N. 230 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 aprile 2006

Ordinanza  emessa  il  10 aprile 2006 dalla Corte di appello di Lecce
nel procedimento penale a carico di Cazzato Alessandro ed altri

Processo  penale  -  Appello  - Modifiche normative - Limitazione del
  potere  di appello del pubblico ministero alle sentenze di condanna
  - Possibilita' per il pubblico ministero di proporre appello contro
  le  sentenze  di  proscioglimento  soltanto  nelle  ipotesi  di cui
  all'art. 603, comma 2, se la nuova prova e' decisiva Violazione del
  principio di ragionevolezza - Violazione dei principi della parita'
  delle  parti  nel  contraddittorio  e  della ragionevole durata del
  processo.
- Codice  di  procedura penale, art. 593, come sostituito dall'art. 1
  della legge 20 febbraio 2006, n. 46.
- Costituzione, artt. 3 e 111.
Processo   penale  -  Appello  -  Modifiche  normative  -  Disciplina
  transitoria  -  Applicazione della nuova disciplina ai procedimenti
  in  corso  alla data di entrata in vigore della novella - Contrasto
  con  il  principio  di ragionevolezza - Violazione del principio di
  buon andamento dell'attivita' giudiziaria - Violazione dei principi
  della  parita'  delle parti nel contraddittorio e della ragionevole
  durata del processo.
- Legge 20 febbraio 2006, n. 46, art. 10.
- Costituzione, artt. 3, 97 e 111.
(GU n.16 del 18-4-2007 )
                         LA CORTE DI APPELLO

    Ha emesso la seguente ordinanza.
    Visti  gli  atti del procedimento penale iscritto al n. 1790/05 a
carico  di  Cazzato  Alessandro ed altri, definito in primo grado con
sentenza del g.i.p. del Tribunale di Lecce 19 aprile 2005;
    Rilevato  che, contro la predetta sentenza hanno proposto appello
gli  imputati  in  riferimento  alle  statuizioni  di  condanna ed il
pubblico    ministero    in    riferimento    alle   statuizioni   di
proscioglimento;
    Rilevato  che  nelle  more  del  giudizio di appello, dopo che e'
stata  disposta e quasi esaurita la rinnovazione del dibattimento, e'
stata  promulgata  ed e' entrata in vigore la legge 20 febbraio 2006,
n. 46, per effetto della quale risultano modificati l'art. 593 c.p.p.
(che  nel  testo ora vigente stabilisce che «l'imputato e il pubblico
ministero  possono  appellare  contro  le sentenze di proscioglimento
nelle  ipotesi  di  cui  all'art. 603,  comma 2, se la nuova prova e'
decisiva»);
    Rilevato  che  la citata legge stabilisce all'art. 10 che essa si
applica  ai  procedimenti  in  corso  alla  data della sua entrata in
vigore   e   che   l'appello   proposto   contro   una   sentenza  di
proscioglimento  dall'imputato o dal pubblico ministero prima di tale
data  viene  dichiarato  inammissibile con ordinanza non impugnabile,
salva  la  possibilita' per il pubblico ministero e per l'imputato di
proporre  nei  quarantacinque  giorni  successivi  alla comunicazione
ricorso per cassazione;
    Ritenuto  che,  nel  caso  di  sentenza  mista,  contenente cioe'
statuizioni   di   condanna   e   statuizioni   di   proscioglimento,
l'ammissibilita'  dell'impugnazione  (consentita contro e sentenze di
condanna)  va  verificata  non  con riferimento alla sentenza nel suo
complesso  ma  con  riguardo  alle  statuizioni  che ne costituiscono
oggetto  e  quindi,  in questo caso, con riguardo alle statuizioni di
proscioglimento;
    Ritenuto  che, a mente dell'ultima disposizione citata, l'appello
proposto  dal pubblico ministero contro la sentenza in esame dovrebbe
essere  dichiarato  inammissibile  in  quanto palesemente non ricorre
l'ipotesi  prevista  dall'art. 603,  comma  2 c.p.p. di appello cioe'
fondato su «prove nuove o scoperte dopo il giudizio di primo grado»;
    Ritenuto  tuttavia,  prima di dichiarare l'inammissibilita' delle
proposte  impugnazioni  e  sentite  le  parti, di dover sottoporre al
vaglio del Giudice delle leggi i dubbi di legittimita' costituzionale
sollevati  da  piu'  parti  gia' durante l'iter di approvazione della
legge e che non appaiono a questa Corte manifestamente infondati;
    Considerato che:
        la  Corte  costituzionale  ha ripetutamente affermato che «il
doppio grado di giurisdizione di merito non fonna oggetto di garanzia
costituzionale»   e  neppure  puo'  essere  derivato  da  convenzioni
internazionali  con riferimento all'art. 2 del protocollo addizionale
n. 7  della  Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei diritti
dell'uomo  e delle liberta' fondamentali approvata a Strasburgo il 22
novembre 1984;
        la Corte ha ritenuto altresi' costituzionalmente legittime le
limitazioni, per esempio in materia di giudizio abbreviato, al potere
del pubblico ministero di impugnare una sentenza di proscioglimento o
di  proporre,  sempre nel rito abbreviato, appello incidentale quando
sia  stato proposto appello da parte dell'imputato (Corte cost. n. 98
del  1994)  e  tuttavia  la  Corte,  in quest'ultima sentenza, non ha
mancato di rilevare che «la configurazione dei poteri di impugnazione
del  pubblico  ministero  rimane  affidata  alla  legge ordinaria che
potrebbe  essere  censurata  per  irragionevolezza  solo  se i poteri
stessi,    nel   loro   complesso,   dovessero   risultare   inidonei
all'assolvimento    dei    compiti   previsti   dall'art. 112   della
Costituzione»,  col  principio cioe' dell'obbligatorieta' dell'azione
penale;
        gia'  alla stregua della giurisprudenza esistente della Corte
costituzionale,   anteriore   peraltro   alle   modifiche   apportate
all'art. 111   della   Costituzione  dalla  legge  costituzionale  23
novembre 1999, n. 2, sembrerebbe esclusa la possibilita' di negare in
linea  generale  al  pubblico  ministero  il  potere di impugnare con
appello le sentenze di proscioglimento; una cosi' pesante limitazione
ai poteri del pubblico ministero si pone comunque in palese contrasto
col  disposto  dell'art. 111, comma 2 della Costituzione, secondo cui
«ogni   processo  si  svolge  nel  contraddittorio  delle  parti,  in
consizioni  di  parita',  davanti  a  giudice  terzo  e  imparziale»;
sembrerebbe evidente infatti che la condizione di parita' delle parti
garantita  nel  processo  dal  dettato  costituzionale sia seriamente
compromessa  dal  fatto  che  all'una  -  l'imputato - e' giustamente
garantita  la possibilita' di un nuovo giudizio di merito nel caso di
condanna,    mentre,    nell'ipotesi    speculare    di   assoluzione
dell'imputato,  analoga  possibilita'  non  e'  data  - e senza alcun
ragionevole  motivo - al pubblico ministero (e neppure, per quanto si
dira',  alla  persona  offesa  dal  reato  costituita  parte  civile,
rispetto   alla   quale   non  avrebbero  giustificazione  alcuna  le
limitazioni pur ipotizzabili nei riguardi del pubblico ministero);
        questo  profilo di possibile illegittimita' costituzionale e'
stato gia' rilevato dal Presidente della Repubblica nel suo messaggio
alle  Camere  del  20  gennaio  2006 con cui si chiese un nuovo esame
della   legge  e  nel  quale  si  sottolineo'  che  «la  soppressione
dell'appello   delle  sentenze  di  proscioglimento,  a  causa  della
disorganicita'  della  riforma,  fa si' che la stessa posizione delle
parti del processo venga ad assumere una condizione di disparita' che
supera  quella  compatibile  con  la diversita' delle funzioni svolte
dalle  parti stesse nel processo» mentre «le assimmetrie tra accusa e
difesa  costituzionalmente  compatibili  non devono mai travalicare i
limiti  posti  dall'art. 111,  secondo comma della Costituzione» e si
sottolinea  ancora «l'ulteriore incongruenza» derivante dal fatto che
il  pubblico  ministero  totalmente  soccombente  non  puo'  proporre
appello,  mentre cio' gli e' consentito quando la sua soccombenza sia
solo  parziale,  avendo  ottenuto  una  condanna  diversa  da  quella
richiesta;
        questi  rilievi  peraltro  furono recepiti dal Parlamento che
ritenne  di  rimediarvi  introducendo la possibilita' per il pubblico
ministero  di impugnare con appello le sentenze di proscioglimento in
caso  di prove nuove, sopravvenute al giudizio di primo grado, aventi
carattere  decisivo:  ma il carattere assolutamente marginale di tale
possibilita'  non  modifica  minimamente i termini del problema e non
elimina i dubbi di costituzionalita' della norma in esame;
        la  quale,  secondo  i  rilievi contenuti anche nel messaggio
presidenziale,   si   pone   altresi'   in  contrasto  col  principio
costituzionale  affermato  dall'art. 111 della durata ragionevole del
processo  dato  che,  in  caso  di esperimento con esito positivo del
ricorso    per   cassazione   da   parte   del   pubblico   ministero
(sostanzialmente  consentito  oggi, attraverso l'ampliamento dei casi
del  ricorso  previsto  dall'art. 8 della legge in esame anche per un
motivo di merito) il processo torna irragionevolmente al primo grado,
permettendo   alle  parti  tutte  le  attivita'  processuali  che  la
pronuncia  di una sentenza di primo grado avrebbe altrimenti precluso
con inevitabile negativa incidenza sulla durata del processo;
    la disposizione transitoria contenuta nell'art. 10 della legge si
pone  altresi'  in  contrasto  col principio costituzionale affermato
dall'art. 97  Costituzione  del  buon andamento dell'amministrazione,
applicabile  secondo  la  giurisprudenza  della  Corte costituzionale
anche  agli  organi  dell'amministrazione  della giustizia, in quanto
vanifica,  senza  un'apparente ragione, il lavoro svolto dal pubblico
ministero,  costringendolo  a  rimodulare  la  sua  impugnazione  e a
trasformarla  in  ricorso,  perfino  nel  caso  in  cui il ricorso e'
destinato  a  convertirsi  in appello, mentre aggrava di un eccessivo
carico  di  lavoro  la  Corte  di  cassazione  fmo  a  comprometterne
l'efficienza  e  la stessa funzionalita', come peraltro pubblicamente
denunciato dal primo presidente della stessa Corte;
                              P. Q. M.
    Visto  l'art. 1  della  legge  costituzionale  n. 1  del  1948  e
l'art. 23  della  legge  11  marzo  1953,  n. 87 solleva questione di
legittimita' costituzionale:
        dell'art.  593  cod.  proc.  pen. come modificato dall'art. 1
della  legge  20  febbraio  2006  n. 46,  nella  parte  in cui limita
l'appello  del pubblico ministero alle sole sentenze di condanna e lo
consente contro le sentenze di proscioglimento nei soli casi previsti
dall'art. 603, comma 2 cod. proc. pen.;
        dell'art. 10  stessa  n. 46/2006  che dichiara applicabile la
nuova disciplina introdotta ai processi in corso;
    In riferimento agli artt. 111, 112 e 97 Costituzione;
    Dispone  a cura della cancelleria la trasmissione degli atti alla
Corte costituzionale, previa notifica dell'ordinanza alle parti ed al
Presidente del Consiglio dei ministri;
    Dispone  altresi' la comunicazione ai Presidenti delle due Camere
del Parlamento;
    Sospende il giudizio in corso.
        Lecce, addi' 10 aprile 2006
                        Il Presidente: Buffa
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