N. 145 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 marzo 2006
Ordinanza emessa il 14 marzo 2006 dal tribunale di Pinerolo nel procedimento penale a carico di Serban Ovidiu Nicolae Processo penale - Imputato a cui e' stato notificato il decreto di citazione a giudizio previa emissione del decreto di irreperibilita' - Sospensione obbligatoria del processo - Mancata previsione - Lesione del principio del contraddittorio in senso oggettivo e soggettivo - Lesione del diritto dell'imputato alla conoscenza dell'accusa a suo carico e del diritto di disporre del tempo e delle condizioni necessarie per preparare la sua difesa - Contrasto con le norme di diritto internazionale in materia - Violazione del principio di buon andamento dell'amministrazione della giustizia - Contrasto con il principio di ragionevolezza. - Codice di procedura penale, artt. 159, 160, 420-quater, comma 1, e 484. - Costituzione artt. 3, 10, primo comma, 97, primo comma, e 111, comma secondo, terzo e quarto; Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, art. 6, comma terzo, lett. a) e b).(GU n.13 del 28-3-2007 )
IL TRIBUNALE Letti gli atti del processo indicato in epigrafe nei confronti di S.O.N. dichiarato irreperibile con decreto 12 ottobre 2005 del pubblico ministero - libero irreperibile - difesa d'ufficio dall'avv. A.L. del Foro di Pinerolo; imputato in ordine al reato di cui all'art. 6 d.lgs. n. 286/1998, perche' richiestone dalla Polizia municipale di Orbassano, non esibiva senza giustificato motivo ne' il passaporto ne' il permesso di soggiorno, ne' altro documento di identificazione. In Orbassano il 5 luglio 2003. Alla pubblica udienza del 14 marzo 2006, ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo e della contestuale motivazione la seguente ordinanza. L'imputato veniva tratto a giudizio per il reato sopra indicato mediante decreto di citazione «diretta» a giudizio, che gli veniva notificato a seguito di emissione di decreto di irreperibilita' ex art. 160 c.p.p. da parte del p.m. (datato 12 ottobre 2005 e conseguente al vano esito delle ricerche di cui all'art. 159 comma 1, parte I, c.p.p.), e cioe' mediante consegna di copia al difensore d'ufficio designato (art. 159, comma 1, parte II, c.p.p.), consegna avvenuta in data 14 ottobre 2005. Il processo principiava con l'accertamento della costituzione delle parti, e segnatamente dell'imputato, il quale, ai sensi del combinato disposto dagli artt. 484 e 420-quater comma 1 c.p.p. (norme applicabili al rito monocratico a citazione diretta per effetto delle clausole generali di rinvio di' cui agli artt. 549 e 555.5 c.p.p.), non essendo comparso in dibattimento, dovrebbe essere dichiarato contumace; il giudizio dovrebbe poi proseguire appunto in absentia dell'imputato, avente lo status di contumace. Tuttavia, ad avviso del giudicante, tali disposizioni (artt. 159, 160, 484 e 420-quater c.p.p.) appaiono viziate di illegittimita' costituzionale, per violazione degli artt. 3, 10, 97 e 111 Cost., laddove impongono la dichiarazione di contumacia e la conseguente celebrazione del processo, e non ne prevedono al contrario la sospensione obbligatoria, con riferimento ad una categoria di imputati - gli irreperibili - ai quali la notifica del decreto di citazione a giudizio sia avvenuta ai sensi degli artt. 159 e 160 c.p.p. In punto di non manifesta infondatezza. Va premesso che altra questione riferita agli artt. 159 e 160 c.p.p. era gia' stata dichiarata infondata dalla Corte costituzionale con sentenza 10-11 dicembre 1998, n. 399; tuttavia, il mutamento del «quadro costituzionale di riferimento» (concetto tra l'altro piu' volte evocato dallo stesso Giudice delle leggi per giustificare il cambiamento della propria giurisprudenza anche rispetto a propri «storici» precedenti) sembra imporre oggi conclusioni diverse da quelle raggiunte dalla Corte nella suddetta pronuncia: in particolare, il «nuovo» art. 111 Cost. (come «integrato» dalla riforma costituzionale - legge cost. 23 novembre 1999 n. 2 - sul c.d. «giusto processo») sembra porsi in netto contrasto con la possibilita' che un processo venga celebrato nella totale ignoranza dell'imputato irreperibile, che nulla sa non solo dell'esistenza di un processo a suo carico e della relativa udienza dibattimentale, ma addirittura della stessa accusa (sostanziata nel capo di imputazione contenuto nel decreto di citazione a giudizio) da cui dovrebbe difendersi. La questione allora sollevata, sulla compatibilita' con la Costituzione allora vigente (ante riforma del c.d. «giusto processo») ed in particolare con gli artt. 3,10 e 24 Cost., di un processo penale «nei confronti di un soggetto (l'irreperibile) che non avrebbe avuto notizia del giudizio a suo carico», era stata appunto dichiarata infondata dalla sent. n. 399/1998, anche utilizzando (e citando testualmente) quella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo invocata dal remittente a proposto della presunta violazione dell'art. 6, comma 3 (lett. a e b) Conv. eur. dir. uomo (diritto dell'accusato di essere informato nel piu' breve tempo del contenuto dell'accusa, e diritto di disporre del tempo e delle possibilita' di approntare un'adeguata difesa): la nota sentenza C. eur. 12 febbraio 1985, Colozza c. Italia aveva infatti escluso una violazione della convenzione allorquando, pur essendo stato celebrato un processo nei confronti di un soggetto che «non risulta dall'esame dei fatti abbia avuto notizia dell'apertura di procedimenti contro di lui», l'interessato, una volta venutone a conoscenza, possa «ottenere che un organo giurisdizionale si pronunci di nuovo, dopo averlo ascoltato, sulla fondatezza dell'accusa portata contro di lui». Nel motivare il rigetto della questione sugli artt. 159 e 160 c.p.p., la sent. n. 399/1998 aveva infatti sottolineato che il Legislatore - oltre ad avere comunque approntato in tema di contumacia una disciplina «piu' rigorosa che in passato proprio in tema di ricerche prodromiche all'instaurazione del rito» (nel contempo limitando l'efficacia temporale del decreto di irreperibilita) - aveva previsto vari «mezzi riparatori da attivarsi nelle ipotesi in cui, nonostante gli accorgimenti di cui si e' detto, l'imputato non abbia avuto conoscenza del procedimento»: fra essi la restituzione nel termine per proporre impugnazione (art. 175 c. 2 c.p.p.); la declaratoria di nullita' dell'ordinanza dichiarativa della contumacia (art. 487 c. 4 c.p.p., ora trasfuso nell'art. 420-quater c.p.p.); la possibile rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello (art. 603.4 c.p.p.); la facolta' di rendere dichiarazioni spontanee nel giudizio di cassazione (art. 489 c.p.p.), la concedibilita' della restituzione nel termine anche da parte del giudice dell'esecuzione (art. 670.3 c.p.p.). A fronte della richiesta di dichiarare «l'illegittimita' della disciplina del rito degli irreperibili in quanto tale» stante comunque la ritenuta inadeguatezza (da parte del giudice a quo) dei rimedi successivi, la Corte costituzionale rammentava appunto che la sentenza Colozza aveva escluso che l'art. 6.3 Conv. eur. dir. uomo imponesse «un modello processuale unico e infungibile» per il processo contumaciale; essendo invece sufficiente - per escludere la violazione dell'art. 24 Cost. in tema di diritto di difesa e dell'art. 10 Cost. (richiamante la citata norma pattizia internazionale) - che fosse riconosciuto appunto all'imputato giudicato (e condannato) in contumacia «il diritto di "ottenere che un organo giurisdizionale si pronunci di nuovo, dopo averlo ascoltato, sulla fondatezza dell'accusa"». In sostanza, secondo la sent. n. 399/1998 - anche alla luce di tale interpretazione della norma di diritto internazionale data dalla stessa Corte europea (interpretazione in seguito piu' volte ribadita: di recente in sent. 18 maggio 2004, Somogyi c. Italia) - sarebbe spettata soltanto al legislatore nazionale la scelta fra le due diverse possibili alternative: il rimedio preventivo e inibitorio, comportante l'obbligatoria sospensione del processo a carico dell'irreperibile-contumace, ovvero quello successivo e riparatorio, che prevede comunque la celebrazione del processo salva la possibilita' per l'imputato originariamente contumace di ottenere (in contraddittorio) una nuova pronuncia giurisdizionale sulla fondatezza dell'accusa. Ad ostare alla declaratoria di incostituzionalita' del rito a carico di imputati irreperibili sarebbero state poi - sempre in base alla sent. n. 399/1998 - le conseguenze su «istituti del diritto penale sostanziale e del processo penale, quali la prescrizione dei reati e l'interruzione e la sospensione del processo, che andrebbero ripensati in un nuovo quadro sistematico nel quale la mancanza di un rito per gli irreperibili fosse divenuta elemento carettizzante». Le argomentate conclusioni cui allora pervenne la Consulta sembrano a questo giudice peraltro superate dalla circostanza che nel frattempo e' appunto intervenuta la riformulazione dell'art. 111 Cost.: con la quale il legislatore costituzionale del 1999 - senza esservi affatto obbligato dalla norma sul proces equitable dell'art. 6 Conv. eur. dir. uomo - ha introdotto una serie di vincoli di carattere costituzionale riguardanti il processo penale «italiano» ben piu' «stringenti» di quelli che sarebbero derivati da una mera trasposizione della disposizione-archetipo (solo in parte «copiata») di fonte pattizia. Infatti, come e' stato evidenziato unanimemente dalla dottrina, il «nuovo» art. 111 Cost. - nel rendere costituzionalmente obbligatorio il principio del contraddittorio nel processo penale in ossequio ad una scelta di favore per il c.d. modello accusatorio - non soltanto lo ha previsto nella sua dimensione «soggettiva» riproponendo (parzialmente) quanto gia' statuito dall'art. 6.3 Conv. eur.dir. uomo (garanzia soggettiva di cui e' ad es. paradigmadica manifestazione il diritto dell'accusato di confrontarsi con l'accusatore); ma - diversamente e in piu' rispetto allo standard minimo previsto dalla Convenzione europea - ne ha imposto financo la sua connotazione «oggettiva», sia in senso c.d. «debole» all'art. 111.2 («ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti»), sia in senso c.d. «forte» all'art. 111 comma 4 Cost. con specifico riferimento al processo penale («il processo penale e' regolato dal principio del contraddittorio in sede di formazione della prova»). Dopo quella riforma costituzionale, il contraddittorio non e' dunque soltanto una garanzia soggettiva dell'imputato ma e' anche (come metodo «epistemico» ritenuto piu' affidabile ai fini dell'accertamento della verita' processuale) una garanzia oggettiva rispondente ad un interesse di rilevanza pubblicistica dell'intero ordinamento: se si vuole, un presupposto indispensabile ed indefettibile della «legalita» del processo penale. Senza il contraddittorio anche in senso oggettivo (eventualmente rinunciabile dall'imputato - quanto alla formazione dialettica della prova - soltanto mediante volonta' espressa e consapevole), non esiste un processo penale rispondente ai canoni della «legalita' costituzionale»; in base al «giusto processo» della Carta costituzionale italiana, un processo senza contraddittorio (oggettivo e soggettivo) non e' (piu) un processo che possa costituire espressione del legittimo esercizio della giurisdizione penale. E' allora evidente che un processo che debba soddisfare entrambe le sopra ricordate connotazioni del contraddittorio postuli come - elementare condizione di «partenza» - la conoscenza dell'accusa da parte dell'accusato (o quanto meno la sua colpevole ignoranza, che puo' aversi nella diversa situazione dell'omessa notifica della citazione al domicilio eletto), in quanto funzionale al fine dell'esercizio consapevole della scelta «basilare» di essere presente o meno al «proprio» processo e di come in esso difendersi: conoscenza (o colpevole ignoranza) che non possono essere ritenute configurabili in presenza di un soggetto - l'irreperibile - che risulta del tutto ignaro della citazione a giudizio contenente l'accusa. Gli artt. 159, 160, 420-quater comma 1 e 484 c.p.p. appaiono in tali termini in contrasto con i commi 2 e 4 (parte I) dell'art. 111 Cost. perche', nei confronti del contumace irreperibile, consentono l'inizio ed il protrarsi di un processo senza il necessario contraddittorio oggettivo e soggettivo, ed anche con il connesso comma 3 dell'art. 111 Cost., essendo per di piu' vanificati - nel caso di imputato irreperibile - il diritto alla conoscenza, «nel piu' breve tempo possibile», «della natura e dei motivi dell'accusa» (primo periodo), e di «disporre del tempo e delle condizioni necessarie per preparare la difesa» (secondo periodo). Per concludere su questo aspetto, ritiene dunque il giudicante che - rispetto a quanto asserito nella sent. n. 399/1998 circa la liberta' del legislatore di scegliere fra strumenti inibitori e strumenti riparatori - i commi 2, 3 e 4 del «nuovo» artt. 111 Cost. impongano oggi necessariamente la soluzione inibitoria, e cioe' la sospensione del processo a carico di imputato irreperibile e ignaro dell'accusa, sospensione che dovra' permanere fino alla conoscenza della citazione a giudizio; perche' fino a tale momento (o quanto meno fino al momento in cui l'imputato e' messo nelle condizioni di conoscere l'accusa, ricevendo una citazione) non esiste nemmeno un «simulacro» di contraddittorio. In tale prospettiva appare irrilevante l'ampliamento degli strumenti riparatori successivi, come pur avvenuto in termini recenti per effetto del d.l. n. 17/2005 conv. in legge n. 60/2005, mediante in particolare il potenziamento del diritto alla restituzione nel termine per proporre impugnazione ex art. 175 c.p.p. (ampliamento conseguente ancora una volta alle sollecitazioni della Corte europea dei diritti dell'uomo: sent. 21 ottobre 2004, Sejdovic c. Italia). Qualunque esso sia, nell'attuale quadro costituzionale italiano, lo strumento riparatorio - per di piu' del tutto eventuale - non va infatti ad eliminare l'insanabile vizio «a monte» di un giudizio che verrebbe celebrato e concluso (con una sentenza, anche di condanna) senza effettivo contraddittorio, senza conoscenza dell'imputato (non colpevole dell'ignoranza della citazione). Le disposizioni impugnate appaiono, ad avviso del giudicante, in possibile contrasto anche con gli artt. 10, comma 1 e 97, comma 1 Cost. Sotto il profilo della violazione delle norme di diritto internazionale accettate dall'Italia, sembrerebbe pur sempre rilevare il contrasto con le lett. a) e b) dell'art. 6.3 Conv. eur. dir. uomo (per quanto si tratti di statuizioni oggi riproposte dai primi due periodi dell'art. 111, terzo comma Cost.), in relazione ai connessi diritti alla conoscenza dell'accusa e di disporre del tempo e delle possibilita' di preparare la difesa (diritti che sembrano sostanzialmente «azzerati» nel rito degli irreperibili). Al riguardo verrebbe tra l'altro espressamente disattesa la Risoluzione 21 maggio 1975 n. 11 del Consiglio d'Europa «sui criteri da seguire nel giudizio in assenza dell'imputato», laddove viene affermato che «nessuno puo' essere sottoposto a giudizio se non e' stato in precedenza effettivamente raggiunto da una citazione, trasmessagli in tempo utile per consentirgli di comparire e di preparare la difesa»; e tra l'altro, a conferma del carattere di stretta consequenzialita' della soluzione della sospensione del processo nei confronti dell'imputato ignaro della citazione, appare sintomatico come la stessa risoluzione riconosca il diritto ad un nuovo giudizio a chi, effettivamente raggiunto dalla citazione, non sia comparso al giudizio e «provi che la sua assenza ed il fatto di non aver potuto avvertire tempestivamente il giudice sono dovute a cause indipendenti dalla sua volonta»: lo strumento riparatorio deve comunque implicare la pregressa ricezione dell'atto di accusa. Sotto il secondo aspetto, va rilevato che rispetto al principio di buon andamento dell'amministrazione della giustizia potrebbe porsi in contrasto l'attuale obbligo di celebrare processi inutili a carico di imputati irreperibili: processi che vengono definiti con sentenze destinate a rimanere prive di esecuzione, con conseguente spreco di enormi energie finanziarie e lavorative altrimenti usufruibili per celebrare processi nei confronti di imputati presenti ovvero colpevolmente o volontariamente assenti. Ritiene infine il giudicante che la ipotizzata sospensione obbligatoria del processo a carico dei soli imputati irreperibili (e non dunque prospettata nei confronti degli altri contumaci) - oltre a porsi oggi come soluzione costituzionalmente obbligata - non implicherebbe problemi di innesto nella disciplina generale di diritto penale processuale e sostanziale. Con riguardo alla prescrizione, in base all'art. 159, comma 1 c.p. - come modificato dall'art. 6, legge 5 dicembre 2005 n. 251 - «il corso della prescrizione rimane sospeso in ogni caso in cui la sospensione del procedimento o del processo penale (...) e' imposta da una particolare disposizione di legge»: il richiesto dispositivo di contenuto «additivo» non farebbe che codificare un'altra disposizione di legge in tema di sospensione obbligatoria del processo, con automatica determinazione della sospensione anche della prescrizione. Sotto il profilo piu' squisitamente processuale - anche per escludere qualunque violazione del principio di obbligatorieta' dell'azione penale - pare sufficiente evidenziare come l'attuale sistema conosca gia' un'ipotesi in cui dall'impossibilita' di esplicazione del contraddittorio (oggettivo e soggettivo) discende appunto la sospensione obbligatoria del processo: quella dell'imputato incapace di stare in giudizio (art. 71 c.p.p.). Tale situazione appare assolutamente assimilabile a quella prospettata con riferimento all'imputato irreperibile, essendo identica in entrambi casi la fattispecie oggettiva - configgente col principio del contraddittorio - consistente nella assoluta non consapevolezza dell'accusa (e della conseguente necessita' di difendersi nel processo dall'accusa) da parte di chi e' sottoposto al processo; inconsapevolezza riferibile in un caso a patologie della salute mentale, nell'altro dipendente da una materiale mancata ricezione (incolpevole) dell'atto di citazione a giudizio. In entrambi i casi l'imputato non si «rende conto» dell'accusa e del processo, perche' o non ne sa nulla o e' come se non ne sapesse nulla. Orbene: proprio utilizzando tale tertium comparationis, le disposizioni impugnate paiono in contrasto anche con il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., posto che in presenza di situazione omologhe (di totale inconsapevolezza dell'accusa) - ed entrambe comportanti l'impossibilita' di garantire il contraddittorio costituzionalmente obbligatorio a livello oggettivo e soggettivo - viene prevista soltanto nei casi di cui agli artt. 70 e 71 c.p.p. la sospensione obbligatoria del processo (e, per effetto, del corso della prescrizione). Con l'invocata «addizione» verrebbe pertanto eliminata anche un'evidente disparita' di trattamento fra situazioni simili; nel contempo sarebbe comunque salvaguardata anche nel processo a carico di imputati irreperibili la possibilita' di assumere prove urgenti e non rinviabili, apparendo facilmente «trapiantabile» dall'interprete, in via analogica, la disciplina di cui all'art. 71.4 c.p.p. Infine non pare che l'eventuale pronuncia additiva andrebbe a cozzare nemmeno contro il principio di durata ragionevole del processo (art. 111, comma 2 parte II), posto che - anche lessicalmente («Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti (...) La legge ne assicura la ragionevole durata») - si desume che si tratta di garanzia (anch'essa soggettiva e oggettiva) riferibile esclusivamente al modello legale di processo penale «costituzionale» improntato appunto al principio del contraddittorio (oltre che a quelli della parita' delle parti e dall'imparzialita' del giudice): senza contraddittorio non esiste un processo penale costituzionalmente accettabile e della cui irragionevole durata ci si' debba pertanto occupare (o preoccupare). Per l'insieme di tali motivi, la questione sollevata appare dunque non manifestamente infondata. In punto di rilevanza della questione. La questione, che si solleva d'ufficio ai sensi dell'art. 23, comma 3 legge n. 87/1953, appare altresi' rilevante, in quanto tutte le norme denunciate devono essere applicate nel presente giudizio. In particolare, l'imputato e' stato tratto a giudizio a seguito di citazione «diretta» a del p.m., con decreto di citazione a giudizio che gli e' stato notificato a seguito di emissione di decreto di irreperibilita', e cioe' mediante consegna di copia al difensore d'ufficio (secondo quanto previsto dagli artt. 159 e 160 c.p.p.); tale tipo di notificazione deve essere delibata dal giudicante per accertare la regolare instaurazione del contraddittorio e per dichiarare la contumacia dell'imputato; e stante l'attuale assenza dell'obbligo di sospensione del processo (la cui sospetta incostituzionalita' si denuncia con questa ordinanza), il giudizio dovrebbe comunque proseguire previa dichiarazione di contumacia dell'imputato irreperibile (secondo il combinato disposto dagli artt. 484 e 420-quater comma 1 c.p.p) sulla base del vigente sistema di notifica della citazione previsto per gli irreperibili.
P. Q. M. Letto l'art. 23, legge n. 87/1953; 1) Dichiara, d'ufficio, rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 159, 160, 420-quater, comma 1 e 484 c.p.p., per contrasto con gli artt. 3, 10, primo comma, 97, primo comma e 111 secondo, terzo e quarto comma Cost., nella parte in cui non prevedono la sospensione obbligatoria del processo penale nei confronti degli imputati ai quali il decreto di citazione a giudizio e' stato notificato previa emissione di decreto di irreperibilita'; 2) Sospende il processo e dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; 3) Dispone che la presente ordinanza (di cui e' stata data integrale lettura alle parti in pubblica udienza) sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Pinerolo, addi' 14 marzo 2006 Il giudice: Giannone 07C0358