N. 145 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 marzo 2006

Ordinanza  emessa  il  14  marzo  2006  dal tribunale di Pinerolo nel
procedimento penale a carico di Serban Ovidiu Nicolae

Processo  penale  -  Imputato a cui e' stato notificato il decreto di
  citazione    a   giudizio   previa   emissione   del   decreto   di
  irreperibilita'  -  Sospensione obbligatoria del processo - Mancata
  previsione  -  Lesione  del  principio del contraddittorio in senso
  oggettivo  e  soggettivo  -  Lesione del diritto dell'imputato alla
  conoscenza  dell'accusa  a suo carico e del diritto di disporre del
  tempo  e  delle condizioni necessarie per preparare la sua difesa -
  Contrasto  con  le  norme  di  diritto  internazionale in materia -
  Violazione  del  principio  di  buon andamento dell'amministrazione
  della giustizia - Contrasto con il principio di ragionevolezza.
- Codice  di procedura penale, artt. 159, 160, 420-quater, comma 1, e
  484.
- Costituzione  artt. 3,  10,  primo  comma,  97, primo comma, e 111,
  comma  secondo, terzo e quarto; Convenzione per la salvaguardia dei
  diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali, art. 6, comma
  terzo, lett. a) e b).
(GU n.13 del 28-3-2007 )
                            IL TRIBUNALE

    Letti gli atti del processo indicato in epigrafe nei confronti di
S.O.N.  dichiarato  irreperibile  con  decreto  12 ottobre  2005  del
pubblico ministero - libero irreperibile - difesa d'ufficio dall'avv.
A.L.  del  Foro  di  Pinerolo;  imputato  in  ordine  al reato di cui
all'art. 6  d.lgs.  n. 286/1998,  perche'  richiestone  dalla Polizia
municipale di Orbassano, non esibiva senza giustificato motivo ne' il
passaporto  ne'  il  permesso  di  soggiorno,  ne' altro documento di
identificazione.
    In Orbassano il 5 luglio 2003.
    Alla  pubblica  udienza  del  14  marzo  2006,  ha  pronunziato e
pubblicato  mediante  lettura  del  dispositivo  e  della contestuale
motivazione la seguente ordinanza.
    L'imputato  veniva  tratto a giudizio per il reato sopra indicato
mediante  decreto  di  citazione «diretta» a giudizio, che gli veniva
notificato  a  seguito  di emissione di decreto di irreperibilita' ex
art. 160   c.p.p.  da  parte  del  p.m.  (datato  12 ottobre  2005  e
conseguente al vano esito delle ricerche di cui all'art. 159 comma 1,
parte  I,  c.p.p.),  e  cioe' mediante consegna di copia al difensore
d'ufficio  designato  (art. 159, comma 1, parte II, c.p.p.), consegna
avvenuta in data 14 ottobre 2005.
    Il  processo  principiava  con  l'accertamento della costituzione
delle  parti,  e  segnatamente  dell'imputato, il quale, ai sensi del
combinato disposto dagli artt. 484 e 420-quater comma 1 c.p.p. (norme
applicabili al rito monocratico a citazione diretta per effetto delle
clausole  generali  di rinvio di' cui agli artt. 549 e 555.5 c.p.p.),
non  essendo  comparso  in  dibattimento,  dovrebbe essere dichiarato
contumace;  il  giudizio  dovrebbe poi proseguire appunto in absentia
dell'imputato, avente lo status di contumace.
    Tuttavia, ad avviso del giudicante, tali disposizioni (artt. 159,
160,  484  e  420-quater  c.p.p.)  appaiono viziate di illegittimita'
costituzionale,  per  violazione  degli  artt. 3, 10, 97 e 111 Cost.,
laddove  impongono  la  dichiarazione  di contumacia e la conseguente
celebrazione  del  processo,  e  non  ne  prevedono  al  contrario la
sospensione   obbligatoria,  con  riferimento  ad  una  categoria  di
imputati  -  gli  irreperibili  - ai quali la notifica del decreto di
citazione  a  giudizio  sia  avvenuta  ai sensi degli artt. 159 e 160
c.p.p.
    In punto di non manifesta infondatezza.
    Va  premesso  che  altra  questione riferita agli artt. 159 e 160
c.p.p. era gia' stata dichiarata infondata dalla Corte costituzionale
con  sentenza 10-11 dicembre 1998, n. 399; tuttavia, il mutamento del
«quadro  costituzionale  di  riferimento»  (concetto tra l'altro piu'
volte  evocato  dallo  stesso Giudice delle leggi per giustificare il
cambiamento  della  propria  giurisprudenza  anche  rispetto a propri
«storici»  precedenti)  sembra  imporre  oggi  conclusioni diverse da
quelle   raggiunte   dalla   Corte   nella   suddetta  pronuncia:  in
particolare,  il  «nuovo»  art. 111  Cost.  (come  «integrato»  dalla
riforma costituzionale - legge cost. 23 novembre 1999 n. 2 - sul c.d.
«giusto   processo»)   sembra   porsi   in  netto  contrasto  con  la
possibilita'  che  un processo venga celebrato nella totale ignoranza
dell'imputato  irreperibile,  che nulla sa non solo dell'esistenza di
un  processo a suo carico e della relativa udienza dibattimentale, ma
addirittura  della stessa accusa (sostanziata nel capo di imputazione
contenuto  nel  decreto  di  citazione  a  giudizio)  da cui dovrebbe
difendersi.
    La  questione  allora  sollevata,  sulla  compatibilita'  con  la
Costituzione allora vigente (ante riforma del c.d. «giusto processo»)
ed  in  particolare  con  gli  artt. 3,10  e 24 Cost., di un processo
penale «nei confronti di un soggetto (l'irreperibile) che non avrebbe
avuto   notizia  del  giudizio  a  suo  carico»,  era  stata  appunto
dichiarata  infondata  dalla  sent. n. 399/1998, anche utilizzando (e
citando  testualmente)  quella giurisprudenza della Corte europea dei
diritti  dell'uomo  invocata dal remittente a proposto della presunta
violazione  dell'art. 6,  comma  3 (lett. a e b) Conv. eur. dir. uomo
(diritto  dell'accusato  di essere informato nel piu' breve tempo del
contenuto  dell'accusa,  e  diritto  di  disporre  del  tempo e delle
possibilita'  di  approntare un'adeguata difesa): la nota sentenza C.
eur.  12 febbraio  1985,  Colozza c. Italia aveva infatti escluso una
violazione della convenzione allorquando, pur essendo stato celebrato
un  processo nei confronti di un soggetto che «non risulta dall'esame
dei fatti abbia avuto notizia dell'apertura di procedimenti contro di
lui», l'interessato, una volta venutone a conoscenza, possa «ottenere
che  un  organo  giurisdizionale  si  pronunci  di nuovo, dopo averlo
ascoltato, sulla fondatezza dell'accusa portata contro di lui».
    Nel  motivare  il  rigetto  della questione sugli artt. 159 e 160
c.p.p.,  la  sent.  n. 399/1998  aveva  infatti  sottolineato  che il
Legislatore   -  oltre  ad  avere  comunque  approntato  in  tema  di
contumacia  una  disciplina  «piu' rigorosa che in passato proprio in
tema   di  ricerche  prodromiche  all'instaurazione  del  rito»  (nel
contempo    limitando    l'efficacia   temporale   del   decreto   di
irreperibilita)  - aveva previsto vari «mezzi riparatori da attivarsi
nelle ipotesi in cui, nonostante gli accorgimenti di cui si e' detto,
l'imputato  non abbia avuto conoscenza del procedimento»: fra essi la
restituzione  nel  termine  per  proporre impugnazione (art. 175 c. 2
c.p.p.);  la  declaratoria  di  nullita'  dell'ordinanza dichiarativa
della    contumacia    (art. 487    c.   4   c.p.p.,   ora   trasfuso
nell'art. 420-quater     c.p.p.);     la    possibile    rinnovazione
dell'istruttoria  dibattimentale  in  appello (art. 603.4 c.p.p.); la
facolta'   di   rendere   dichiarazioni  spontanee  nel  giudizio  di
cassazione  (art. 489  c.p.p.),  la concedibilita' della restituzione
nel  termine  anche  da parte del giudice dell'esecuzione (art. 670.3
c.p.p.).
    A  fronte  della  richiesta di dichiarare «l'illegittimita' della
disciplina  del  rito  degli  irreperibili  in  quanto  tale»  stante
comunque  la  ritenuta inadeguatezza (da parte del giudice a quo) dei
rimedi  successivi, la Corte costituzionale rammentava appunto che la
sentenza  Colozza  aveva  escluso che l'art. 6.3 Conv. eur. dir. uomo
imponesse  «un  modello  processuale  unico  e  infungibile»  per  il
processo  contumaciale; essendo invece sufficiente - per escludere la
violazione  dell'art. 24  Cost.  in  tema  di  diritto  di  difesa  e
dell'art. 10    Cost.   (richiamante   la   citata   norma   pattizia
internazionale)   -   che  fosse  riconosciuto  appunto  all'imputato
giudicato  (e  condannato) in contumacia «il diritto di "ottenere che
un   organo   giurisdizionale  si  pronunci  di  nuovo,  dopo  averlo
ascoltato, sulla fondatezza dell'accusa"».
    In  sostanza,  secondo  la sent. n. 399/1998 - anche alla luce di
tale interpretazione della norma di diritto internazionale data dalla
stessa Corte europea (interpretazione in seguito piu' volte ribadita:
di  recente  in  sent.  18 maggio  2004, Somogyi c. Italia) - sarebbe
spettata  soltanto  al  legislatore  nazionale  la  scelta fra le due
diverse  possibili  alternative:  il rimedio preventivo e inibitorio,
comportante   l'obbligatoria   sospensione   del  processo  a  carico
dell'irreperibile-contumace,  ovvero quello successivo e riparatorio,
che   prevede   comunque   la  celebrazione  del  processo  salva  la
possibilita' per l'imputato originariamente contumace di ottenere (in
contraddittorio) una nuova pronuncia giurisdizionale sulla fondatezza
dell'accusa.
    Ad  ostare  alla  declaratoria  di incostituzionalita' del rito a
carico  di imputati irreperibili sarebbero state poi - sempre in base
alla  sent.  n. 399/1998  -  le  conseguenze su «istituti del diritto
penale  sostanziale  e del processo penale, quali la prescrizione dei
reati  e l'interruzione e la sospensione del processo, che andrebbero
ripensati  in un nuovo quadro sistematico nel quale la mancanza di un
rito per gli irreperibili fosse divenuta elemento carettizzante».
    Le  argomentate  conclusioni  cui  allora  pervenne  la  Consulta
sembrano a questo giudice peraltro superate dalla circostanza che nel
frattempo  e'  appunto  intervenuta  la  riformulazione dell'art. 111
Cost.:  con  la  quale il legislatore costituzionale del 1999 - senza
esservi   affatto   obbligato   dalla   norma  sul  proces  equitable
dell'art. 6 Conv. eur. dir. uomo - ha introdotto una serie di vincoli
di carattere costituzionale riguardanti il processo penale «italiano»
ben  piu'  «stringenti»  di quelli che sarebbero derivati da una mera
trasposizione  della disposizione-archetipo (solo in parte «copiata»)
di fonte pattizia.
    Infatti,  come  e' stato evidenziato unanimemente dalla dottrina,
il   «nuovo»   art. 111   Cost.   -  nel  rendere  costituzionalmente
obbligatorio  il principio del contraddittorio nel processo penale in
ossequio  ad  una  scelta di favore per il c.d. modello accusatorio -
non  soltanto  lo  ha  previsto  nella  sua  dimensione  «soggettiva»
riproponendo  (parzialmente) quanto gia' statuito dall'art. 6.3 Conv.
eur.dir.  uomo  (garanzia  soggettiva  di cui e' ad es. paradigmadica
manifestazione   il   diritto   dell'accusato   di  confrontarsi  con
l'accusatore);  ma  -  diversamente  e in piu' rispetto allo standard
minimo  previsto dalla Convenzione europea - ne ha imposto financo la
sua   connotazione   «oggettiva»,   sia   in   senso   c.d.  «debole»
all'art. 111.2  («ogni  processo si svolge nel contraddittorio tra le
parti»),  sia  in  senso  c.d. «forte» all'art. 111 comma 4 Cost. con
specifico  riferimento  al  processo  penale  («il processo penale e'
regolato  dal  principio  del  contraddittorio  in sede di formazione
della prova»).
    Dopo  quella  riforma  costituzionale,  il contraddittorio non e'
dunque  soltanto  una  garanzia  soggettiva dell'imputato ma e' anche
(come   metodo   «epistemico»   ritenuto   piu'  affidabile  ai  fini
dell'accertamento  della  verita' processuale) una garanzia oggettiva
rispondente  ad  un  interesse di rilevanza pubblicistica dell'intero
ordinamento:   se   si   vuole,   un  presupposto  indispensabile  ed
indefettibile   della   «legalita»  del  processo  penale.  Senza  il
contraddittorio  anche in senso oggettivo (eventualmente rinunciabile
dall'imputato  -  quanto  alla  formazione  dialettica  della prova -
soltanto  mediante  volonta'  espressa  e consapevole), non esiste un
processo    penale    rispondente    ai   canoni   della   «legalita'
costituzionale»;   in   base   al   «giusto   processo»  della  Carta
costituzionale italiana, un processo senza contraddittorio (oggettivo
e   soggettivo)  non  e'  (piu)  un  processo  che  possa  costituire
espressione del legittimo esercizio della giurisdizione penale.
    E'  allora evidente che un processo che debba soddisfare entrambe
le  sopra  ricordate  connotazioni del contraddittorio postuli come -
elementare  condizione  di  «partenza» - la conoscenza dell'accusa da
parte  dell'accusato  (o  quanto meno la sua colpevole ignoranza, che
puo'  aversi  nella  diversa  situazione  dell'omessa  notifica della
citazione   al  domicilio  eletto),  in  quanto  funzionale  al  fine
dell'esercizio consapevole della scelta «basilare» di essere presente
o meno al «proprio» processo e di come in esso difendersi: conoscenza
(o colpevole ignoranza) che non possono essere ritenute configurabili
in  presenza  di un soggetto - l'irreperibile - che risulta del tutto
ignaro della citazione a giudizio contenente l'accusa.
    Gli  artt. 159,  160, 420-quater comma 1 e 484 c.p.p. appaiono in
tali  termini  in contrasto con i commi 2 e 4 (parte I) dell'art. 111
Cost.  perche',  nei confronti del contumace irreperibile, consentono
l'inizio   ed  il  protrarsi  di  un  processo  senza  il  necessario
contraddittorio  oggettivo  e  soggettivo,  ed  anche con il connesso
comma 3  dell'art. 111  Cost.,  essendo  per di piu' vanificati - nel
caso di imputato irreperibile - il diritto alla conoscenza, «nel piu'
breve  tempo  possibile»,  «della  natura  e  dei motivi dell'accusa»
(primo  periodo),  e  di  «disporre  del  tempo  e  delle  condizioni
necessarie per preparare la difesa» (secondo periodo).
    Per  concludere  su  questo aspetto, ritiene dunque il giudicante
che  -  rispetto  a  quanto asserito nella sent. n. 399/1998 circa la
liberta'  del  legislatore  di  scegliere  fra  strumenti inibitori e
strumenti  riparatori  - i commi 2, 3 e 4 del «nuovo» artt. 111 Cost.
impongano  oggi  necessariamente  la soluzione inibitoria, e cioe' la
sospensione  del  processo a carico di imputato irreperibile e ignaro
dell'accusa,  sospensione  che  dovra' permanere fino alla conoscenza
della  citazione  a  giudizio;  perche' fino a tale momento (o quanto
meno  fino  al momento in cui l'imputato e' messo nelle condizioni di
conoscere  l'accusa,  ricevendo  una citazione) non esiste nemmeno un
«simulacro» di contraddittorio.
    In   tale  prospettiva  appare  irrilevante  l'ampliamento  degli
strumenti riparatori successivi, come pur avvenuto in termini recenti
per  effetto  del d.l. n. 17/2005 conv. in legge n. 60/2005, mediante
in  particolare  il  potenziamento  del diritto alla restituzione nel
termine  per  proporre  impugnazione  ex art. 175 c.p.p. (ampliamento
conseguente  ancora una volta alle sollecitazioni della Corte europea
dei  diritti  dell'uomo:  sent. 21 ottobre 2004, Sejdovic c. Italia).
Qualunque  esso  sia, nell'attuale quadro costituzionale italiano, lo
strumento  riparatorio  -  per  di  piu' del tutto eventuale - non va
infatti  ad eliminare l'insanabile vizio «a monte» di un giudizio che
verrebbe  celebrato  e concluso (con una sentenza, anche di condanna)
senza  effettivo contraddittorio, senza conoscenza dell'imputato (non
colpevole dell'ignoranza della citazione).
    Le  disposizioni impugnate appaiono, ad avviso del giudicante, in
possibile  contrasto  anche  con  gli artt. 10, comma 1 e 97, comma 1
Cost.
    Sotto   il  profilo  della  violazione  delle  norme  di  diritto
internazionale accettate dall'Italia, sembrerebbe pur sempre rilevare
il  contrasto con le lett. a) e b) dell'art. 6.3 Conv. eur. dir. uomo
(per  quanto  si  tratti di statuizioni oggi riproposte dai primi due
periodi  dell'art. 111,  terzo comma Cost.), in relazione ai connessi
diritti  alla  conoscenza dell'accusa e di disporre del tempo e delle
possibilita'   di   preparare   la   difesa   (diritti  che  sembrano
sostanzialmente  «azzerati» nel rito degli irreperibili). Al riguardo
verrebbe tra l'altro espressamente disattesa la Risoluzione 21 maggio
1975  n. 11  del  Consiglio  d'Europa  «sui  criteri  da  seguire nel
giudizio  in  assenza  dell'imputato»,  laddove  viene  affermato che
«nessuno  puo'  essere  sottoposto  a  giudizio  se  non  e' stato in
precedenza effettivamente raggiunto da una citazione, trasmessagli in
tempo  utile per consentirgli di comparire e di preparare la difesa»;
e  tra l'altro, a conferma del carattere di stretta consequenzialita'
della   soluzione   della  sospensione  del  processo  nei  confronti
dell'imputato  ignaro  della  citazione,  appare  sintomatico come la
stessa  risoluzione  riconosca il diritto ad un nuovo giudizio a chi,
effettivamente   raggiunto  dalla  citazione,  non  sia  comparso  al
giudizio  e  «provi che la sua assenza ed il fatto di non aver potuto
avvertire tempestivamente il giudice sono dovute a cause indipendenti
dalla  sua volonta»: lo strumento riparatorio deve comunque implicare
la pregressa ricezione dell'atto di accusa.
    Sotto  il  secondo aspetto, va rilevato che rispetto al principio
di buon andamento dell'amministrazione della giustizia potrebbe porsi
in contrasto l'attuale obbligo di celebrare processi inutili a carico
di  imputati irreperibili: processi che vengono definiti con sentenze
destinate  a  rimanere prive di esecuzione, con conseguente spreco di
enormi  energie  finanziarie  e lavorative altrimenti usufruibili per
celebrare   processi   nei  confronti  di  imputati  presenti  ovvero
colpevolmente o volontariamente assenti.
    Ritiene  infine  il  giudicante  che  la  ipotizzata  sospensione
obbligatoria  del processo a carico dei soli imputati irreperibili (e
non dunque prospettata nei confronti degli altri contumaci) - oltre a
porsi   oggi   come  soluzione  costituzionalmente  obbligata  -  non
implicherebbe  problemi  di  innesto  nella  disciplina  generale  di
diritto penale processuale e sostanziale.
    Con  riguardo  alla  prescrizione,  in base all'art. 159, comma 1
c.p.  -  come  modificato dall'art. 6, legge 5 dicembre 2005 n. 251 -
«il  corso  della  prescrizione rimane sospeso in ogni caso in cui la
sospensione  del  procedimento o del processo penale (...) e' imposta
da  una  particolare disposizione di legge»: il richiesto dispositivo
di   contenuto   «additivo»   non  farebbe  che  codificare  un'altra
disposizione  di  legge  in  tema  di  sospensione  obbligatoria  del
processo, con automatica determinazione della sospensione anche della
prescrizione.
    Sotto  il  profilo  piu'  squisitamente  processuale  - anche per
escludere  qualunque  violazione  del  principio  di  obbligatorieta'
dell'azione  penale  -  pare  sufficiente  evidenziare come l'attuale
sistema   conosca  gia'  un'ipotesi  in  cui  dall'impossibilita'  di
esplicazione  del  contraddittorio  (oggettivo e soggettivo) discende
appunto    la   sospensione   obbligatoria   del   processo:   quella
dell'imputato incapace di stare in giudizio (art. 71 c.p.p.).
    Tale   situazione  appare  assolutamente  assimilabile  a  quella
prospettata   con   riferimento  all'imputato  irreperibile,  essendo
identica  in entrambi casi la fattispecie oggettiva - configgente col
principio  del  contraddittorio  -  consistente  nella  assoluta  non
consapevolezza   dell'accusa   (e  della  conseguente  necessita'  di
difendersi nel processo dall'accusa) da parte di chi e' sottoposto al
processo;  inconsapevolezza  riferibile  in un caso a patologie della
salute  mentale,  nell'altro  dipendente  da  una  materiale  mancata
ricezione   (incolpevole)  dell'atto  di  citazione  a  giudizio.  In
entrambi  i  casi  l'imputato  non si «rende conto» dell'accusa e del
processo,  perche'  o  non  ne  sa  nulla o e' come se non ne sapesse
nulla.
    Orbene:   proprio  utilizzando  tale  tertium  comparationis,  le
disposizioni  impugnate paiono in contrasto anche con il principio di
ragionevolezza  di  cui  all'art. 3  Cost.,  posto che in presenza di
situazione  omologhe  (di  totale  inconsapevolezza dell'accusa) - ed
entrambe comportanti l'impossibilita' di garantire il contraddittorio
costituzionalmente  obbligatorio  a  livello oggettivo e soggettivo -
viene  prevista soltanto nei casi di cui agli artt. 70 e 71 c.p.p. la
sospensione  obbligatoria  del  processo  (e,  per effetto, del corso
della  prescrizione).  Con  l'invocata  «addizione» verrebbe pertanto
eliminata  anche un'evidente disparita' di trattamento fra situazioni
simili;   nel  contempo  sarebbe  comunque  salvaguardata  anche  nel
processo  a  carico  di  imputati  irreperibili  la  possibilita'  di
assumere   prove  urgenti  e  non  rinviabili,  apparendo  facilmente
«trapiantabile»  dall'interprete,  in via analogica, la disciplina di
cui all'art. 71.4 c.p.p.
    Infine  non  pare  che  l'eventuale pronuncia additiva andrebbe a
cozzare  nemmeno  contro  il  principio  di  durata  ragionevole  del
processo   (art. 111,   comma 2   parte   II),   posto  che  -  anche
lessicalmente  («Ogni  processo  si svolge nel contraddittorio tra le
parti  (...) La legge ne assicura la ragionevole durata») - si desume
che   si  tratta  di  garanzia  (anch'essa  soggettiva  e  oggettiva)
riferibile  esclusivamente  al  modello  legale  di  processo  penale
«costituzionale»  improntato appunto al principio del contraddittorio
(oltre  che  a  quelli della parita' delle parti e dall'imparzialita'
del  giudice):  senza  contraddittorio  non esiste un processo penale
costituzionalmente  accettabile  e  della cui irragionevole durata ci
si' debba pertanto occupare (o preoccupare).
    Per  l'insieme  di  tali  motivi,  la  questione sollevata appare
dunque non manifestamente infondata.
    In punto di rilevanza della questione.
    La  questione,  che  si  solleva d'ufficio ai sensi dell'art. 23,
comma 3  legge n. 87/1953, appare altresi' rilevante, in quanto tutte
le norme denunciate devono essere applicate nel presente giudizio. In
particolare,  l'imputato  e'  stato  tratto  a  giudizio a seguito di
citazione  «diretta»  a del p.m., con decreto di citazione a giudizio
che  gli  e'  stato  notificato  a seguito di emissione di decreto di
irreperibilita',  e  cioe'  mediante  consegna  di copia al difensore
d'ufficio  (secondo  quanto  previsto  dagli artt. 159 e 160 c.p.p.);
tale  tipo  di  notificazione deve essere delibata dal giudicante per
accertare   la  regolare  instaurazione  del  contraddittorio  e  per
dichiarare  la  contumacia  dell'imputato; e stante l'attuale assenza
dell'obbligo   di   sospensione   del   processo   (la  cui  sospetta
incostituzionalita'  si  denuncia  con questa ordinanza), il giudizio
dovrebbe  comunque  proseguire  previa  dichiarazione  di  contumacia
dell'imputato  irreperibile  (secondo  il  combinato  disposto  dagli
artt. 484  e 420-quater comma 1 c.p.p) sulla base del vigente sistema
di notifica della citazione previsto per gli irreperibili.
                              P. Q. M.
    Letto l'art. 23, legge n. 87/1953;
    1)  Dichiara, d'ufficio, rilevante e non manifestamente infondata
la  questione  di  legittimita'  costituzionale degli artt. 159, 160,
420-quater,  comma 1 e 484 c.p.p., per contrasto con gli artt. 3, 10,
primo  comma,  97,  primo  comma  e 111 secondo, terzo e quarto comma
Cost.,  nella  parte in cui non prevedono la sospensione obbligatoria
del  processo penale nei confronti degli imputati ai quali il decreto
di  citazione  a  giudizio  e'  stato  notificato previa emissione di
decreto di irreperibilita';
    2) Sospende il processo e dispone la trasmissione degli atti alla
Corte costituzionale;
    3)  Dispone  che  la  presente  ordinanza  (di  cui e' stata data
integrale  lettura  alle parti in pubblica udienza) sia notificata al
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  e comunicata ai Presidenti
della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
        Pinerolo, addi' 14 marzo 2006
                        Il giudice: Giannone
07C0358