N. 140 ORDINANZA (Atto di promovimento) 4 luglio 2006

Ordinanza  emessa il 4 luglio 2006 dalla Corte di appello di Roma nel
procedimento penale a carico di Monti Adriano ed altri

Processo  penale  -  Appello - Modifiche normative - Inappellabilita'
  delle  sentenze  di  non  luogo  a  procedere da parte del pubblico
  ministero   -  Inammissibilita',  con  ordinanza  non  impugnabile,
  dell'appello  proposto prima dell'entrata in vigore della novella -
  Contrasto  con  il  principio  di  ragionevolezza  - Violazione del
  principio della ragionevole durata del processo.
- Legge 20 febbraio 2006, n. 46, artt. 4 e 11 (recte: 10).
- Costituzione, artt. 3 e 111.
(GU n.13 del 28-3-2007 )
                         LA CORTE DI APPELLO

    Ha emesso la seguente ordinanza nei confronti di:
        1) Monti Adriano, nato a Roma il 30 ottobre 1958;
        2) Palmieri Angelo, nato a Formia l'8 settembre 1952;
        3) Rancini Alberto, nato a Tuscania il 30 giugno 1959;
        4) Vieri Mario, nato a Mogadiscio il 1° luglio 1954;
        5) Rufa Stefan, nato a Durazzo il 13 gennaio 1967;
                              Imputati
    Rancini Alberto - Monti Adriano - Vieri Mario:
        A) delitto p. e p. dagli artt. 110, 81, 117, 323 c.p. perche'
in concorso tra loro, gli indagati Monti, Marini, e Vieri in qualita'
di   concorrenti  nel  reato  proprio  in  qualita'  di  impiegati  e
funzionari  della Cancelleria consolare italiana a Tirana, il Rancini
in  qualita'  di  concorrente extraneus, anche in tempi diversi ed in
esecuzione  del  medesimo  disegno criminoso, con violazione di norme
regolamentari (circolare del Ministero degli affari esteri nn. 2/91 e
8/97  -  c.d. circolare «Shengen» - e telegramma riservato del MAE in
data  15  dicembre  1998),  intenzionalmente conseguivano (o facevano
quantomeno  conseguire  al  Rancini  Alberto)  un  ingiusto  profitto
patrimoniale   (costituito   dalla  somma  indebita  corrisposta  dai
richiedenti   al  Rancini),  cagionando  contestualmente  allo  Stato
Italiano  un  danno  gravissimo  in  termini  di programmazione della
politica di gestione dei flussi migratori dall'Albania.
    Piu'  in  particolare,  iniziavano e continuavano ad accettare le
garanzie  fornite  dal  Rancini  e  delle  sue  societa' in favore di
cittadini  albanesi  richiedenti  visto affari (vedi capi B) e C) che
seguono), senza che i richiedenti fossero personalmente identificati,
senza  che  essi certificassero la loro qualifica di dipendenti delle
aziende del Rancini ne' fossero inclusi nell'elenco dei dipendenti di
dette aziende, senza che dei richiedenti fosse consentita all'Ufficio
commerciale dell'Ambasciata d'Italia a Tirana l'intervista personale,
senza  verificare  la  sussistenza  di  precedenti  penali in capo al
Rancini,  nella  sua  qualita'  di  garante  e  comunque,  senza  che
ricorressero  gli  altri  presupposti per il rilascio. Il tutto senza
che  l'azienda  di  Rancini  Alberto  fosse inclusa nell'elenco delle
aziende  «favorevolmente  note»  da  redigersi  (teoricamente, ma mai
realizzato  in  assenza di imprese giudicate affidabili) e custodirsi
presso  l'Ufficio commerciale dell'Ambasciata, inclusione che avrebbe
consentito  una  limitazione  agli  obblighi  di controllo in ragione
della comprovata affidabilita' dell'azienda.
    Reato  commesso  presso  l'Ambasciata  d'Italia a Tirana dal 1994
sino al maggio 1999.
    Monti Adriano - Vieri Mario:
        D) del delitto p. e p. dagli art. 110 e 81 c.p., 12 commi 1 e
3  d.lgs. n. 286 del 25 luglio 1998 (gia' art. 10 della legge 6 marzo
1998  n. 40,  poi  confluito  senza  modificazioni  nel testo unico),
perche' al fine di profitto, in concorso tra loro e con altre persone
allo  stato non identificate e comunque in numero non inferiore a tre
persone,  con  l'abuso  delle qualifiche ut supra, compivano anche in
tempi  diversi  ed  in  esecuzione del medesimo disegno criminoso, in
violazione  delle  disposizioni  di  cui  alla  legge  predetta e con
modalita'  indicate  al  capo  che  precede  ed a quelli che seguono,
attivita' diretta a favorire l'ingresso nel territorio dello Stato di
centinaia  di  cittadini  albanesi,  non  in  possesso  dei  relativi
requisiti.
    Con l'aggravante dell'utilizzo di documenti contraffatti.
    Reato  commesso  presso l'Ambasciata d'Italia a Tirana dalla data
di  entrata  in vigore dalla legge n. 40/1998 (21 marzo 1998) sino al
giugno 1999.
    Monti Adriano:
        E)  del  delitto p. e p. dall'art. 479 c.p. per avere in data
18  maggio  1999,  a margine di ordine di servizio a propria firma di
opposto  tenore  datato 15 maggio 1999 («sentito il competente Centro
visti  del  Ministero  degli  affari  esteri  si  informa  che per le
richieste  di  visto  a  favore  di cittadini albanesi verso le quali
l'azienda  italo-albanese si pone come intermediario non e' possibile
accettare  la  dichiarazione  di  garanzia  in sostituzione del visto
dall'Italia. In particolare, e' necessario l'invito dall'Italia, come
previsto in generale per il «visto affari», peraltro riproduttivo del
contenuto  del  precedente o.s. datato 27 aprile 1999, prot. 8623- v.
reperto  132  sequestrato  a  Marini Orietta), annotato a penna per i
dipendenti   dell'Ufficio   consolare   il   seguente   provvedimento
amministrativo,   ideologicamente   falso   in   quanto   attribuito,
contrariamente    al   vero,   a   disposizioni   verbali   impartite
dall'Ambasciatore     Marcello     Spatafora:    «per    disposizione
dell'Ambasciatore  si  proceda come in passato accettando la garanzia
dell'imprenditore    invece    dell'invito    dall'Italia»,   laddove
l'ambasciatore  ignorava  il  tenore  della  modifica  vergata a mano
sull'ordine  di  servizio  ed  il Ministero degli affari esteri aveva
impartito  disposizioni  di ordine contrario e cio' all'evidente fine
di agevolare la commissione da parte propria e degli altri correi dei
reati di cui al capo D) che precede e F) che segue.
    Reato  commesso  alla  data  sopra  indicata  presso l'Ambasciata
d'Italia a Tirana.
    Monti Adriano:
        E-bis)  del  delitto  p.  e p. dall'art. 323 c.p. perche' con
violazione  di  legge  e  regolamento,  abusando  della  qualifica di
responsabile  della  Cancelleria consolare dell'ambasciata d'Italia a
Tirana,  intenzionalmente  conseguiva (o faceva quantomeno conseguire
al  Rancini  Alberto)  un  ingiusto profitto patrimoniale, cagionando
contestualmente allo Stato Italiano un danno gravissimo in termini di
programmazione  della  politica  di  gestione  dei  flussi  migratori
dall'Albania.
    Piu'  in  particolare, dopo la commissione del reato che precede,
nella  corrispondenza  con l'Ambasciata, e segnatamente con l'ufficio
commerciale  (vedi  nota  del  10  giugno  1999  indirizzata al cons.
Azzarello,  da  questi  annotata  a  margine  in  pari  data e quindi
glossata  in  epigrafe  dallo  stesso  Monti in data 12 giugno 1999),
nell'assicurare  ottemperanza  alle indicazioni ministeriali, emanate
al  solo  fine  di  assicurare  la  conformita'  della condotta della
Cancelleria   consolare  italiana  di  Tirana  all'assetto  normativo
descritto  al  capo  A)  (come del resto espressamente indicato dallo
stesso  Monti  nella  nota  di  cui  al  capo  che  precede),  faceva
riferimento  alla  necessita'  di  rispetto  del  predetto  ordine di
servizio   a   propria   firma  in  data  15  maggio  1999,  giocando
sull'equivoco   del  tenore  letterale  di  quest'ultimo,  che  nella
versione    dattiloscritta    conosciuta    agli   interlocutori   (e
all'Ambasciatore  Spatafora) escludeva la possibilita' di concessione
di  garanzie  da  parte  degli imprenditori italo-albanesi, mentre in
quella  in  possesso  dei  funzionari della cancelleria consolare (ed
inserita  in  copia  delle pratiche relative al rilascio dei visti in
favore    di   soggetti   sponsorizzati   dal   Rancini),   conteneva
l'indicazione  -  di  segno  opposto  - di continuare ad accettare la
garanzia dell'intermediario italo-albanese.
    Reato  commesso  presso  l'Ambasciata  d'Italia  a Tirana in data
10/12 giugno 1999.
    Monti Adriano - Vieri Mario:
        F) del delitto p. e p. dagli art. 110 e 81 c.p., 12 commi 1 e
3  d.lgs.  n. 286 del 25 luglio 1998, perche' al fine di profitto, in
concorso  tra  loro e con altre persone allo stato non identificate e
comunque  in  numero non inferiore a tre persone, il Rancini Alberto,
il Monti Adriano, la Marini Orietta (sino alla data di collocamento a
riposo,  30  ottobre  1999)  e  il  Vieri  Mario  con  l'abuso  delle
qualifiche  ut  supra,  il  Rancini  Francesco  in qualita' di legale
rappresentante  dell'impresa  individuale  omonima compivano anche in
tempi  diversi  ed  in  esecuzione del medesimo disegno criminoso, in
violazione  delle  disposizioni  di  cui  alla  legge  predetta e con
modalita'  indicate  al  capo  che  precede  ed a quelli che seguono,
attivita' diretta a favorire l'ingresso nel territorio dello Stato di
centinaia  di  cittadini  albanesi,  non  in  possesso  dei  relativi
requisiti.
    Piu'  in particolare, dopo che il Ministero degli affari esteri -
in  risposta  alla  nota  18  maggio  1999 (stessa data dell'aggiunta
manoscritta di cui al capo D) indirizzata dall'Ambasciatore Spatafora
(ma  vergata dallo stesso Monti) al MAE e successiva nota indirizzata
dall'Ambasciatore  al  Direttore  generale degli affari economici del
MAE,  Amb. Federico di Roberto - in data 16 giugno 1999 (nota a firma
dell'Amb.  Di  Roberto  n. 072/865  indirizzata  all'Amb.  Spatafora)
ribadiva   formalmente  la  possibilita'  di  accettare  la  garanzia
dell'imprenditore  italo-albanese  in  luogo  dell'invito da parte di
azienda  italiana,  il Rancini iniziava a produrre richieste di visti
per  motivi  di  affari  nei confronti di sedicenti dipendenti dietro
invito  fittizio  dall'Italia  da parte dei due predetti imprenditori
(risultano  in  atti  n...... richieste di visto inoltrate con invito
del  Leoni  Edoardo  e n. 40 richieste di visto con invito di Rancini
Francesco,  tutte  e  23  datate  17  agosto  1999),  con conseguente
elusione della vigente normativa.
    Con l'aggravante dell'utilizzo di documenti contraffatti, essendo
l'invito  a  firma  del  Leoni Edoardo redatto a firma apocrifa dello
stesso, all'oscuro di detto espediente.
    Reato  commesso presso l'Ambasciata d'Italia a Tirana dall'agosto
sino al novembre 1999.
    Monti Adriano:
        G)  del  delitto  p.  e  p.  dagli  artt.  323  e  361  - con
riferimento all'art. 81 cpv. - c.p. perche' anche in tempi diversi ed
in esecuzione del medesimo disegno criminoso, con violazione di norme
regolamentari  e  segnatamente  del  d.P.R.  5 gennaio  1967, n. 200,
art. 52, con l'abuso della sua qualifica di Autorita' consolare della
Rappresentanza  diplomatica italiana a Tirana (quindi di Ufficiale di
Polizia  Giudiziaria),  al  fine di conseguire o di far conseguire al
Rancini  Alberto  un  ingiusto  profitto  patrimoniale,  ometteva  di
informare  le competenti Autorita' nazionali di reati che risultavano
commessi   dal   predetto  Rancini,  meglio  descritti  ai  capi  che
precedono, omettendo altresi' di portare a conoscenza degli agenti ed
ispettori  della  Polizia  di Stato in servizio presso la cancelleria
consolare,  dell'Ambasciatore  Spatafora,  del Ministero degli affari
esteri   e   dell'Autorita'   giudiziaria   italiana,   le   numerose
segnalazioni  provenienti da questure e commissariati di P.S. (Imola,
Bressanone, lo stesso Ministero dell'interno con nota 22 giugno 1999,
ecc.)  relative  alla presenza clandestina sul territorio italiano di
cittadini albanesi entrati grazie a visti sponsorizzati dal Rancini.
    Reati commessi presso l'Ambasciata d'Italia a Tirana sino a tutto
il 1999.
    Palmieri Angelo:
        I) delitto p. e p. dagli art. 110, 81 468 c.p., perche' anche
in  tempi  diversi  ed  in esecuzione del medesimo disegno criminoso,
contraffacevano  il  sigillo  notarile  del  notaio  D'Alessandro  di
Viterbo  (contraffatto  in  «Notaio in Frosinone») ovvero, non avendo
concorso   nella   contraffazione,  di  detto  sigillo  facevano  uso
consapevoli  della  sua  non genuinita', apponendolo su atti relativi
all'invito  di cittadini albanesi in Italia prodotti in Consolato nel
febbraio  1997  per  conto della ditta «Caperna Confezioni di Caperna
Anna  e  Milena  .......... s.n.c. .........., nattiva in realta' dal
1984.
    Reato commesso presso la Cancelleria consolare italiana in Tirana
nel febbraio 1997.
    Vieri Mario:
        L)  del  delitto  p.  e  p.  dall'art. 12, commi 1 e 3 d.lgs.
n. 286  del  25  luglio 1998, 110 c.p. perche', in concorso tra loro,
compivano  attivita'  diretta  a  favorire  l'ingresso nel territorio
dello  Stato  di  cittadini  Albanesi  non  in  possesso dei relativi
requisiti,  simulando  il  primo  l'esistenza  e l'operativita' della
ditta  Italo-Albanese sponsorizzante i richiedenti visto (Euroservice
di  Durazzo),  risultata  poi  da  successivi  controlli trasferita e
inattiva,  e  rilasciando la seconda il visto d'ingresso per l'Italia
nonostante     l'esplicito     invito     dell'Ufficio    Commerciale
dell'Ambasciata  di  tenere  sospesa  la  pratica  sino all'esito dei
controlli in corso.
    Con l'aggravante dell'utilizzo di documenti contraffatti.
    Reato commesso presso l'Ambasciata d'italia a Tirana nel 1999.

                     F a t t o  e  d i r i t t o

    Con  sentenza  emessa il 30 giugno 2004 e depositata il 26 luglio
2004  il G.u.p. presso il Tribunale di Frosinone dichiarava non luogo
a procedere nei confronti:
        Rancini  Alberto,  Monti  Adriano e Vieri Mario, in ordine al
reato ascritto al capo A), perche' il fatto non sussiste;
        Monti Adriano e Vieri Mario, in ordine al reato loro ascritto
al capo D), perche' il fatto non costituisce reato;
        Monti  Adriano, in ordine ai reati a lui ascritti ai capi E),
E-bis), G), perche' il fatto non sussiste;
        Monti Adriano e Vieri Mario, in ordine al reato loro ascritto
al capo F), perche' il fatto non costituisce reato;
        Palmieri Angelo, in ordine a lui ascritto al capo I), per non
aver commesso il fatto;
        Vieri  Mario,  in  ordine al reato a lui ascritto al capo L),
perche' il fatto non costituisce reato.
    La  sentenza  del  g.u.p. veniva impugnata dal p.m. che rilevando
esservi  negli  atti  processuali  sufficienti elementi per procedere
alla verifica dibattimentale, chiedeva che venisse disposto il rinvio
a giudizio degli imputati.
    In  pendenza  dell'appello,  in  data  9 marzo 2006 e' entrata in
vigore   la  legge  n. 46/2006  che  dispone  all'art. 11  che  venga
dichiarata  l'inammissibilita'  dell'appello  proposto dal p.m. prima
dell'entrata in vigore di essa legge.
    All'Ufficio  del  p.m.  e'  data (art. 4) la facolta' di proporre
ricorso per Cassazione contro la sentenza di non luogo a procedere.
    Ritiene la corte che l'eccezione di incostituzionalita' sollevata
dal  p.g., e richiamata in epigrafe, non sia manifestamente infondata
nei termini qui di seguito esposti.
    E  invero  l'inappellabilita', anche per i procedimenti in corso,
delle  sentenze di non luogo a procedere, come previsto dal combinato
disposto degli artt. 4 e 11 della legge n. 46/2006 contrasta:
        con  il  principio  della ragionevole durata e speditezza del
procedimento   (sancito   dall'art. 11   Cost.)   in   quanto  potra'
verificarsi  una  regressione  dello  stesso  alla  fase dell'udienza
preliminare  -  a seguito di annullamento della Corte di cassazione -
con una inevitabile dilatazione dei tempi di definizione del processo
anche   per   l'inevitabile  aggravio  di  lavoro  che  ne  derivera'
soprattutto  per  la  medesima  Corte di cassazione data l'estensione
della sua competenza sul merito;
        con  il  principio  della  ragionevolezza (desumo dall'art. 3
della  Cost.),  perche'  la  riforma  non  appare giustificata ne' da
esigenze  connesse alla corretta amministrazione della giustizia, ne'
da  concreti,  benefici  effetti  giuridici, e vanifica, inoltre, gli
appelli  gia' proposti, mentre il giudizio di secondo grado di merito
garantiva  un opportuno controllo da parte del giudice collegiale sui
possibili  errori,  anche  di  fatto,  delle  sentenze, numericamente
prevalenti, del giudice monocratico.
    Non  ritiene  invece  la  corte  ravvisare  un  contrasto  con il
principio dell'esercizio obbligatorio dell'azione penale (ex art. 112
Cost.)  che, secondo il p.g., considerato questo nella sua interezza,
si  esplicherebbe nel corso di entrambi i gradi di giudizio di merito
mentre   la   legge  n. 46/2006  lo  viene  a  eludere  senza  valida
giustificazione,  posto  che  la  Corte  costituzionale ha piu' volte
ribadito  che «il potere di impugnazione del p.m. non costituisce una
estrinsecazione dei poteri inerenti all'esercizio dell'azione penale»
(vedesi ordinanze nn. 247 del 2002 e 165 del 2003).
    Conclusivamente la rilevanza, nel caso di specie, della questione
di  legittimita'  sollevata - che non appare manifestamente infondata
nei  termini  sopra  indicati  -  deriva  dalla  circostanza  che  in
applicazione  della  nuova  normativa,  la  Corte di appello dovrebbe
senz'altro     dichiarare,    con    ordinanza    non    impugnabile,
l'inammissibilita'  dell'appello proposto dal p.m. contro la sentenza
di non luogo a procedere pronunciata dal g.u.p., mentre, ove la Corte
costituzionale    ritenesse    fondata   tale   questione,   verrebbe
ripristinata   la   situazione   precedente   e   cioe'  la  pendenza
dell'appello del p.m. nel processo in esame.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 123 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  degli  artt. 4  e  11  della  legge  20
febbraio   2006,  n. 46,  in  riferimento  agli  artt. 3,  111  della
Costituzione;
    Sospende   il   presente   procedimento,  e  dispone  l'immediata
trasmissione  degli  atti  alla  Corte  costituzionale  a  cura della
cancelleria  che  provvedera'  parimenti alla notifica della presente
ordinanza  agli  imputati,  al  p.m.,  alle  parti  civili, nonche' a
comunicarla  al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Presidenti
della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
        Cosi' deciso in Roma, l'8 giugno 2006.
                        Il Presidente: Gueli
                 Il consigliere estensore: D'Onghia
07C0353