  imputati  per  lo  stesso reato», sebbene
quest'ultimo  risulti  «di  eguale  gravita», attribuendo rilievo, ai
fini   della   prescrizione,   ad  «evenienze  processuali  meramente
occasionali»  e, inoltre, «indipendenti dalle stesse scelte difensive
delle parti»;
        che,  inoltre,  rientrando la prescrizione «nella valutazione
sociale  del  fatto  tipico  del  giudizio»,  da  cio' deriva che «un
diverso  trattamento  dell'istituto fra persone imputate degli stessi
fatti   commessi  nello  stesso  momento  potrebbe  essere  legittimo
soltanto   se   fondato   su   canoni  di  assoluta  razionalita'  ed
oggettivita'  e  non  invece, come nel caso di specie, su circostanze
eventuali  non  oggettive e spesso indipendenti dalla stessa volonta'
dell'imputato»;
        che, infine, anche il Tribunale di Monza evoca come parametro
il solo art. 3 Cost;
        che  il  giudice  a  quo  -  esposto  preliminarmente che, in
difetto  della norma censurata, «i reati ipotizzati a carico di tutti
gli  imputati»  sarebbero  estinti  «per  la  maturazione del termine
massimo  di  prescrizione  di anni 7 e mesi 6» - solleva questione di
legittimita'  dell'art.  10,  comma  3,  della legge n. 251 del 2005,
nella  parte  in  cui esclude, in relazione al processo nel quale sia
stato  dichiarato  aperto  il  dibattimento  alla  data di entrata in
vigore  della  medesima legge, l'operativita' del «termine massimo di
prescrizione,  come  piu'  favorevolmente  stabilito,  rispetto  alla
disciplina pregressa»;
        che   secondo   il   rimettente,  sebbene  la  giurisprudenza
costituzionale  abbia  stabilito  che il principio del favor rei puo'
essere  derogato  a  condizione  che  ricorra una «pertinente ragione
giustificativa»   (individuata  «nell'esigenza  di  salvaguardare  la
certezza  dei  rapporti  ormai  esauriti», e dunque «l'intangibilita'
delle   sentenze   divenute   irrevocabili»),   la   norma  censurata
attribuisce  rilievo ad una circostanza - l'avvenuta dichiarazione di
apertura  del  dibattimento  -  «che  non  ha  nulla a che vedere con
l'irrevocabilita' della sentenza»;
        che   trattandosi,  per  vero,  di  «un  momento  processuale
iniziale rispetto allo svolgimento del processo di primo grado», esso
risulta  «non  sintomatico  di apprezzabile avanzamento della pretesa
punitiva»,  come  conferma  la circostanza che lo stesso «e' privo di
qualsiasi  rilievo  nella  disciplina  (vecchia  e nuova) delle cause
interruttive della prescrizione»;
        che, pertanto, secondo il rimettente, «non appare ragionevole
una   differenziazione   dei  termini  massimi  di  prescrizione  per
fattispecie   criminose,   che   siano  identiche  sotto  il  profilo
sostanziale e diverse solo quanto all'avanzamento processuale»;
        che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura generale dello Stato, e' intervenuto in tutti
i giudizi, salvo che in quelli che traggono origine dai provvedimenti
di   rimessione   pronunciati   dai   Tribunali   di   Roma,  Bologna
(limitatamente  a  quello  di cui all'ordinanza r.o. n. 88 del 2006),
Perugia  (limitatamente  a quelli di cui alle ordinanze r.o. n. 181 e
182 del 2006) e Monza;
        che  la  difesa erariale sostiene che la questione sottoposta
all'esame    della    Corte,   non   comportando   alcuna   soluzione
costituzionalmente  «obbligata»  (ed,  anzi,  ammettendo una serie di
possibilita'  nell'individuazione  di  una  diversa  fase processuale
quale   discrimine   temporale   per   l'applicabilita'  della  nuova
disciplina   in  tema  di  prescrizione),  risulta  per  cio'  stesso
inammissibile;
        che in ogni caso - conclude l'Avvocatura generale dello Stato
-  la  questione  si  palesa  infondata,  posto che, per un verso, il
principio  della  retroattivita'  della  norma piu' favorevole al reo
«non  risponde ad un precetto costituzionale» e che, per altro verso,
la  scelta del legislatore pare comunque ispirata alla ragionevolezza
nell'individuazione  dell'apertura del dibattimento - vale a dire, il
segmento  del  processo  «legato  all'inizio  del  momento  del pieno
contraddittorio»,   ovvero  idoneo  ad  assicurare  il  rispetto  del
principio  di «non dispersione della prova» - quale momento rilevante
per l'applicazione delle nuove disposizioni;
        che  e'  intervenuto,  nel  giudizio  che  trae origine dalla
seconda   delle  ordinanze  di  rimessione  (r.o.  n. 167  del  2006)
pronunciate dal Tribunale di Bologna, uno degli imputati nel processo
pendente innanzi al predetto giudice a quo;
        che  l'interveniente  -  fatti propri i rilievi del Tribunale
rimettente in ordine alla illegittimita' costituzionale dell'art. 10,
comma 3, della legge n. 251 del 2005, e non senza richiamare le norme
di   diritto  comunitario  ed  internazionale  che  enuncerebbero  il
principio  della necessaria applicazione retroattiva della lex mitior
(in  particolare  l'art.  15 del Patto internazionale di New York del
1966  relativo ai diritti civili e politici e l'art. II-109, comma 1,
del Trattato costituzionale europeo) - sottolinea, in particolare, il
difetto di ragionevolezza della censurata disposizione;
        che,   difatti,   questa  -  nello  stabilire  un  discrimine
temporale per l'applicazione della nuova (piu' favorevole) disciplina
sulla  prescrizione  del  reato sulla base dell'avvenuta apertura del
dibattimento  -  «non  risulta  coerente  e conseguente rispetto alle
esigenze   e   agli   scopi   del   regime  transitorio  in  tema  di
prescrizione»;
        che,  ad  avviso  della parte privata, una scelta ragionevole
sarebbe  stata,  invece,  quella  di  correlare «l'irretroattivita' a
fatti    processuali   che   siano   indicativi   della   persistenza
dell'interesse  punitivo  dello  Stato»,  come,  ad esempio, gli atti
interruttivi  del  corso della prescrizione contemplati dall'art. 160
cod. pen;
        che  la  norma  censurata,  inoltre,  «e' irragionevole anche
rispetto  ad  un bilanciamento degli interessi processuali in gioco»,
dal  momento  che  non  tende  a salvaguardare «interessi processuali
meritevoli  di  protezione,  quali ad esempio la conservazione di una
sentenza ancorche' non definitiva».
    Considerato  che  i Tribunali di Roma, Chiavari, Genova, Bologna,
Santa Maria Capua Vetere, Perugia (sede centrale e sezione distaccata
di  Gubbio),  Paola  (sezione  distaccata di Scalea), Teramo, Venezia
(sezione  distaccata di San Dona' di Piave), Frosinone (sede centrale
e  sezione  distaccata  di  Alatri)  e Monza, hanno sollevato, con le
ordinanze   di   cui   in   epigrafe,   questioni   di   legittimita'
costituzionale - in riferimento, nel complesso, agli artt. 3, 10, 11,
24, 25, 27, 97, 111 e 117 della Costituzione - dell'art. 10, comma 3,
della  legge  5  dicembre  2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e
alla   legge  26  luglio  1975,  n. 354,  in  materia  di  attenuanti
generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze
di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione);
        che  tutti  i rimettenti censurano tale norma, nella parte in
cui prevede che l'applicazione delle piu' favorevoli disposizioni per
il  reo  in  ordine  al  termine di prescrizione del reato, contenute
nell'art.  6  della  medesima  legge  n. 251  del 2005, sia limitata,
quanto  ai  processi  di primo grado, unicamente a quelli per i quali
non «sia stata dichiarata l'apertura del dibattimento»;
        che,  data la connessione esistente tra i vari giudizi, se ne
impone la riunione ai fini di un'unica pronuncia;
        che,  successivamente  alle  ordinanze  di rimessione, questa
Corte,  chiamata  a  pronunciarsi  su  questione identica a quelle in
esame,  con  sentenza n. 393 del 2006, ha dichiarato l'illegittimita'
costituzionale  del predetto art. 10, comma 3, della legge n. 251 del
2005,  limitatamente alle parole «dei processi gia' pendenti in primo
grado ove vi sia stata la dichiarazione di apertura del dibattimento,
nonche»;
        che,  secondo  la  citata  sentenza,  la scelta «compiuta dal
legislatore - in relazione ai processi di primo grado gia' in corso -
di  subordinare l'efficacia, ratione temporis, della nuova disciplina
sui  termini di prescrizione dei reati (quando piu' favorevole per il
reo)  all'espletamento  dell'incombente  ex art. 492 cod. proc. pen.»
non si conforma «al canone della necessaria ragionevolezza»;
        che,  difatti,  tale  incombente processuale non e' idoneo «a
correlarsi  significativamente  ad  un istituto di carattere generale
come   la   prescrizione,   e  al  complesso  delle  ragioni  che  ne
costituiscono   il   fondamento»,   in   quanto   esso  «non  connota
indefettibilmente   tutti  i  processi  penali  di  primo  grado  (in
particolare  i riti alternativi - e, tra essi, il giudizio abbreviato
-  che  hanno  la  funzione  di "deflazionare" il dibattimento)», ne'
risulta  «incluso  tra  quelli  ai  quali  il legislatore attribuisce
rilevanza ai fini dell'interruzione del decorso della prescrizione ex
art.  160  cod. pen., il quale richiama una serie di atti, tra cui la
sentenza  di  condanna  e  il  decreto  di condanna, oltre altri atti
processuali anteriori»;
        che,  pertanto,  alla  luce  di  tale sopravvenuta decisione,
vanno  restituiti  gli  atti  ai  giudici  rimettenti, ai fini di una
rinnovata valutazione circa la rilevanza e non manifesta infondatezza
delle questioni dagli stessi sollevate.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riuniti i giudizi,
        ordina  la  restituzione  degli  atti  ai  Tribunali di Roma,
Chiavari,  Genova,  Bologna,  Santa Maria Capua Vetere, Perugia (sede
centrale  e  sezione distaccata di Gubbio), Paola (sezione distaccata
di  Scalea),  Teramo,  Venezia  (sezione  distaccata  di San Dona' di
Piave),  Frosinone  (sede  centrale e sezione distaccata di Alatri) e
Monza.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 marzo 2007.
                         Il Presidente: Bile
                       Il redattore: Quaranta
                      Il cancelliere:Fruscella
    Depositata in cancelleria il 16 marzo 2007.
                      Il cancelliere:Fruscella
07C0334