N. 126 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 marzo 2006

Ordinanza  emessa  il 17 marzo 2006 dalla Corte militare di appello -
Sezione  distaccata  in  Napoli  nel  procedimento penale a carico di
Camarda Vincenzo

Processo penale - Appello - Modifiche normative - Possibilita' per il
  pubblico  ministero  di  proporre  appello  contro  le  sentenze di
  proscioglimento, al di fuori dei casi di cui all'art. 593, comma 2,
  cod.  proc. pen. Mancata previsione - Inammissibilita' dell'appello
  proposto  prima  dell'entrata  in vigore della novella - Violazione
  del  principio  di  ragionevolezza  -  Ingiustificata disparita' di
  trattamento,  con  riferimento  ai  processi  nei quali il pubblico
  ministero  abbia  chiesto  l'ammissione  di  nuove prove decisive -
  Violazione   dei   principi   della   parita'   delle   parti   nel
  contraddittorio  e  della ragionevole durata del processo - Lesione
  del principio della obbligatorieta' dell'azione penale.
- Codice  di  procedura penale, art. 593, come sostituito dall'art. 1
  della legge 20 febbraio 2006, n. 46; legge 20 febbraio 2006, n. 46,
  art. 10, commi 1 e 2.
- Costituzione, artt. 3, 111 e 112.
(GU n.13 del 28-3-2007 )
                    LA CORTE MILITARE DI APPELLO

    Ha  pronunciato  in  pubblica  udienza  la seguente ordinanza nel
procedimento  penale  a carico di Camarda Vinvenzo, nato a Palermo il
27   febbraio   1982,   domiciliato  presso  il  difensore  ai  sensi
dell'art. 161    c.p.p.    -    Carabiniere    ausiliare   -   difeso
dall'avv. Manfredi  Carriglio,  del  Foro  di  Palermo, con studio in
Palermo, via Sammartino n. 115, difensore di fiducia.

                     F a t t o  e  d i r i t t o

    Con sentenza n. 58 in data 9 giugno 2005 il Tribunale militare di
Palermo  assolveva  Camarda  Vincenzo  dai  reati di violata consegna
aggravata   (art.   47   n. 2   e  120,  commi  1  e  2  c.p.m.p.)  e
insubordinazione  con ingiuria aggravata (artt. 189, comma 2, 47 n. 2
c.p.m.p.) perche' il fatto non sussiste.
    Avverso  la  predetta  decisione  proponeva  appello  il pubblico
ministero.
    All'odierna  udienza  dibattimentale le parti hanno concordemente
richiesto  che  il  gravame, ai sensi di quanto disposto dall'art. 10
della  legge  20  febbraio 2006, n. 46, sia immediatamente dichiarato
inammissibile.
    La  Corte,  tuttavia,  ritiene  di  dover  sollevare d'ufficio la
questione di legittimita' costituzionale degli artt. 593 c.p.p., come
sostituito  dall'art.  1  della  legge 20 febbraio 2006, n. 46, nella
parte  in cui non prevede per il p.m. la possibilita' di appellare le
sentenze  di  proscioglimento  al di fuori dei casi di cui al comma 2
dello  stesso  art.  593  c.p.p.,  nonche' dell'art. 10, commi 1 e 2,
della  legge  suindicata,  per  contrasto  con gli artt. 3, 111 e 112
della Costituzione.
    Preliminarmente  va  osservato  che  nella  specie  si  deve fare
applicazione   del  disposto  del  menzionato  art.  10  della  legge
n. 46/2006,  il quale, definendo il regime transitorio, stabilisce al
comma  2 che si debba pronunciare ordinanza di inammissibilita' delle
impugnazioni  proposte  prima  dell'entrata  in  vigore  della  nuova
normativa avverso sentenze di proscioglimento.
    In  ragione di cio' la questione circa la costituzionalita' della
nuova   disposizione  appare  certamente  rilevante,  dovendo  questo
giudice   fare   concreta  applicazione  della  stessa  nel  presente
processo,  in  presenza  di  una impugnazione che, alla stregua della
precedente normativa, sarebbe stata pacificamente ammissibile.
    A  tal  riguardo  va  sottolineato che la proposizione ex officio
della  questione  trova  la sua origine anche nelle vicende che hanno
connotato  l'iter di approvazione della legge medesima, che ha visto,
come e' noto, il rinvio del testo alle Camere da parte del Presidente
della  Repubblica  motivato  dalla  rilevazione di plurimi profili di
manifesto  contrasto  con la Carta costituzionale. Successivamente il
testo  ha  subito  delle  modifiche  che,  ad avviso della Corte, non
appaiono   tali   da  far  ritenere  del  tutto  fugati  i  dubbi  di
costituzionalita' gia' prospettati.
    Ad  avviso  della  Corte la nuova norma sui limiti oggettivi alla
impugnabilita'  delle sentenze di proscioglimento appare in contrasto
con piu' disposizioni della Carta costituzionale.
    In  primo  luogo  i  rilievi  si  incentrano  ul1a violazione del
principio  di cui al comma 1 dell'art. 3 della Costituzione, relativo
al principio di eguaglianza, che costituisce parametro di riferimento
indubbiamente essenziale ai fini della valutazione della legittimita'
costituzionale  del  suddetto art. 593 c.p.p., sotto il profilo della
ragionevolezza,     che,     secondo    consolidata    giurisprudenza
costituzionale,  costituisce uno dei limiti alla discrezionalita' del
Legislatore.
    Nel  caso di secie tale ragionevolezza risulta compromessa per la
determinante   ragione  che  si  impedisce  al  rappresentante  della
pubblica  accusa  di  dare,  nell'ambito  della sequenza processuale,
concreta  attuazione  al  principio  dell'obbligatorieta' dell'azione
penale,  in  tal  modo  non consentendogli di fornire il suo doveroso
contributo all'accertamento dei reati.
    In  proposito non si puo' fare a meno di notare, peraltro, che il
sistema processuale risultante dalla novella determina la paradossale
situazione  per  la  quale  da un lato si impone al p.m. di ricercare
prove  anche  a  favore dell'imputato, dall'altro gli si impedisce di
concretizzare  la  pretesa  punitiva statuale attraverso l'appello di
merito su pronunce assolutorie.
    Ne',  ad  avviso  della Corte, il permanere della possibilita' di
appellare tali tipi di pronunce, in presenza di nuova prova decisiva,
fuga i dubbi di costituzionalita' sotto il profilo che ci occupa, sia
in  considerazione della residualita' dell'ipotesi, sia, soprattutto,
perche'  non  consente  un  ulteriore vaglio nel merito del compendio
probatorio  gia'  acquisito, ove il p.m. lo ritenga non adeguatamente
valutato  dal primo giudice. Invero, se scopo essenziale del processo
e' l'accertamento della verita', non e' assolutamente ragionevole che
cio'  sia  perseguito  soltanto su istanza e nella prospettiva di una
delle parti.
    Infine,  il  nuovo  sistema  appare ulteriormente irragionevole e
sbilanciato  in  quanto,  pur  doverosamente conservando per la parte
civile   la   possibilita'   di   appello   avverso  le  sentenze  di
proscioglimento,   nel  contempo  la  priva  della  possibilita'  del
sostegno   della   parte   pubblica   nell'accertamento  dei  profili
civilistici  di  responsabilita' che, comunque, originano da condotte
penalmente rilevanti.
    Ulteriore aspetto e' quello afferente al contrasto con il comma 2
dell'art.  111  (introdotto  ex  art. 1 della legge costituzionale 23
novembre  1999,  n. 2),  che stabilisce il principio della necessaria
condizione  di  parita' delle parti nel contraddittorio processuale e
della ragionevole durata del processo.
    Sotto  il  primo  profilo la garanzia della parita' di condizioni
non  puo' non riguardare anche gli strumenti di impulso funzionali al
raggiungimento  degli  scopi che un sistema processuale adeguatamente
informato  ai  principi  costituzionali  deve  garantire, che, per la
parte  pubblica,  sono  quelli dell'attuazione della pretesa punitiva
dello  Stato  a  tutela  dei  primari  interessi della collettivita'.
Invero,  il  p.m.  ha  ora  a  disposizione soltanto lo strumento del
ricorso  per cassazione, che, per sua natura e nonostante i marginali
correttivi  introdotti  con la modifica dell'art. 606 c.p.p. comma 1,
lett.  e), non appare comunque idoneo a garantire il completo riesame
nel  merito delle risultanze processuali. Cio' in quanto gli consente
soltanto  di dedurre vizi del provvedimento circoscritti e tassativi,
impedendo  il vaglio della totalita' delle ragioni che sono alla base
della sentenza di proscioglimento.
    Occorre considerare, poi, i negativi effetti del nuovo regime sui
tempi   di  definizione  dei  processi,  che  palesano  un  manifesto
contrasto   con  il  dettato  dell'art.  111  della  Costituzione  in
relazione  alla  ragionevolezza della loro durata. Infatti, la natura
esclusivamente  rescindente  del  giudizio di cassazione comporta, in
caso  di accoglimento del ricorso, la inevitabile regressione di fase
al  primo  giudice,  con un evidente e significativo allungamento dei
tempi  del processo rispetto al previgente sistema che consentiva una
immediata decisione nel merito all'esito del proposto gravame.
    Ne   deriva,   di   conseguenza,   il  ragionevole  dubbio  sulla
costituzionalita'  della  nuova  disciplina,  dato che, come posto in
rilievo  dalla Corte costituzionale, compromettono il principio della
ragionevole  durata  del  processo  «...  le  norme  procedurali  che
comportino  una  dilatazione  dei  tempi del processo non sorrette da
alcuna  logica  esistenza,  non  essendo  in altro modo definibile la
durata   ragionevole   del   processo   se   non  in  funzione  della
ragionevolezza  degli  adempimenti  che  ne scandiscono il corso e ne
determinano i tempi» (sentenza n. 148 del 4 - 12 aprile 2005).
    Infine,    ritiene    la    Corte   che   sussistano   dubbi   di
costituzionalita'   della   normativa   di  cui  trattasi  anche  con
riferimento  al  principio dell'obbligatorieta' dell'azione penale di
cui all'art. 112 della Costituzione.
    Non puo' negarsi, infatti, che il potere di impugnazione del p.m.
costituisca una delle espressioni di tale principio, sicche' non puo'
ammettersi  che  la  normativa  ordinaria  vanifichi  il  complessivo
assolvimento  delle funzioni di accusa (Sentenze Corte costituzionale
n. 177/1971 e 98/1994).
    Da ultimo va evidenziata una irragionevolezza interna della nuova
disciplina,  con  riferimento  al regime transitorio. Infatti, non si
puo'    non    sottolineare    che    l'immediata   declaratoria   di
inammissibilita'  dell'impugnazione  anche  nei giudizi di appello in
corso   imposta   dall'art.   10  della  legge  n. 46/2006  determina
un'ingiustificata   disparita'  di  trattamento  con  riferimento  ai
processi  nei  quali  il  p.m. abbia chiesto (e, magari gia' ottenuto
durante  il  giudizio  di appello non concluso) l'ammissione di nuove
prove  decisive,  circostanza  che nel nuovo assetto consentirebbe di
coltivare    l'impugnazione    di    merito   avverso   sentenze   di
proscioglimento.
                              P. Q. M.
    Visti gli artt. 134 della Costituzione, 1, legge costituzionale 9
febbraio 1948, n. 1, 23 e ss. legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  593  c.p.p., come sostituito
dall'art.  1  della legge 20 febbraio 2006, n. 46, nella parte in cui
non prevede per il pubblico ministero la possibilita' di appellare le
sentenze  di  proscioglimento  al di fuori dei casi di cui al comma 2
dello  stesso  art.  593  c.p.p.,  nonche' dell'art. 10, commi 1 e 2,
della  legge  suindicata,  per  contrasto  con gli artt. 3, 111 e 112
della Costituzione;
    Dispone  la  sospensione  del  presente  processo  e  l'immediata
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Dispone  altresi'  che  la presente ordinanza sia notificata alle
parti  ed  al  Presidente  del Consiglio dei ministri e comunicata ai
Presidenti delle due Camere del Parlamento.
        Napoli, addi' 16 marzo 2006
                  Il Presidente estensore: Molinari
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