N. 149 ORDINANZA (Atto di promovimento) 31 maggio 2006

Ordinanza  emessa  il  31  maggio  2006  dal  G.I.P. del Tribunale di
Trieste nel procedimento penale a carico di C. G.

Reati  e  pene  -  Prescrizione  - Modifiche normative comportanti un
  regime piu' favorevole in tema di termini di prescrizione dei reati
  - Disciplina transitoria - Applicabilita' della nuova disciplina ai
  processi pendenti alla data di entrata in vigore della novella, ove
  sia  stato  disposto  o ammesso il giudizio abbreviato - Violazione
  del principio di ragionevolezza.
- Legge 5 dicembre 2005, n. 251, art. 10, comma 3.
- Costituzione, art. 3.
(GU n.14 del 4-4-2007 )
                            IL TRIBUNALE

    Sciolta   la   riserva   sull'eccezione   di  incostituzionalita'
sollevata  dal  p.m.  relativamente  all'art. 10,  legge n. 251/2005,
emette la seguente ordinanza.
    Questo  giudice  e' investito del giudizio a carico dell'imputato
C.  G.  per  il  reato di cui agli artt. 81 cpv., 609-quater, 609-ter
n. 5  c.p.  (con riferimento all'art. 521 c.p. quoad poenam), 61 n. 5
c.p.   in  danno  della  figlia  minore  A.  C.  I  fatti  addebitati
all'imputato  sarebbero  stati commessi in un periodo di tempo che va
da  una  data  imprecisata anteriore al 1990 fino al 26 gennaio 1995.
Nel corso dell'udienza preliminare, l'imputato ha chiesto il giudizio
abbreviato ai sensi dell'art. 438, comma 1 c.p.p.
    All'udienza preliminare del 20 settembre 2005 si costituiva parte
civile A. C.
    L'imputato  depositava  documenti  e chiedeva il rito abbreviato,
che   veniva   immediatamente   ammesso,  rinviandosi  al  successivo
24 gennaio  2006 per la trattazione. A tale ultima udienza, la difesa
dell'imputato  eccepiva la prescrizione del reato alla luce dei nuovi
termini definiti dall'art. 6, legge 5 dicembre 2005, n. 251. Il p.m.,
come     detto    sopra,    controbatteva    con    l'eccezione    di
incostituzionalita'  dell'art.  10,  comma  3, legge 5 dicembre 2005,
n. 251, «nella parte in cui non esclude l'applicazione dei termini di
prescrizione  piu' brevi ai processi pendenti alla data di entrata in
vigore  della  presente  legge,  ove  sia  stato disposto il giudizio
abbreviato», in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
    Stando  alle  nuove  disposizioni  sulla  prescrizione del reato,
infatti,   ai  sensi  del  novellato  art.  157  c.p.  i  termini  di
prescrizione  del  reato  per  il  quale  si  procede sono piu' brevi
rispetto  a  quelli  dettati  dalla  previgente disciplina: mentre in
forza  del  vecchio  art.  157  c.p.  il  reato  doveva  considerarsi
prescritto  nel  termine  di  10  anni,  alla  luce  del  nuovo testo
introdotto  dall'art.  6, legge n. 25/2005, il reato si prescrive nel
termine di 6 anni e 8 mesi.
    L'art.   10,  legge  n. 251  del  2005  regola  il  c.d.  diritto
intertemporale  con riguardo ai processi in corso all'8 dicembre 2005
e,   a  proposito  della  decurtazione  dei  termini  prescrizionali,
delimita  espressamente  lo  spazio  applicativo  delle  disposizioni
favorevoli   all'accusato.  Ex  comma 3  art.  cit.,  se  al  momento
dell'entrata   in   vigore  della  legge  n. 251  del  2005  e'  gia'
intervenuta  la  dichiarazione d'apertura del dibattimento, ovvero se
si  verte  in un grado d'impugnazione, la modificazione in melius per
l'imputato non opera nel processo in corso e continuano ad applicarsi
i  termini piu' ampi fissati dalla pregressa disciplina estintiva. Le
linee che demarcano l'efficacia delle nuove norme sono quindi segnate
dalla  «dichiarazione  di  apertura  del  dibattimento», prima, e dai
«giudizi d'impugnazione», poi. Cio' significa che esse non toccano il
presente  giudizio a quo, trattandosi di giudizio abbreviato disposto
nel  corso dell'udienza preliminare. Ne' e' possibile superare in via
interpretativa tale conclusione.
    Quanto   ai   processi  di  prime  cure,  infatti,  la  locuzione
«dichiarazione  di  apertura del dibattimento» e' univoca, poiche' si
riferisce  ad  un adempimento che trova testuale menzione e specifica
disciplina  nell'art. 492 c.p.p. La collocazione sistematica entro il
Titolo II del Libro VII del codice («Dibattimento») e lo stesso nomen
iuris  rinviano alla fase dibattimentale, il cui nucleo essenziale e'
rappresentato  dall'omonima  «istruzione» (artt. 496 ss. c.p.p.), per
eccellenza  deputata  alla formazione della prova nel contraddittorio
tra  le  parti,  in  vista  dell'emanazione della sentenza. Lo sbocco
nella  decisione  sull'accusa  e'  l'anello  di  congiunzione  con il
giudizio  abbreviato, anch'esso destinato a culminare in una sentenza
di proscioglimento o di condanna (art. 442 c.p.p.).
    Nettamente   diversi  sono,  pero',  gli  itinera  processus  che
preludono  al momento decisorio: il giudizio abbreviato s'incentra su
una  mutazione  funzionale del materiale investigativo, trasformato -
nonostante  la  sua  provenienza  unilaterale  - nel supporto per una
decisione   sulla   responsabilita'   dell'imputato.   Tale  lampante
peculiarita'   strutturale  impedisce  di  parlare  correttamente  di
«apertura del dibattimento» in seno al giudizio abbreviato, in quanto
ivi  una  fase  d'istruzione dibattimentale in contraddittorio non e'
prevista,   dovendosi  le  parti  limitare  ad  una  discussione  sul
materiale gia' altrove formato.
    Ne  discende  che,  se il dibattimento e' formalmente iniziato, i
tempi  prescrizionali  di  riferimento rimangono quelli ante-riforma.
Quanto  al  giudizio abbreviato, essendo ad esso estranea una formale
dichiarazione  d'apertura  del dibattimento, vale l'incipit dell'art.
10  comma  3: «Se, per effetto delle nuove disposizioni, i termini di
prescrizione   risultano  piu'  brevi,  le  stesse  si  applicano  ai
procedimenti  e  ai  processi pendenti alla data di entrata in vigore
della presente legge». Quindi, per quanto sin qui detto, nel giudizio
a  quo,  a  fronte  della  deduzione  difensiva, il giudice di merito
dovrebbe  prosciogliere  l'imputato  per  intervenuta  estinzione del
reato. Di qui la rilevanza della questione di costituzionalita'.
    In  punto  di non manifesta infondatezza, l'applicazione nel rito
abbreviato  dei  termini prescrizionali come novellati pro reo appare
affetta  da  manifesta  irragionevolezza,  in  violazione dell'art. 3
Cost.
    Preme  innanzitutto  osservare  che,  facendo perno sulla formale
«dichiarazione  di  apertura  del dibattimento», la riserva contenuta
nell'art.   10,   comma   3,  legge  n. 251  del  2005  (che  esclude
l'applicazione   del   nuovo  regime  prescrizionale)  coinvolge  una
variegata  gamma  di meccanismi processuali. Infatti, di dibattimento
formalmente  aperto  si parla non solo trattando, nel rito ordinario,
della  fase che segue l'udienza preliminare, ma anche a proposito del
giudizio  direttissimo,  del  giudizio immediato e dei procedimenti a
citazione  diretta  davanti  al tribunale monocratico e al giudice di
pace.  Cio'  significa  che,  ad  uno sguardo sistematico, il diritto
intertemporale  forgiato  dal  summenzionato art. 10 comma 3 accomuna
tutte  le  forme di «giudizio sull'accusa», con l'unica eccezione del
rito abbreviato.
    Scaturisce   da  qui  l'irragionevolezza  del  menzionato  regime
transitorio.
    La  ratio  della  riserva  all'applicazione  immediata dei, nuovi
termini  prescrizionali  consiste  nel  realizzare  un equilibrio tra
l'interesse  degli  accusati  ad  avvantaggiarsi immediatamente della
nuova   disciplina   favorevole   e  l'interesse  alla  conservazione
dell'attivita'  d'indagine e processuale gia' espletata al momento di
entrata  in  vigore  della  legge.  Cio', al fine di salvaguardare la
funzione  di  accertamento  dei reati e, in ultima istanza, la tutela
dei   beni   fondamentali  che  la  repressione  penale  e'  volta  a
realizzare.  Il  giudizio  abbreviato  e'  escluso  da tale riserva e
rimane  pertanto  estraneo alla ratio cui e' improntata la disciplina
transitoria.   Affinche'   tale   esclusione  sia  costituzionalmente
ammissibile  rispetto  all'uniforme trattamento cui sono soggetti gli
altri   «giudizi   sull'accusa»,   essa  deve  essere  supportata  da
ragionevoli   giustificazioni.   Non   giustificano   il  trattamento
differente  riservato  al giudizio abbreviato le esigenze di economia
processuale.  Si tratta, infatti, di elementi la cui incidenza e' ben
piu'  marcata  in  altri  meccanismi processuali, primi fra tutti, il
giudizio direttissimo e il rito penale «di pace».
    Quanto  al  giudizio  direttissimo,  e'  cosa  nota  che  le  sue
peculiarita' si colgono sul terreno delle condizioni che lo innescano
e  dei  ritmi  che  lo  scandiscono.  Da un lato, spicca l'arresto in
flagranza,    seguito   dalla   celebrazione   del   giudizio   entro
quarantott'ore  (art. 449,  comma  1  c.p.p.)  ovvero  nei successivi
quindici giorni (art. 449, comma 4 c.p.p.). In alternativa, rileva la
confessione  resa in seno ad un interrogatorio, purche' l'interessato
venga   citato   a   comparire  in  giudizio  entro  quindici  giorni
dall'iscrizione  nel registro delle notizie di reato (art. 449, comma
5  c.p.p.). Ebbene, il rito direttissimo e' probabilmente, tra i c.d.
procedimenti  speciali, quello maggiormente ispirato ad una logica di
contrazione  dei  tempi processuali: la citazione diretta a giudizio,
se   non   addirittura  la  presentazione  in  udienza  dell'imputato
detenuto,  si  riconnettono  in  modo  diretto  alla  prospettiva  di
un'istruzione rapida e concludente, giusta la pregressa confessione o
il  fatto  di  aver colto in flagranza il reo (ex plurimis, in questo
senso, si veda Corte cost., sent. 11 marzo 1991, n. 102).
    Quanto  al  giudizio  immediato,  si  converra'  che l'esclusione
dell'udienza   preliminare   e   la   concentrazione  delle  indagini
preliminari nei novanta giorni dall'iscrizione della notitia criminis
ex  art.  335  c.p.p.  esaltano  naturalmente  l'ottica dell'economia
processuale. Il pubblico ministero, poi, chiamato a suffragare la sua
richiesta   con  prove  evidenti  «a  carico»,  rispetto  alle  quali
l'indagato  e'  stato sentito in interrogatorio o quantomeno e' stato
invitato  a  comparire  (art. 453 c.p.p.), rappresenta la conferma di
una  proiezione  verso  un giudizio celere, in quanto il carattere di
«evidenza»  delle prove raccolte ante iudicium lascia preconizzare un
rapido e pieno riscontro dibattimentale.
    E  non e' difficile identificare, sullo stesso versante, un trait
d'union  con  i  processi a citazione diretta davanti al tribunale in
composizione  monocratica  (Titolo  II  del  libro  VIII c.p.p.) e al
giudice di pace (d.lgs. 28 agosto 2000 n. 274). Non muta, rispetto ai
giudizi   immediato  e  direttissimo,  l'idea  di  fondo:  quella  di
risparmiare  tempo  ed  energie.  Del resto, se ne trova conferma per
tabulas,  leggendo  rispettivamente  l'art.  2, comma 1, n. 103 della
legge-delega   16 febbraio   1987   n. 81   e  l'art.  17,  comma  1,
legge-delega  24  novembre 1999 n. 468, dato che i principi e criteri
direttivi   impartiti  dal  Parlamento  al  Governo  optano  in  modo
cristallino  per  la  massima  semplificazione  delle  forme, come la
stessa  Corte  costituzionale  non  ha  mancato  rimarcare (cfr., per
tutte, Corte cost., sent. 15 aprile 1992, n. 175).
    In  sintesi:  a)  premesso  che una scelta legislativa imperniata
sulla «dichiarazione di apertura del dibattimento» (art. 10, comma 3,
legge  n. 251 del 2005) coinvolge, oltre al procedimento ordinario, i
giudizi  direttissimo e immediato, nonche' quelli a citazione diretta
davanti al tribunale monocratico e al giudice di pace, escludendo per
ognuno  d'essi l'operativita' dei nuovi tempi prescrizionali ridotti;
b)  rilevato  che  a  tale  area  d'impatto  rimane  estraneo il solo
giudizio  abbreviato;  c)  accertato  che non si rinviene nel sistema
alcuna  ragionevole  giustificazione  a tale esclusione; d) e' d'uopo
concludere che essa e' sospetta di incostituzionalita'.
    L'esclusione  del rito abbreviato non si giustificherebbe neppure
ove  si volesse dare rilevanza alla gravita' dei reati che vengono in
considerazione.  Non si spiega, invero, perche' vengano fatti salvi i
termini  prescrizionali  lunghi  rispetto a reati bagatellari (com'e'
tipico  ove si proceda con la citazione diretta davanti al giudice di
pace),  consentendo invece che operino i termini di prescrizione piu'
brevi  qualora  si  sia imboccata la via del giudizio abbreviato, del
tutto  compatibile  con reati di massimo allarme sociale, come quello
per cui si procede nel presente giudizio.
    E'  cosa  nota  che  alla  Corte costituzionale non spetta di far
prevalere  un  proprio  punto di vista, sovrapponendolo ai criteri di
valore  assunti  dal legislatore (ex multis, v. Corte cost., sent. 25
luglio  2001,  n. 291; Corte cost., sent. 12 marzo 1998, n. 51; Corte
cost.,  sent.  27 febbraio 1996, n. 55). Le compete, pero', il potere
di   affermare   che  una  disparita'  di  trattamento  e'  priva  di
giustificazione  sotto  qualsiasi prospetto, da qualunque parte la si
«guardi»  (bastera'  richiamare  Corte  cost., sent. 12 gennaio 2000,
n. 5).  Ebbene,  sancire  che  nel  rito abbreviato valgano i termini
prescrizionali ridotti, ex professo banditi dai giudizi direttissimo,
immediato  e a citazione diretta davanti ai giudici monocratici - ove
per   converso   permane   l'applicazione  dei  piu'  lunghi  termini
ante-riforma   -,   e'   un'opzione   che  mantiene  un  forte  grado
d'irrazionalita',   sia   che  si  ragioni  in  termini  di  economia
processuale,  sia  che si consideri la gravita' dei reati che vengono
in rilievo.
    Dichiarando illegittimo l'art. 10, comma 3, legge n. 251 del 2005
«nella  parte  in  cui  non  esclude  l'applicazione  dei  termini di
prescrizione  piu' brevi ai processi pendenti alla data di entrata in
vigore  della  presente  legge,  ove  sia stato disposto o ammesso il
giudizio  abbreviato», si otterrebbe l'effetto di equiparare le varie
forme   di   «giudizio   sull'accusa»   previste  dall'attuale  legge
processuale,   scongiurando   l'ipotesi   che  irragionevolmente  una
soltanto venga trattata in modo difforme.
    Per  cio'  che  attiene  agli effetti della pronuncia della Corte
costituzionale,  occorre  ribadire che il dubbio di costituzionalita'
non   involge   la   scelta,   riservata  alla  discrezionalita'  del
legislatore,  di  modulare  diversamente  la  prescrizione del reato,
bensi' la regolamentazione attraverso cui questa scelta e' stata resa
operativa.  L'applicazione  dei termini di prescrizione oggetto della
novella  e' ancorata dal legislatore non direttamente al fatto-reato,
ma  al  verificarsi  di un preciso adempimento processuale, soluzione
anch'essa  appartenente alla sfera riservata al legislatore. La Corte
costituzionale   ha  riconosciuto  che  quest'ultimo  gode  di  ampia
discrezionalita'  nel  regolare  gli  effetti intertemporali di nuovi
istituti  ovvero delle modificazioni apportate ad istituti esistenti.
Tuttavia,  la  stessa  Corte insegna che la disciplina intertemporale
deve  rispondere al canone della ragionevolezza (Corte cost., sent. 9
luglio 2004, n. 219, sulla disciplina transitoria prevista in materia
di patteggiamento allargato dalla legge 12 luglio 2003, n. 134).
    Sotto altro profilo, dal punto di vista degli effetti sostanziali
della  addizione  richiesta,  questo giudice e' consapevole del fatto
che  la  Corte  costituzionale  si  astiene  dal pronunciare sentenze
additive  in  materia  penale  cosiddette  in malam partem, ossia che
producano  effetti pregiudizievoli per la posizione dell'imputato (in
tema di prescrizione, tra le altre, Corte cost., ord. 20 luglio 2000,
n. 317;  Corte cost., ord. 9 luglio 1999, n. 288; Corte cost., ord. 2
gennaio  1990,  n. 7).  E' vero anche, tuttavia, che il giudice delle
leggi  si riserva un margine di intervento in materia penale, al fine
di  verificare  che  «la  disciplina  non  sia  frutto  di una scelta
palesemente arbitraria o ingiustificata» (Corte cost., ord. 20 luglio
1999, n. 337).
    In  materia  di prescrizione, ad esempio, la Corte costituzionale
ha  ritenuto  inammissibili  questioni  volte  ad  integrare l'elenco
tassativo  degli  atti  sospensivi o interruttivi della prescrizione,
previsto agli artt. 159 e 160 c.p. (Corte cost., ord. 17 giugno 1999,
n. 245; Corte cost., ord. 16 dicembre 1998, n. 412; Corte cost., ord.
6  aprile  1998,  n. 106;  Corte  cost., ord. 13 giugno 1997, n. 178;
Corte cost., ord. 25 luglio 1996, n. 315; Corte cost., sent. 31 marzo
1994,  n. 114;  Corte  cost.,  ord.  30  dicembre 1993, n. 489; Corte
cost., ord. 23 aprile 1993, n. 193; Corte cost., ord. 23 aprile 1993,
n. 118;  Corte cost., ord. 28 aprile 1983, n. 114). L'accoglimento di
tali questioni avrebbe in effetti comportato che la Corte effettuasse
ex   novo   un  bilanciamento  tra  le  diverse  esigenze  coinvolte:
l'interesse  dell'imputato  a  non  essere  sottoposto  per  un tempo
indefinito   all'attivita'   di   accertamento  dei  pubblici  poteri
l'interesse  generale  a  non  perseguire  i reati, una volta che sia
trascorso   un  notevole  lasso  di  tempo  dalla  loro  commissione;
l'interesse,  anch'esso  di  rango costituzionale, a non pregiudicare
l'esercizio obbligatorio dell'azione penale.
    Ma  nel  nostro  caso  sembra che lo sbarramento costituito dalla
costante giurisprudenza sopra ricordata possa non valere.
    Invero, la dichiarazione d'illegittimita' costituzionale, che qui
si  richiede,  dell'art. 10,  comma  3,  legge n. 251 del 2005, nella
parte   in   cui   non   esclude  dall'applicazione  dei  termini  di
prescrizione piu' brevi il processo pendente ove sia stato disposto o
ammesso  il  giudizio  abbreviato, non comporta la creazione da parte
della  Corte  costituzionale  di una nuova norma contenente un regime
prescrizionale risultante da un'autonoma operazione di bilanciamento.
Comporta,   invece,   l'applicazione   all'imputato  dei  termini  di
prescrizione  gia'  previsti  dal  precedente  regime  codicistico  e
vigenti  al  momento  della  commissione del fatto di reato. E' cosi'
rispettato il principio di legalita' dei delitti e delle pene sancito
dall'art. 25  della  Costituzione,  inteso  in una duplice accezione:
sotto  il profilo del destinatario della norma penale, come principio
di  conoscibilita'  e  certezza  del precetto penale al momento della
commissione  del  fatto;  dal  punto di vista della provenienza della
norma  da applicarsi al caso concreto, come esigenza che essa promani
dall'organo  legislativo, cui e' riservata nel sistema costituzionale
la determinazione dell'an e del quomodo dell'esercizio della funzione
punitiva.
    A   differenza   dei  precedenti  invocati,  infine,  l'addizione
richiesta  non impegna la Corte nella scelta tra una gamma di opzioni
normative   possibili.   Tale   scelta  e'  gia'  stata  operata  dal
legislatore  nella  predisposizione  di una disciplina transitoria ad
hoc  ed  e'  consistita  nel sottrarre al nuovo regime prescrizionale
tutti  i  «giudizi  sull'accusa»  pendenti  all'8  dicembre 2005. Nel
dettare  le regole per la concreta attuazione del regime transitorio,
tuttavia,  il  legislatore  e' incorso in una palese incongruenza che
non  trova giustificazione alcuna nel sistema e non appare, pertanto,
conforme  al  canone  della ragionevolezza. E' sotto questo specifico
profilo che si appalesa l'incostituzionalita' della norma impugnata.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953 n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 10, comma 3, legge n. 251 del
2005  «nella  parte  in cui non esclude l'applicazione dei termini di
prescrizione  piu' brevi ai processi pendenti alla data di entrata in
vigore  della  presente  legge,  ove  sia stato disposto o ammesso il
giudizio abbreviato» con riferimento all'art. 3 della Costituzione;
    Sospende il presente giudizio;
    Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Ordina  che  a  cura  della cancelleria la presente ordinanza sia
notificata  alle  parti  e al Presidente del Consiglio dei ministri e
comunicata al Presidente del Senato ed al Presidente della Camera dei
deputati.
        Trieste, addi' 30 maggio 2006
                          Il G.i.p.: Morvay
07C0362