N. 172 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 luglio 2006

Ordinanza  emessa  il  17 luglio 2006 dal giudice di pace di Chioggia
sul ricorso proposto da Baldo Alberto

Processo penale - Procedimento davanti al giudice di pace - Richieste
  del   pubblico  ministero  -  Obbligo  del  pubblico  ministero  di
  formulare l'imputazione anche nel caso in cui abbia espresso parere
  contrario  alla  citazione  Mancata  previsione  -  Violazione  del
  principio  di  ragionevolezza  -  Lesione  del  diritto di difesa -
  Contrasto con il principio della ragionevole durata del processo.
- Decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, art. 25, comma 2.
- Costituzione, artt. 3, 24, comma secondo, e 111, comma secondo.
(GU n.14 del 4-4-2007 )
                         IL GIUDICE DI PACE

    Visto  il  ricorso  immediato  ex  art.  21,  d.lgs.  n. 274/2000
presentato  in  data 6 luglio 2006 da Baldo Alberto, difeso dall'avv.
Giorgio  Vianelli del Foro di Venezia, nei confronti di Laudo Antonio
R.G.N.   47/2006,   esaminato  il  parere  contrario  alla  citazione
formulato,  ex  art.  25,  comma  2, d.lgs. n. 274/2000, ha emesso la
seguente ordinanza.
    Con  ricorso  immediato  ex  art.  21, d.lgs. n. 274/2000 il sig.
Baldo  Alberto,  dirigente del settore dei lavori pubblici del comune
di  Chioggia,  nato a Chioggia il 3 novembre 1947 ed ivi residente in
viale  Po  n. 13,  a  mezzo  del difensore avv. Giorgio Vianelli, con
studio in Chioggia, Borgo San Giovanni n. 641 esponeva di aver subito
danni  patrimoniali e non patrimoniali a causa del sig. Lando Antonio
che,  il  giorno  25  maggio  2006 alle ore 15,30, mentre il Baldo si
trovava nel proprio ufficio sito in Chioggia, Calle Nordio Marangoni,
lo  ingiuriava profferendo reiteratamente ad alta voce, si' da essere
udito  da  altri  dipendenti  della  struttura  pubblica, le seguenti
frasi: «Ingegnere lei e' un incapace, non ha i coglioni per ricoprire
quest'ufficio ... ingegnere lei e' un incapace».
    Chiedeva,  pertanto, il ricorrente che il giudice volesse fissare
udienza  per procedere nei confronti del suindicato Lando Antonio, il
quale   veniva   individuato   specificando   esclusivamente  la  sua
residenza, per il reato di cui all'art. 594 c.p.
    Per   il   ristoro   di  tutti  i  danni  subiti  il  ricorrente,
contestualmente  al  ricorso  ex  art.  23,  d.lgs.  n. 274/2000,  si
costituiva parte civile.
    Presentato  il ricorso immediato in cancelleria in data 4 ottobre
2004,  il  13  luglio 2006 il pubblico ministero, ritenuto il ricorso
inammissibile  per  mancanza delle generalita' complete della persona
citata a giudizio, formulava parere contrario alla citazione.
    Questo  giudice  non  ritiene  di condividere le censure mosse al
ricorso immediato dal pubblico ministero.
    Come  sentenziato  dalla  suprema Corte «non sussiste la causa di
inammissibilita'  prevista  dall'art. 24, comma 1, lett. c),d.lgs. 28
agosto 2000, n. 274, se il ricorso immediato presentato al giudice di
pace  non  contiene  l'indicazione  della data e del luogo di nascita
della  persona  citata  a giudizio, ma riporti comunque l'indicazione
del  nome,  del  cognome  e  del  luogo  di residenza, in quanto deve
escludersi  che  sussista  a  carico della persona offesa un onere di
preventiva  identificazione  di colui nei cui confronti e' presentato
il  ricorso,  essendo  sufficiente  che  l'atto  non  sia  diretto ad
incertam personam» (Cass. 11 aprile 2003, n. 21714).
    La  stessa Corte costituzionale, nell'ordinanza n. 83 del 2 marzo
2004   ha   avallato   la  suddetta  interpretazione  puntualizzando,
altresi',   che   «la   completa   identificazione  dell'imputato  e'
differibile  al  momento  della  presentazione  del  medesimo  avanti
all'autorita' procedente».
    Ebbene, benche' in motivato disaccordo con il parere del pubblico
ministero,  il  d.lgs.  n. 274/2000 non pare consentire al giudice di
pace, nel caso di specie come in casi analoghi, il compiuto esercizio
delle proprie prerogative.
    E' bene esaminare gli artt. 25 e ss., d.lgs. n. 274/2000.
    L'art.  25, d.lgs. n. 274/2000 riconosce al pubblico ministero un
vaglio  preventivo in ordine all'ammissibilita' del ricorso, alla sua
fondatezza  ed  alla  competenza per territorio del giudice adito. In
tali casi lo stesso pubblico ministero «esprime parere contrario alla
citazione» altrimenti formula l'imputazione confermando o modificando
l'addebito contenuto nel ricorso.
    In ogni caso il pubblico ministero ha dieci giorni di tempo dalla
comunicazione  del  ricorso  per  presentare  le  sue richieste nella
cancelleria del giudice di pace.
    Decorso detto termine, l'art. 26, d.lgs. n. 274/2000, prevede che
il  giudice di pace «anche se il pubblico ministero non ha presentato
richieste» provvede a norma dei commi 2, 3 e 4, commi che contemplano
le   ipotesi   in   cui   il  giudice  di  pace  ritenga  il  ricorso
inammissibile,  manifestamente infondato, presentato per un reato che
appartiene  alla  competenza  di  altro  giudice  ovvero presentato a
giudice incompetente per territorio.
    Qualora  poi «non deve provvedere ai sensi dell'art. 26», dispone
l'art.  27,  comma  1,  d.lgs. n. 274/2000, il giudice di pace, entro
venti  giorni,  convoca le parti in udienza con decreto il quale, tra
l'altro, deve contenere «la trascrizione dell'imputazione».
    L'art.  27,  d.lgs.  n. 274/2000, sostanzialmente, presuppone che
un'imputazione,  comunque,  sia  stata  formulata  mentre, come si e'
visto  dall'esame  degli  articoli  precedenti,  cio'  puo' anche non
essere avvenuto.
    Dall'esame   del  suddetto  articolato  risulta  chiaramente  che
l'ipotesi   in  cui  il  pubblico  ministero,  ritenendo  il  ricorso
inammissibile  ovvero  infondato  ovvero  presentato  ad  un  giudice
incompetente  per  materia,  esprime  parere contrario alla citazione
mentre   il  giudice  di  pace  ritenga,  al  contrario,  il  ricorso
ammissibile  ovvero  fondato ovvero presentato al giudice competente,
non  e'  contemplato  e,  quindi,  non  e'  prescritto  che  tipo  di
provvedimenti    il   giudice,   in   mancanza   della   formulazione
dell'imputazione, possa adottare in simili casi.
    Ne' e' possibile ricavare altrimenti, da altre norme, indicazioni
chiare ed inequivoche a riguardo. Ed invero.
    Non  pare che il giudice, possa ugualmente emettere il decreto di
convocazione  delle  parti il quale deve necessariamente contenere, a
pena  di  nullita'  ex  art.  27,  comma  5,  d.lgs. n. 274/2000, «la
trascrizione dell'imputazione».
    Ne'  puo'  il  giudice, in analogia con quanto previsto dall'art.
17,  comma  4,  d.lgs.  n. 274/2000  e dall'art. 409, comma 5 c.p.p.,
sopperire  a  tale  carenza con il meccanismo della c.d. «imputazione
coatta».
    Vi osterebbe innanzitutto la considerazione che le suddette norme
disciplinano  situazioni ben differenti dal momento che in entrambi i
casi, il giudice che dispone l'imputazione coatta e', a differenza di
quanto  avverrebbe  nel  caso di specie, un giudice diverso da quello
che,  in  seguito  alla formulazione dell'imputazione, conoscera' del
merito.
    Anche alla luce della costante recente giurisprudenza della Corte
costituzionale  in  ordine  al principio di imparzialita' del giudice
(cfr.,  ex  plurimis, ord. n. 123 del 20 aprile 2004; ord. n. 370 del
2000;  ord.  n. 232 del 1999) sorgerebbero seri dubbi sulla terzieta'
di un giudice che dopo aver, in una fase antecedente l'assunzione, da
parte  della  persona  cui  il reato e' attribuito, della qualita' di
imputato,  disposto  che il pubblico ministero formuli l'imputazione,
si accingesse, poi, egli stesso a celebrare il relativo dibattimento.
    Non   solo,  l'art.  409,  comma  5  c.p.c.  e'  testualmente  ed
esclusivamente  finalizzato  a  recuperare  al  procedimento  penale,
attraverso   l'imposizione   al   pubblico  ministero  di  elevazione
dell'imputazione,  un  fatto  per  il quale questi abbia ritenuto non
doversi esercitare l'azione penale; il potere del giudice si innesta,
pertanto,  in una situazione diametralmente opposta a quella, de qua,
della  citazione  diretta  e  cioe' di azione in ordine alla quale il
pubblico   ministero   ha  espresso  non  una  valutazione  contraria
all'esercizio  dell'azione  da  parte della persona offesa, bensi' un
dissenso con riguardo al mero modus procedendi.
    Ed  e'  di  palmare  evidenza,  altresi',  l'incompatibilita' che
l'imputazione coatta determinerebbe con l'esigenza, imposta dall'art.
22,  comma 4, d.lgs. n. 274/2000, di rispettare le forme speciali del
ricorso immediato rispetto a quelle ordinarie.
    A  parte  tutto  cio'  si  ritiene,  infine  che, in base al noto
brocardo  ubi  voluit  dixit,  la  mancata  specificazione  di questo
potere,  in  capo  al giudice, sia frutto di una precisa volonta' del
legislatore  rispettoso  delle  prerogative  del  pubblico  ministero
poiche',  invece,  nei  casi in cui lo ha ritenuto, il legislatore ha
chiaramente  previsto  che  il giudice possa disporre che il pubblico
ministero formuli l'imputazione.
    D'altra   parte   il  giudice  non  potrebbe  neanche,  in  luogo
dell'imputazione   che   il   pubblico  ministero  non  ha  formulato
riportare,   sic   et   simpliciter,  nel  decreto  di  convocazione,
l'addebito contenuto nel ricorso immediato.
    Vi ostano, innanzitutto, ragioni di natura testuale.
    L'art. 27, comma 3, lett. d), d.lgs. n. 274/2000, come si e' gia'
detto, prevede che il decreto di convocazione debba contenere, a pena
di  nullita',  «la  trascrizione  dell'imputazione»,  cosi' lasciando
intendere  che  il  contenuto  della  traslatio debba necessariamente
preesistere  in  un  testo, mentre l'art. 21, d.lgs. n. 274/2000, che
disciplina  il contenuto del ricorso immediato, impone al ricorrente,
al comma 2, lett. f) una ben diversa, e non necessariamente sintetica
«descrizione,  in  forma  chiara e precisa, del fatto che si addebita
alla  persona citata a giudizio, con l'indicazione degli articoli che
si assumono violati».
    Questo  giudice  e'  ben  consapevole  che,  sempre  per rimanere
nell'ambito   testuale,   nel  testo  del  decreto  legislativo  reso
pubblico,  ufficiosamente,  subito  dopo  la  sua approvazione, il 25
agosto   2000,  da  parte  del  Consiglio  dei  ministri,  nel  testo
dell'innanzi  citato  art.  27,  comma  3,  lett.  d), dopo le parole
«trascrizione  dell'imputazione»  compariva  l'inciso  «formulata dal
pubblico ministero».
    Non  si  ritiene,  tuttavia,  che  l'eliminazione,  nella stesura
definitiva,  di  tale  inciso  possa  costituire  argomento decisivo,
inequivoco  ed  idoneo  a  confutare  l'assunto  poc'anzi  esposto  e
sufficiente,  in  se',  a  sostenere la tesi diretta a consentire che
l'addebito   contenuto   nel  ricorso  possa  sostituire  la  mancata
formulazione dell'imputazione da parte del pubblico ministero.
    Soprattutto  pero', va considerato che consentire al giudice, nel
caso in cui il pubblico ministero abbia espresso parere negativo alla
citazione,    di    adottare   l'addebito   contenuto   nel   ricorso
significherebbe ammettere il pieno ed esclusivo esercizio dell'azione
penale  in  capo  al  ricorrente  sottraendolo al pubblico ministero,
unico  soggetto, invece, abilitato a formulare l'imputazione, come si
ricava   chiaramente  dall'art.  25,  d.lgs.  n. 274/2000  oltre  che
dall'intero ordinamento.
    E'  ben  vero  che,  come  ripetutamente  affermato  dalla  Corte
costituzionale  (cfr.,  ex  plurimis,  Corte  cost. 30 dicembre 1993,
n. 474  e  Corte  cost. 18 giugno 1982, n. 114), la Costituzione, nel
prevedere  che  il  pubblico  ministero  ha  l'obbligo  di esercitare
l'azione  penale non sancisce affatto la regola, in capo allo stesso,
del  monopolio  dell'azione  penale ma ammette la legittimita' di una
norma ordinaria che riconosca anche al privato la titolarita' di tale
azione.
    Ma intanto cio' verrebbe consentito, secondo la Consulta, purche'
si  tratti  di titolarita' non esclusiva ma sussidiaria e concorrente
rispetto  a  quella  del  pubblico ministero, al contrario di quanto,
invece,  si  realizzerebbe  nel  caso  in  esame dal momento che, nel
sistema  costruito  dagli  artt.  21  e  ss., d.lgs. n. 274/2000, pur
fondato  sulla  netta  distinzione  tra  iniziativa  del  privato  ed
intervento  del  pubblico  ministero,  al  primo  verrebbe ugualmente
consentito,   ed  addirittura  con  espresso  parere  contrario  alla
citazione  da  parte del secondo, di ottenere, sia pure nei soli casi
in  cui il giudice non ritenga sussistenti le ipotesi di cui all'art.
26,  commi  2,  3 e 4, d.lgs. n. 274/2000, l'emissione del decreto di
convocazione.
    Va  ribadito,  invero,  che  l'art.  27,  d.lgs.  n. 274/2000 non
introduce  alcun  parametro  positivo  la  cui  sussistenza determina
l'emissione  del decreto' di convocazione ma tale emissione e' scelta
obbligata  per il giudice in tutti i casi in cui non ritenga di dover
accedere  agli  esiti «abortivi» del ricorso di cui ai commi 2, 3 e 4
dell'art. 26, d.lgs. n. 274/2000.
    Ne'  l'anomalia  verrebbe  meno,  ed anzi apparirebbe ancora piu'
evidente  ed  accentuata, qualora si volesse ritenere la formulazione
dell'imputazione,   sia  pure  attinta  dall'addebito  contenuto  nel
ricorso introduttivo, come atto del giudice, dal momento che verrebbe
anche   in  tal  caso  palesemente  disattesa  la  prerogativa  della
formulazione dell'imputazione in capo al pubblico ministero.
    Il  giudice,  sostanzialmente,  in  assenza  di  una  imputazione
ritualmente   formulata,  si  troverebbe  ad  esercitare,  d'ufficio,
l'azione penale.
    Non  si ignora neanche che la Corte di cassazione, nella sentenza
n. 40836 del 20 settembre 2004, dopo aver affermato che il giudice di
pace  e'  tenuto  a  verificare  il  requisito  di ammissibilita' del
ricorso  nei  termini richiesti alla lettera f) del comma 1 dell'art.
21, d.lgs. n. 274/2000, conclude riconoscendo allo stesso giudice «la
possibilita'  di  trascrizione dell'imputazione ai fini di formazione
del decreto finalizzato alla udienza di comparizione delle parti, per
l'ulteriore corso».
    In   ordine   a  tali  conclusioni  tuttavia,  non  si  puo'  non
evidenziare  lo  stridente  contrasto  fra  le  stesse  e le premesse
contenute  nella  medesima  sentenza  secondo  cui  pure «il fatto di
trascrizione  dell'imputazione  non equivale a quello di formulazione
della medesima, posto che il primo atto si esercita su un'imputazione
gia'  formata  e,  dunque,  la  presuppone completa negli elementi di
descrizione  del  fatto,  qualificazione  giuridica  del  medesimo ed
individuazione    dell'imputato»   e,   pertanto   «deve   senz'altro
concludersi  che, escluso che alla imputazione sia tenuto il pubblico
ministero  esentato  dalla  legittima ed incensurabile espressione di
parere  contrario  (pur  non vincolante) al procedimento di citazione
diretta,  il  giudice  di  pace  ove  ravvisi  (...) un reale difetto
dell'imputazione,  ragione  di  inammissibilita'  del  ricorso, altro
potere non ha se non quello di dichiarare tale inammissibilita».
    Anche in considerazione di tale contrasto si ribadiscono tutte le
argomentazioni innanzi riportate, che si ritengono comunque pregnanti
e prevalenti.
    Scartate,    per   i   motivi   sopra   dedotti,   le   soluzioni
dell'imputazione  coatta e quella della formulazione dell'imputazione
attraverso  il richiamo all'addebito contenuto nel ricorso immediato,
sembrerebbe  che  al giudice, stante il mancato esercizio dell'azione
penale  da  parte  del  pubblico  ministero  che  ha  espresso parere
negativo  alla citazione, non resti, come ultima alternativa rimasta,
pur non ritenendo di dover condividere le censure di inammissibilita'
del   ricorso,   che   disporre   la   restituzione   degli  atti  al
rappresentante  della  pubblica  accusa,  come  suggerito, del resto,
dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 33675 del 27 maggio 2004.
    Anche tale opzione, tuttavia, non pare esente da gravi censure.
    Nel  sistema  delineato dal d.lgs. n. 274/2000, come si e' visto,
le determinazioni del pubblico ministero di cui all'art. 25, comma 2,
d.lgs. n. 274/2000 non condizionano le decisioni del giudice: tutti i
provvedimenti  reiettivi  del  ricorso  di  cui  all'art.  26  d.lgs.
n. 274/2000 possono essere assunti dal giudice anche in contrasto con
la  posizione  del pubblico ministero e pure se lo stesso, decorso il
termine  di cui all'art. 25, comma 1, d.lgs. n. 274/2000, sia rimasto
inerte.
    Anzi, anche nel caso in cui questi abbia formulato l'imputazione,
al  giudice e' consentito interrompere l'iter procedimentale attivato
dal  privato  qualora  ritenga  di  dover  adottare  uno dei suddetti
provvedimenti recettivi.
    Del  resto,  se  si  fosse  previsto  l'obbligo per il giudice di
fissare sempre l'udienza ogni qualvolta il pubblico ministero proceda
alla  contestazione  formale  del  reato,  verrebbe  meno  la  stessa
funzione di controllo sul ricorso in questa fase preliminare.
    Il  d.lgs.  n. 274/2000  ha  voluto,  sostanzialmente affidare il
controllo  finale  sui requisiti formali e sostanziali del ricorso al
giudice  al  quale  e' soltanto precluso, come si e' gia' detto, ogni
intervento sulla imputazione, a modifica o ad integrazione.
    Ammettere,  pertanto,  nel caso di specie, che il giudice, pur in
disaccordo  con  le valutazioni del pubblico ministero, debba vedersi
ugualmente  costretto  ad  interrompere  l'iter  del  ricorso diretto
equivarrebbe a riconoscere a quello che oltretutto lo stesso art. 25,
comma  2,  d.lgs. n. 274/2000 definisce un mero «parere» del pubblico
ministero  una  portata vincolante, una sorta di potere di veto sulla
procedura   del   ricorso   che  il  legislatore,  invece,  non  pare
assolutamente   aver   configurato,   come  anche  evidenziato  nella
succitata  pronuncia  della  suprema  Corte n. 40836/2004, laddove si
rileva  il  carattere  «non vincolante» del parere contrario espresso
dal pubblico ministero.
    Nel  sistema  vigente  come  innanzi delineato, in definitiva, il
mancato esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero,
come  avvenuto  nella  fattispecie  in  esame, non pare consentire al
giudice    un    compiuto   esercizio   delle   proprie   prerogative
giurisdizionali.
    Pare  potersi  sostenere,  tirando  le  somme,  che  solamente la
formulazione   dell'imputazione   puo'   consentire   al  giudice  di
effettuare  il  dovuto  controllo sui requisiti formali e sostanziali
del ricorso onde poter provvedere ai sensi dell'art. 26, commi 2, 3 e
4,  d.lgs.  n. 274/2000  qualora ritenga di condividere il parere del
pubblico  ministero  ed  ai  sensi  dell'art. 27, d.lgs. n. 274/2000,
qualora, invece, ritenga di dover emettere il decreto di convocazione
delle parti.
    Solamente  tale  soluzione pare ugualmente rispettosa dei diritti
del  ricorrente  e  delle  prerogative  del  pubblico ministero e del
giudice.
    E'  evidente, invero, che la formulazione dell'imputazione, anche
qualora  il  pubblico  ministero  ritenga  il  ricorso inammissibile,
infondato   ovvero   presentato   ad   un  giudice  incompetente  per
territorio,   si   pone   come  conditio  sine  qua  non  rispetto  a
qualsivoglia  provvedimento  che  il  giudice,  in merito al ricorso,
riterra'  di  adottare dal momento che, in caso contrario, come si e'
detto,  non potrebbe il giudice procedere con l'emissione del decreto
di convocazione, non essendo stata formulata l'imputazione dall'unico
soggetto   abilitato   a  formularla  ne',  d'altra  parte,  potrebbe
effettuare  il  dovuto  controllo, che il legislatore gli rimette, in
ordine  ai  requisiti  formali  e  sostanziali  del  ricorso poiche',
essendo  mancata  la  formulazione  dell'imputazione,  e  quindi  non
essendo   stata   esercitata   l'azione  penale,  non  e'  mai  stato
legittimamente   posto   nella  condizione  di  poter  svolgere  tale
controllo,  potendo  e  dovendo,  in tal caso, prendere solo atto del
mancato esercizio dell'azione penale.
    Tutto  cio'  premesso,  si  ritiene  l'art.  25,  comma 2, d.lgs.
n. 274/2000   incostituzionale   per   violazione  del  principio  di
ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. dal momento che non prevedendo
che,  anche  nel caso in cui esprime parere contrario alla citazione,
il  pubblico  ministero  debba  formulare l'imputazione, determina un
vincolo,  per  il  giudice  a  cui il pubblico ministero ha formulato
semplice  parere  contrario, di restituzione degli atti alla pubblica
accusa, non potendo il giudice disporre, come si e' visto, in maniera
diversa  e  contrariamente  all'ipotesi,  inversa,  in cui l'avvenuta
formulazione  dell'imputazione  non impedisce al giudice di ritenere,
invece,  nel  pieno  esercizio  delle proprie prerogative, il ricorso
inammissibile,  infondato  ovvero  presentato  dinanzi  ad un giudice
incompetente.
    L'art.  25,  comma  2,  d.lgs. n. 274/2000, inoltre, sempre nella
parte  in  cui  non  prevede  che il pubblico ministero, anche quando
esprime    parere   contrario   alla   citazione,   debba   formulare
l'imputazione,  e'  viziato  con  riferimento  al  parametro  di  cui
all'art.  24,  comma  2  Cost.  che si assume violato laddove, con la
restituzione  degli  atti  al pubblico ministero, che necessariamente
conseguirebbe  alla  formulazione del parere contrario alla citazione
da  parte della pubblica accusa, il ricorrente verrebbe privato di un
importante  strumento  processuale riconosciutogli dal legislatore e,
per di piu', per ragioni non condivise dal giudice.
    L'art.  25,  comma  2,  d.lgs.  n. 274/2000, infine, sempre nella
parte  in  cui  non  prevede  che il pubblico ministero, anche quando
esprime    parere   contrario   alla   citazione,   debba   formulare
l'imputazione,   e'   viziato  con  riferimento  al  parametro  della
ragionevole  durata  del  processo di cui all'art. 111, secondo comma
Cost.  che  si assume violato laddove, con la restituzione degli atti
al   pubblico   ministero,  che  necessariamente  conseguirebbe  alla
formulazione  del  parere  contrario  alla  citazione  da parte della
pubblica  accusa,  il  ricorrente,  producendo  il ricorso gli stessi
effetti, ex art. 21, comma 5, d.lgs. n. 274/2000, della presentazione
della   querela,   vedrebbe   il   proprio   ricorso  seguire  l'iter
tradizionale,  con  tempi  notevolmente piu' lunghi rispetto a quelli
stabiliti   per   il   ricorso   immediato   che,   invece,  consente
l'instaurazione   del   giudizio   senza   la   fase  delle  indagini
preliminari.
    La  rilevanza  della  sollevata  questione di incostituzionalita'
emerge  chiaramente  da tutto quanto innanzi dedotto ed e' ancor piu'
evidente  se si considera che nella fattispecie in esame mentre, allo
stato,  parrebbe  che  al  giudice  non rimanga che prendere atto del
parere  contrario all'imputazione da parte del pubblico ministero con
conseguente  restituzione  degli  atti, alla luce, invece, della gia'
sopra  indicata  sentenza  della Corte di cassazione n. 21714 dell'11
aprile  2003  e dell'ordinanza della Corte costituzionale n. 83 del 2
marzo  2004, qualora al giudice venisse, invece, consentito il dovuto
il  controllo finale sui requisiti formali e sostanziali del ricorso,
questo  darebbe  esiti  opposti a quelli cui e' pervenuto il pubblico
ministero,  con  conseguente  emissione  del  decreto di convocazione
delle parti.
    Non  ignora il sottoscritto rimettente l'insegnamento della Corte
costituzionale  espresso  nelle  ordinanze  n. 361  del  28 settembre
2004-4  ottobre  2005  e n. 381 del 28 settembre 2005-7 ottobre 2005,
aventi ad oggetto la medesima norma della cui costituzionalita' anche
in questa sede si dubita.
    Nella prima ordinanza in cui, in una fattispecie analoga a quella
in  esame,  la  questione  di  incostituzionalita'  veniva  posta nei
medesimi  termini,  la  Corte rileva che il giudice a quo non avrebbe
compiuto   il  necessario  sforzo  ermeneutico  per  individuare  una
soluzione   che   consenta   un   effettivo  controllo  di  legalita'
sull'esercizio  dell'azione  penale  senza  sacrificare  i diritti di
tutte le parti private.
    Ed  anche nella suddetta pronuncia n. 381/2005 la Corte non manca
di   evidenziare   come   la  giurisprudenza  di  legittimita'  abbia
prospettato,  in  via  interpretativa, varie soluzioni per far fronte
alla  asserita  situazione  di paralisi in cui verrebbe a trovarsi il
procedimento,  non  esclusa  la  trasmissione  degli atti al pubblico
ministero perche' proceda con le forme ordinarie.
    Non  si puo' non evidenziare, tuttavia, che le soluzioni adottate
dalla  giurisprudenza  di legittimita' (trascrizione dell'imputazione
da  parte  del  giudice  di  pace  ovvero restituzione del ricorso al
pubblico  ministero) non si sottraggono, come gia' sopra profusamente
dedotto, alle censure di costituzionalita' gia' esposte.
    In  particolare,  preme  sottolineare che l'eventuale invito alla
formulazione  coatta  dell'imputazione  a  seguito  di  richiesta  di
archiviazione  formulata  dal pubblico ministero successivamente alla
restituzione  degli  atti disposta nei suoi confronti, contrasterebbe
palesemente,  per  i  motivi  gia' riportati, con l'art. 111, secondo
comma Cost.
    E  cio'  pur  senza considerare che la restituzione degli atti al
pubblico  ministero  verrebbe  disposta  dal giudice del dibattimento
competente  ex  art.  5,  comma 1, d.lgs. n. 274/2000 mentre l'invito
alla  formulazione  coatta  verrebbe,  eventualmente,  disposta da un
diverso  giudice, essendo competente il giudice individuato dall'art.
5, comma 2, d.lgs. n. 274/2000.
                              P. Q. M.
    Visti gli artt. 134 Cost. e 23 legge 11 marzo 1953, n. 87.
    Ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza, d'ufficio,
solleva  la  questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 25,
comma  2,  d.lgs.  n. 274/2000  nella parte in cui non prevede che il
pubblico  ministero,  anche  quando  esprime  parere  contrario  alla
citazione, debba formulare l'imputazione, per contrasto con gli artt.
3,  24, secondo comma e 111, secondo comma Cost. per le ragioni sopra
dedotte.
    Sospende,  per  l'effetto,  il  presente  giudizio  e  manda alla
cancelleria  per  l'immediata  trasmissione  degli  atti  alla  Corte
costituzionale.
    Ordina  alla cancelleria che la presente ordinanza sia notificata
al  ricorrente,  alla  persona  di  cui  si chiede la convocazione in
giudizio,  al pubblico ministero, nonche' al Presidente del Consiglio
dei  ministri  e  sia  comunicata  ai Presidenti delle due camere del
Parlamento italiano.
        Chioggia, addi' 17 luglio 2006
                     Il giudice di pace: Minoia
07C0404