N. 172 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 luglio 2006
Ordinanza emessa il 17 luglio 2006 dal giudice di pace di Chioggia sul ricorso proposto da Baldo Alberto Processo penale - Procedimento davanti al giudice di pace - Richieste del pubblico ministero - Obbligo del pubblico ministero di formulare l'imputazione anche nel caso in cui abbia espresso parere contrario alla citazione Mancata previsione - Violazione del principio di ragionevolezza - Lesione del diritto di difesa - Contrasto con il principio della ragionevole durata del processo. - Decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, art. 25, comma 2. - Costituzione, artt. 3, 24, comma secondo, e 111, comma secondo.(GU n.14 del 4-4-2007 )
IL GIUDICE DI PACE Visto il ricorso immediato ex art. 21, d.lgs. n. 274/2000 presentato in data 6 luglio 2006 da Baldo Alberto, difeso dall'avv. Giorgio Vianelli del Foro di Venezia, nei confronti di Laudo Antonio R.G.N. 47/2006, esaminato il parere contrario alla citazione formulato, ex art. 25, comma 2, d.lgs. n. 274/2000, ha emesso la seguente ordinanza. Con ricorso immediato ex art. 21, d.lgs. n. 274/2000 il sig. Baldo Alberto, dirigente del settore dei lavori pubblici del comune di Chioggia, nato a Chioggia il 3 novembre 1947 ed ivi residente in viale Po n. 13, a mezzo del difensore avv. Giorgio Vianelli, con studio in Chioggia, Borgo San Giovanni n. 641 esponeva di aver subito danni patrimoniali e non patrimoniali a causa del sig. Lando Antonio che, il giorno 25 maggio 2006 alle ore 15,30, mentre il Baldo si trovava nel proprio ufficio sito in Chioggia, Calle Nordio Marangoni, lo ingiuriava profferendo reiteratamente ad alta voce, si' da essere udito da altri dipendenti della struttura pubblica, le seguenti frasi: «Ingegnere lei e' un incapace, non ha i coglioni per ricoprire quest'ufficio ... ingegnere lei e' un incapace». Chiedeva, pertanto, il ricorrente che il giudice volesse fissare udienza per procedere nei confronti del suindicato Lando Antonio, il quale veniva individuato specificando esclusivamente la sua residenza, per il reato di cui all'art. 594 c.p. Per il ristoro di tutti i danni subiti il ricorrente, contestualmente al ricorso ex art. 23, d.lgs. n. 274/2000, si costituiva parte civile. Presentato il ricorso immediato in cancelleria in data 4 ottobre 2004, il 13 luglio 2006 il pubblico ministero, ritenuto il ricorso inammissibile per mancanza delle generalita' complete della persona citata a giudizio, formulava parere contrario alla citazione. Questo giudice non ritiene di condividere le censure mosse al ricorso immediato dal pubblico ministero. Come sentenziato dalla suprema Corte «non sussiste la causa di inammissibilita' prevista dall'art. 24, comma 1, lett. c),d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, se il ricorso immediato presentato al giudice di pace non contiene l'indicazione della data e del luogo di nascita della persona citata a giudizio, ma riporti comunque l'indicazione del nome, del cognome e del luogo di residenza, in quanto deve escludersi che sussista a carico della persona offesa un onere di preventiva identificazione di colui nei cui confronti e' presentato il ricorso, essendo sufficiente che l'atto non sia diretto ad incertam personam» (Cass. 11 aprile 2003, n. 21714). La stessa Corte costituzionale, nell'ordinanza n. 83 del 2 marzo 2004 ha avallato la suddetta interpretazione puntualizzando, altresi', che «la completa identificazione dell'imputato e' differibile al momento della presentazione del medesimo avanti all'autorita' procedente». Ebbene, benche' in motivato disaccordo con il parere del pubblico ministero, il d.lgs. n. 274/2000 non pare consentire al giudice di pace, nel caso di specie come in casi analoghi, il compiuto esercizio delle proprie prerogative. E' bene esaminare gli artt. 25 e ss., d.lgs. n. 274/2000. L'art. 25, d.lgs. n. 274/2000 riconosce al pubblico ministero un vaglio preventivo in ordine all'ammissibilita' del ricorso, alla sua fondatezza ed alla competenza per territorio del giudice adito. In tali casi lo stesso pubblico ministero «esprime parere contrario alla citazione» altrimenti formula l'imputazione confermando o modificando l'addebito contenuto nel ricorso. In ogni caso il pubblico ministero ha dieci giorni di tempo dalla comunicazione del ricorso per presentare le sue richieste nella cancelleria del giudice di pace. Decorso detto termine, l'art. 26, d.lgs. n. 274/2000, prevede che il giudice di pace «anche se il pubblico ministero non ha presentato richieste» provvede a norma dei commi 2, 3 e 4, commi che contemplano le ipotesi in cui il giudice di pace ritenga il ricorso inammissibile, manifestamente infondato, presentato per un reato che appartiene alla competenza di altro giudice ovvero presentato a giudice incompetente per territorio. Qualora poi «non deve provvedere ai sensi dell'art. 26», dispone l'art. 27, comma 1, d.lgs. n. 274/2000, il giudice di pace, entro venti giorni, convoca le parti in udienza con decreto il quale, tra l'altro, deve contenere «la trascrizione dell'imputazione». L'art. 27, d.lgs. n. 274/2000, sostanzialmente, presuppone che un'imputazione, comunque, sia stata formulata mentre, come si e' visto dall'esame degli articoli precedenti, cio' puo' anche non essere avvenuto. Dall'esame del suddetto articolato risulta chiaramente che l'ipotesi in cui il pubblico ministero, ritenendo il ricorso inammissibile ovvero infondato ovvero presentato ad un giudice incompetente per materia, esprime parere contrario alla citazione mentre il giudice di pace ritenga, al contrario, il ricorso ammissibile ovvero fondato ovvero presentato al giudice competente, non e' contemplato e, quindi, non e' prescritto che tipo di provvedimenti il giudice, in mancanza della formulazione dell'imputazione, possa adottare in simili casi. Ne' e' possibile ricavare altrimenti, da altre norme, indicazioni chiare ed inequivoche a riguardo. Ed invero. Non pare che il giudice, possa ugualmente emettere il decreto di convocazione delle parti il quale deve necessariamente contenere, a pena di nullita' ex art. 27, comma 5, d.lgs. n. 274/2000, «la trascrizione dell'imputazione». Ne' puo' il giudice, in analogia con quanto previsto dall'art. 17, comma 4, d.lgs. n. 274/2000 e dall'art. 409, comma 5 c.p.p., sopperire a tale carenza con il meccanismo della c.d. «imputazione coatta». Vi osterebbe innanzitutto la considerazione che le suddette norme disciplinano situazioni ben differenti dal momento che in entrambi i casi, il giudice che dispone l'imputazione coatta e', a differenza di quanto avverrebbe nel caso di specie, un giudice diverso da quello che, in seguito alla formulazione dell'imputazione, conoscera' del merito. Anche alla luce della costante recente giurisprudenza della Corte costituzionale in ordine al principio di imparzialita' del giudice (cfr., ex plurimis, ord. n. 123 del 20 aprile 2004; ord. n. 370 del 2000; ord. n. 232 del 1999) sorgerebbero seri dubbi sulla terzieta' di un giudice che dopo aver, in una fase antecedente l'assunzione, da parte della persona cui il reato e' attribuito, della qualita' di imputato, disposto che il pubblico ministero formuli l'imputazione, si accingesse, poi, egli stesso a celebrare il relativo dibattimento. Non solo, l'art. 409, comma 5 c.p.c. e' testualmente ed esclusivamente finalizzato a recuperare al procedimento penale, attraverso l'imposizione al pubblico ministero di elevazione dell'imputazione, un fatto per il quale questi abbia ritenuto non doversi esercitare l'azione penale; il potere del giudice si innesta, pertanto, in una situazione diametralmente opposta a quella, de qua, della citazione diretta e cioe' di azione in ordine alla quale il pubblico ministero ha espresso non una valutazione contraria all'esercizio dell'azione da parte della persona offesa, bensi' un dissenso con riguardo al mero modus procedendi. Ed e' di palmare evidenza, altresi', l'incompatibilita' che l'imputazione coatta determinerebbe con l'esigenza, imposta dall'art. 22, comma 4, d.lgs. n. 274/2000, di rispettare le forme speciali del ricorso immediato rispetto a quelle ordinarie. A parte tutto cio' si ritiene, infine che, in base al noto brocardo ubi voluit dixit, la mancata specificazione di questo potere, in capo al giudice, sia frutto di una precisa volonta' del legislatore rispettoso delle prerogative del pubblico ministero poiche', invece, nei casi in cui lo ha ritenuto, il legislatore ha chiaramente previsto che il giudice possa disporre che il pubblico ministero formuli l'imputazione. D'altra parte il giudice non potrebbe neanche, in luogo dell'imputazione che il pubblico ministero non ha formulato riportare, sic et simpliciter, nel decreto di convocazione, l'addebito contenuto nel ricorso immediato. Vi ostano, innanzitutto, ragioni di natura testuale. L'art. 27, comma 3, lett. d), d.lgs. n. 274/2000, come si e' gia' detto, prevede che il decreto di convocazione debba contenere, a pena di nullita', «la trascrizione dell'imputazione», cosi' lasciando intendere che il contenuto della traslatio debba necessariamente preesistere in un testo, mentre l'art. 21, d.lgs. n. 274/2000, che disciplina il contenuto del ricorso immediato, impone al ricorrente, al comma 2, lett. f) una ben diversa, e non necessariamente sintetica «descrizione, in forma chiara e precisa, del fatto che si addebita alla persona citata a giudizio, con l'indicazione degli articoli che si assumono violati». Questo giudice e' ben consapevole che, sempre per rimanere nell'ambito testuale, nel testo del decreto legislativo reso pubblico, ufficiosamente, subito dopo la sua approvazione, il 25 agosto 2000, da parte del Consiglio dei ministri, nel testo dell'innanzi citato art. 27, comma 3, lett. d), dopo le parole «trascrizione dell'imputazione» compariva l'inciso «formulata dal pubblico ministero». Non si ritiene, tuttavia, che l'eliminazione, nella stesura definitiva, di tale inciso possa costituire argomento decisivo, inequivoco ed idoneo a confutare l'assunto poc'anzi esposto e sufficiente, in se', a sostenere la tesi diretta a consentire che l'addebito contenuto nel ricorso possa sostituire la mancata formulazione dell'imputazione da parte del pubblico ministero. Soprattutto pero', va considerato che consentire al giudice, nel caso in cui il pubblico ministero abbia espresso parere negativo alla citazione, di adottare l'addebito contenuto nel ricorso significherebbe ammettere il pieno ed esclusivo esercizio dell'azione penale in capo al ricorrente sottraendolo al pubblico ministero, unico soggetto, invece, abilitato a formulare l'imputazione, come si ricava chiaramente dall'art. 25, d.lgs. n. 274/2000 oltre che dall'intero ordinamento. E' ben vero che, come ripetutamente affermato dalla Corte costituzionale (cfr., ex plurimis, Corte cost. 30 dicembre 1993, n. 474 e Corte cost. 18 giugno 1982, n. 114), la Costituzione, nel prevedere che il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale non sancisce affatto la regola, in capo allo stesso, del monopolio dell'azione penale ma ammette la legittimita' di una norma ordinaria che riconosca anche al privato la titolarita' di tale azione. Ma intanto cio' verrebbe consentito, secondo la Consulta, purche' si tratti di titolarita' non esclusiva ma sussidiaria e concorrente rispetto a quella del pubblico ministero, al contrario di quanto, invece, si realizzerebbe nel caso in esame dal momento che, nel sistema costruito dagli artt. 21 e ss., d.lgs. n. 274/2000, pur fondato sulla netta distinzione tra iniziativa del privato ed intervento del pubblico ministero, al primo verrebbe ugualmente consentito, ed addirittura con espresso parere contrario alla citazione da parte del secondo, di ottenere, sia pure nei soli casi in cui il giudice non ritenga sussistenti le ipotesi di cui all'art. 26, commi 2, 3 e 4, d.lgs. n. 274/2000, l'emissione del decreto di convocazione. Va ribadito, invero, che l'art. 27, d.lgs. n. 274/2000 non introduce alcun parametro positivo la cui sussistenza determina l'emissione del decreto' di convocazione ma tale emissione e' scelta obbligata per il giudice in tutti i casi in cui non ritenga di dover accedere agli esiti «abortivi» del ricorso di cui ai commi 2, 3 e 4 dell'art. 26, d.lgs. n. 274/2000. Ne' l'anomalia verrebbe meno, ed anzi apparirebbe ancora piu' evidente ed accentuata, qualora si volesse ritenere la formulazione dell'imputazione, sia pure attinta dall'addebito contenuto nel ricorso introduttivo, come atto del giudice, dal momento che verrebbe anche in tal caso palesemente disattesa la prerogativa della formulazione dell'imputazione in capo al pubblico ministero. Il giudice, sostanzialmente, in assenza di una imputazione ritualmente formulata, si troverebbe ad esercitare, d'ufficio, l'azione penale. Non si ignora neanche che la Corte di cassazione, nella sentenza n. 40836 del 20 settembre 2004, dopo aver affermato che il giudice di pace e' tenuto a verificare il requisito di ammissibilita' del ricorso nei termini richiesti alla lettera f) del comma 1 dell'art. 21, d.lgs. n. 274/2000, conclude riconoscendo allo stesso giudice «la possibilita' di trascrizione dell'imputazione ai fini di formazione del decreto finalizzato alla udienza di comparizione delle parti, per l'ulteriore corso». In ordine a tali conclusioni tuttavia, non si puo' non evidenziare lo stridente contrasto fra le stesse e le premesse contenute nella medesima sentenza secondo cui pure «il fatto di trascrizione dell'imputazione non equivale a quello di formulazione della medesima, posto che il primo atto si esercita su un'imputazione gia' formata e, dunque, la presuppone completa negli elementi di descrizione del fatto, qualificazione giuridica del medesimo ed individuazione dell'imputato» e, pertanto «deve senz'altro concludersi che, escluso che alla imputazione sia tenuto il pubblico ministero esentato dalla legittima ed incensurabile espressione di parere contrario (pur non vincolante) al procedimento di citazione diretta, il giudice di pace ove ravvisi (...) un reale difetto dell'imputazione, ragione di inammissibilita' del ricorso, altro potere non ha se non quello di dichiarare tale inammissibilita». Anche in considerazione di tale contrasto si ribadiscono tutte le argomentazioni innanzi riportate, che si ritengono comunque pregnanti e prevalenti. Scartate, per i motivi sopra dedotti, le soluzioni dell'imputazione coatta e quella della formulazione dell'imputazione attraverso il richiamo all'addebito contenuto nel ricorso immediato, sembrerebbe che al giudice, stante il mancato esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero che ha espresso parere negativo alla citazione, non resti, come ultima alternativa rimasta, pur non ritenendo di dover condividere le censure di inammissibilita' del ricorso, che disporre la restituzione degli atti al rappresentante della pubblica accusa, come suggerito, del resto, dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 33675 del 27 maggio 2004. Anche tale opzione, tuttavia, non pare esente da gravi censure. Nel sistema delineato dal d.lgs. n. 274/2000, come si e' visto, le determinazioni del pubblico ministero di cui all'art. 25, comma 2, d.lgs. n. 274/2000 non condizionano le decisioni del giudice: tutti i provvedimenti reiettivi del ricorso di cui all'art. 26 d.lgs. n. 274/2000 possono essere assunti dal giudice anche in contrasto con la posizione del pubblico ministero e pure se lo stesso, decorso il termine di cui all'art. 25, comma 1, d.lgs. n. 274/2000, sia rimasto inerte. Anzi, anche nel caso in cui questi abbia formulato l'imputazione, al giudice e' consentito interrompere l'iter procedimentale attivato dal privato qualora ritenga di dover adottare uno dei suddetti provvedimenti recettivi. Del resto, se si fosse previsto l'obbligo per il giudice di fissare sempre l'udienza ogni qualvolta il pubblico ministero proceda alla contestazione formale del reato, verrebbe meno la stessa funzione di controllo sul ricorso in questa fase preliminare. Il d.lgs. n. 274/2000 ha voluto, sostanzialmente affidare il controllo finale sui requisiti formali e sostanziali del ricorso al giudice al quale e' soltanto precluso, come si e' gia' detto, ogni intervento sulla imputazione, a modifica o ad integrazione. Ammettere, pertanto, nel caso di specie, che il giudice, pur in disaccordo con le valutazioni del pubblico ministero, debba vedersi ugualmente costretto ad interrompere l'iter del ricorso diretto equivarrebbe a riconoscere a quello che oltretutto lo stesso art. 25, comma 2, d.lgs. n. 274/2000 definisce un mero «parere» del pubblico ministero una portata vincolante, una sorta di potere di veto sulla procedura del ricorso che il legislatore, invece, non pare assolutamente aver configurato, come anche evidenziato nella succitata pronuncia della suprema Corte n. 40836/2004, laddove si rileva il carattere «non vincolante» del parere contrario espresso dal pubblico ministero. Nel sistema vigente come innanzi delineato, in definitiva, il mancato esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero, come avvenuto nella fattispecie in esame, non pare consentire al giudice un compiuto esercizio delle proprie prerogative giurisdizionali. Pare potersi sostenere, tirando le somme, che solamente la formulazione dell'imputazione puo' consentire al giudice di effettuare il dovuto controllo sui requisiti formali e sostanziali del ricorso onde poter provvedere ai sensi dell'art. 26, commi 2, 3 e 4, d.lgs. n. 274/2000 qualora ritenga di condividere il parere del pubblico ministero ed ai sensi dell'art. 27, d.lgs. n. 274/2000, qualora, invece, ritenga di dover emettere il decreto di convocazione delle parti. Solamente tale soluzione pare ugualmente rispettosa dei diritti del ricorrente e delle prerogative del pubblico ministero e del giudice. E' evidente, invero, che la formulazione dell'imputazione, anche qualora il pubblico ministero ritenga il ricorso inammissibile, infondato ovvero presentato ad un giudice incompetente per territorio, si pone come conditio sine qua non rispetto a qualsivoglia provvedimento che il giudice, in merito al ricorso, riterra' di adottare dal momento che, in caso contrario, come si e' detto, non potrebbe il giudice procedere con l'emissione del decreto di convocazione, non essendo stata formulata l'imputazione dall'unico soggetto abilitato a formularla ne', d'altra parte, potrebbe effettuare il dovuto controllo, che il legislatore gli rimette, in ordine ai requisiti formali e sostanziali del ricorso poiche', essendo mancata la formulazione dell'imputazione, e quindi non essendo stata esercitata l'azione penale, non e' mai stato legittimamente posto nella condizione di poter svolgere tale controllo, potendo e dovendo, in tal caso, prendere solo atto del mancato esercizio dell'azione penale. Tutto cio' premesso, si ritiene l'art. 25, comma 2, d.lgs. n. 274/2000 incostituzionale per violazione del principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. dal momento che non prevedendo che, anche nel caso in cui esprime parere contrario alla citazione, il pubblico ministero debba formulare l'imputazione, determina un vincolo, per il giudice a cui il pubblico ministero ha formulato semplice parere contrario, di restituzione degli atti alla pubblica accusa, non potendo il giudice disporre, come si e' visto, in maniera diversa e contrariamente all'ipotesi, inversa, in cui l'avvenuta formulazione dell'imputazione non impedisce al giudice di ritenere, invece, nel pieno esercizio delle proprie prerogative, il ricorso inammissibile, infondato ovvero presentato dinanzi ad un giudice incompetente. L'art. 25, comma 2, d.lgs. n. 274/2000, inoltre, sempre nella parte in cui non prevede che il pubblico ministero, anche quando esprime parere contrario alla citazione, debba formulare l'imputazione, e' viziato con riferimento al parametro di cui all'art. 24, comma 2 Cost. che si assume violato laddove, con la restituzione degli atti al pubblico ministero, che necessariamente conseguirebbe alla formulazione del parere contrario alla citazione da parte della pubblica accusa, il ricorrente verrebbe privato di un importante strumento processuale riconosciutogli dal legislatore e, per di piu', per ragioni non condivise dal giudice. L'art. 25, comma 2, d.lgs. n. 274/2000, infine, sempre nella parte in cui non prevede che il pubblico ministero, anche quando esprime parere contrario alla citazione, debba formulare l'imputazione, e' viziato con riferimento al parametro della ragionevole durata del processo di cui all'art. 111, secondo comma Cost. che si assume violato laddove, con la restituzione degli atti al pubblico ministero, che necessariamente conseguirebbe alla formulazione del parere contrario alla citazione da parte della pubblica accusa, il ricorrente, producendo il ricorso gli stessi effetti, ex art. 21, comma 5, d.lgs. n. 274/2000, della presentazione della querela, vedrebbe il proprio ricorso seguire l'iter tradizionale, con tempi notevolmente piu' lunghi rispetto a quelli stabiliti per il ricorso immediato che, invece, consente l'instaurazione del giudizio senza la fase delle indagini preliminari. La rilevanza della sollevata questione di incostituzionalita' emerge chiaramente da tutto quanto innanzi dedotto ed e' ancor piu' evidente se si considera che nella fattispecie in esame mentre, allo stato, parrebbe che al giudice non rimanga che prendere atto del parere contrario all'imputazione da parte del pubblico ministero con conseguente restituzione degli atti, alla luce, invece, della gia' sopra indicata sentenza della Corte di cassazione n. 21714 dell'11 aprile 2003 e dell'ordinanza della Corte costituzionale n. 83 del 2 marzo 2004, qualora al giudice venisse, invece, consentito il dovuto il controllo finale sui requisiti formali e sostanziali del ricorso, questo darebbe esiti opposti a quelli cui e' pervenuto il pubblico ministero, con conseguente emissione del decreto di convocazione delle parti. Non ignora il sottoscritto rimettente l'insegnamento della Corte costituzionale espresso nelle ordinanze n. 361 del 28 settembre 2004-4 ottobre 2005 e n. 381 del 28 settembre 2005-7 ottobre 2005, aventi ad oggetto la medesima norma della cui costituzionalita' anche in questa sede si dubita. Nella prima ordinanza in cui, in una fattispecie analoga a quella in esame, la questione di incostituzionalita' veniva posta nei medesimi termini, la Corte rileva che il giudice a quo non avrebbe compiuto il necessario sforzo ermeneutico per individuare una soluzione che consenta un effettivo controllo di legalita' sull'esercizio dell'azione penale senza sacrificare i diritti di tutte le parti private. Ed anche nella suddetta pronuncia n. 381/2005 la Corte non manca di evidenziare come la giurisprudenza di legittimita' abbia prospettato, in via interpretativa, varie soluzioni per far fronte alla asserita situazione di paralisi in cui verrebbe a trovarsi il procedimento, non esclusa la trasmissione degli atti al pubblico ministero perche' proceda con le forme ordinarie. Non si puo' non evidenziare, tuttavia, che le soluzioni adottate dalla giurisprudenza di legittimita' (trascrizione dell'imputazione da parte del giudice di pace ovvero restituzione del ricorso al pubblico ministero) non si sottraggono, come gia' sopra profusamente dedotto, alle censure di costituzionalita' gia' esposte. In particolare, preme sottolineare che l'eventuale invito alla formulazione coatta dell'imputazione a seguito di richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero successivamente alla restituzione degli atti disposta nei suoi confronti, contrasterebbe palesemente, per i motivi gia' riportati, con l'art. 111, secondo comma Cost. E cio' pur senza considerare che la restituzione degli atti al pubblico ministero verrebbe disposta dal giudice del dibattimento competente ex art. 5, comma 1, d.lgs. n. 274/2000 mentre l'invito alla formulazione coatta verrebbe, eventualmente, disposta da un diverso giudice, essendo competente il giudice individuato dall'art. 5, comma 2, d.lgs. n. 274/2000.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 Cost. e 23 legge 11 marzo 1953, n. 87. Ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza, d'ufficio, solleva la questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 25, comma 2, d.lgs. n. 274/2000 nella parte in cui non prevede che il pubblico ministero, anche quando esprime parere contrario alla citazione, debba formulare l'imputazione, per contrasto con gli artt. 3, 24, secondo comma e 111, secondo comma Cost. per le ragioni sopra dedotte. Sospende, per l'effetto, il presente giudizio e manda alla cancelleria per l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Ordina alla cancelleria che la presente ordinanza sia notificata al ricorrente, alla persona di cui si chiede la convocazione in giudizio, al pubblico ministero, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due camere del Parlamento italiano. Chioggia, addi' 17 luglio 2006 Il giudice di pace: Minoia 07C0404